DELIRIO ALL’ULTIMA PALLOTTOLA – TUTTO IL CINEMA DI MICHELE SOAVI 01

Michele Soavi, l’erede di Dario Argento

Michele Soavi è nato a Milano nel 1957 ed è considerato il regista più interessante del nuovo cinema fantastico italiano. Nel suo passato ci sono alcune esperienze come attore, sia con il vero nome che sotto lo pseudonimo di Michael Saroyan. Lo troviamo interprete di ruoli modesti nei film: Piccole labbra (1979) di Mimmo Cattarinich, Alien 2 sulla Terra (1980) di Ciro Ippolito, Paura nella città dei morti viventi (1980) di Lucio Fulci, Il giorno del cobra (1980) di Enzo Girolami, Uomini e no (1980) di Valentine Orsini, Rosso sangue (1981) di Aristide Massaccesi (Joe D’Amato), Caligola… la storia mai raccontata (1982) di Aristide Massaccesi, La casa con la scala nel buio (1983) di Lamberto BavaBlack Cat (1989) di Luigi Cozzi, La maschera del demonio (1989) di Lamberto Bava.

Ha imparato il mestiere di regista soprattutto alla bottega di Dario Argento, ma anche di Lamberto Bava, Ruggero Deodato e Joe D’Amato. Lo troviamo come assistente alla regia in Bambulè (1980) di Marco Modugno, dove aveva anche una parte come attore, Tenebre (1982) di Dario Argento, Endgame – Bronx lotta finale (1983) di Aristide Massaccesi (anche attore), I predatori di Atlantide (1983) di Ruggero Deodato, Texas 2000 (1984) di Aristide Massaccesi, Phenomena (1985) di Dario Argento, Demoni (1985) di Lamberto Bava (anche attore), Opera (1987) di Dario Argento e Le avventure del Barone di Munchausen (1989) di Terry Gilliam. In Opera e ne Le avventure del Barone di Munchausen, come anche in I fratelli Grimm e l’incantevole strega sempre di Gilliam (2005), il ruolo di Soavi è più importante di un semplice assistente alla regia, perché dirige la seconda unità del film.

Soavi ha rivestito ruoli marginali nei film: Figlio delle stelle (1979) di Carlo Vanzina (assistente di edizione), Lacrime napulitane (1981) di Ciro Ippolito (segretario di edizione), Voglia di rock (1982) di Massimo Costa (treatment) e Ator l’invincibile (1982) di Aristide Massaccesi (autore dei testi).

In questo lavoro ci occuperemo di Michele Soavi regista e in particolare del suo cinema dell’orrore, che ben si inserisce nella tradizione italiana di un cinema di genere di alta qualità. Un cinema che ha poco da invidiare a quello americano, se non i mezzi economici. Un cinema che ha prodotto talenti come Joe D’Amato (purtroppo presto passato al più redditizio hard core), Lucio Fulci, Antonio Margheriti, Ruggero Deodato, Mario e Lamberto Bava e soprattutto Dario Argento. Un cinema che sarebbe importante riscoprire per rivitalizzare tutto il cinema italiano, privo da anni di una seria programmazione e di un genere che lo caratterizzi. I francesi, invece, hanno tenuto duro sulle loro formule tradizionali e sanno imporre gialli, film d’amore e drammi in costume, tutti ben agganciati a una dinastia di pellicole che li hanno preceduti. In Italia abbiamo abbandonato le tradizioni e con loro i generi che si confacevano al cinema nostrano: la commedia sexy, il western spaghetti, l’horror. È anche per questo motivo che molte vecchie pellicole degli anni Settanta e Ottanta sono diventate oggetto di culto per gli appassionati. Soavi si è formato a questa scuola e ha frequentato i set dove venivano create le prime pellicole horror. Poi si è creato uno stile originale, un marchio di qualità. Ha diretto quattro pellicole horror molto importanti, poi, improvvisamente, si è dedicato ad altro. Soavi potrebbe essere il rifondatore ideale dell’horror italiano, la persona più adatta per far fare il salto di qualità a un cinema in crisi di idee bisognoso di nuova dignità. Sempre che voglia tornare alle origini e riprendere un discorso interrotto diversi anni fa.

