Oggetto di questo articolo sono i fumetti “neri” da edicola dei Settanta.
Dico subito che non sono uno studioso del fumetto, non ne ho le competenze, quindi evito di parlare della storia editoriale del genere, dei disegnatori e degli sceneggiatori. I dioscuri della categoria sono Barbieri e Cavedon. Poi le strade dei due si dividono: uno fonda una casa editrice, l’altro un’altra. Bene. Quel che interessa a questo studio è evidenziare il rapporto di connessione tra questi lavori e il cinema exploitation di allora. Interessante sarebbe fare lo stesso intrattenendosi con un’altra delizia da edicola del periodo, ovvero la collana “I Racconti di Dracula”, di cui si è già parlato sulla ZONA.
Si diceva.
Cinema e paginette da fumetto.
In principio è sicuramente il secondo a copiare il primo.
Verso la fine dei settanta, cioè verso la fine della fortuna editoriale del porno fumetto e del cinema di genere (italiano?), le cose si invertiranno.
Ma limitiamo questa indagine alle copertine illustrate, vera cuspide iconografica dei “neri”.
Procedo a caso, evidenziando solo alcuni esempi, senza voler essere esaustivo, cosa peraltro impossibile vista la vastità dell’argomento e la larghissima diffusione dei fumetti erotico horror e delle numerosissime testate.
Le copertine erano tempera su cartoncino, vere opere pittoriche, manifesti colorati e atmosferici, carichi di suggestioni narrative e iconografiche.
Spesso, anzi quasi sempre, il rapporto tra la copertina e il contenuto del volume era arbitrario. E anche i disegni all’interno del volume non eguagliavano la bellezza folgorante delle tempere; non per questo le varie vignette all’interno degli albi sono da disprezzare, anzi. Molti lavori sono tirati col culo, semi-amatoriali, altri rendono abbastanza bene il tono squallido e pornografico delle avventure raccontate e si fanno leggere con gusto.
Mi capita sotto mano un Oltretomba gigante, una delle innumerevoli testate malate di quei folli anni di piombo e pruderie. Il titolo è “Ragazzi di borgata” e sconfina nella cronaca nera alla caso del Circeo con dei borgatari in canotta che cinghiano un tizio in giacca e baffi. In primo piano una bella hippy con la tetta di fuori che si buca accanto a un cadavere putrefatto. Insomma una tecnica di saturazione alla base della quasi totalità delle copertine e delle scelte editoriali della Ediperiodici.
Sempre Oltretomba gigante. “Eredità di sangue” è un collage pittorico di immagini copiate dalla cartellonistica del primo “Dracula” con Lugosi. Si vede infatti un intenso primo piano di Bela e, sullo sfondo, Bela che si china sul collo di Helen Chandler, la giovane attrice del film di Browning.
Oltretomba gigante n 21, “La maledizione dei Wurdalak” non si limita a riprendere delle suggestioni iconografiche, ma diventa una trasposizione a fumetti, infedele in certi punti, ricalcata in altri, del potente film di Giorgio Ferroni, “La notte dei Wurdalak” uscito solo pochi anni prima del fumetto.
Operazione identica (e quindi preziosa per chi all’epoca avesse bisogno di possedere film – e quindi fermarli nella memoria – che una volta usciti al cinema sparivano per sempre, si obliavano, in quanto non esisteva ancora l’home video, eccetera) è il Terror gigante n 19, “La morte insegna al collegio” che è la versione a strisce de “Gli orrori del liceo femminile” di Serrador. In questo caso la trasposizione è fedelissima, forse perché eseguita a pochi mesi dall’uscita del film nelle sale e quindi maggiormente fresca nella mente degli autori.
Terror n 26 “Il marchio di Satana” presenta un incrocio interessante visto che la copertina è un ricalco di una porzione di fotogramma del film Hammer “Il sudario della mummia”, ritoccato con ambientazione cimiteriale e zombi putrefatto che fuoriesce da un cespuglio mentre Elizabeth Sellars è riversa su una tomba (socchiusa) e le mani della mummia si avvicinano al suo collo. L’interno dell’albo, invece, non centra una mazza col film di John Gilling. Si tratta della semi trasposizione di un film coevo (siamo nel 1971), ovvero “La pelle di Satana”, horror inglese pruriginoso con la starlet burrosa Linda Hayden.
