MARIO BAVA

Mario Bava, nato a Sanremo il 31 luglio 1914, è stato uno dei registi più intelligenti, inventivi e lungimiranti cui il nostro paese potesse dare i natali. Oltre che dietro la macchina da presa, il nostro si è anche occupato nella sua lunga carriera cinematografica di sceneggiature ed effetti speciali, oltre a essere stato un bravissimo direttore della fotografia. E’ considerato il maestro del cinema horror italiano e, nonostante i budget molto spesso scarni a disposizione, sceneggiature e attori spesso non all’altezza, è riuscito a girare film divenuti poi dei cult movie, che hanno fondato generi cinematografici fino ad allora inediti in Italia. Con La maschera del demonio diede inizio all’horror gotico, nel 1962 la pellicola La ragazza che sapeva troppo fu il primo thriller italiano, mentre Reazione a catena (1971) fu uno dei primi slasher. Bava è divenuto celebre, come dicevamo, anche per la creazione di effetti speciali e trucchi cinematografici: in un’epoca in cui gli effetti digitali ancora non esistevano, Bava creò degli effetti e dei trucchi semplici e ingegnosi, che resero però sempre perfettamente l’idea, senza scadere mai nel ridicolo. Il figlio di Bava, Lamberto, è divenuto anch’egli un noto regista di film horror e di genere fantastico.

Ma andiamo con ordine partendo proprio dagli inizi della carriera di Mario Bava.

Entrò fin da giovane nel mondo del cinema e collaborò subito con grandi registi, grazie al talento naturale per la costruzione di effetti speciali e di impianti di illuminazione, appresi dal padre Eugenio Bava, direttore della fotografia, scenografo e scultore agli albori del cinema italiano. Contribuì alle grandi opere dell’autore, anche il suo grande amore per l’arte pittorica: infatti venne definito dal regista statunitense Raoul Walsh come un vero e proprio maestro con i pennelli.

Bava iniziò la sua carriera in veste di creatore di effetti speciali. Peculiarità del suo lavoro in questo campo furono l’illuminazione e la manipolazione dell’immagine. Durante la Seconda Guerra Mondiale, il futuro regista lavorò per l’Istituto Luce, manipolando filmati di propaganda riguardanti finte vittorie dell’esercito italiano, tra cui un inesistente attacco all’isola di Malta.

All’età di venti anni, Bava si sposò e iniziò a creare i titoli di testa delle versioni italiane di film statunitensi. Il primo film cui Bava partecipò in veste di operatore è Il socio invisibile (1939), diretto da Roberto Roberti, alias Vincenzo Leone, padre di Sergio Leone. Sempre nel 1939, Bava iniziò anche una collaborazione con Roberto Rossellini, occupandosi della fotografia di due cortometraggi diretti dal maestro del Neorealismo italiano: Il tacchino prepotente e La vispa Teresa. Nel 1941 Bava conobbe Francesco De Robertis, da lui considerato un maestro, e diresse la fotografia di molti suoi cortometraggi. Nel 1943 Bava diresse la fotografia del lungometraggio L’avventura di Annabella, diretto da Luigi Menardi. In seguito Bava curò la fotografia per film di registi come Mario Monicelli e Luigi Comencini.

Nel 1946 Bava esordì nella regia cinematografica, dirigendo il cortometraggio L’orecchio, cui seguirono altri cinque corti (Anfiteatro Flavio, Santa notte, Leggenda sinfonica co-diretto con Riccardo Melani, Variazioni sinfoniche – tutti del 1947 – e L’amore nell’arte – 1950 -. Bava diresse poi anche dei documentari, quindi fu messo sotto contratto dalla Lux, celebre casa di produzione cinematografica italiana diretta all’epoca da Carlo Ponti, dove lavorò in veste di direttore della fotografia con registi quali Steno, Mario Soldati e Aldo Fabrizi. Nella sua carriera si occupò infine anche di pubblicità con I futuribili, una serie di spot per la Esso.

Nel 1956 Bava diresse la fotografia de I vampiri, diretto da Riccardo Freda, film che viene considerato l’iniziatore dell’horror italiano. Bava curò anche gli effetti speciali (è divenuto celebre l’invecchiamento di Gianna Maria Canale, realizzato senza stacchi di montaggio, grazie all’ausilio di luci colorate e cerone), supervisionò il montaggio e portò a termine le riprese, non venendo però accreditato. Bava collaborò poi con Freda altre due volte: nel 1958 per Agi Murad, il diavolo bianco e nel 1959 per Caltiki, il mostro immortale. Anche per questo film, Bava diresse la fotografia e portò a termine le riprese ma non fu accreditato. Inoltre curò gli effetti speciali, usando la trippa per realizzare il mostro protagonista del film, ispirato a quello presente in Blob – Fluido  mortale. Nel 1959 fu anche il direttore della fotografia di Ercole e la regina di Lidia. Sempre nel 1959, Bava portò a termine le riprese di La battaglia di Maratona, inizialmente diretto da Jacques Tourneur. Per sdebitarsi, i produttori del film decisero di far esordire Bava nella regia di un lungometraggio e la scelta cadde su La maschera del demonio, diretto nel 1960.