Michele Soavi descrive se stesso nel libro di Maurizio Colombo e Antonio TentoriLo schermo insanguinato – Il cinema italiano del terrore 1957-1989”, (Solfanelli Editore – Chieti 1990). Il pezzo ha per titolo “Viaggio nelle viscere della paura”.

Ci piaceva troppo per non riportarlo anche su queste pagine.

Avevo tredici anni quando, con la carta igienica pressata nelle scarpe per sembrare più alto, cercavo di passare inosservato sotto gli occhi della maschera che mi strappava il biglietto per L’uccello dalle piume di cristallo.  A nove anni avevo visto Vampyr di Dreyer in tv ed ero convinto che il vampiro balzasse fuori dall’armadio della mia camera da letto e mi azzannasse la giugulare mentre dormivo. A sei anni non volevo mai mangiare e, siccome i miei genitori erano spesso via, la cuoca mi minacciava che se non mangiavo sarebbe venuta una strega e mi avrebbe portato via. E non so come ma un attimo dopo io la strega l’ho vista veramente! Attraverso i vetri della finestra, vestita di nero che si confondeva nella notte, vecchia, orribile e ghignante! Allora la cuoca è corsa fuori con il bastone della scopa, per cacciarla via, urlandomi “Mangia, mangia…! Se no entra!”. Io guardavo esterrefatto i pezzettini di carne, ormai fredda, e guardavo la cuoca che teneva a bada la strega con il bastone… A tre anni non riuscivo ad addormentarmi se le coperte del mio letto non erano perfettamente lisce, rincalzate e piatte. Se c’erano delle pieghe, queste, durante il sonno, si sarebbero animate, ingrossate, fino a soffocarmi di incubi orrendi. Quello che è successo nella pancia di mia madre sto tentando di ricordarlo… Poi, amo moltissimo il cinema.

Non è questa la sede adatta per tracciare una storia del cinema horror italiano, anche perché altri lo hanno fatto meglio di noi con opere di ampio respiro. Ma per inquadrare il ruolo di Soavi nel genere fantastico è importante citare alcune date e  pochi nomi.

Le radici del cinema horror italiano risalgono al 1957 con I vampiri di Riccardo Freda, uno dei fondatori del genere insieme al geniale Mario Bava che in quella pellicola curò una stupenda fotografia in bianco e nero e che girò pochi anni dopo La maschera del demonio con Barbara Steele (un’icona di questo cinema), storia inquietante di streghe e vampiri. Dopo queste due pellicole fu tutto un fiorire di storie macabre e gotiche. Citiamo soltanto: Il mulino delle donne di pietra (1960) di Giorgio Ferroni, L’orribile segreto del dottor Hichcoch (1962) sempre di Riccardo Freda, che nell’occasione utilizzava lo pseudonimo di Robert Hampton, continuando a servirsi della Steel come attrice principale. Questo stratagemma del falso nome inglese fu una caratteristica del periodo storico. Molti autori di narrativa fantastica e di cinema horror si nascondevano dietro uno pseudonimo inglese per camuffare la nazionalità del prodotto. Lo stesso accadde con i primi western-spaghetti e nelle collane di narrativa horror e spionaggio della casa editrice ERP (si veda per tutti “I Racconti di Dracula” o i “KKK – Classici dell’Orrore”). Alla base di questo atteggiamento c’era un chiaro complesso di inferiorità verso i maestri d’oltre oceano, ma anche la convinzione (forse non del tutto errata) che il pubblico preferisse vedere o leggere storie horror con il marchio di origine statunitense.

Nel solito periodo nasce anche il giallo all’italiana e il thriller che mescola elementi gotici e orrorifici. Autori principali sono: Mario Bava (La ragazza che sapeva troppo, 1962, e Sei donne per l’assassino, 1964) e Antonio Margheriti (Danza macabra e La vergine di Norimberga del 1963). Pellicole importanti sono state anche I tre volti della paura (1963) e Operazione paura (1966) di Mario Bava (1963), Cinque tombe per un medium (1965) di Massimo Pupillo e Contronatura (1969) di Margheriti.

