CORRADO FARINA, UN REGISTA IN PRESTITO ALLA SCRITTURA

Dedicato a Corrado Farina

               (Torino, 18 marzo 1939 – Roma, 11 luglio 2016)

Corrado Farina (1939 – 2016) comincia la sua attività come regista di pellicole a passo ridotto, organizzatore di cineclub, giornalista e saggista. Negli anni Settanta gira molti documentari: I tarli, Freud a fumetti, Salgari della nostra infanzia, Di città si muore, Fumettophobia, Dossier 131, Concerto per Courmayeur, C’erano una volta Stanlio e Ollio… Aiuto regista di Dacia Maraini per L’amore coniugale, trasposizione sul grande schermo del romanzo di Moravia. Come regista gira solo due lungometraggi, ma entrambi rientrano nella tematica fantastica, molto vicina alla cinematografia horror. Corrado Farina lavora per la televisione, dirige spot pubblicitari e da quando il cinema di genere non produce molte possibilità di lavoro è un apprezzato romanziere.

Corrado Farina contrae la malattia del cinema in giovanissima età, frequentando le sale cinematografiche della sua città, come appassionato divoratore di pellicole. Frequenta l’università, scrive di cinema su alcuni giornali studenteschi e politici, partecipa alla nascita del Centrofilm di Gianni Rondolino, dirige il Centro Universitario Cinematografico e realizza una ventina di film a passo ridotto insieme a un gruppo di amici. Si laurea in giurisprudenza, ma trova lavoro presso lo Studio Testa, una grande agenzia di pubblicità, come copywriter, dove in cinque anni scrive e dirige un mezzo migliaio di spot pubblicitari, che al tempo si chiamavano caroselli.

Farina ha sempre avuto una grande passione per i fumetti e negli anni Settanta si lascia affascinare dalla Valentina di Guido Crepax pubblicata su Linus. Scrive alcuni articoli, pubblica un saggio su Crepax con la Sipra e confeziona una serie di strip intitolate Il grande persuasore. Farina lascia Torino quando si rende conto che il suo rapporto con il mondo della pubblicità si sta deteriorando. La nuova meta è Roma, che raggiunge insieme alla moglie e ai figli. Comincia a fare l’aiuto regista e subito dopo realizza due lungometraggi: Hanno cambiato faccia (Primo Premio al Festival Internazionale di Locarno, 1971), e Baba Yaga (da una storia a fumetti di Guido Crepax, 1973).

In seguito si dedica quasi esclusivamente a servizi televisivi e documentari, sia per il circuito cinematografico che per aziende pubbliche e private (Fiat, Alfaromeo, Italsider, Henkel, Telecom, Enel, Enea) ed enti istituzionali (Presidenza del Consiglio dei Ministri, Istituto Luce, Rai Educational). Farina non si considera un documentarista partito dalla fiction, ma un regista di fiction prestato – per quasi trent’anni – al documentarismo. La prova di questo sta nel fatto che ogni volta che la cosa è stata possibile ha fatto ricorso, anche nella sua attività di documentarista, agli attori e ai codici strutturali propri della fiction. Negli anni Novanta si dedica soprattutto alla realizzazione di programmi composti in tutto o in parte da materiale di repertorio. Farina considera un’esperienza stimolante i cosiddetti “film di montaggio” e trova bellissimo utilizzare pezzi di vecchi film a complemento di discorsi di vario genere.

