LO SQUARTATORE DI NEW YORK

SCHEDA TECNICA

Titolo originale: Lo squartatore di New York

Anno: 1982

Regia: Lucio Fulci

Soggetto: Gianfranco Clerici, Vincenzo Mannino, Lucio Fulci e Dardano Sacchetti

Sceneggiatura: Gianfranco Clerici, Vincenzo Mannino e Lucio Fulci

Direttore della fotografia: Luigi Kuveiller e Guglielmo Mancori

Montaggio: Vincenzo Tomassi

Musica: Francesco De Masi

Effetti speciali: Manlio e Luigi Rocchetti

Produzione: Fabrizio De Angelis per Fulvia Film

Origine: Italia

Durata: 1h e 33’

CAST

Jack Hedley, Almanta Keller (alias Antonella Interlenghi), Andrew Painter (alias Andrea Occhipinti), Howard Ross (alias Renato Rossini), Alessandra Delli Colli, Paolo Malco, Cinzia De Ponti, Laurence Welles (alias Cosimo Cinieri), Daniela Doria, Babette Neve, Zora Kerova (alias Zora Ulla Keslerowa), Paul Guskin, Anthony Kagan, John Cruze, Marsha Mac Bride, Giordano Falzoni, Rita Silva, Lucio Fulci, Barbara Cupisti, Martin Sorrentino, Violetta Jean, Cesare Diito, Elisa Cervi, Chiara Ferrari.

TRAMA

Si parte con una scena scioccante. Siamo sulla Baia di Hudson, zona di mare e campagna. Un padrone lancia un bastone al cane perché lo riporti e invece del legno si vede riconsegnare una mano mozzata e insanguinata. Fulci sceglie il modo più diretto per immergere lo spettatore in una spirale di delitti che lo accompagnerà per tutto il film.

Il tenente Fred “Barnaby” Williams indaga sull’omicidio e interroga la padrona di casa della vittima che riferisce di aver ascoltato “per puro caso” una telefonata di un uomo con la voce di Paperino. La macchina da presa passa a mostrare una ragazza in bicicletta nel traffico di New York. Lei è bella, sensuale, giovane, indossa pantaloncini corti che mettono in mostra lunghe gambe. Ha un piccolo incidente e va a urtare l’auto rossa di un uomo piuttosto scortese che la tratta male. La ragazza prosegue e si imbarca sul traghetto che deve attraversare la Baia per andare all’altro capo della città. Qui vede l’auto della persona con la quale ha avuto l’incidente, entra dentro e per vendicarsi scrive sul parabrezza la parola “shit”. Viene aggredita da un uomo che lei crede il padrone dell’auto ma in realtà è il killer che parla con la voce di Paperino. Tra il rumore della nave e i colpi di coltello che fendono l’aria la ragazza viene orrendamente massacrata. Segnaliamo qui le stupende riprese del mare e di un tramonto sulla Baia di Hudson che contrastano con la crudezza delle immagini efferate. Passiamo all’obitorio dove un cinico medico legale sta ricucendo la seconda vittima. Fulci fa capire che il dottore è avvezzo a certe scene che ormai non gli fanno più né caldo e né freddo. Canticchia e spiega al tenente che l’omicida è un mancino che utilizza una lama robusta per sventrare le donne. Infatti la ragazza è stata scannata da un colpo di coltello inferto nella vagina e spinto verso l’alto. Il killer non ha fatto sesso, sul corpo della ragazza non ci sono tracce di rapporti recenti né di violenza carnale. L’uomo l’ha massacrata e ha lasciato sul posto tracce del suo sangue. A questo punto c’è un cameo di Lucio Fulci come superiore del tenente Williams: il regista interpreta il capo che non vuole spargere la voce del serial killer per non intimorire la popolazione. Il tenente si rivolge al professor Davis per avere un profilo psicologico dell’omicida e subito dopo viene a sapere che gli ha telefonato un uomo che parlava con la voce di Paperino e sul momento non comprende la connessione con i delitti. Lo psicologo è un ottimo Paolo Malco che interpreta uno strano tipo di intellettuale che gioca a scacchi con se stesso e chiede un po’ di denaro per collaborare.

