SADOMANIA: ICONOGRAFIA DEL DIVIN MARCHESE DALLA LETTERATURA, AL CINEMA, AI FUMETTI

Interessante ragionare sull’immagine di un uomo, un letterato, di cui non conserviamo più nessuna picture, nulla. A parte la sua arte, le sue parole, la sua furia, del marchese De Sade non abbiamo ritratti. Il tempo, le rivoluzioni e la censura si sono portati via tutto. Nonostante questo, l’interesse per l’opera e il personaggio non è mai venuto meno. Nel corso del novecento, poi, il nostro ha goduto di un’ampia riscoperta e rilettura da parte di menti raffi e meno.

Vediamone alcune.

Gilbert Lely, grande poeta francese, ha scritto sul marchese la biografia definitiva, andando a spulciare la mole di lettere, i documenti penali e certificati rimasti di un’epoca definitivamente conclusa. Il libro che ne è uscito è “Vita del marchese De Sade” riedito da noi da PGreco. L’opera poderosa non è di facile accesso, per via dei numerosi atti spogliati e riportati. Si parte con gli antenati della casata (originaria di Avignone) e quel poco che si conosce della fanciullezza del nostro trascorsa in collegio. E’ nel 1754 che De Sade inizia a lasciare un segno del suo percorso sulla terra. Allievo al reggimento di cavalleggeri, poi sottotenente nella guardia reale con polacca, bottoni e alamari in gran lustro. Tuttavia il reggimento non fa per lui, così, da capitano, arriva il congedo e la possibilità di dedicarsi ad altri studi, decisamente più floridi. Puttane, bordelli, vita vissuta. A porre un fremo allo spirito subito indomito, un matrimonio forzato, apparecchiato per lui dalla casata di famiglia con una nobile borghese dalle tasche piene. Col matrimonio il marchese eredita una suocera che lo perseguiterà per buona parte dei suoi anni, inseguendolo ovunque pur di riportarlo entro i confini del talamo nuziale. Talamo per il quale De Sade prova orrore e noia. Ricomincia così con le scappatelle tra Parigi e Versailles nei vari bordelli della regione, fino all’incidente con la mendicante Rose Keller, frustata a sangue e minacciata di morte da un Donatien in piena fregola sadomasochistica. I passi, dettagliatissimi, in cui viene riportato l’affair sono gustosi. De Sade ne esce con denuncia, carcere e ammenda da far pagare alla suocera desiderosa di metter tutto a tacere. Fin qui l’uomo di lettere non esiste ancora, al suo posto un libertino di nobili origini con un patrimonio in caduta libera e vizi viziosissimi da soddisfare su bolse popolane. La suocera paga, De Sade torna libero e riprende a scorrazzare tra le sottane. Col suo servo fedele, Latour (personaggio degno di un porno fumetto di Barbieri), prova il clima di Marsiglia e cerca di farsi procacciare ben quattro donne al colpo per sperimentare frusta e bastone. Alle dolci ragazzine declina pure una scatolina con dentro confetti d’anice (dice lui) che producono ventosità al ventre di cui il nobile è ghiotto. La quinta donna, ingozzata di confetti, finisce per star male e lo accusa di avvelenamento. Altro scandalo, altro carcere. Il marchese però tenta la fuga e per un po’ riesce a darsi alla macchia (è riconducibile a questo scampolo di libertà il lungo viaggio in Italia). Seguono i ritorni in Francia, nell’amato castello di La Coste, un nuovo arresto e cinque anni da scontare nella fortezza di Vincennes. Qui il giovane libertino si scontra con la durezza della vita e dimostra di che pasta è fatto. Legge molto. Petrarca, Tacito, Rabelais, Cervantes, la lettura diventa prima consolazione, poi vero scopo di vita. Il nobile viziato si trasforma in un uomo di lettere e ciò che ha messo in pratica nella sua vita quotidiana (con ingenua malizia) si trasforma, macera, in sublime delirio pornografico. Le impalcature dell’opera, che sfida le leggi dell’uomo e della ragione (tracciando nettamente i limiti, le colonne d’Ercole oltre alle quali è impossibile andare con l’immaginazione), vengono gettate tra i vari carceri, manicomi e fortezze in cui trascorrerà quasi trent’anni sui 74 di vita complessiva. Nella prigionia la fantasia si trasformerà in filosofia eterna, salvezza dell’anima ed estemporanea allegria. Arriva il 1789 e la storia con la S maiuscola bussa alla porta. De Sade non si fa trovare impreparato e intuisce in quell’enorme caos una chiave di volta, un cambiamento epocale. Una rivoluzione assai affine alla sua. Ed ecco la trasformazione successiva del nostro. Da marchese invertebrato e sporcaccione, a marchese uomo di lettere, a cittadino De Sade non più marchese. Donatien si butta anima e corpo nella rivoluzione e ne vive tutte le fasi, rischiando pure, sotto il delirio egemonico del Terrore, di finir ghigliottinato. Perde tutti i suoi beni, i titoli, diventa un uomo comune che lavora per vivere e lavora al soldo dell’assemblea nazionale. Si occupa della riforma degli ospedali e lo fa con zelo ed enorme sensibilità umana. E’ un impiegato prodigioso, infaticabile e fedele. Davanti ai suoi occhi scorrono i foglianti, i giacobini, i montagnardi, Robespierre, Maria Antonietta, tutti ghigliottinati impietosamente. Scocca l’ora della convenzione, del terrore e la terza costituzione di Napoleone. Da questo delirio De Sade ne esce formalmente come impiegato in un teatro  di Versailles e, in maniera occulta, come scrittore di capolavori pornografici proibiti e anonimi. E saranno proprio questi libri (e non più le scopatine aristofanesche) a costargli l’ultima condanna, quella definitiva, nel manicomio criminale di Charenton. Qui l’uomo si ricongiunge col mito. Lo spirito furioso, a ogni ordine e legge morale, si smorza in rappresentazioni teatrali con gli altri furiosi, fino all’arrivo della vecchiaia sotto forma di malinconia e difficoltà deambulatorie. Al di là degli ultimi istanti, Lely ci restituisce lo spirito e la figura (se non iconografica, certamente spirituale) di questo pensatore lucidissimo e spietato, capace di mettere in discussione le false certezze della morale di un’epoca già sconquassata dalle cannonate dell’illuminismo.