La comparsa di Dario Argento sulla scena cinematografica italiana dà il via a un importante processo di cambiamento. Tre gialli hanno lasciato il segno e sono gli indimenticabili: L’uccello dalle piume di cristallo (1969), Quattro mosche di velluto grigio (1971) e Il gatto a nove code (1971). Lucio Fulci è un altro nome fondamentale e il suo capolavoro Non si sevizia un paperino (1972) è una pietra miliare nella storia del cinema thriller-horror italiano.

Mario Bava nello stesso periodo girava Reazione a catena – Ecologia del delitto (1971), uno slasher movie considerato il suo capolavoro, e Umberto Lenzi i notevoli Sette orchidee macchiate di rosso (1972) e Gatti rossi in un labirinto di vetro (1974). Altri nomi che hanno dato molto al genere thriller sono Sergio Martino (Il tuo vizio è una stanza chiusa e solo io ne ho la chiave, 1972, e I corpi presentano tracce di violenza carnale, 1973), Aldo Lado (La corta notte delle bambole di vetro, 1971, e Chi l’ha vista morire?, 1972), Massimo Dallamano (Cosa avete fatto a Solange?, 1971), Francesco Barilli (Il profumo della signora in nero, 1973) e Giorgio Ferroni (La notte dei diavoli, 1972, che è un horror puro).

Il 1975 segna il grande successo di Profondo Rosso di Dario Argento, seguito nel 1976 da La casa dalle finestre che ridono di Pupi Avati, un regista che ha sempre alternato incursioni nel genere horror a prove di carattere più intimistico-sentimentale. A questi due capolavori seguirono pellicole come Suspiria (1977) di Argento, un delirio visivo con il sottofondo musicale dei Goblin che aveva già segnato il successo di Profondo Rosso. Ma anche un giallo parapsicologico come Sette note in nero (1977) di Lucio Fulci, e cose come Schock (1977) di Mario Bava. Nel 1979 il fondamentale Zombi (Dawn of the Dead) (1979) di George A. Romero, presentato in Italia da Dario Argento, dette il via a una serie di film sulla stessa falsariga. Possiamo citare: Zombi 2 (1979) di Lucio Fulci, originale per l’ambientazione caraibica e per alcune scene fantastiche ben realizzate, Zombi horror – Le notti del terrore (1980) di Andrea Bianchi, Virus – L’inferno dei morti viventi (1980) di Bruno Mattei, Zombi Holocaust (1980) di Marino Girolami. Il 1980 è l’anno della scomparsa di Mario Bava, che fa appena in tempo ad aiutare Dario Argento nella produzione degli effetti speciali di Inferno, ma è anche l’anno dei tre deliri splatter di Lucio Fulci: Paura nella città dei morti viventi, L’aldilà e Quella villa accanto al cimitero, seguiti dal violento thriller Lo squartatore di New York (1982). Dario Argento estremizza la violenza e il gore negli omicidi e torna al giallo puro con Tenebre (1982), passando per la favola nera di Phenomena (1985) e Opera (1987), seguito a  ruota da Pupi Avati con Zeder (1983), un capolavoro di suspense e di tensione. Lamberto Bava eredita l’estro del padre e lo dimostra con Demoni (1985) e con Demoni 2 (1986) prodotti da Dario Argento e che si avvalgono degli effetti speciali di Sergio Stivaletti e di Rosario Prestopino. Per non parlare di Aristide Massaccesi, in arte Joe D’Amato, che, prima di passare al porno soft e all’hard core, si cimenta nell’horror con Buio Omega (1979) e Antropophagus (1980) e di Ruggero Deodato, che porta alle estreme conseguenze i cannibal movies con i feroci Ultimo mondo cannibale (1976) e Cannibal Holocaust (1979).

Venuta meno la vena creativa di Dario Argento (che adesso però pare essere tornato ai bei tempi dopo La terza madre, 2007) e Lucio Fulci (morto nel 1996 mentre lavorava a MDC-Maschera di cera, poi realizzato da Sergio Stivaletti), in Italia abbiamo assistito a una generale caduta del genere horror – thriller, anche per colpa di pessimi autori come Claudio Fragasso che hanno rovinato quanto di buono era stato fatto negli anni Ottanta.