La scena si sposta in un quartiere dei bassifondi con i sexy shop e i cinema a luci rosse. Siamo dentro un teatro hard e vediamo una splendida e sensuale Alessandra Delli Colli che interpreta Jane Forrester Lodge, una moglie viziosa che si eccita in un teatro hard e registra tutto per consegnare il nastro al marito e farlo godere. Passiamo dietro le quinte e seguiamo un’attrice porno nel camerino dove improvvisamente è andata via la luce. Qualcuno ha svitato la lampadina, lei si taglia un piede con dei vetri e subito dopo spunta da una tenda una bottiglia frantumata che una mano omicida le conficca nel basso ventre.

Il killer con la voce di Paperino telefona al tenente a casa di Kitty (la bella Daniela Doria), la sua puttana – amante, e confessa che ha ucciso ancora. Apre una specie di sfida con il poliziotto che non comprende come l’assassino può aver saputo che lui era da Kitty. Lo psicologo intanto ha tracciato un quadro del killer. Secondo lui è dotato di un eccezionale autocontrollo, è una persona intelligente che vuol provocare e farsi notare e come un buon giocatore di scacchi programma le mosse e ama la competizione. La scena torna di nuovo ai bassifondi di New York che Jane perlustra a caccia di avventure e di registrazioni per il marito. Alessandra Delli Colli ci sa fare in questa parte insolita e sensuale di erotismo perverso e la scena del tavolo con i due uomini che abbandonano il biliardo per occuparsi di lei è di quelle indimenticabili. Sono due dominicani o portoricani, di sicuro ispanici, vedono la donna da sola, le danno della troia, poi uno siede davanti a lei e le accarezza il sesso con un piede. Jane si eccita mentre un altro la costringe a bere birra e le chiede se porta le mutandine. La scena è resa molto bene da un perfetto uso del primissimo piano e la camera indugia sulle bocche degli uomini e della donna eccitata. Uno dei due uomini toglie il tavolo e Jane scappa via imbarazzata. La scena si sposta nella metropolitana dove Fay Majors, una ragazza giovane e carina interpretata da una Antonella Interlenghi non proprio al massimo della forma, fa ritorno a casa. Si spaventa perché resta nel vagone in compagnia di un uomo privo di due dita della mano destra che le si avvicina sorridendo. Fay alla prima fermata scappa dalla metropolitana e comincia a correre per sfuggire all’uomo che la segue. La ragazza viene accoltellata davanti a un cinema ma non è colpita a morte e riesce ad alzarsi e a entrare nella sala dove crede di vedere il fidanzato con un coltello in mano. Una bella dissolvenza fa sfumare quello che pare solo un terribile incubo. Fay si ritrova nel letto di un ospedale insieme al fidanzato Peter Bunch, un pessimo Andrea Occhipinti, attore capace soltanto di interpretare fotoromanzi. Occhipinti è l’unica nota stonata di un’ottima pellicola, troppo impostato e inespressivo, soprattutto mai credibile nel ruolo delicato che gli viene affidato. Fay racconta dell’uomo con tre dita e dell’allucinazione dentro al cinema e mette la polizia sulle tracce del killer. Intanto l’uomo senza due dita lega al letto Jane, i due fanno l’amore e registrano il rapporto, ma alla fine Jane sente alla radio che il killer è un uomo senza due dita. Ha paura, si libera dalle corde che la immobilizzano al letto e scappa. Purtroppo per lei il vero killer la attende nel corridoio e la uccide con il solito colpo di coltello al termine di una scena ad alta suspense costruita tra porte che cigolano e uno specchio che riflette l’immagine della donna. Il tenente Williams va dal dottor Lodge, il marito di Jane, e non crede a una parola quando l’uomo recita la commedia della moglie buona e perfetta. Il tenente ha trovato il registratore e sa di aver a che fare con una coppia di depravati, pure se il marito nasconde tutto sotto il nome di libertà e di rapporto senza tabù. L’uomo senza due dita è Mickey Scellenda detto il Greco, interpretato dal caratterista Renato Rossini molto utilizzato nel poliziottesco per la sua perfetta faccia da cattivo. Tutto fa pensare che il Greco sia il killer e la polizia dispone una perquisizione al termine della quale vengono trovati oggetti porno, ritagli e riviste proibite ma niente che lo possa incastrare. La compagna si dispera e dice che non vede Mickey da due giorni. La scena ci riporta a Fay che è stata dimessa dall’ospedale e si è stabilita a casa del fidanzato. Questa parte si ricorda soltanto per la pessima recitazione di Antonella Interlenghi e di Andrea Occhipinti, belli quanto inespressivi. Alla fine di una serie di penosi dialoghi Peter si lascia andare a una considerazione strana: “Se non riesci a emergere in questa città non ti lasciano vivere…”. Un espediente poco riuscito per gettare ombra sul personaggio e per far capire qualcosa della follia che lo sta divorando, però a quel punto della storia il discorso stona e pare fuori luogo. Lo psicologo va a casa di Peter e chiede a Fay se è proprio sicura di essere stata aggredita dall’uomo senza le due dita. Lei risponde di sì e Peter pare contrariato da questa domanda, soprattutto perché comprende che il dottor Davis ha qualche dubbio. Secondo lo psicologo Mickey Scellenda è soltanto un gigolò, un maniaco sessuale, ma non può aver fatto le telefonate che sono una cosa tipica di una persona colta. Il dottor Davis riferisce le sue impressioni pure al tenente che non lo ascolta, perché è convinto di avere il colpevole in pugno.