Baba Yaga è stato il suo ultimo lungometraggio, non è più riuscito a farne altri, a causa dell’insuccesso commerciale. Non sono mancati i progetti, costantemente rifiutati dai produttori con motivazioni di questo tipo: “troppo intellettuale”, “troppo sofisticato”, “troppo difficile”. Il genere fantastico non è amato dai produttori italiani, che prediligono storie più solari e mediterranee. Perlopiù i suoi progetti erano invece parenti del genere “fantastico”. Il regista lo ha sempre difeso in ogni sua versione: quella “bassa” del film dell’orrore, quella “media” dell’interscambio fra realtà e fantasia, quella “alta” della metafora più o meno futuribile dell’esistenza umana. Alcuni esempi di progetti mai realizzati sono Il ritorno di Ulysse Smithson, una parafrasi dell’Odissea sui reduci dal Vietnam, scritta con Giulio Albonico; Il prezzo del pericolo, da un racconto di Robert Sheckley; La morte di Megalopoli, da un romanzo di Roberto Vacca; Storia di sesso e di fumetto, una commedia erotica scritta sulla falsariga di Le belle della notte e di Sogni proibiti. Il progetto che più si è avvicinato alla realizzazione, verso la metà degli anni Ottanta, è stato Un posto al buio, variazione moderna in chiave “noir” de Il fantasma dell’Opera di Leroux, che stava per essere prodotto da Franco Cristaldi.

Il soggetto di Un posto al buio è all’origine della recente attività di scrittore: è diventato il primo dei suoi romanzi pubblicati (Biblioteca del Vascello, 1994). In seguito ne ha scritto uno sulla morte di Emilio Salgari: Giallo antico (Fògola Editore, 1999), uno tratto da un vecchio soggetto: Storia di sesso e di fumetto (Mare Nero, 2001), Dissolvenza incrociata (Fògola Editore, 2002), Il calzolaio (Marcovalerio, 2004), che è una storia noir di feticismo, e infine i più recenti Il cielo sopra Torino (Fògola, 2006) e L’invasione degli Ultragay (Zero 91, 2008) – Fonte: www.corradofarina.tk -.

Veniamo all’analisi del suo primo film, forse il più interessante. 