Si tratta del primo horror gotico italiano e fu interpretato da Barbara Steele, lanciata da questo film come star del genere horror. Il film, tratto da un racconto di Nikolaj Vasil’evič Gogol’ intitolato Il Vij, incassò poco alla sua uscita (circa 139 milioni di lire), ma divenne presto un classico. Bava curò anche l’elegante fotografia e gli artigianali ma efficaci effetti speciali.

Il lavoro successivo di Bava fu Ercole al centro della Terra, diretto nel 1961, un peplum contaminato con l’horror. Il film incassò 398 milioni di lire e riscosse un ottimo successo all’estero. Sempre nel 1961, Bava diresse anche Gli invasori, altro film avventuroso, e portò a termine le riprese di Le meraviglie di Aladino, film iniziato da Henry Levin.

Bava si cimentò poi anche con il genere spaghetti western, dirigendo ufficialmente due film: il “serio” La strada per Fort Alamo, diretto usando lo pseudonimo di John Old, e il parodistico Roy Colt e Winchester Jack. Inoltre co-diresse, non accreditato, con Antonio Román anche Ringo del Nebraska.

Nel 1962 Bava diresse La ragazza che sapeva troppo, thriller contaminato con la commedia sentimentale, che fondò il cosiddetto thriller italiano. Alcune sequenze e topoi di questo film verranno ripresi poi in tutti i thriller italiani successivi, soprattutto da Dario Argento.

L’anno successivo il regista diresse La frusta e il corpo, pellicola che segnò l’incontro con il produttore Alfred Leone e che subì alcune censure riguardanti il rapporto sadomasochistico tra una donna e il suo carceriere. Il film non ebbe però un gran successo, incassando 72 milioni di lire. Sempre nel 1963 Bava diresse un film a episodi, I tre volti della paura. Giusto per non smentire il genio che lo contraddistingueva, nell’episodio finale del film, interpretato da Boris Karloff, il regista alla fine si stacca dalla storia e fa vedere allo spettatore addirittura il set del film, mostrando la finzione del cinema. Questo finale si può considerare uno dei primi casi di metacinema.

Nel 1964 Bava diresse Sei donne per l’assassino, che codificò definitivamente il thriller italiano. Il film mostra vari omicidi uno diverso dall’altro, inoltre porta in scena per la prima volta un assassino dal volto coperto che indossa un impermeabile e un paio di guanti… segno poi distintivo di molte pellicole di questo genere dirette da altri registi.

Nel 1965 diresse il suo unico film di fantascienza, Terrore nello spazio, fortemente contaminato con l’horror. Il film è considerato un piccolo gioiello e ispirerà addirittura molti anni dopo Alien di Ridley Scott. Come era consuetudine per Bava, il film fu realizzato con pochi mezzi e scenografie scarne, eppure il risultato fu eccellente: il regista raccontava sempre che aveva a disposizione solo due grandi rocce che spostava per tutto il set. Il film ebbe fra l’altro un discreto successo negli Stati Uniti, dove fu distribuito dall’American International Pictures.

Nel 1966 Bava tornò all’horror gotico puro dirigendo Operazione paura, film pieno di invenzioni visive.

Nel 1967 morì Eugenio Bava e l’anno successivo il figlio diresse una versione molto pop di Diabolik, tratto dal celebre fumetto. Il film fu prodotto da Dino De Laurentiis, grazie al quale Bava si ritrovò a disposizione il budget più consistente della sua carriera: 200 milioni di vecchie lire. Il regista sanremese riuscì comunque nell’impresa di non spendere tutti i soldi a disposizione, anche se non fu molto contento del film, lamentandosi del fatto che De Laurentiis gli avesse imposto di non girare scene efferate per paura della censura. In seguito il produttore propose a Bava di dirigere un sequel, ma il regista rifiutò seccamente.

Nel 1969 Bava girò in Spagna Il rosso segno della follia, un thriller di un sarcasmo feroce, mentre la pellicola Reazione a catena, del 1971, diede il via a un altro genere, lo slasher, e ispirò un’altra serie americana, quella di Venerdì 13. Si tratta di un film spietato, in cui Bava dimostra il suo disinteresse verso il genere umano. Il film è noto anche per i molti sperimentalismi, soprattutto l’uso disinvolto del fuori fuoco.

Nel 1972 il regista tornò all’horror puro con Lisa e il diavolo, che ebbe molti problemi con la produzione e che ha avuto addirittura due versioni. Quella rimontata, con l’aggiunta di alcune scene di esorcismo, dal produttore Alfred Leone e intitolata La casa dell’esorcismo, è stata sempre rifiutata dal regista, che infatti non la firmò. Nello stesso anno Bava girò Gli orrori del castello di Norimberga, omaggio all’horror gotico nel momento in cui l’horror italiano andava in un’altra direzione dopo l’avvento di Dario Argento

Ma quello che è considerato il vero capolavoro del regista non è un horror, bensì un thriller: Cani arrabbiati è il film maledetto di Bava. Realizzato nel 1974 non arrivò mai nelle sale, bloccato dal fallimento della casa di produzione. Solo nel 1995 è stato recuperato ed è uscito in DVD, con alcuni tagli e con il titolo di Semaforo rosso, mentre recentemente è stata rieditata un’edizione originale che ha visto la luce sempre per il mercato dell’home video.

