UN CANNIBALE DI NOME DEODATO: IL CINEMA THRILLER – HORROR DI UN REGISTA AMERICANO 03 – PARTE 03

Capitolo Terzo – Parte 03

Prima dei Cannibal movies

La produzione minore 1968 – 1976

Per la televisione Deodato aveva già girato tre episodi della serie Triangolo rosso, avvicinandosi per la prima volta al poliziesco e al thriller, generi che gli saranno congeniali nel prosieguo della sua vita artistica. Solo qualche titolo: Il segreto del lago, Gli amici e L’orologio si è fermato. Sempre thriller televisivo dal 1971 al 1973 con la serie All’ultimo minuto, piccoli capolavori di suspense con venature erotiche e scene di violenza (per quante ne poteva contenere la televisione dell’epoca). Ricordo con piacere il telefilm del 1972 Dramma in alto mare, un gioiello di tensione interpretato da Silvia e Sofia Dionisio. Ma anche gli altri titoli erano di buon livello: Il buio, L’ascensore, La scelta, La prigioniera, Acqua alla gola, Il borsaiolo, Il rapido delle 13.30, Allarme a bordo, Il bambino scomparso, L’ultima cifra e Scala Reale.

Sono telefilm che merita rivedere e può capitare che vengano riproposti a orari da nottambuli. Non resta che programmare il videoregistratore. Ne parleremo nel capitolo dedicato ai lavori televisivi. Ci piace pensare che questa esperienza da regista thriller per la televisione convinca Deodato che la sua strada non è quella delle commedie musicali o delle parodie. Infatti quando torna al cinema lo fa con film polizieschi e sexy, alcuni duri e spietati, certo più di quanto si poteva fare sul piccolo schermo. Deodato sfida le forbici dei censori e deve sottostare alle imposizioni di divieti per i minori che d’ora in poi lo perseguiteranno a ogni uscita.

Nel 1971 per la televisione gira anche il primo episodio de Il segreto di Cristina, un film pilota di una serie mai realizzata.

Ricordiamo una data importante nella sua vita privata: il matrimonio con Silvia Dionisio, che inizialmente gli fa rallentare gli impegni con cinema e il piccolo schermo. Subito dopo però la moglie raggiunge una grande popolarità girando un film con Ettore Scola (Il commissario Pepe) e Deodato diviene molto richiesto. I produttori pretenderebbero la presenza di Silvia nei suoi film ma lui non accetta. Dice che la moglie non deve interpretare filmetti di serie B ma cinema d’autore. Per questo motivo si dedica soprattutto a produzioni pubblicitarie per la popolare trasmissione Carosello.

Nel 1975 Deodato torna al cinema per dirigere Ondata di piacere, un film difficilmente definibile, come molti suoi lavori. Presentato dalla critica come un giallo, lo è soltanto in parte, vista la povertà della trama e dei colpi di scena. Lo definirei più un erotico soft con venature thriller. Interpretato da quattro buoni attori che fanno a dovere la loro parte: Silvia Dionisio (la disincantata Barbara), Al Cliver (alias Pier Luigi Conti, nella parte del biondo Irem), John Steiner (il perfido Giorgio) ed Elisabeth Turner (la succube Silvia). Soggetto di Gianlorenzo Battaglia e Lamberto Bava. Sceneggiatura di Franco Bottari e Fabio Pittorru, fotografia di Mario Capriotti, musiche di Marcello Giombini e scenografie di Franco Bottari. Producono Alberto Marras e Vincenzo Salviani per T.D.L. Cinematografica. Partecipa anche Enzo Bottesini come consulente per le riprese subacquee. Gli esterni sono girati a Cefalù e la locale Azienda di Soggiorno e Turismo sponsorizza il film. Pure il J & B può essere citato come sponsor occulto, dato che la famosa marca di liquore è inquadrata a ripetizione. Cose normali negli anni Settanta.

