IL CINEMA SECONDO DI LEO – TRA EROTISMO PERVERSO E NOIR PRE TARANTINO 09

DI LEO INCONTRA SCERBANENCO

I Ragazzi del massacro (1969)

Per i critici della letteratura Giorgio Scerbanenco non è ancora entrato a far parte degli scrittori italiani degni di essere ricordati, ma è solo un autore pulp che ha scritto qualche giallo e un pugno di racconti noir ambientati a Milano. Scerbanenco ha il solo torto di non aver indovinato un romanzo che lo lanciasse definitivamente tra gli autori più letti degli ani Settanta e forse è nato nell’epoca sbagliata. Adesso vengono glorificati come grandi scrittori modesti artigiani della penna come Camilleri, Faletti, Pinketts e un numero indescrivibile di autori che si autodefiniscono noiristi e giallisti. Gli anni Settanta erano più selettivi, in letteratura imperavano minimalismo, romanzo neorealista, ricerca psicologica sul personaggio e opera politica. Un giallo e un noir restavano prodotti di evasione, venivano confinati nelle collane popolari da edicola e nei tascabili di pronto consumo. Giorgio Scerbanenco, però, ha una marcia in più dei giallisti un tanto al chilo che sfornano trame e soggetti in poco tempo senza curare ambientazione e ricerca psicologica. Scerbanenco nasce a Kiev da madre italiana e padre ucraino, vive quasi sempre a Milano e inventa il romanzo nero italiano, il giallo condito di violenza inserito nel contesto metropolitano. Adesso buona parte della critica riconosce il valore di Scerbanenco, vengono ristampate le sue opere e diffusi i racconti neri ambientati a Milano anche tramite raccolte di narrativa edite da quotidiani popolari. Peccato che quasi sempre lo si faccia per riconoscere un valore letterario ad autori contemporanei che rappresentano solo intrattenimento e non hanno niente a che vedere con Scerbanenco. Se la rivalutazione dello scrittore di Kiev deve servire ad affermare che romanzi commerciali stile Faletti e Pinketts sono letteratura mi rifiuto di stare al gioco. Un autore come Scerbanenco è il vero punto di riferimento per la narrativa gialla e poliziesca italiana. Inventa un genere sconosciuto  e solletica l’interesse del cinema che è alla ricerca di novità dopo la fine del genere western. Fernando di Leo incontra Scerbanenco ed è subito comunione di intenti tra due persone che portano avanti un identico discorso letterario, anche perché i romanzi dell’autore di Kiev sono impostati per essere tradotti in immagini. A parte i film girati da di Leo, tra i lavori di Scerbanenco diventati pellicole cinematografiche citiamo Il caso Venere privata di Yves Boisset (1970), La morte risale a ieri sera di Duccio Tessari (1970) – tratto da I milanesi ammazzano al sabatoLiberi, armati, pericolosi di Romolo Guerrieri (1976) – sceneggiato da di Leo e ispirato dai racconti Bravi ragazzi bang bang e In pineta si uccide meglio, contenuti nell’antologia Milano calibro 9 – e infine il modesto Spara che ti passa di Carlos Saura (1993).

Di Leo adatta il primo romanzo di Scerbanenco per girare l’ottimo e crudo I ragazzi del massacro (1969), un’avventura del commissario Duca Lamberti, personaggio seriale creato dallo scrittore di Kiev.

Il film è sceneggiato dal regista con la collaborazione del fratello Carmine – che si firma con il consueto pseudonimo di Nino Latino – e Andrea Maggiore ed è liberamente tratto dall’omonimo romanzo di Scerbanenco. La fotografia è del fido Franco Villa, il montaggio di Amedeo Giomini, le musiche sono di Silvano Spadaccino e le scenografie di Franco Bottari. Aiuto regista è ancora Franco Lo Cascio. Produce la FertiFilm rappresentata da Tiziano Longo. Interpreti: Pier Paolo Capponi, Susan Scott (Nieves Navarro), Michel Bardinet, Marzio Margine, Renato Lupi, Enzo Liberti, Danika La Loggia, Jean Rougel, Giuliano Manetti, Anna Maria Rovere e Flora Carosello.