A caso sfilo un albo dal mucchio, attirato da un bel culo in basso sulla destra. E’ un Oltretomba serie regolare, “Le tragiche notti della candelora”, anche qui collage di immagini pittoriche ricalcate da flani e brossure diverse. Spicca la bella strega popputa del film di Filippo Walter Ratti “La notte dei dannati”. L’espressione della lamia è così azzeccata da sembrare quasi un fotogramma. Comunque anche l’albo all’interno, pur trattando una storia originale, è molto bello e interessante.
Oltretomba regolare, “La prostituta delle tombe”, titolo suggestivo e bellissimo che ci mostra, sempre in copertina, una ragazza vestita con reggiseno e mutandine nere e una bautta nera e svolazzante come la Brigitte Lahaie del film “Fascination” di Rollin. Citazione voluta? Se si osservano i dati di stampa si vedrà che il fumetto è uscito nel 1980, ovvero contemporaneo al film del maestro francese. Anche questa continua corrispondenza nelle date ci informa su un probabile metodo di lavoro dei disegnatori (o sceneggiatori) che si ispiravano alle immagini maggiormente reperibili, magari prese da riviste specializzate (e di importazione) che trattavano i vari film in uscita.
Rimaniamo ancora un momento su Rollin.
La sua influenza su questi fumetti sarà capitale.
Le sue storie melodrammatiche e feuilleton di donne maledette e malinconia sessuale sono una continua fonte di ispirazione per queste pubblicazioni. Certo lo stesso Rollin, così come Jess Franco, è preso per queste opere da edicola, al punto da volerne trasporre alcune in pellicola senza riuscirci [1]. L’Oltretomba “Il tredicesimo tocco” ci presenta la pendola surrealista di “Violenza a una vergine nella terra dei morti viventi” con dentro una donna ignuda e popputa (nel fumetto la variante è che la donna è sgozzata).
Oltretomba “Il becchino”, pur non centrando con un film in particolare, è una immagine irrinunciabile: si vede una stanza fredda da obitorio, resa con un azzurrino quasi bianco, con vari cadaveri femminili adagiati sui freddi tavoli anatomici. Ci pare quasi di sentire l’afrore della carne putrida ed ecco che si apre una porta di ferro ed entra un tizio ributtante e bassino (diciamo un pre-nerd da film sul college) che si sta slacciando la patta dei calzoni, già preso dalla fregola delle sue fantasie. Alla nostra, di fantasia, immaginare cosa vorrà fare insieme ai cadaveri.
“Il massacratore solitario” è un Oltretomba già slasher (nel plot) e la copertina non richiama nulla di particolare, seppur bellissima. Lo cito perché, recentemente, Manuel Cavenaghi ha scritto un bel libro sull’horror italiano (Cripte e Incubi, edito dalla Bloodbusters Edizioni) e lo ha condito con un apparato iconografico che attinge a piene mani dai “neri” e il massacratore ci figura assieme ad altre pitture a tempera. Così a memoria, ricordo che Cavenaghi riporta nella quarta di copertina del suo volume l’immagine di un altro Oltretomba: “Malocchio” con una bambolina rotta a gambe divaricate che impugna una grossa forbice e opera un’altra bambolina. Davanti a lei una candela che si consuma. Dietro, nel buio, due occhi femminili spalancati sull’orrore.
Molto bella anche l’immagine pittorica de “Il bastardo”, Oltretomba del 1980; anche qui l’immagine è stata riusata di recente da Daniele Francardi per la sua bella guida ai fumetti horror italiani. [2]
Nella collana Terror ricordo un numero del 1981, “Disgregazione” che allaccia una analogia pittorica col manifesto di “Incubo sulla città contaminata” di Lenzi, guarda caso dello stesso anno o poco prima. Nel manifesto campeggia un viso di donna che si sta squagliando; la donna urla, sullo sfondo lo skyline di una città americana e, sotto il viso della mutante, delle ombre caracollanti; sono gli infetti di Seveso, gli zombi atletici di Lenzi. La copertina del Terror Blu (variante fantascientifica porno horror alla prima serie dei Terror) è un evidente ricalco eseguito sulla base del manifesto del film. Vediamo di nuovo la donna urlante che si squaglia, solo che il fondo è uniforme, un nero, grigio che annulla skyline e zombi, eppure le evidenze ci sono e confermano una volta per tutte da quale serbatoio attingessero i copertinisti della serie a fumetti per trarre ispirazione. I maestri del disegno non conoscevano, se non per sommi capi, il contenuto dell’albo, quindi cercavano referenti visivi affini nella cartellonistica dell’epoca.
