UN CANNIBALE DI NOME DEODATO: IL CINEMA THRILLER – HORROR DI UN REGISTA AMERICANO 04 – PARTE 01

Capitolo Quarto – Parte 01

Ultimo mondo cannibale

La fine del 1976 segna una data importante per Ruggero Deodato: esce Ultimo mondo cannibale, un buon film avventuroso di ambientazione esotica che ebbe tiepida accoglienza da parte di pubblico e critica, ma che ha comunque il merito di essere l’iniziatore della famosa trilogia cannibale.

Da notare che per il Mereghetti la pellicola non esiste, è scomparsa come per incanto dalla filmografia di Deodato, forse perché considerata minore (a livello di Fenomenal o di Zenabel per intenderci), forse per pura dimenticanza. Non ne fa cenno neppure Domenico Cammarota nella sua Storia del cinema dell’orrore, edita da Fanucci nel 1993, nel capitolo dedicato al cannibalismo.

Alcuni critici ritengono Ultimo mondo cannibale un film d’avventura o peggio ancora una sorta di mondo movie come Ultime grida dalla savana e secondo loro avrebbe poco a che spartire con il cinema dell’orrore. Forse Cammarota accetta questa impostazione, ma non citare il film ci pare una scelta opinabile.

Prima di parlare di Ultimo mondo cannibale, a mio modesto avviso essenzialmente un film dell’orrore, dobbiamo fare una breve panoramica delle pellicole che l’hanno preceduto, dando il via al fenomeno dei cannibal movie.

Il paese del sesso selvaggio (1972) di Umberto Lenzi è in assoluto il primo film ascrivibile a questo sottogenere. Lenzi farà nuove incursioni nel cannibal movie con Mangiati vivi! (1980) e Cannibal ferox (1981). Lo stesso film, dopo il successo di pubblico riportato da Cannibal Holocaust di Deodato, fu editato di nuovo con l’ammiccante titolo Cannibal. La storia si rifà a Un uomo chiamato cavallo (1970) di Elliot Silverstein con le dovute variazioni di epoca e di ambientazione. Un fotoreporter ricercato dalla polizia per aver commesso un omicidio si rifugia nella foresta thailandese. Qui viene catturato dagli indigeni e portato al villaggio dove lo imprigionano e lo trattano come un animale. La figlia del capo s’innamora di lui e lo libera. Il fotoreporter durante la fuga uccide il promesso sposo della ragazza, quindi viene catturato di nuovo e portato al villaggio. Una volta tra gli indigeni si accorge che il loro atteggiamento è cambiato: decidono addirittura di inserirlo tra i guerrieri della tribù e lo obbligano a sottoporsi a dure prove fisiche per saggiare forza e coraggio. Una volta diventato uno di loro l’uomo sposa la figlia del capo e quando lei mette al mondo un figlio muore di parto. Infine diventa il capo del villaggio e guida i suoi uomini nella guerra contro i nemici cannibali.

Il tema è più avventuroso che cannibalico: ci sono le prove rituali, c’è la love story tra il bianco e l’indigena, il finale con l’uomo che diventa capo tribù… ma non mancano scene efferate e cruente.

Gli interpreti de Il paese del sesso selvaggio, Ivan Rassimov e Me Me Lai, torneranno spesso come figure simbolo del cinema cannibalico.

Prima ancora di questa pellicola c’era stata l’esperienza dei tanto esecrati mondo movie, lavori a metà tra la finzione filmica e il documentario. Sono opere datate anni Sessanta – Settanta che filmano con occhio gelido la violenza sui corpi e rendono la devastazione della carne e della mente umana con crudo realismo. Si tratta di finti reportage, spesso bollati come snuff e quindi accusati di filmare la morte dal vero per il realismo delle scene.

La critica importante ha sempre relegato i mondo movie nella sfera del trash (cinema spazzatura). Ma si sa che la critica che conta non apprezza il cinema di genere e caso mai si riserva di rivalutarlo alla morte del regista o dell’attore di turno (i casi di Mario Bava e Totò insegnano). In questo lavoro non mi curo della critica importante e quando vi faccio riferimento è per mera finalità di contraddittorio. I mondo movie di fatto esercitarono (ed esercitano ancora) un enorme fascino sul pubblico ed è riduttiva una bocciatura di stampo perbenistico. Dobbiamo parlarne per vedere che influenza hanno avuto su tutto il filone cannibalico in generale e su Deodato in particolare.