La trama prende avvio da una violenza carnale subita dall’insegnante Matilde Crescenziaghi, stuprata e massacrata da un’intera scolaresca di ragazzi problematici. La scena dello stupro scorre sui titoli di testa ed è di una crudezza incredibile, la macchina da presa indugia sulla violenza e termina con l’immagine del corpo sventrato sulla cattedra e il particolare di un fazzoletto in bocca, messo per soffocare le grida. Duca Lamberti (Capponi) scopre che i ragazzi hanno agito dopo aver bevuto l’anice lattescente, una superalcolico a ottantacinque gradi che qualcuno ha introdotto in classe per ubriacarli e renderli inconsapevoli. I ragazzi sono tutti minorenni e provengono da un quartiere di sottoproletari, figli di famiglie povere, disadattati, piccoli delinquenti, ma il crimine è frutto di un’ubriachezza collettiva. L’anice lattescente viene definito “il liquore più potente del mondo, un superalcolico che brucia il sistema nervoso”. Cominciano le indagini e il commissario si convince sempre di più che dietro all’orribile gesto ci sia un mandante. Lamberti interroga i ragazzi con metodi non molto ortodossi, mette davanti la foto della maestra morta, versa sui loro vestiti l’anice, li fa sedere sul bagnato, cerca di provocare una reazione e di far confessare, ma non ci riesce. La scolaresca si trincera dietro un muro di omertà che manda in bestia Lamberti, anche perché i ragazzi si accordano per prendere come capro espiatorio un giovane omosessuale. Il commissario è impotente perché il questore (Liberti) raccomanda di non malmenare e non minacciare i minorenni, ma in questo modo sono i ragazzi che si prendono gioco di lui. I volti dei ragazzi sono un elemento importante del film perché di Leo sceglie molto bene le espressioni dei sottoproletari. Pare un film di Pier Paolo Pasolini vista la cura con cui sono selezionati i componenti della scolaresca, veri ragazzi di vita, borgatari milanesi, giovani maledetti finiti su una cattiva strada. Il ragazzo che tutti accusano si chiama Fiorello Grassi (Manetti) ed è gay, ma non è il colpevole, il commissario se ne rende subito conto e lo invita a confessare quello che sa. “Non faccio la spia, io” risponde sdegnato il ragazzo di vita che ha ben chiaro il senso dell’onore. Poco dopo dirà che è stata una donna e che si tratta di un vero e proprio mostro, ma non andrà oltre. Segnalo una musica intensa di Silvano Spadaccino, forse un po’ datata, che sottolinea molto bene i momenti cruciali della pellicola. Il film è un lavoro molto teatrale, quasi interamente girato in interni e sviluppato per dialoghi (spesso troppo impostati) tra i protagonisti. Entra in scena il personaggio di una psicologa (Scott) che collabora con Lamberti e si presenta subito con battute convenzionali: “Sono uno peggio dell’altro, eppure sono tutti recuperabili”. La psicologa vede cosa c’è dietro ai comportamenti, sa che i giovani provengono da famiglie problematiche e vite complesse, soprattutto afferma che “la società crea quel tipo di ragazzo”. Il dialogo è figlio dei tempi, ma di Leo vuol fare un discorso progressista e ci riesce abbastanza bene. Sono interessanti anche alcuni esperimenti tecnici che il regista inserisce nei dialoghi a più voci, come frequenti dissolvenze per mettere un volto in primo piano. La pellicola è quasi tutta girata utilizzando primi piani, spesso di Leo ricorre ai particolari del volto e al primissimo piano. Le indagini proseguono nei luoghi frequentati dai ragazzi, parlando con amici e genitori, cercando indizi nei bassifondi milanesi. Le note di Ballerina ballerina interpretata da Patty Pravo accompagnano l’interrogatorio di un barista, subito dopo vediamo