Hanno cambiato faccia (1971) è interpretato da Adolfo Celi, Geraldine Hooper, Giuliano Disperati, Francesca Modigliani. Corrado Farina scrive il soggetto e lo sceneggia con la collaborazione di Giulio Berruti (che provvede al montaggio e opera come aiuto regista). La fotografia è di Aiace Parolini e le musiche sono di Amedeo Tommasi. Giovani Nosferatu (Celi) è un capitalista proprietario di una serie di fabbriche nei settori più disparati e Alberto Valle (Disperati) lavora alla sue dipendenze. Un giorno l’impiegato viene chiamato nelle stanze del potere per assumere un inatteso ruolo dirigenziale. Giovanni Nosferatu in persona invita Alberto nella sua villa di montagna. Il regista la disegna come una residenza moderna inserita in un antico parco, un luogo fuori dal tempo. Alberto incontra Laura, una giovane figlia dei fiori che passeggia a seno nudo senza una meta, non ha progetti per il futuro, ma vuole soltanto essere libera. L’arrivo di Alberto nelle montagne dove vive Nosferatu ricorda molti film su Dracula e certi lavori del gotico italiano, sia per il luogo spettrale e deserto che per gli abitanti silenziosi, non propensi a fornire indicazioni. La villa è immersa nella nebbia, fa freddo, gli uccellini non cantano e il parco è sorvegliato da Fiat 500 che svolgono la funzione di cani da guardia. Amedeo Tommasi realizza un commento musicale suggestivo, da horror inquietante ma appena suggerito, sottolineando l’ingresso in villa da parte dell’ingegnere e le apparizioni di Nosferatu. La pellicola prosegue su ritmi lenti ma non annoia, grazie soprattutto a una ripetuta critica al mondo della pubblicità e al consumismo. Alberto siede su un divano e subito sentiamo uno slogan pubblicitario, fa la doccia e accade la stessa cosa, durante la notte ode litanie pubblicitarie a ritmo di funzione religiosa che invitano a creare bisogni e a far consumare. Nosferatu è un vero e proprio vampiro, che se ne sta chiuso di giorno nel suo ufficio e compare solo di notte, ma è un vampiro dei tempi moderni, più subdolo e imbattibile. Farina anticipa di quasi vent’anni un discorso che Federico Fellini approfondirà negli ultimi film e soprattutto ne La voce della luna (1990). I bersagli dei due registi sono la pubblicità, il consumismo e il capitalismo perverso, incarnati nel 1971 da Giovanni Agnelli (ma era un capitalismo dal volto umano) e nel 1990 da Silvio Berlusconi. Il film di Farina è quasi profetico, riesce a dire in anticipo cosa accadrà, partendo da spunti biografici, perché il regista si è occupato molto di pubblicità. Nosferatu serve una cena fantascientifica composta di prodotti chimici, ironizza sul socialismo gastronomico che elimina il piacere fine a se stesso – un inutile spreco produttivo – per ridurre tutto a un discorso economico. “I miti non muoiono, si trasformano. Dobbiamo cambiare la schiavitù in libertà, e oggi la pietra filosofale è la tecnologia. Servono uomini che sappiano comandare e consigliare i veri bisogni per poi riuscire a soddisfarli”, afferma Nosferatu. La critica di Farina al sistema capitalistico è evidente. L’imprenditore è padrone di tutto: stampa, polizia, aziende, persone, governa desideri e realizza bisogni. La realtà è dietro l’angolo. Una sequenza fantastica mostra una serie di bambini in culla, un enorme registro dove si legge il nome di Alberto e una sua foto da bambino con la previsione che avrebbe fatto il dirigente. Nosferatu alleva i figli prediletti perché nel futuro ricoprano un ruolo alle sue dipendenze. “Ho visto delle cose mostruose”, dice Alberto sconvolto alla segretaria Corinne, che ha il compito di rendere piacevole il suo soggiorno. Nel frattempo Nosferatu cattura Laura, che attendeva in auto il rientro di Alberto. La vampirizza e forse è questa la sola scena horror esplicita del film, pure se i leggendari denti aguzzi del vampiro non si vedono, ma sono cambiati i tempi e loro hanno cambiato faccia. La critica alla pubblicità è sempre più ironica e divertente: Alberto e Corinna fanno l’amore e in sottofondo si sente una promozione dei profilattici Nosferatù. Farina cita il gotico riprendendo l’esplorazione di Alberto in un vecchio cimitero di famiglia e mentre si reca alla scoperta di una cripta. Alberto cerca la sua Laura in paese, ma nessuno parla, una vecchia si fa il segno della croce, un prete lo scaccia di chiesa. “Non abbiamo niente a che vedere con quelli della villa”, dice. Il padrone è un vampiro, un essere che non ha niente di umano, un uomo senza età. La seduta del consiglio di amministrazione è un capolavoro di sottile ironia, perché al tavolo di Nosferatu siede ogni tipo di potere, persino quello ecclesiastico. Il capitale difende se stesso, punta alla proliferazione ed elimina chi commette errori. Farina cita Godard, Fellini (I clown) e De Sade per costruire uno spot pubblicitario che renda libera la vendita della droga LSD nei supermercati Nosferatu. Alberto capisce tutto e vorrebbe andarsene per non stare al gioco, ha compreso che il padrone ha paura del tempo, oppure solo dell’alba come i vampiri, adesso sa che i vampiri hanno cambiato faccia ma continuano a succhiare il sangue alle persone. In ogni caso non può accusare Nosferatu: è il potere assoluto e giornali e polizia gli appartengono. L’unica cosa da fare è ucciderlo. Alberto spara tre colpi di pistola a Nosferatu e abbandona la villa insieme a Corinna, passando tra Fiat 500 con i fari accesi. Nella sua auto trova Laura ad attenderlo, ma non è più la stessa. Veste elegante e parla del futuro, di un lavoro importante all’interno di un’azienda. “Ma tu non volevi soltanto essere libera?” chiede Alberto. “Ero sciocca. Avevi ragione tu”, risponde la ragazza. Nosferatu l’ha vampirizzata, rendendola schiava di desideri e bisogni. Non c’è speranza perché il capitale normalizza tutti, persino i giovani figli dei fiori. La segretaria riapre il cancello e Alberto rientra nella villa dove Nosferatu – vivo e vegeto – lo attende per affidargli il compito previsto da dirigente. Il messaggio è molto pessimistico: il capitalismo rigenera se stesso e ha sempre la meglio, le rivoluzioni sono impossibili, nessuno può ribellarsi al volere del capitale, perché prima o poi verrà catturato. “Il terrore di oggi si chiama tecnologia”, è la frase che campeggia prima dei titoli di coda, citando L’uomo a una dimensione di Marcuse. Farina più che un film horror vuole realizzare un film fantastico che sia una sorta di apologo politico. La figura del vampiro è un preciso riferimento al potere e al capitalista che succhia la libertà al proletariato. Il protagonista è un impiegato con crisi di coscienza, ma che alla fine si dichiara pronto a rinunciare alla sua personalità per un incarico importante. I suoi problemi di coscienza che derivano dal mondo di provenienza e dalla ragazza che pensa di amare verranno superati. Alberto e Laura finiranno integrati dopo una drammatica scelta di campo a favore del potere. Il regista vuole trasmettere il messaggio che è il destino di tutti. La pellicola è ambientata per lunghe sequenze nella villa dell’ingegner Nosferatu ed è girata prevalentemente in interni ricercati e modernisti. Ottimi anche gli esterni autunnali che consentono soluzioni visive innovative e originali. Ricordiamo numerose scene con le Fiat 500 schierate nel parco dell’ingegner Nosferatu in funzione di cani da guardia. Molto bravo Adolfo Celi come vampiro capitalista, ma non è da meno Geraldine Hooper come ambigua segretaria. Il film vince il Pardo d’oro a Locarno come migliore opera prima, nonostante sia stato girato in economia e presenti i difetti consueti di un lavoro d’esordio. Il punto debole è la sua ambizione: non vuole essere un semplice film fantastico bensì una storia capace di fare un discorso sociopolitico. In questi casi si rischia di cadere nella retorica, ma Farina si salva con una direzione attenta e piena di inventiva