Veniamo ora a una serie di soggetti replicati più volte, diciamo i più gettonati.
La Hammer e gli horror Universal degli anni Trenta coi loro mostri-attori feticcio-beniamini.
Abbiamo già visto Lugosi imbalsamato nell’eterno abito da conte vampiro.
Segue Chris Lee con la faccia “pasticciata” del mostro di Frankenstein ripreso nella suggestiva immagine dell’albo “Sanguis”, collana Vampirissimo.
Chris Lee è una presenza costante.
Citiamo di sfuggita un Lo Scheletro presenta del 1975, “Il volto della paura” con la faccia accigliata dell’attore inglese e una bella ragazza nuda con i collant e le cosce spalancate. Il binomio brivido e pelo funzionava bene.
Un Lee già un pochino invecchiato, coi capelli brizzolati e la faccia allucinata, campeggia nella copertina di un Aldilà (serie piuttosto rara, in quanto ne sono usciti pochi numeri) del 1979 intitolato “Il piccolo Dracula”. Anche qui la scelta del copertinista è interessante. Ovviamente Lee non centra una mazza con la storia disegnata all’interno del fumetto. Certo centra il tema del vampirismo e da qui l’analogia con il più noto vampiro dei Settanta, l’attore britannico appunto. Probabilmente chi ha disegnato la tempera dell’illustrazione aveva come riferimento solo il titolo del volume e si è dovuto arrangiare.
Lee ritorna anche in uno Zora dal titolo bisillabo “Pipì”. La figura di copertina è un papocchio geniale. La faccia di Lee, vagamente richiamante il trucco del suo Frankenstein, la figura di Lon Chaney truccato come nel film “London after Midnight” di Browning con l’eterno rictus sulla bocca e la lampada innanzi a sé. In primo piano una mummia infoiata tra i seni di una procace madamina con reggicalze rosse. Magnifico!
I mostri classici fanno la loro porca figura su un Sukia del 1980, un’avventura in due parti (peraltro una delle più belle; vagamente somigliante a un numero di Martyn Mystere ancora a venire e, nello spirito anarchico e giocoso, al dittico di Morrissey), “Un film per Frankenstein” e “Il mostro sulla bambola di gomma”. Il secondo (con un titolo che da solo vale il Nobel) presenta il classico mostro di Boris Karloff con tanto di smanicato di montone da “The Bride of Frankenstein” che abbraccia appunto una bambola gonfiabile e fa una faccina felice. Dietro, una bara che si apre e Sukia in vestaglia pronta ad uscire. Che combineranno mai due personaggi così?
Tra l’altro, il personaggio di Sukia è già di suo legato mani e piedi al cinema.
La bella vampira di New York ha le fattezze (nelle copertine, perché dentro gli albi la cosa sfuma, si perde) di Ornella Muti nel pieno della sua bellezza e questo ci rende maggiormente soddisfatti: infatti è come immaginare la bella Ornella impegolata in avventure malate e zozze, fitte di scopate e sbudellamenti. Magari ne avesse girata di roba così!
Altre copertine, altri classici.
Zora “Il licantropo”, con Peter Cushing zombi da “Tales from the cript”. Altro papocchio di mostri che mai si sono incontrati, ma che grazie a Renzo Barbieri possono farlo in barba a qualunque copyright. Jacula “Il circo Pellin” è una illustrazione immensa: in alto sulla destra c’è il Boris Karloff dei “Vurdalak” di Bava, un pochino dietro, sempre sulla destra e in mezza figura, la sagoma del Fantomas di Jean Marais. Sulla sinistra, un vampirologo intento a trafiggere un bella vampira adagiata nella bara. In primo piano una ragazza discinta che forse balla un cha cha cha scatenato sotto l’attenzione del Nosferatu di Max Schreck.