un’infermiera svizzera (La Loggia) e un informatore. Lamberti segue la pista delle donne adulte frequentate dai ragazzi, ma si convince che dietro a tutto c’è qualcuno che gestisce un giro di contrabbando versola Svizzera. Un misterioso uomo alla guida di un’auto di alta cilindrata avrebbe procurato appuntamenti galanti e denaro ai ragazzi, ma li avrebbe utilizzati anche come corrieri. A questo punto Fiorello Grassi si suicida in carcere, anche se in un primo tempo Lamberti crede che lo abbiano ucciso. È il custode del Beccarla che lo vede e confessa: “Era stravolto e si è buttato dal tetto”. Il commissario raduna i ragazzi nel cortile del carcere e li interroga uno dopo l’altro, fino a scoprire che Fiorello Grassi si vedeva con la maestra. Carolino Marassi (Margine) dice che la maestra stuzzicava Fiorello, era convinta che non fosse gay, cercava di dissuaderlo da quella sua idea. Pure Carolino usciva con la maestra, aveva approfittato della sua debolezza e si era finto gay per suscitare tenerezza. La pellicola scorre in perfetto stile di Leo, senza l’ombra di personaggi positivi, perché anche la vittima ha le sue brave responsabilità ed è una seduttrice di minorenni. Lamberti minaccia i ragazzi in una delle scene più intense del film: “Io non vi mollo! Vi perseguiterò fin nei riformatori!” grida. Il commissario si fa affidare Carolino Marassi, il ragazzo più malleabile, lo fa vivere in una vera famiglia composta da lui e dalla psicologa che diventa la sua donna. Lamberti cerca di creare un rapporto confidenziale per far parlare il ragazzo, lo fa sentire considerato, lo veste bene e gli dà fiducia. Di Leo insiste su alcune scene di vita familiare che servono a stemperare la tensione drammatica, ma anche a far capire il rapporto che si instaura tra i personaggi. Nonostante tutto, Carolino scappa e telefona al mandante che sta dietro al torbido gioco, ma il commissario aveva previsto la mossa e lo fa seguire. Resta il dubbio sull’identità di colui che tira le fila nell’ombra perché il registra realizza inquadrature di spalle e si vedono soltanto i lunghi capelli biondi. Non è una donna, come sembra in un primo momento, ma un travestito e ce ne rendiamo conto solamente nella scena finale con il faccia a faccia tra lui e Lamberti. Carolino viene accoltellato dal transessuale ma riesce a scappare e lo denuncia a Lamberti. Questa parte del film vale l’intera pellicola, perché Carolino perde molto sangue e nel delirio rivive la scena della violenza carnale e il massacro della maestra. Tutto quello che mentre scorrevano i titoli di testa era stato appena accennato viene presentato in maniera ampia e particolareggiata. Il colpevole dell’eccidio è un travestito che si serviva dei giovani per loschi traffici e che ha fatto ammazzare l’insegnante per gelosia. Il criminale non sopportava che tra la donna e un ragazzo ci fosse un rapporto erotico, per questo ha portato in classe l’anice e ha spinto i ragazzi verso il massacro. Di Leo prende Scerbanenco e gli resta fedele per buona parte della pellicola, ma decide di modificare radicalmente il finale. Nel romanzo la colpevole è la madre di un ragazzo che vuole vendicare il marito sfruttatore denunciato dall’insegnante. Di Leo preferisce un finale scabroso più cinematografico, inserendo un travestito sfruttatore di minori e un rapporto morboso tra la professoressa e i ragazzini. Il regista rende tutto più complesso, elimina ogni traccia di personaggi completamente positivi e si immerge in un torbido realismo senza dare spiegazioni consolatorie. La vittima non è immune da colpe, pure lei aveva un rapporto con alcuni ragazzi che andava oltre il consentito.