Al libro di Lely si ispira la biografia cinematografica di Cy Endfield (doveva dirigerlo Michael Reeves se non fosse schiattato per droghe) con Keir Dullea, intitolato spartanamente, “De Sade”. Filmetto monodimensionale, con belle scenografie e una curiosa costruzione narrativa fatta a scatole, col marchese che rivive la sua vita, allestendola all’interno di un decadente teatro mentale, un non luogo della fantasia (e se ne ricorderà Fellini per il suo “Casanova”) gestito dallo zio abate De Sade impersonato dal sulfureo John Huston. Per il resto la sceneggiatura di Richard Matheson (non il primo che passa per la strada) riesce a tracciare confusamente i contorni del marchese, limitandosi a raccontare un piccolo borghese patetico e capriccioso, invaghito della lussuria per ripicca nei confronti di un amore proibito dall’odiata suocera. Solo a tratti il personaggio si risveglia e, come una marionetta, si abbandona a impulsi di eros perverso inscenati da filtri rossastri e rallenty ridondanti. Come a dire: è solo un povero demente, ha fatto quello che ha fatto, ha scritto quello che ha scritto, non per rivolta, ma perché tarato.

Similmente, il fumetto nero italiano “De Sade”, edito dalla Ediperiodici e uscito dal 1971 al 1980. Dietro l’operazione c’è Sante D’Amico che tratteggia un libertino generico, più simile al Casanova pecoreccio e al Don Giovanni di borgata, che al filosofo dell’estremo. Comunque il De Sade di carta si muove agilmente, di avventura in avventura, tra zitelle in calore, sciabole, staffile e magia, grand exposition, sadismo razziale, incursioni in Martinica, orgasmi al Colosseo, uccelli per la regina, patiboli, Napoleone, monasteri misteriosi e altro. Come tutti i neri del periodo, tralasciando la questione sulla fedeltà al personaggio originale, anche questa collana risulta godibilissima e divertente, oltre che eccitante! Al solito, nei mercatini delle pulci potrete prenderne mazzapicchi pieni e goderveli in santa pace!

Chiudo segnalando il bellissimo volume della Glittering Images sul marchese. Si intitola: “Marchese De Sade antologie illustréè” e contiene un’ampia sezione critica che indaga la figura e il mito dello scrittore libertino nel fumetto, nella letteratura e nel cinema. Nel volume cartonato è possibile ammirare il contributo iconografico dato da alcuni maestro dell’illustrazione quali Carlo Ambrosini, Guido Crepax e l’anonimo illustratore dell’edizione Airone, 1966, per l’edizione italiana della Justine.

Davide Rosso