L’immagine dell’Oltretomba ristampa n.9 raffigura una ragazza solo con le mutandine e le braccia legate e la sagoma di Lon Chaney truccato da Fantasma dell’Opera che allunga le mani verso di lei.
Sempre il Fantasma dell’Opera di Chaney se la ghigna sul corpo dell’ennesima pin-up denudata e legata con delle catene in uno Scheletro presenta del 1974 intitolato “Lo specchio del mostro”. E siccome è il 1974 e zio Jess Franco imperversa coi suoi capolavori omaggio al cinema di Erle C. Kenton, non può mancare anche il suo Frankenstein cretino che arriva dal fondo della copertina e avanza verso la ragazza in catene e verso Chaney. Sulla destra anche il Dracula di Lee, ma è poco somigliante. L’anno e la copertina ci dicono molto sul mutamento nella produzione cinematografica, con l’imbastardimento dei modelli originali, superati o mescolati con le nuove icone trash provenienti dal B-cinema più bastardo e incontrollato (leggi anarchico e liberissimo: Adamson, Franco, Morrissey e Brocani).
Lo spazio per i classici si riduce.
Un richiamo a Hitchcock nella collana I Notturni, albo “Artigli insanguinati” che in copertina cita “Gli uccelli”, ma all’interno richiama il film Amicus “Artigli”, appunto.
Un’icona rifatta è il Nosferatu di Kinski sulla copertina della collana Aldilà, “L’indemoniato” del 1979, ennesima conferma di un modo di lavorare che attinge dalla pubblicistica sotto mano, innescando un curioso “effetto di ritorno”, con i fumetti neri a fare da ufficio stampa per il lancio della pellicola di Herzog.
Variante sul classico sono le citazioni all’attore messicano Abel Salazar interprete di un Conte vampiro nei film La stirpe dei vampiri e La bara del vampiro. Salazar lo vediamo sul Super Zora “Duro” mentre bercia una figa bionda (Zora, che da copertina a copertina non sempre conserva le medesime fattezze; esempio, sul primo numero la vampira porcona è il ritratto sputato di Catherine Deneuve, cosa che poi si perde…) in reggiseno e mutandine e gambe spalancate; la ragazza è intenta a sfregarsi la patonza su un bel teschio umano. Erotismo e morte, Eros e Thanatos per non farci mancare nulla.
Ancora Salazar nel Super Sukia “Ufofollia” (altro titolo supremo) con la copertina affastellata di facce note: c’è una Muti in vestaglia e i suoi occhi di liquirizia, il mostro vampiro impersonato dall’attore messicano che si erge da una tomba e afferra malamente il viso di una sventurata. Dietro a tutti, stagliato sul cielo, il viso in pre-mutazione di Oliver Reed copiato dal film “L’implacabile condanna”.
Sempre Sukia, serie regolare, è “Vendetta dall’Oltretomba” con la bella Ornella alle prese con dei morti viventi col saio da frati, copiati da “La lunga notte dell’orrore” di Gilling.
Un ritorno a cose di casa nostra è il Cimiteria “Uccello arrosto” (ragazzi, ragazzi!) con copertina appunto cimiteriale: la bella non morta ci mostra il culo e le grinze di un piedino (lievemente sporco di terra). Attorno la desolazione di un camposanto calcinoso, tracce di pale, tombe scoperchiate e, in primo piano, un mostro identico al Frankenstein rivisto e corretto da Mario Mancini e interpretato dall’immenso Xiros Papas in “Frankenstein 1980”. Anche qui, le date si conciliano. Il film di Mancini è del 1972 e qualcosa, l’albo è del 1979.