Il regista ci ha fatto sapere che è disponibile da pochi mesi (2009) la prima edizione in dvd di Hanno cambiato faccia, con alcuni extra praticamente inediti: due cortometraggi amatoriali a 8mm, Il figlio di Dracula e Giro Giro Tondo e i due primi documentari a 35mm, Laudato sii, mio Signore e I tarli. Il primo titolo è un approccio umoristico al tema del vampiro, gli altri tre saldano la fase amatoriale con quella professionale e in qualche modo introducono il tema principale del lungometraggio.

Abbiamo avvicinato Corrado Farina per rivolgergli qualche domanda.

QUANDO ALBERTO VEDE I BAMBINI ALLEVATI DA NOSFERATU E TROVA LA SUA FOTO CON IL PRONOSTICO SUL SUO FUTURO COSA SIGNIFICA?

Vuol dire che in qualche modo il nostro destino è predestinato. Dal Sistema, in questo caso, ma se vuoi puoi anche considerare il Sistema come Dio e allora diventa una negazione del libero arbitrio.

LE FIAT 500 DI GUARDIA HANNO UN VALORE SIMBOLICO?

Direi proprio di sì. Come tutto il resto del film. Ma se vuoi puoi anche considerarlo un gioco, una strizzata d’occhio ai lupi dei veri film di vampiri.

IL FILM È PROFETICO, PERCHÉ NEL VECCHIO CAPITALISMO TARGATO AGNELLI LE COSE ANDAVANO MEGLIO CHE CON BERLUSCONI. SEI CONSAPEVOLE DI AVER DETTO LE STESSE COSE DI FELLINI NE LA VOCE DELLA LUNA, VENT’ANNI PRIMA?

Non ti so rispondere, perché non ho mai visto La voce della luna. Quanto al fatto che Hanno cambiato faccia anticipi sciaguratamente Berlusconi, sono perfettamente d’accordo con te.