Duca Lamberti è ben interpretato da Pier Paolo Capponi, attore feticcio del cinema dileiano, abbastanza fedele al personaggio di Scerbanenco. Lamberti non ha niente a che vedere con i commissari stereotipati del poliziottesco interpretati da Merli e Gasparri, non è un uomo tutto d’un pezzo che risolve problemi usando metodi spicci. Scerbanenco lo descrive come una persona scatenata e piena di rabbia. Di Leo lo fa interpretare da Capponi secondo i canoni della narrativa noir, facendo attenzione a non trasformarlo in una macchietta e a non seguire un cliché precostituito. Pier Paolo Capponi interpreta il ruolo più importante della sua carriera artistica. Torna Susan Scott nella parte di Livia Ussaro, la donna del commissario, ma il suo ruolo non è esaltante, anche se è molto bella ed elegante in una mise fine anni Sessanta. Di Leo non scrive dei buoni dialoghi per la sua parte femminile e anche il rapporto tra lei e Capponi è raccontato in maniera molto superficiale. Anna Maria Rovere è l’insegnante massacrata che sta sulla scena giusto il tempo di scioccare il pubblico con un corpo inerte e muto, massacrato dai ragazzi della scuola.

“Si trattava di mostrare una realtà di degrado proletario riguardante la periferia della grande città dove non era ancora diffusa la droga, la delinquenza organizzata tendeva i primi tentacoli, i ragazzi non erano ancora entrati in queste spirali”, afferma di Leo.  Il protagonista principale, Pier Paolo Capponi aggiunge: “Si parlava allora di droga quando in Italia la parola droga non si poteva nemmeno nominare”. Di Leo anticipa i tempi e produce un lavoro originale e scioccante sin dalle prime immagini che mostrano uno stupro di gruppo e il conseguente massacro. Tarantino segue la lezione del regista pugliese perché anche nei suoi film è sempre presente una scena iniziale a effetto dalla quale parte l’azione, spesso ricostruita con la tecnica del flashback.

I ragazzi del massacro viene accettato anche dalla critica contemporanea che lo giudica un buon film, innovativo e utile per spiegare certi fenomeni di disagio nelle metropoli. Non è molto convinto Paolo Mereghetti che nel suo celebre Dizionario concede una stella e mezza affermando che il film accampa qualche ambizione sociologica nel descrivere un mondo al di fuori della società, ma poi sceglie soluzioni sensazionalistiche e colpi di scena poco convincenti. La bravura del regista si vede solo nelle scene di violenza, agghiaccianti e poco esplicite.

La scena di apertura della pellicola è terribile. Anna Maria Rovere è una perfetta maschera di morte: membra tumefatte, bocca contorta in un’espressione disperata, abiti calpestati e strappati. La violenza carnale dà il via al film in maniera scioccante, uno stupro che si conclude con un barbaro omicidio commesso da un branco reso irresponsabile dall’anice lattescente. Un incipit crudo e disturbante, paragonabile in parte alla terribile conclusione di Avere vent’anni, che apre una pellicola importante e scomoda, un lavoro che analizza a fondo i problemi giovanili e il disagio di una metropoli. Di Leo indaga con coraggio nei delitti e nella vita della Milano bene, seguendo la trama di Scerbanenco che è una perfetta sceneggiatura, scritta con stile secco e duro, come buona regola del noir. Scerbanenco e di Leo affrontano lo stesso tema senza fronzoli e con identico sguardo impietoso, anche se utilizzano linguaggi diversi. Lo scrittore di Kiev realizza un romanzo drammatico, di Leo gira un film crudo e scomodo, un atto di accusa verso il mondo borghese, una rappresentazione realistica di una vita giovanile a contatto con il pericolo del quotidiano. Di Leo descrive i giovani senza finzioni e voli pindarici, ma in maniera realistica, con pregi e difetti, frutto di una società malata che produce figli perversi.

(9 – continua)

Gordiano Lupi