MICHELE SOAVI

Rieccoci a ricordare i bei tempi andati: eravamo presenti alla seconda edizione del Dylan Dog Horror Fest nel lontano 1990, e proprio lì incontrammo, tra i tanti, anche Michele Soavi, oggi regista affermato di fiction d’azione per la televisione (“Uno bianca”, “Ultimo” e il recente "Nassiriya" giusto per citare un paio di titoli), allora rivelazione del nuovo cinema horror italiano. Fortunatamente anche in questo caso l’intervista fatta con lui risulta essere ancora attuale nonostante il tempo trascorso (a parte il consueto paio di domande datate che abbiamo quindi omesso), per cui non indugiamo oltre e sentiamo cosa ci raccontò.
COS’E’ PER TE L’ORRORE?
Risalendo all’etimologia della parola, orrore è ciò che ci repelle. Esiste poi un significato più metaforico, che comprende le paure più profonde, l’ignoto, i traumi infantili. Il significato di orrore va al di là del corpo squartato: tutto può essere orrore… orrore del mondo.
QUALI SONO LE TUE PAURE?
Non sono tanto fifone, però hi paura delle uniformi e degli zoppi. Perché ho un incubo ricorrente che mi perseguita dai tempi della naja. Io il militare l’ho fatto in una caserma dei Vigili del Fuoco, dove eravamo abbastanza liberi. Una volta la settimana arrivavano i militari che ci trattavano da cani per farci fare le marce e tutte le altre cose che generalmente si fanno. E c’era un maggiore piccolo e zoppo che spesso mi puniva e mi consegnava. Da allora mi capita a volte di sognarlo mentre mi insegue ed io cerco di scappargli, ma, non appena mio giro, lui è sempre lì e mi raggiunge. Comunque fu proprio allora, per l’odio e la rabbia di quella situazione in caserma, che iniziai a scrivere, per esorcizzare le mie paure. Un’altra paura, se così si può definire, è che mi sento sempre la coscienza sporca, anche se non ho fatto nulla.
HAI AVUTO ALTRI INCUBI O PAURE CHE RICORDI PARTICOLARMENTE?
Sì, ai tempi della mia infanzia. Ricordo che mi dicevano sempre che, se non avessi mangiato, sarebbe arrivata la strega e mi avrebbe portato via. Un giorno, mentre io facevo i miei soliti capricci per non mangiare, mi dissero di guardare fuori dalla finestra e lì la vidi: era proprio la strega, o almeno così pensai. Era orrenda! Mi spaventai a tal punto che da allora mangiai sempre senza più brontolare. Un’altra mia paura, sempre di quand’ero piccolo, erano le pieghe sulle coperte. Quando andavo a letto, ricordo che controllavo sempre che le lenzuola fossero lisce, altrimenti, se c’erano delle pieghe, temevo che si sarebbero trasformate in serpenti che mi avrebbero mangiato. Così restavo sveglio tutta notte a controllare.
LE TUE PAURE VENGONO IN QUALCHE MODO RIFLESSE NEI TUOI FILM?
Sì, accade spesso che avvenga questo riflesso, ma succede anche che siano le stesse scene dei miei film a mettermi paura. In “Deliria”, ad esempio, il massimo dell’effetto che trovavo terribile, era la messa in scena della maschera buona, inizialmente usata per un balletto, che poi diventava cattiva perché indossata dall’assassino. E questo mi faceva paura: era proprio l’idea della maschera in sé e del suo duplice uso nel film.
CREDI NEL SOPRANNATURALE?
Ci credo, perché molte volte l’autosuggestione ti convince che esiste e così va a finire che pensi che ci sia davvero “qualcosa”.
UN SOGNO NEL CASSETTO?
C’è il progetto di un film che sogno da anni: un soggetto scritto e riscritto e che vorrei realizzare, ma è ancora tutto in forse. Il titolo è “The well” (“Il pozzo” - ma di questo film ancora oggi non si hanno notizie. Probabilmente è ancora chiuso nel cassetto dei sogni di Michele, nda).
 
Originariamente pubblicato sul numero 1 EXTRA FUORISERIE de LA ZONA MORTA, giugno 1990
Corretto e ampliato per il sito LA ZONA MORTA, febbraio 2007

09/03/2007, Davide Longoni