GENIALE LA CRITICA DELLA PUBBLICITÀ E DEL CONSUMISMO. IL FILM È PIÙ POLITICO CHE HORROR. UN FANTASTICO INTELLETTUALE. CONDIVIDI?

Assolutamente sì.

PERCHÈ I TUOI VAMPIRI NON HANNO I DENTI AGUZZI?

Perché mi sembrava, almeno allora, che la metafora non li esigesse.

Baba Yaga (1973) è il secondo e ultimo lungometraggio di Corrado Farina. Interpreti: Isabelle De Funès, Carrol Baker, George Eastman (Luigi Montefiori), Ely Galleani, Angela Covello, Michele Mirabella, Franco Battiato e Corrado Farina. Il film è ispirato al fumetto Valentina di Crepax, pubblicato su Linus, vera passione del regista che riesce a portarlo sullo schermo per la prima volta. Il soggetto è di Farina che collabora con Giulio Berruti (pure montatore insieme a Paolo Giaccio) e Tito Carpi per la sceneggiatura. Valentina (De Funés) è una fotografa di moda che viene circuita dalla strega lesbica Baba Yaga (Baker). Il suo amico Arno (Eastman) è un regista televisivo, che vive con lei e la protegge. Non può fare niente quando Valentina va a fotografare gioielli e antichità in casa di Baba Yaga, strega dai poteri demoniaci. La chiave di volta del film è il regalo che la strega fa a Valentina: una bambola capace di trasformarsi in un’assassina in carne e ossa (Galleani). La storia è ambientata nell’epoca della contestazione, i dialoghi citano Godard e sequenze del Golem di Paul Wegener. La censura distrugge il lato erotico del film che poteva essere la carta vincente, visto che il fumetto risulta molto meno castigato, ma anche i produttori hanno la loro parte di colpa perché praticano molte manomissioni. Le poche sequenze di nudo riguardano Isabelle De Funés, ripresa tra corvi e serpenti, tra torture guidate dalla Baker e un incubo ripreso dai fumetti con i nazisti. Un innocente nudo della Baker è scomparso da tutte le copie in circolazione. Isabelle De Funés, figlia del popolare comico Luis, non è il massimo nel ruolo di Valentina, mentre se la cava bene Ely Galleani in alcune sequenze memorabili. La Baker come strega non è invece a suo agio. Ricordiamo un breve cameo di Franco Battiato quando compare in un sogno vestito di bianco, impugnando la croce celtica. Il regista interpreta il capo dei nazisti. Piero Umiliani cura una colonna sonora niente male. La fotografia in notturna di Ajace Parolin è spesso troppo scura. Corrado Farina tenta di riprodurre nel film il montaggio cinematografico delle tavole di Crepax, cosa che aveva fatto anche Tinto Brass, inserendo fotogrammi fissi sullo sfondo. Il film delude i fan di Valentina che si aspettavano qualcosa di molto più torbido ed erotico, in sintonia con il fumetto di Crepax. Non era facile tradurre per immagini un fumetto così complesso e innovativo che conteneva elementi politici, sadomasochismo, erotismo e una rilevante componente onirica. Valentina tornerà sul piccolo schermo nel 1989, per una serie di tredici telefilm interpretati da Demetra Hampton, che non è una grande attrice, ma fisicamente è perfetta per il ruolo. Giandomenico Curi e Granfranco Giagni realizzano una versione da pronto consumo, più erotica ma con meno spessore del lavoro cinematografico di Farina. Corrado Farina ci ha riferito: “È uscita nel Regno Unito la versione della Shameless di Baba Yaga, che può essere considerata la più vicina a quello che era stato a suo tempo il montaggio originale massacrato dai produttori. Sono stati reinseriti al loro posto tutti i tagli che erano stati lasciati da parte nella ricostruzione del film (che è poi quella vista finora, sia in pellicola che in vhs/dvd), nonché i due minuscoli tagli di censura con i nudi integrali di Carroll Baker e di Isabelle De Funès: insomma, tutto ciò che si era già visto nella versione USA della Blue Underground, ma soltanto fra gli extra. Fra le altre cose, questa versione integrale consente di rendere giustizia al cameo di Franco Battiato, scomparso dall’edizione ricostruita. Versione inglese, versione italiana con sottotitoli e due cortometraggi come extra: il già noto Freud a fumetti e il praticamente inedito Fumettophobia”.