Dobbiamo dire che in questo periodo la bandiera del cinema horror l’ha tenuta alta soltanto Michele Soavi. Il regista romano prima di dirigere un film da solo, ha avuto ruoli importanti e autonomi in Opera di Dario Argento e ne Le avventure del barone di Munchausen e in I fratelli Grimm e l’incantevole strega di Terry Gilliam. Poi si è messo in proprio e ha girato quattro film importanti come Deliria, La chiesa, La setta e Dellamorte Dellamore conquistandosi un posto di rilievo nel panorama del cinema di genere italiano. Il suo cinema è stato paragonato a quello di David Lynch e di Andrej Tarkovskij e lui è stato spesso ospite di festival e manifestazioni specializzate come Chiaroscuro di Asti.

Il primo lungometraggio, Deliria, è del 1987 e segue un documentario sul cinema horror di Dario Argento girato nel 1985 (Il mondo dell’orrore di Dario ArgentoDario Argento’s World of Horror). Deliria vinse un premio come miglior film al festival francese di Avoriaz e successivamente a quello di Tokyo. Soavi si è imposto subito all’interesse del pubblico e della critica (anche d’oltre oceano) grazie al suo grande talento visionario. Tarantino è un suo ammiratore e alcuni anni fa sceneggiò la storia del film Dal tramonto all’alba, che venne proposto a Soavi e sarebbe stato un film ideale per le qualità del regista italiano. Alla fine però venne affidato a Robert Rodriguez. Ed è stato un appuntamento perduto per uscire dai confini nazionali.

Abbiamo visto che Soavi si è formato con il cinema del compianto Aristide Massaccesi (Joe D’Amato) e di Lamberto Bava, svolgendo sul set mansioni di vario genere e recitando anche in ruoli secondari. Ma il suo vero maestro è stato Dario Argento. Con lui ha fatto l’assistente alla regia per il film Tenebre e l’aiuto regista in Phenomena e Opera, dimostrando di avere ottime capacità tecniche e un personale gusto per l’inquadratura. È soprattutto in Deliria che si nota l’influenza di Argento. Qui Soavi è ancora legato al bisogno di esser “cattivo” e di dover spaventare a tutti i costi, si vede palese l’ammirazione di chi da ragazzino ha adorato L’uccello dalle piume di cristallo o Profondo rosso e che vuole costruire scene di violenza per spaventare il pubblico. Nei film successivi la prospettiva cambia, la violenza è soltanto fantastica, non c’è mai immedesimazione con lo spettatore e per questo motivo è una violenza che non disturba. Fu dopo il successo di Deliria che Dario Argento scelse Soavi per dirigere due pellicole horror: La chiesa e La setta. Sono stati questi lavori a regalargli il titolo di erede di Dario Argento, anche per il buon successo commerciale e di critica riscosso. Però La chiesa e La setta, pur essendo prodotti da Argento, sono film dove la mano del maestro si sente meno, anche se il tema che svolgono è sempre legato alla rielaborazione della paura e del terrore. In ogni caso Soavi non si è mai accontentato di questa etichetta e ha finito per realizzare un film come Dellamorte Dellamore che è completamente diverso rispetto alla tecnica di Argento. Di questa pellicola si può dire qualsiasi cosa ma di sicuro resta un lavoro originale e atipico nel panorama horror nostrano. Dellamorte Dellamore, uscito nel 1994, ha poco in comune con i film precedenti. È la rielaborazione consapevole di un mondo fumettistico e fantastico, a tratti anche surreale e grottesco, tipico della narrativa di Tiziano Sclavi e del cinema demenziale di Terry Gilliam.

Dopo questa pellicola Soavi ha staccato improvvisamente con la macchina da presa e lo ha fatto nel momento di maggior successo restando per ben sei anni senza fare un film. Alcuni hanno ricercato la causa del temporaneo abbandono del grande schermo nei problemi personali legati alla nascita del primo figlio, altri hanno detto che non aveva trovato i finanziamenti sperati per alcuni progetti legati al fantastico (il film su Dylan Dog, l’idea de I Mangianuvole). C’è poi chi ha sostenuto che Soavi era in crisi di idee, come lo è stato tutto il cinema italiano di genere all’inizio degli anni Novanta. Soavi poteva scegliere di emigrare negli U.S.A. e in realtà ci ha provato ma non gli è andata bene (si veda il citato caso del film Dal tramonto all’alba poi diretto da Rodriguez).