Peter deve uscire e raccomanda a Fay di non aprire a nessuno, lui è un fisico geniale che lavora in un istituto universitario. Quando il fidanzato è fuori la ragazza sale la scala interna dell’appartamento ed entra in una stanza con molte bambole che pare la camera di una bambina. Apre un po’ di cassetti e trova una cartella dell’ospedale che la insospettisce. Mickey Scellenda entra in casa di soppiatto e lei per sfuggire si nasconde sotto a un divano, ma alla fine viene scoperta. L’intervento di Peter risolve la situazione ma Scellenda lo colpisce con un pugno e scappa.

La polizia indaga nei quartieri dei bassifondi e tra i frequentatori di porno shop per catturare il Greco. Il killer telefona al tenente e gli dedica un omicidio, si trattiene a lungo all’apparecchio e la polizia può localizzare la chiamata, ma quando le volanti arrivano sul luogo scoprono che c’è soltanto una radio e l’omicida sta chiamando dal luogo del delitto. Il killer infatti è a casa di Kitty, la puttana – amante del tenente che ha imbavagliato e legato al letto. Per far sentire al poliziotto la voce della ragazza le toglie il cerotto dalla bocca e comincia a tagliuzzarle il corpo con una lametta. Il tenente comprende e corre dalla donna ma arriva in tempo solo per vedere il corpo di Kitty massacrato. Intanto la polizia rinviene pure il cadavere di Mickey Scellenda e si scopre che la sua morte per soffocamento risale a due giorni prima del delitto di Kitty. Il meccanismo di tensione creato da Fulci è perfetto e il mistero si dipana un poco alla volta sino al colpo di scena finale.

Fay è andata in ospedale e ha visto una bambina molto malata, priva di una gamba e di una mano, accanto a lei c’è un’infermiera che legge una fiaba che parla di Paperino. I fili cominciano ad andare a posto e Fay sospetta qualcosa. Pure lo psicologo risale alla bambina e in ospedale apprende che sta morendo di un male incurabile e che i genitori l’hanno abbandonata. “Il movente dei delitti è quella bambina e l’omicida è in casa di Peter”, dice lo psicologo. Intanto Fay vede un coltello nella cucina di Peter e ripensa alla scena del cinema quando ha pensato di avere davanti il fidanzato che voleva ucciderla. Telefona a Peter imitando la voce di Paperino per studiare la sua reazione. Lui è sconvolto. “Non entrare nella stanza di Susy” grida. Rincorre Fay per le scale e la trova armata di coltello. La ragazza colpisce Peter. Il regista lascia allo spettatore solo un attimo per avere il dubbio che il killer possa essere Fay che Peter si rialza da terra e tenta di ucciderla.

“Sei bella e giovane mentre mia figlia marcisce un pezzo per volta in un letto di ospedale”. La frase contiene le folli motivazioni del serial killer. La bambina che sta morendo è sua figlia e lui uccide per vendicarla.