Tempo fa abbiamo avvicinato Corrado Farina che ci ha rilasciato un’intervista esclusiva, pubblicata dalla rivista Stilos nel 2008. Riteniamo che sia ancora attuale e la riproponiamo in questa occasione.

COME HAI PRESO LA MALATTIA DEL CINEMA E QUANDO HAI COMINCIATO A SCRIVERE PER IL CINEMA?

La malattia l’ho contratta nella prima infanzia e nel modo più banale: andando al cinema e tesaurizzando il fascino e la meraviglia che me ne venivano. A quindici anni ho incominciato a mettere per scritto le mie impressioni su certi quaderni con la copertina nera, su cui schedavo e commentavo tutti i film che vedevo nel corso dell’anno, illustrandoli con fotografie ritagliate dai giornali o dalle brochure pubblicitarie che razziavo negli uffici dei distributori.

MOLTI EX RAGAZZI DEGLI ANNI SETTANTA FORSE NON SANNO CHE SEI IL REGISTA DI TANTI CAROSELLI CHE HANNO ACCOMPAGNATO LA LORO INFANZIA. CE NE VUOI PARLARE?

Non più di tanto, perché non amo la pubblicità, che pure mi ha dato da vivere per molti anni. Ma devo dire che (al di là dei soldi) ho avuto due valide ragioni per realizzarla: la facevo, almeno nei primi anni, per e con Armando Testa che era una persona geniale e un interlocutore affascinante, anche se cocciuto ed egocentrico; e che Carosello aveva una struttura molto particolare, più vicina al cinema (anche se si trattava di micro-film di due minuti) che agli spot pubblicitari in senso moderno. Questa struttura consentiva un largo margine di invenzione, e di alcune serie come Olio Sasso (“La pancia non c’è più”), Urrà Saiwa (“Da oggi a merenda si cambia”) o Digestivo Antonetto (“Io non discuto, scommetto!”) conservo dei ricordi piacevoli.

NELLA TUA ATTIVITÀ DI SCRITTORE CI SONO ANCHE I FUMETTI. È VERO CHE HAI SCRITTO ANCHE ALCUNE AVVENTURE PER DIABOLIK E CHE HAI INVENTATO UNA SERIE FANTASCIENTIFICA?

Non proprio. Di Diabolik ho scritto una sola storia, perché poi mi sono dedicato a Selene, che peraltro non avevo inventato io. Ne scrissi quattro numeri, prima che la casa editrice fallisse. Maggiori notizie sono presenti comunque nella sezione “fumetti” del mio sito internet (www.corradofarina.tk), dove fra non molto (questa è una notizia che ti do in anteprima) saranno inserite anche le mie comic-strip de Il Grande Persuasore, un personaggio che chiarisce il mio rapporto di odio-amore con la pubblicità. Le ho realizzate negli anni Sessanta e non sono mai state pubblicate.

DAL FUMETTO AL TUO FILM PIÙ NOTO. BABA YAGA CON CARROLL BAKER: UN OMAGGIO ALLA VALENTINA DI CREPAX. CI VUOI PARLARE DEL FILM E DEL TUO RAPPORTO CON LA GRANDE ATTRICE?

Alla rivoluzione grafica e linguistica apportata da Crepax al fumetto avevo già dedicato un saggio monografico, un certo numero di articoli e un cortometraggio, mi sembrava doveroso tentare di portarla anche al lungometraggio. Per varie ragioni il risultato non è stato quello che volevo, anche se nel film ci sono alcune sequenze che mi sembrano ancora belle. Il film, del resto, è forse più noto e apprezzato oggi di quanto non lo sia stato all’epoca, e Carroll la ricordo come una donna simpatica e una seria professionista.