Il 1999 ha segnato il suo ritorno dietro la macchina da presa, ma questa volta per un film destinato alla tv e targato Mediaset.

Ultimo – La sfida è il primo di una quadrilogia su fatti di cronaca che hanno consacrato uomini semplici, per lo più appartenenti alle forze dell’ordine, come piccoli grandi eroi di una battaglia contro l’ingiustizia e la delinquenza in Italia. Ultimo è l’ufficiale dei carabinieri che diresse le operazioni per la cattura di Totò Riina (sullo schermo un ottimo Raoul Bova).

Nel 2000 Soavi ha girato il serial Uno bianca, la storia di un poliziotto (un bravo Kim Rossi Stuart) con un grande senso della giustizia. Storia vera, purtroppo. Cronaca nera. Il male è incarnato da alcuni poliziotti corrotti che hanno ucciso e rapinato a lungo in Emilia Romagna. Unico indizio nelle loro azioni criminali: la Uno bianca.

Nel 2001 ha girato il serial Il testimone, storia di un testimone di un delitto di mafia (ancora interpretato da Raoul Bova) che mette a rischio la propria vita e quella della sua famiglia per aiutare la giustizia. L’uomo proverà su di sé e sui familiari la terribile esperienza di abbandonare il proprio lavoro, farsi chiamare con un nome falso, cambiare residenza in continuazione, vivere una vita difficile solo per aver avuto il coraggio di testimoniare.

Soavi dà prova di grande sensibilità verso problemi importanti che assillano il nostro paese e in questi lavori televisivi tocca temi che non erano neppure accennati nel suo cinema fantastico. Tuttavia in alcune sequenze forti e ad alta tensione fa ancora capolino il Soavi del cinema del terrore. Il suo grande talento registico si sposa bene anche a storie legate alla realtà e alla cronaca nera e nobilita un genere come la fiction televisiva da sempre considerato di serie B.

I serial televisivi di Soavi costituiscono il frutto di una raggiunta maturità artistica. Basti pensare alle sequenze d’azione e di suspense, e a quelle oniriche che ossessionano i protagonisti delle tre storie. La Uno bianca è il lavoro più riuscito, anche perché si avvale di un’ottima sceneggiatura e di una storia intrigante.

Nel 2002 ha dato vita a una nuova interpretazione di San Francesco in un’ottima fiction televisiva. Dai temi quasi satanisti di pellicole come La Chiesa a Francesco il passo è lungo e pericoloso, però Soavi ha saputo raccontare la vita del santo rifuggendo dall’agiografia tranquillizzante.

La nostra speranza è di rivedere Soavi alle prese con un film per il grande schermo, magari dando via libera alle pulsioni oniriche e fantastiche che ce lo avevano fatto amare in pellicole cult come La setta e La chiesa. Per il bene del cinema fantastico italiano.

Per il momento dobbiamo accontentarci di un buon noir tratto da un romanzo di Massimo Carlotto come Arrivederci amore ciao (2005), lavoro interessante che ricorda il cinema italiano dei tempi di Fernando di Leo. Attacco allo Stato (2005) e Nassiryia (2006) sono invece due fiction che riportano il regista alle prese con temi politici e bellici fuori dalle sue corde, ma che sa trattare con perizia tecnica. E aggiungiamo negli ultimi anni anche titoli come: Caccia al Re – La narcotici (2010), Adriano Olivetti – La forza di un sogno (2013), Questo è il mio paese (2015), Rocco Schiavone (2016) e il recente Rocco Chinnici – E’ così lieve il tuo bacio sulla fronte (2018), tutti film e serial per la tv che continuano il discorso intrapreso con il raccontare con grande mestiere fatti di cronaca; mentre nel suo ultimo lavoro, l’imminente commedia fantastica La Befana vien di notte (2018), la cui uscita è prevista per l’1 gennaio 2019, Soavi si cimenta in un nuovo genere che lo porta ancora a trattare il fantastico, ma in maniera diversa rispetto al passato, con richiami un po’ alla Gilliam.