Tra l’altro ci sono stati film insospettabili che si sono presi l’accusa di snuff. Citiamo ad esempio Soldato blu (1970) di Ralph Nelson. Nelle sequenze finali i soldati americani attaccano un villaggio cheyenne e vengono filmati particolari così crudi e realistici davvero da snuff film. Assistiamo a scene con donne seviziate e mutilate, bambini decapitati e mattanze di giovani guerrieri. Si tratta di uno spietato ritratto della realtà, una ricostruzione precisa e documentata di un eccidio indiano tristemente accaduto. Snuff (1974) di Michael Roberta Findlay (coproduzione Usa-Argentina) invece ci racconta le gesta della famiglia Manson e nel finale una ragazza è condotta con l’inganno su di un set cinematografico. Qui viene torturata, mutilata e infine squartata. La scena venne spacciata per vera e in realtà non è stato mai chiarito se si trattava soltanto di pubblicità. Nell’incertezza la diffusione di Snuff venne bloccata e il film è diventato un cult rarissimo ricercato dagli appassionati del genere.

A parte la digressione sugli snuff (per maggiori dettagli un pezzo di Marco Castellini all’indirizzo internet www.horrorcult.it), vediamo in estrema sintesi alcuni mondo movie importanti come anticipazione del cinema cannibalico. Mondo cane (1962) di Gualtiero Jacopetti è un documentario a tinte forti dove il regista propone immagini di vario tipo: una strana riunione di sosia di Rodolfo Valentino, gli effetti orripilanti delle radiazioni nucleari su uomini e animali, la cucina orientale che serve in tavola piatti a base di cani e serpenti. Sono solo alcuni esempi. La pellicola ebbe un notevole successo, tanto che nel 1963 uscì Mondo cane 2 realizzato dalla produzione con gli scarti del primo film. Jacopetti non ha mai riconosciuto la paternità della pellicola che pure gli viene attribuita. Il regista invece si ripete con Africa addio (1966), un documentario che contiene mattanze di animali a non finire. Vediamo elefanti trucidati per privarli delle zanne d’avorio, gambizzazioni di bestiame come ritorsione verso gli allevatori, rapimenti di piccoli animali per venderli agli zoo, eccidi di tranquilli ippopotami per portare la carne al mercato. Non solo: ci sono anche scene realistiche di fucilazioni di prigionieri e particolari efferati della guerra civile in Kenia. La telecamera si sofferma spietata sui corpi mutilati e scaraventati ai bordi delle strade. Jacopetti dipinge un quadro disarmante di un’Africa che passa dal colonialismo all’anarchia selvaggia. Si può accusare di qualunquismo e di sensazionalismo, inoltre pare che molte scene siano false. Resta un film sconvolgente che nel suo genere è un capolavoro.

Nel 1975 esce Ultime grida dalla savana di Antonio Climati e Mario Morra con il commento esterno scritto da Alberto Moravia. Me lo ricordo come fosse adesso, quel film. L’ho visto che avevo solo quindici anni e due scene terribili le tengo ancora ben impresse nella memoria. La prima è quella della caccia agli indiani da parte dei bianchi con le conseguenti violenze dopo la cattura (castrazioni, decapitazioni e scotennamenti si sprecano). La seconda è la tragica fine di Pit Doenitz, un turista che durante la gita al parco naturale di Wallase ha la brillante idea di uscire per la savana e fotografare i leoni. L’uomo viene sbranato mentre la telecamera filma i particolari dell’esecuzione e dell’orribile pasto. Pare certo che la scena degli indios venne realizzata grazie a sofisticati effetti speciali. Non siamo altrettanto sicuri per quel che concerne la morte dell’uomo sbranato dai leoni. Il regista la presentò come una ripresa eseguita da uno dei turisti a bordo della jeep. “Ho solo aggiunto qualche effetto splatter”, disse Climati. In questi casi è difficile distinguere la pubblicità per creare interesse dalla realtà. Il film documentario è un catalogo di scene più o meno raccapriccianti che tendono a creare un effetto disturbante nello spettatore. Colgono nel segno, non c’è che dire.

Contemporaneo ai cannibal movie troviamo il filone di pellicole sugli zombi. Si tratta di un sotto genere horror che non ha dato prodotti italiani di alto livello. I film sugli zombi sono un po’ tutti uguali, prevedibili, noiosi, l’unica cosa che tiene desta l’attenzione è l’effetto splatter che alla lunga stanca. Salverei soltanto Zombi 2 (1979) di Lucio Fulci e poche altre cose che fanno più o meno il verso ai capolavori di Romero del 1968 e del 1978 (La notte dei morti viventi e Zombi). Ai nostri fini è interessante citare Zombi Holocaust (1980) di Marino Girolami, che risente molto dei lavori di Deodato (soprattutto di Cannibal Holocaust) e che inserisce nella stessa pellicola zombi e cannibali. Ma ne parleremo più avanti.

(4/1 – continua)

Gordiano Lupi