Il ciclo dei classici, come già spiegato, nel corso dei Settanta, esaurisce la sua forza attrattiva e si sperimenta con le nuove icone o le nuove elaborazioni di vecchie icone. Ecco allora che il vampiro rimane la presenza prediletta in queste pubblicazioni (minore è l’incidenza dei morti viventi romeriani [3], a cui si preferiscono le declinazioni classiche di Gilling, o dei mannari): sui Sanguinari n. 31, anno 1977 intitolato “Ritorno dalla tomba”, ecco apparire in copertina il Dracula di Howard Vernon (per chi scrive il migliore in assoluto) preso pari pari dalla cartellonistica di “Dracula contro Frankenstein” di Franco. Vernon dispiega le ali del suo mantello sul corpo (morto?) di una giovane ignuda adagiata dentro una bara.
Lasciamo i classici e imbastardiamoci con altre mitologie.
Il Vampiro presenta (una delle collane più belle, per qualità delle storie raccontate) intitolato “La tomba di Rasakam” mette in copertina la figura del boia scarlatto intento a marchiare una desnuda incatenata. L’albo è del 1976 e se il gotico cinematografico (italiano) si è praticamente concluso, sui fumetti fa ancora abbastanza presa.
Certi volti, certi attori poi non si limitano a infestare le copertine ma trasmigrano all’interno degli albi: è il caso di un Vampiro presenta, “La baita maledetta” dove, tra i protagonisti c’è uno identico a Klaus Kinski solo con la variante di alcuni baffetti alla Hitler.
Ancora immaginario gotico da anni Sessanta fuori tempo massimo sono le citazioni ad altri tardi gotici come quelli di Emilio Miraglia col suo splendido “La notte che Evelyn uscì dalla tomba”. Su I Sanguinari “L’amuleto della morte” abbiamo la Erika Blank in tenuta sadomaso e stivaloni legata alla cavallina, pronta per essere marchiata a fuoco da una mano scheletrica.
E gotico puro è la bellissima illustrazione de Il Vampiro “Il mulino delle donne di pietra”, col titolo che parla da solo e, in copertina, la faccia di un mostro che assomiglia sinistramente al Baron Blood del film di Mario Bava “Gli orrori del castello di Norimberga” del 1972.
Gotica è l’immagine a tempera di Vampirissimo “Gilles De Rais Mostro” del 1976 che riproduce una scena già vista in due pellicole gotiche precedenti: mi riferisco a “Il boia scarlatto” e a “Nude per satana”, alla scena del ragnone di cartapesta che si avvicina alle grazie di una bella donnina nuda con la peluria in bella evidenza.
Cromatismo gotico e baviano per le tempere di copertina dello Zora “Il grande pube”, dove Zora ci appare nella sua folgorante bellezza naturale, immersa in una tonalità verdastra che contrasta col panno porpora adagiato su un tavolino con sopra il solito scheletro.
Gotico in salsa nostrana e pecoreccia è il Vampirissimo “L’eresia” che, in copertina, mette una scena che potrebbe benissimo provenire da qualche fotogramma scartato del Poselli di “Riti, magie nere e segrete orge nel 300”, con tanto di popputa biondina che cavalca un diavolo discoletto e godurioso. Poi l’interno dell’albo si perde su una meravigliosa scopiazzatura del tema dell’esorcista, ma non quello nobile di Friedkin, bensì quello più sporcaccione dei cloni italiani. Le tavole di Sandro Angiolini (con le sue donnine burrose e morbide agli occhi) riproducono fedelmente i momenti classici del genere con l’eretica che si gratta la patata e vomita sulla croce del pretino.
Pecoreccia è la copertina del Sukia “Api assassine” con il primo piano intensissimo della Ornella e, dietro di lei, il volto assetato di sangue di Rosalbona Neri presa dall’effige de “Il plenilunio delle vergini”. Si intravede ancora una bara aperta e uno degli zombi de “La lunga notte dell’orrore” di John Gilling.
Pecoreccia anche la citazione titolistica dell’eros-svastica “La bestia in calore”, che nello Zora n. 49 del 1976 diventa “Bestia in calore” e non centra nulla coi nazi-erotici.
Il gotico lascia la presa a nuove epiche sui Sanguinari “L’incubo dell’isola di Pasqua” con un mutante uscito fuori da un film filippino di Eddie Romero.
Richiami al fortunato film del dottor “Phibes” ne I Sanguinari “Un carico di morte” e ne Il Vampiro “Spazio chiama sangue”. Al suo interno poi, “Un carico di morte” riprende a grandi linee un piccolo film di fanta-orrore, “L’uomo di cera”.