Michele Soavi in alcune interviste (si veda per tutte quella di Danilo Arona sulla rivista telematica Horror.it e quella di Luigi De Angelis su Fantahorror) dice di essere legato alle pellicole di tensione e di amare il cinema alla Deliria che affronta i temi della paura e in fondo ripropone un meccanismo classico alla Dieci piccoli indiani, però aggiunge che oggi si sente più portato verso un genere fantastico, non necessariamente horror. In definitiva Soavi non rinnega il filone gotico ma vuole crescere e non farsi confinare nel ghetto di un cinema meno nobile. La ricetta che sta portando avanti negli ultimi lavori pare essere quella della ricerca di storie interessanti e soprattutto non banali e inutili. Il regista vuol dare un messaggio, comunicare allo spettatore qualcosa di importante e per farlo non nega la possibilità di usare in futuro anche lo schema del film horror.

Nei suoi film caratteristica immancabile è il gusto per l’inquadratura e una vena molto surreale che trova ispirazione in reminiscenze pittoriche. Soavi stesso ha dipinto e suo padre era un pittore che adesso si occupa di critica d’arte. Per certe inquadrature di Dellamorte Dellamore si è ispirato a dei classici come Gli amanti di Manritte, L’isola dei morti di Boechlin e alla pittura di Friedrich in generale. Ne La chiesa c’è una scena che cita il fumettista Boris Vallejo. Nel cinema di Soavi si apprezza un innato gusto pittorico e una vocazione al bello, all’immagine accattivante. Come si vede l’amore viscerale per animali come i gufi, che compaiono in tutti i suoi film a partire da Deliria (l’assassino ha una maschera da gufo).

Soavi appartiene alla scuola artigianale italiana dell’horror e ama improvvisare, si sente vicino alla tradizione del cinema europeo, soprattutto inglese. Non rinnega la lezione del grande horror americano ma ritiene che ci possa essere una strada tutta italiana per il genere, con vere storie nostrane. Ha sempre lavorato con questa convinzione. L’esplorazione della paura è una delle costanti dei suoi film. Possiamo dire che nel cinema di Soavi la dottrina appresa dalla lezione di Argento va a integrarsi in una miscela fatta di tecnica registica e di paure ancestrali.

Nel suo cinema non mancano le figure dell’eroe e  dell’antieroe che si contrappongono fino a divenire tutt’uno in Francesco Dellamorte. In Dellamorte bene e male convivono nella lotta quotidiana e per questo motivo parte della critica ha sostenuto che l’eroe del gotico moderno è l’uomo della strada, costretto a convivere con il suo armadio pieno di scheletri. Francesco Dellamorte è un uomo comune condannato a un lavoro ripetitivo e in fondo noioso: rispedire all’altro mondo i morti che resuscitano.

Il cinema di Soavi è sempre metaforico e il suo eroe ha sulle spalle missioni dal peso immane. Arginare il male per isolarlo e non farlo dilagare per le strade del mondo (La chiesa), impedire che l’Anticristo partorito distrugga il mondo (La setta), fermare gli zombi che tornano in vita (Dellamorte Dellamore). Non è mai cinema inutile e fine a se stesso e la ricerca del messaggio accompagna anche le scene più raccapriccianti.

(1 – continua)

Gordiano Lupi, Maurizio Maggioni e Fabio Marangoni

FILMOGRAFIA COMPLETA DI MICHELE SOAVI

1985 Dario Argento’s World of Horror (documentario)

1987 Deliria

1989 La Chiesa

1991 La Setta

1994 Dellamorte Dellamore

1999 Ultimo 2 – La sfida (serial televisivo)

2000 Uno bianca (serial televisivo)

2001 Il testimone (serial televisivo)

2002 Francesco (serial televisivo)

2003 Ultima pallottola (serial televisivo)

2004 Ultimo 3 – L’infiltrato (serial televisivo)

2005 Arrivederci amore ciao

2005 Attacco allo Stato (miniserie tv)

2006 Nassiryia – Per non dimenticare (miniserie tv)

2008 Il sangue dei vinti

2010 Caccia al Re – La narcotici (serial televisivo)

2011 Ultimo 4 – L’occhio del falco (serial televisivo)

2013 Adriano Olivetti – La forza di un sogno (miniserie tv)

2015 Questo è il mio paese (serial televisivo)

2016 Rocco Schiavone (serial televisivo)

2018 Rocco Chinnici – E’ così lieve il tuo bacio sulla fronte

2018 La Befana vien di notte