A questo punto entra il tenente e spara. Peter è freddato da un colpo di pistola. Fay aveva capito tutto dopo aver intercettato una telefonata di Susy dove lui imitava la voce di Paperino e le raccontava i delitti che commetteva per lei. Solo un macabro filo teneva uniti padre e figlia, ma quella voce di Paperino per la bambina significava molto, voleva dire sentire il padre vicino. Drammatico e commovente il finale con il telefono che squilla a vuoto in casa di Peter. All’altro capo c’è Susy. “Papà rispondimi. Non abbandonarmi. Fammi ancora Paperino…”.

Le lacrime della bambina chiudono un ottimo film e strappano pure a noi un po’ di commozione.

NOTE

Lo squartatore di New York è un film da inserire tra i classici del thriller violento all’italiana che contiene tutte le componenti essenziali del cinema di Lucio Fulci. Interamente girato in una New York ben fotografata da Kuveiller e Mancori che rendono bene gli ambienti più degradati, i quartieri con i porno shop e i cinema-teatro a luci rosse, ma anche la zona del porto e il passaggio del traghetto in mezzo alla Baia di Hudson al tramonto. Per gli interni si ricorre agli Studi De Paolis.

Punto di forza del film è l’esibizione della violenza e la descrizione dei delitti senza inibizioni. La macchina da presa di Fulci fotografa l’orrore della morte e descrive il sangue goccia per goccia.

Per Paolo Mereghetti il film è brutto, vale appena una stella e mezzo.

Secondo lui “mette in scena un immaginario equamente diviso fra l’erotismo da fumettaccio e la violenza estrema”, poi “gli effetti speciali sono così brutti da rendere tutto meno impressionante”, “l’inizio è malato, morboso, sporco, inquietante, ma poi Fulci non ha il coraggio di continuare su questa strada” e infine “la sceneggiatura boccheggia tra false piste e il finale è risibile”. Non è piaciuto niente di questa pellicola al critico milanese che boccia il cast (e qui gli diamo ragione su Occhipinti e la Interlenghi) e pure le musiche di Francesco De Masi.

Marco Giusti non si sbilancia più di tanto però pare condividere il giudizio negativo di “Fantasy Film Memory”: “un film che segna il declino del maestro, una psycho story di routine, notabile solo per le scene di macelleria e per il suo tono estremamente misogino”.

Non siamo d’accordo con i due illustri critici e preferiamo vedere il film come “un giallo violento e onirico, pieno di sequenze splatter e contraddistinto da un perverso erotismo” (confronta Antonio Tentori in “Horror made in Italy” vol. 2). Fulci costruisce un thriller ad alta gradazione di suspense che ci tiene in ansia sino a un incredibile e drammatico finale. Interessante pure l’autocitazione del Paperino che ci riporta al suo film cult e che crediamo voluta, così come è bella la ricostruzione di New York come città simbolo della solitudine umana e della paura collettiva. Il regista indugia consapevole negli ambienti dove dilagano vizio e perversione, mostra sexy shop, bassifondi, viziose signore bene che provocano ispanici giocatori di biliardo, teatrini porno di periferia, gay, squillo, gigolò e maniaci sessuali. Notevole pure l’idea di uno squartatore folle e geniale al tempo stesso, un ragazzo laureato in fisica reso pazzo dalla grave malattia che ha colpito la figlia e che lo ha portato a nutrire un odio inarrestabile nei confronti delle donne. I soliti critici psicanalisti hanno voluto cercare in questa scelta una presunta misoginia di Fulci, cosa che certo non è vera se si va a leggere la biografia del regista. Ma si sa che la critica letteraria e cinematografica italiana spesso confonde l’autore con la sua opera. Secondo noi il film è ben riuscito sia nella parte erotico – malsana che nel lato thriller e le sequenze crude di taglio splatter e gore sono funzionali alla narrazione. Fulci ha il coraggio di mostrare dove altri si fermano, questa è la caratteristica che lo contraddistingue in ogni sua opera.

Gordiano Lupi & As Chianese

(tratto dal libro Filmare la morte – Il cinema horror  e thriller di Lucio Fulci - Edizioni Il Foglio, 2007)