Pura modernità citazionistica è Il Vampiro “L’anticristo” del 1977 con, in copertina, il Gregory Peck del film di Richard Donner “Il presagio”. Questa volta albo e contenuto combaciano, il fumetto è infatti una libera trasposizione del film.
E sulla qualità delle sceneggiature? Delle storie raccontate?
Ci vorrebbe un altro saggio e lo spazio è già troppo.
Diremo solo che la bellezza di questi fumetti risiede, oltre che nelle copertine, anche nell’essere così politicamente scorretti; oltre alle perversioni sessuali, le storie traboccano di sadismo e violenza che non guarda in faccia a nessuno; ci si poteva permettere cose che oggi sarebbero impensabili, come bambini che si masturbano tra di loro, o bimbe assalite e sfondate da mostri licantropi; nell’universo diegetico dei “neri” tutti hanno la fregola addosso, vecchi e bambini. Fottere è il motore immobile di ogni storia, i mostri e il gore ne sono il condimento.
Le storie di questi “neri” sono sfacciate, scorrette, cattive, incastonate tra castelli gotici e burroni, giusto per stemperare un pochino le situazioni sadiche.
Favole nere, per pornografi pendolari, mariti insoddisfatti, adolescenti perversi [4].
Bene.
Quel che volevo dire l’ho detto.
Si potrebbe continuare all’infinito (praticamente ogni albo presenta possibili rimandi), ma il giochino mostrerebbe la corda.
Vi invito a studiare e proporre altri connubi tra quel fertilissimo fumetto nero (quei fertilissimi anni editoriali) e il coevo cinema.
Concludo sottolineando il fatto che, nella seconda parte dei Settanta, saranno i film (italiani) a rifarsi alla fonte battesimale delle nuvole parlanti.
Cosa sono in fondo film come “La mano che nutre la morte”, “Le amanti del mostro”, “La morte sorride all’assassino”, “Terror il castello delle donne maledette” se non delle trasposizioni su pellicola delle meravigliose tempere e atmosfere di questi fumetti da edicola.
Il tempo li ha dispersi ma non cancellati.
Basta aggirarsi come degli zombi affamati tra le bancarelle dei mercatini dell’usato.
Gli anni Sessanta e Settanta sono annidati lì ad aspettarvi.
Davide Rosso
[1] L’episodio è riportato nel bellissimo volume “Cinefumetto” curato da Piselli, Morocchi e Bruschini per la Glittering Images.
[2] Daniele Francardi, Guida ai migliori (e peggiori) fumetti horror Made in Italy, Universitalia Roma 2013.
[3] L’Oltretomba intitolato “I morti viventi” è una sorta di remake a fumetti del primo classico di Romero, “La notte dei morti viventi”. L’impianto della trama è molto somigliante nei punti nodali del plot, soprattutto l’inizio e la fine, anche se mette in campo personaggi differenti rispetto al film del 1968, diciamo figure meno moderne, più vicine a un gotico di riciclo spagnolo che al masterpiece di Romero. L’impressione è che lo sceneggiatore abbia un ricordo vago del film o che neppure l’abbia visto, magari dirottato alla trasposizione da un qualche suggerimento dell’editore. Chi può dirlo?
[4] Nel medesimo periodo l’editore Gino Sansoni faceva la sua proposta alternativa di orrore a fumetti con la rivista “Horror”, periodico capace di coniugare classicismo e gotico (Poe, Bierce, Salgari, Arpino) al nervosismo pop della modernità. Crudeltà, orrore e ironia colta (con qualche spruzzata di sperimentalismo) sono la miscela culturale proposta dal dottor Horror rispetto al pecoreccio emulativo di Barbieri e soci. Con questo non si vuol dire che uno fosse migliore dell’altro, per carità: la bellezza dei fumetti neri del periodo esaminato risiede proprio nella loro irriducibile diversità e varietà. Barbieri e soci puntavano a vendere stuzzicando le parti basse del lettore. Castelli, Rostagno e Carpi stuzzicavano altro. Entrambi però hanno valorizzato esclusivamente il talento di sceneggiatori e disegnatori italiani, spesso sconosciuti.