Ondata di piacere è un film claustrofobico, girato a bordo di uno yacht (molte le assonanze con il telefilm Dramma in alto mare) e giocato su buoni ritmi di tensione. Per certi versi anticipa quella che sarà l’esplosione di violenza de La casa sperduta nel parco, anche se il clima è meno esasperato. Al tempo stesso le situazioni narrate sono torbide e cupe e i personaggi negativi sono resi con crudo realismo. Giorgio, un ricco prepotente che schiavizza l’amante Silvia, si invaghisce di Barbara e invita lei e il suo compagno Irem a passare un week-end sulla sua barca. Da qui nasce lo spunto per la trama che mette in primo piano perversioni e tentativi di scambi di coppie. Le scene di crudeltà si sprecano, anche ai danni di una murena che viene catturata e massacrata dal perfido Giorgio, quasi a voler anticipare quel che accadrà in Cannibal Holocaust.

Deodato sul set non ha mai avuto un buon rapporto con gli animali ed è consapevole di non essere amato da animalisti ed ecologisti. Il regista ha affrontato spesso l’argomento per difendersi dalle accuse di crudeltà mosse da associazioni ambientaliste.

“Faccio il mio mestiere e se mi capita di girare una scena cruda e violenta voglio che sia il più possibile realistica. In ogni caso ho già detto che non faccio crudeltà gratuite e che non fui io a volere l’uccisione di animali in Cannibal Holocaust. Gli indigeni mangiavano tartarughe  e porcelli. Quindi…”.

Torneremo sull’argomento quando parleremo dei cannibal movie.

Adesso occupiamoci di Ondata di piacere.

Ci piace citare brevemente le scene iniziali e finali del film che si richiamano a vicenda. La pellicola inizia con una bella inquadratura di una spiaggia e sullo sfondo la macchina da presa fotografa un’affascinante Silvia Dionisio a seno nudo.

“Com’è il mondo visto alla rovescia?” chiede la ragazza al compagno che sta guardando il mare con la testa capovolta.

“Come quando è dritto” risponde.

“Allora è sempre lo stesso schifo” conclude lei.

La battuta è il filo conduttore del film e la ritroviamo nella sequenza finale, quando i due compagni si sono appena liberati del terribile Giorgio. Irem dice che il mondo è sempre uguale ma con una canaglia in meno e Barbara conclude: “Allora è sempre lo stesso schifo”.

Tutto questo per far capire il cinismo che pervade l’intera pellicola. John Steiner è molto bravo nella parte di Giorgio, tratteggiando un cattivo arrogante e senza scrupoli molto credibile. Ha spinto al suicidio un rivale in affari, esporta capitali all’estero, sta chiudendo una fabbrica e licenziando operai, tratta la compagna come una schiava e non ne ha alcun rispetto. Silvia Dionisio è sensuale e torbida al punto giusto. La sua parte è difficile perché non ha un personaggio ben definito da interpretare. Barbara è una donna che ama le gioie della vita e del sesso e non esita ad avere un rapporto saffico con Silvia per consolarla dalle continue percosse di Giorgio. Come accetta senza scomporsi le insidie di Giorgio, che vorrebbe portarsela a letto e nell’attesa si accontenta di qualche carezza rubata. Al Cliver è bravo nella parte del ragazzo disincantato che prende la vita come viene e non si fa tanti problemi: “Tanto il mondo è uno schifo e bisogna saperci vivere”. Interessante la sua filosofia sovversiva su come si rovescia il mondo stando a testa capovolta, la nota caratteristica del personaggio che lo rende subito simpatico. Anche lui non è un esempio di fedeltà, se la fa con Silvia appena può, quindi partecipa al rapporto a tre che scatena la violenza finale di Giorgio e la tragica morte della compagna. Per concludere Elisabeth Turner è una perfetta donna plagiata dal compagno, masochista e succube, che nel finale tenta di ribellarsi e cerca di uccidere il suo aguzzino. Non ce la fa e il tentativo finisce male. Sono Silvia e Irem a vendicarla in poche terribili sequenze che vedono Giorgio, ubriaco e svenuto, attirato in una trappola e gettato in pasto ai pesci con addosso la tuta da sub per mettere in scena un finto incidente.