IL TUO PRIMO FILM È UN GIOIELLO HORROR. HANNO CAMBIATO FACCIA PARLA DI VAMPIRI MA REALIZZA ANCHE UN DISCORSO SOCIALE NON FREQUENTE NELLE PELLICOLE DI GENERE. CE NE VUOI PARLARE?

Mah, sul fatto che si tratti di un horror si potrebbe discutere. Io direi piuttosto che si tratta di una storia fantastica che utilizza gli stilemi dei film di vampiri per fare un discorso “politico” sulla società in cui viviamo. La cosa agghiacciante è che questa società non è affatto migliorata, ma piuttosto si è sempre più incarognita. Certe frasi pronunciate dall’ingegner Nosferatu, il vampiro interpretato da Adolfo Celi che simboleggia il Potere, si adattano benissimo a un troppo noto protagonista della nostra recente scena politica, e forse è per questo che il film, come Baba Yaga, sta conoscendo una seconda giovinezza.

LAVORI ANCORA NEL MONDO DEL CINEMA?

Ho fatto un film di montaggio molto divertente che è stato proiettato al Museo del Cinema di Torino durante le Olimpiadi. Ma, se parliamo di film veri e propri, ahimè no, e non per mia scelta. Tuttavia, come ha detto Badoglio nel settembre del ’43, la guerra continua: sono tuttora alla ricerca di un produttore che mi metta in grado di realizzare un terzo lungometraggio.

PASSIAMO ALLA TUA RECENTE ATTIVITÀ DI ROMANZIERE. CI PUOI PARLARE BREVEMENTE DEI TUOI ULTIMI LAVORI?

La mia attività di romanziere è strettamente connessa con la risposta precedente, poiché tutti i miei romanzi nascono pensando al cinema. Il primo, Un posto al buio, doveva completare la “trilogia espressionista” di Hanno cambiato faccia e Baba Yaga. Doveva essere prodotto da Franco Cristaldi ed è arrivato addirittura alla vigilia delle riprese, ma è andato a monte all’ultimo momento per cause che non dipendevano né da me né da lui (anche di questa vicenda, se a qualcuno interessa, si parla sul mio sito, in un saggio sui rapporti tra cinema e televisione intitolato Lo stupro). Anche tutti gli altri romanzi, compreso Il cielo sopra Torino, nascono “per immagini” e pensando al cinema, anche se poi naturalmente prendono forma in un linguaggio diverso. Il problema è che è difficile trovarli: sono tutti pubblicati da piccoli editori che non riescono a ottenere uno spazio sul mercato: se non si dispone di un libraio volonteroso che sia disposto a ordinarli, le sole strade per averli sono Internet Bookshop o i link diretti degli editori indicati sul mio sito.

NEI TUOI ROMANZI TROVO ALCUNE ANALOGIE CON LA NARRATIVA DI FRUTTERO E LUCENTINI. PENSI DI ESSERE DEBITORE DI QUALCOSA AI GRANDI MAESTRI DEL GIALLO ALL’ITALIANA?

Assolutamente sì: senza La donna della domenica, forse, la maggior parte dei “giallisti” italiani di oggi non esisterebbero. Di certo non esisterei io: Un posto al buio nasce esattamente all’incrocio tra quel romanzo e Il fantasma dell’Opera.

TI RITIENI UN REGISTA PRESTATO ALLA LETTERATURA O UNO SCRITTORE CHE PER QUALCHE ANNO HA FATTO CINEMA?

Penso che la risposta a questa domanda sia già implicita in quelle precedenti: mi ritengo un regista prestato (spero non “sine die”) alla letteratura, anche se la scrittura ti dà una grandissima soddisfazione e una libertà che il cinema non ti potrà mai dare.

Gordiano Lupi

(tratto dal libro “STORIA DEL CINEMA HORROR volume 4” di Gordiano Lupi, Edizioni Il Foglio)