Dopo Cani arrabbiati Bava diresse altri due film. Schock è un horror risalente al 1977 e fu interpretato da Daria Nicolodi, mentre alcune sequenze furono dirette dal figlio Lamberto Bava, che fece così il suo esordio nella regia. La Venere d’Ille è invece un film per la televisione co-diretto con il figlio Lamberto.

Nel 1980 Bava curò alcuni effetti speciali riguardanti Inferno, diretto da Dario Argento. In particolare, Bava realizzò la sequenza in cui la Mater Tenebrarum si trasforma nella Morte e alcuni modellini riguardanti i grattacieli di New York.

Bava morì il 25 aprile 1980 a Roma, poco prima di iniziare le riprese di un nuovo film che si doveva intitolate Star Express, e doveva segnare il suo ritorno alla fantascienza. Oltre a questo aveva già in mente altri film di fantascienza: per cominciare Baby Kong doveva essere la storia del figlio di King Kong. Si questa pellicola la sceneggiatura era già pronta, così come gli effetti speciali. Il film doveva essere girato a Ponza, ma alla fine non si fece mai, in quanto c’era un altro film, il King Kong prodotto da De Laurentiis, che doveva uscire lo stesso anno. Altri progetti riguardanti film di fantascienza rimasti non realizzati erano: Star Riders, Anomalia e Il vagabondo delle stelle.

Mario Bava è stato, come abbiamo detto, un precursore e un innovatore geniale nel campo del cinema di genere: è noto principalmente per un uso iperrealistico del colore. Film come Sei donne per l’assassino e Terrore nello spazio mostrano colori intensi e forti, che aggrediscono e quasi ipnotizzano lo spettatore. Anche le scenografie sono una parte importante del lavoro di Bava, soprattutto nei suoi horror gotici come Operazione paura e Gli orrori del castello di Norimberga. Indimenticabili anche le scenografie pop di Diabolik. Lo stilema stilistico più noto di Bava fu invece lo zoom, espediente stilistico molto utilizzato nel cinema di genere italiano degli anni Sessanta e Settanta. Bava fu uno dei primi registi italiani a utilizzarlo, e lo inseriva nei suoi film spesso in maniera considerata esagerata da alcuni critici (come in 5 bambole per la luna d’agosto o Terrore nello spazio).

Cionondimeno molti registi di ieri e di oggi, soprattutto grandi nomi stranieri, apprezzano e hanno apprezzato il suo lavoro e i suoi film. Tra questi Martin Scorsese, Sean S. Cunningham e il già citato Ridley Scott. Tim Burton nel suo Il mistero di Sleepy Hollow cita esplicitamente La maschera del demonio. Inoltre rimase molto sorpreso quando, durante la presentazione del suo film avvenuta a Roma, alcuni giornalisti italiani dichiararono di non conoscere Mario Bava. Quentin Tarantino ha invece dichiarato che dietro ogni sua inquadratura c’è il genio di Mario Bava. Le dichiarazioni di questi registi sono contenute nel documentario trasmesso da Sky nel 2004, intitolato Mario Bava – Operazione Paura, diretto da Gabriele Acerbo e Roberto Pisoni. Il documentario contiene inoltre interviste e dichiarazioni di Dario Argento, Daria Nicolodi, Dino De Laurentiis, Ennio Morricone, Roger Corman, Mario Monicelli, Sergio Stivaletti, Lamberto Bava, Roman Coppola, John Philipp Law, Elke Sommer e Alfred Leone. Anche Federico Fellini omaggiò Bava: nel suo Toby Dammit, episodio del film collettivo dedicato ai racconti di Edgar Allan Poe intitolato Tre passi nel delirio, è infatti presente una bambina che ricorda molto quella presente in Operazione paura (che in realtà era un bambino). In realtà l’omaggio pare più  un plagio, tanto che Fellini non aveva mai avvertito Bava della sequenza presente nel suo film e il regista sanremese si accorse di questo solo guardando il film al cinema. Roman Coppola girò nel 2001 il film CQ, inserendo molte citazioni di Diabolik. David Lynch, nell’ultimo episodio della serie televisiva I segreti di Twin Peaks, omaggiò Bava filmando la sequenza in cui l’agente Dale Cooper viene inseguito dal suo doppio malvagio, evidente riferimento all’analoga scena presente in Operazione paura. Tra le altre citazioni da segnalare infine quella di Arrivederci amore, ciao, diretto da Michele Soavi nel 2005. Soavi ripropose la famosa scena di Schock, nella quale Daria Nicolodi è stesa sul letto e dall’alto la macchina da presa mostra i suoi capelli muoversi in modo strano, ribellandosi alla forza di gravità.

Davide Longoni