Alcune sequenze sono memorabili. Il bagno notturno con i quattro protagonisti nudi sulla spiaggia e la cena a base di ostriche e pesce che prelude al non riuscito scambio di coppie. Le scene girate sui fondali a largo di Cefalù con situazioni di pericolo rese con il massimo del realismo. Giorgio che infilza una fiocina nella gamba di Silvia e poi la fa cadere in mare con una spinta. Di notevole spessore cinematografico le sequenze oniriche finali con Giorgio sconvolto per la morte di Silvia e Barbara che, indossando una parrucca e sporcandosi il viso di sangue, finge l’apparizione della compagna morta. La pellicola è costellata di situazioni erotiche appena accennate ma abbastanza calde per il periodo storico. Il tema dello scambio di partner ci accompagna per tutto il film e l’attrazione omosessuale tra Silvia e Barbara è palese. C’è anche una scena dove Al Cliver e Silvia Dionisio amoreggiano e John Steiner osserva. Le grazie di Silvia Dionisio e di Elisabeth Turner sono generosamente esibite da Deodato per l’intera la pellicola.

In merito alla partecipazione della moglie del regista al film c’è una storia interessante. La Dionisio era diventata una star, ma era il tempo in cui anche le attrici più famose cominciavano a spogliarsi davanti alla macchina da presa. Deodato fu chiamato per fare Ondata di piacere con un’altra attrice di cui non sappiamo il nome e la Dionisio si ingelosì al punto che voleva vietare al marito di girare il film. Alla fine intimò: “Se lo fai, lo interpreto io!”. Deodato voleva tornare al cinema dopo quattro anni di pausa e avrebbe girato qualsiasi cosa, ma per la moglie voleva di meglio che un film erotico da lui stesso definito di serie B. Il produttore, quando seppe chela Dionisio avrebbe interpretato il film, fece salti di gioia, anche perché riuscì a ingaggiarla per una cifra inferiore al suo valore di mercato.

“Spogliare mia moglie non è stato facile” commenta Deodato nella solita intervista rilasciata a Nocturno “all’epoca non era una cosa così semplice… e poi lei era la prima volta che lo faceva”.

Deodato ricorda che il film aveva un budget scarso e che i produttori lesinavano su tutto, tanto che il nervosismo s’impadronì della troupe, specie quando la barca non poteva salpare e il tempo era cattivo. Le spese aumentavano e i produttori tremavano.

“Stare un mese chiusi in quella barca non fu piacevole” commenta Al Cliver in un’intervista rilasciata a Nocturno “la tensione era alle stelle e noi non vedevamo l’ora di finire”. Tutto questo traspare con evidenza da molte scene della pellicola.

Per concludere su Ondata di piacere diciamo che Mereghetti assegna al film una stella e mezzo. Non poco visti i suoi gusti sul cinema di genere. Lo giudica per tre quarti un buon film ma boccia il finale, giudicandolo raffazzonato e confuso. Invece non vi fidate del Giusti che su Stracult (op. cit. pag. 530) inverte persino gli attori e dice che Al Cliver interpreta la parte dell’industriale e Silvia Dionisio è la sua amante. Meno male che alla fine confessa: “L’ho visto ma non me lo ricordo per nulla”. Si era capito, aggiungiamo noi.

Nel 1976 Deodato conferma la sua predilezione per il cinema violento girando Uomini si nasce poliziotti si muore che Mereghetti giudica degno di due stelle, definendo la regia di Deodato efficiente e brutale, con un inseguimento iniziale in moto da antologia.  Fu il successo di cassetta registrato da Ondata di piacere che portò Deodato a girare un film che sembrava fatto proprio per lui.

Il film è scritto da Fernando di Leo (anche sceneggiatore), un altro maestro del cinema di genere italiano e soprattutto di crudi noir alla francese come Il boss, I ragazzi del massacro, Milano calibro 9 e La mala ordina. Collaborano al soggetto Alberto Marras e Vincenzo Salvioni. Musiche di Ubaldo Continiello, scenografia di Franco Bottaro, fotografia di Guglielmo Mancori. Assistente alla regia troviamo un  giovane Lamberto Bava. Produce Alberto Marras per C.PC. Città di Milano, distribuisce Interfilm.

Uomini si nasce poliziotti si muore è un poliziesco insolito per l’epoca (un poliziottesco, come vengono definiti i polizieschi italiani), un lavoro cruento e realistico che precorre i tempi per il cinismo con cui viene girato e la totale confusione di ruoli tra buoni e cattivi. Tant’è vero che viene sforbiciato abbondantemente dalla censura, anche per via di un paio di scene erotiche esplicite con i due poliziotti che si ripassano le donne dei malviventi. Si tratta di un lavoro che si differenzia parecchio dagli analoghi prodotti sfornati sul mercato. Deodato tira fuori dal cilindro un film elegante con una fotografia curata e la colonna sonora giusta. I due temi che accompagnano la pellicola ricordano la musica country di John Denver e sono davvero suggestivi. Deodato compone Won’t take too long, uno dei pezzi, e lo fa interpretare da Ray Lovelock, mentre Maggie è scritta e cantata dell’ottimo attore americano. Deodato cura i dettagli, i primi piani, gira un vero film, non certo un’imitazione del poliziesco americano.

Il cast: Marc Porel, Ray Lovelock, Adolfo Celi (il capo del corpo speciale di polizia), Renato Salvatori (il biscazziere), Silvia Dionisio, Franco Citti (impeccabile delinquente), Bruno Corazzari, Marino Masé, Flavia Fabiani (Sofia Dionisio sotto pseudonimo, cognata del regista) e Alvaro Vitali (in una rapida apparizione come portinaio alle prese con un giornaletto pornografico). Sul cast Deodato dice che ebbe un rapporto eccezionale con tutti e avrebbe voluto girare anche un seguito di questa pellicola con Marc Porel e Ray Lovelock, ma non riuscirono a trovare un accordo. Marc Porel è un grande attore, non è più tra noi perché morto di overdose. Un altro ottimo interprete è Adolfo Celi, per Deodato il massimo della professionalità, pare che andasse spesso a casa sua per parlare dei personaggi che doveva interpretare. Il film narra le gesta di Alfredo (Ray Lovelock) e Antonio (Marc Porel), due sbirri di un corpo speciale che ha carta bianca per sconfiggere il crimine. Quasi sempre uccidono a sangue freddo e alle loro gesta manca ogni alone di eroismo, anzi pare che traggano una sadica soddisfazione dall’eliminazione fisica dei delinquenti. L’arresto è soltanto una perdita di tempo, molto meglio uccidere. I nostri due eroi (ma la parola stona) sono più vigilantes che poliziotti e quando si mettono nei guai ci pensa il commissario (Adolfo Celi) a coprirli. La storia si sviluppa come una serie di avventure contro il crimine, ma il filo conduttore è la caccia al terribile biscazziere Roberto Pasquini detto Bibi (un ottimo Renato Salvatori), che possiede un giro di locali clandestini frequentati da ricchi industriali. Il film inizia con una terribile sequenza di uno scippo non riuscito e il conseguente selvaggio omicidio di una donna. I due poliziotti speciali hanno visto tutto e, dopo un inseguimento all’americana tra la moto dei malviventi e le loro Suzuki, fanno fare una brutta fine ai teppisti. La parte dell’inseguimento è ben realizzata e non annoia, vengono utilizzate esperte controfigure motorizzate. Da ricordare le sequenze con le moto che si arrampicano e scendono per le scalinate di alcune piazze romane. Uno degli scippatori muore in uno spettacolare incidente conficcandosi la frizione nel ventre, l’altro pare ancora vivo ma viene ucciso da Alfredo (Lovelock) che gli spezza l’osso del collo. “Gli ho dato una mano a morire” commenta cinicamente. Lo spettatore entra subito nel clima del film.

Silvia Dionisio interpreta Sonia, la segretaria del commissario, corteggiata spudoratamente dai due agenti che al termine di ogni missione le portano un omaggio floreale. Lei è una femminista d’assalto abbastanza antipatica, parla di fallocrazia, dice che “la superiorità del maschio è una stronzata” e che “una donna può mettere al tappeto tutti gli uomini che vuole”. Non cederà alle lusinghe di nessuno dei due antieroi. In ogni caso la parte della Dionisio è modesta, quasi irrilevante nell’economia del film. Adolfo Celi, invece, è un commissario molto credibile.

La pellicola prosegue con altre avventure della terribile coppia.

Un collega viene ucciso in un’imboscata dagli uomini del biscazziere e loro lo vendicano facendo fuori il killer. Subito dopo danno fuoco alle auto parcheggiate davanti a una bisca clandestina di Roberto Pasquini e bruciano vivi due delinquenti. Un modo come un altro per dichiarare guerra a Bibi e alla sua banda. Si scopre che Bibi può contare sulle soffiate di un commissario corrotto, argomento non usuale nei poliziotteschi dell’epoca. Interessante e spettacolare la lunga sequenza dove i nostri poliziotti violenti uccidono tre malviventi che avevano preso in ostaggio un’anziana signora. Fanno intervenire un elicottero della polizia per distogliere l’attenzione dei criminali e quindi irrompono nella villa a modo loro. Da segnalare una notevole interpretazione di Franco Citti (attore di scuola pasoliniana) nella parte di Luciano detto Er Cane, un  malvivente realistico. Splendida la battuta in perfetto romanesco quando cerca qualcosa da bere e trova soltanto un liquorino dolce: “Ma che cazzo me dai, er rosolio? Stamo ner dumila!”. Altra sequenza da ricordare è la terribile estrazione di un occhio da parte degli uomini di Bibi ai danni di un drogato, reo di aver parlato. Pare che la scena sia stata tagliata dalla censura e che lo stesso occhio venisse pure calpestato. Nella parte centrale del film c’è anche il tempo per un paio di siparietti comici. Il primo con Alvaro Vitali nelle vesti di un portiere erotomane che legge una rivista porno. Lui si preoccupa soltanto di riavere il giornaletto dopo aver confessato quel che i poliziotti volevano sapere. Il secondo è in casa della sorella ninfomane del biscazziere Bibi. Qui i due si ripassano a turno la ragazza (una stupenda Sofia Dionisio, in arte Flavia Fabiani) mentre la mamma di lei è in cucina che prepara due zabaioni per rimetterli in forze. Poi si torna di nuovo a una scena cruenta nella bisca clandestina di Fregene, dove i nostri eroi attaccano al soffitto due uomini di Bibi e li torturano per farli parlare. Ricordiamo una sequenza molto americana di allenamento con tiro al bersaglio che prelude a un’imboscata sventata dalla prontezza di riflessi dei due poliziotti. Infine convincono il drogato privato di un occhio da Bibi ad aiutarli per mettere in piedi una trappola ai danni del biscazziere. Tutto si ritorce contro di loro e i nostri eroi rischiano di saltare in aria a bordo di una nave dove hanno dato appuntamento a Bibi. Questa volta il delinquente è stato più furbo dei poliziotti e pare che per loro non ci sia scampo. Ottimo il colpo di scena finale con la pistola del commissario che sbuca fuori dal niente e compie una carneficina dei malviventi. “Anche stavolta vi è andata bene” commenta. Il film termina con la nave fatta esplodere dai due poliziotti e subito dopo partono le note country di Lovelock.

Uomini si nasce poliziotti si muore è il primo film memorabile di Deodato ed è da questa pellicola in poi che si comincia a scoprire che il talento del grande terrorista dei generi deve essere indirizzato verso l’analisi della violenza. Il film si differenzia dai polizieschi all’italiana del periodo che vedevano sempre all’opera un solo giustiziere, come nel caso dei film con Luc Merenda e Maurizio Merli. Qui i protagonisti sono due sbirri che si divertono a uccidere e a risolvere casi complessi ricorrendo a metodi spicci. Il film è molto televisivo, stempera le scene di violenza pura con umorismo e battute, rappresenta l’unica incursione di Deodato nel poliziesco all’italiana. La fotografia è curata, i primi piani sono intensi, le scene di azione sono dettagliate e realistiche. Tutto questo fa passare dei guai a Deodato e la censura si accanisce sulla pellicola, quasi a voler anticipare quel che accadrà con Cannibal Holocaust. Uomini si nasce poliziotti si muore viene vietato ai minori di diciotto anni e tagliato di alcune scene violente. Prima tra tutte quella dell’occhio strappato e schiacciato sotto la suola delle scarpe da Renato Salvatori (il biscazziere). Troppo violenta…

(3/3- fine)

Gordiano Lupi