BODY COUNT, THE ORIGINAL SCREENPLAY

…Now the woods are alive

with the sound of screaming…

Il camping del terrore è un film slasher prodotto nel 1985 e uscito in America nell’86, da noi l’anno successivo. La regia è di Ruggero Deodato, la sceneggiatura originale di Alessandro Capone & Luca D’Alisera. Musiche di Claudio Simonetti. Il cast comprende: Mimsy Farmer, Bruce Penhall, David Hess, John Steiner, Ivan Rassimov, Nancy Brilli, Charles Napier, Stefano Madia.
La trama: un gruppo di ragazzi arriva in un campeggio semi abbandonato per trascorrere una vacanza e scopre che anni prima la struttura era stata chiusa in quanto teatro dell’efferato omicidio di due giovani.

La comitiva decide di rimanere, ma la follia omicida del misterioso assassino (forse uno sciamano indiano, metà mostro, metà uomo) si abbatterà su di loro. Alla fine, i superstiti, scopriranno che il folle non è altri che il giovane figlio della coppia che gestiva il camping, rimasto traumatizzato da piccolo nell’assistere all’omicidio del vero sciamano.

Questi i dati.

Recentemente, la Spaghetti Pictures Italia ha edito un volume contenete le due sceneggiature originali del film, una in italiano, l’altra tradotta (con minime varianti nei dialoghi) in inglese con l’apporto di Sheila Goldberg. La pubblicazione ci ha permesso di scoprire molte cose interessanti sul film, uno dei rari slasher messi in produzione nel nostro paese.

In origine il film doveva essere diretto da Alessandro Capone, allora esordiente. I produttori però non si fidarono e gli offrirono di comprargli la sceneggiatura e affidarla ad altri. Così entrò in scena Deodato, che ne fece un grande film. Quel che non si sapeva era che Deodato, con Dardano Sacchetti, mise mano alla storia, cambiandola non poco.

Oggi è possibile mettere a confronto i due “testi”, quello filmico e la sceneggiatura. Nell’intervista (contenuta sempre nel volume edito) ad Alessandro Capone capiamo come lo script originale ponesse maggior attenzione all’aspetto thrilling della vicenda, senza alcun accenno alla figura dello sciamano indiano. Nelle pagine di Capone e D’Alisera si sente moltissimo l’intenzione di mescolare gli spunti maggiori di Venerdì 13 e Halloween, pellicole allora molto in voga e spendibili per una piccola produzione. Inoltre lo script suggerisce una maggiore ricercatezza delle immagini e degli omicidi dettagliati e paurosi. Così la figura dell’assassino, molto presente e invasiva. La sceneggiatura insomma sembra voler creare un ponte tra le dinamiche argentiane dei ’70 e il nuovo filone degli ’80, tutte cose che nella realizzazione si sono perse.

Vediamo adesso le principali differenze del testo letterario.

Intanto bisogna dire che Capone compone uno scritto a tratti molto letterario, ricco di sfumature e sensazioni atmosferiche che ne rendono godibilissima la lettura anche dopo 30 anni.

Le prime scene sono in bianco e nero e si aprono sul camping “la geografia del camping (…) l’umidità della notte ed una leggera nebbia, aiutate dalle mille voci delle creature notturne, conferiscono alle immagini una certa inquietudine, un senso di soprannaturale”. Tutto inizia con due ragazzi appartati nel bosco, in una piccola tenda canadese. Intanto, i gestori del camping sono in casa e si chiedono che fine abbia fatto loro figlio Ben, un piccolo bambino di 7 anni. Qualcuno uccide i ragazzi nella tenda, accanendosi sui loro corpi in una maniera che ricorda molto i delitti (allora contemporanei) del mostro di Firenze. “La mano dell’assassino continua a colpire con una ferocia inumana…Ora possiamo vederne il volto: un bellissimo bambino di 7 anni, biondo, occhi azzurri… Sul volto c’è dipinto un sorriso innocente quasi divertito mentre il sangue lo raggiunge dovunque con violenti spruzzi”. L’assassino è il figlio dei due gestori, Robert e Julia. Qui Capone e D’Alisera vogliono collegarsi direttamente all’incipit di Halloween di Carpenter, magari passando per il Nightmare rozzo e violento di Romano Scovolini, di poco precedente. Arriva la polizia, scoppia un casino. Julia vede il bambino e il coltello, capisce tutto e lo porta via con sé, lo protegge, lo nasconde. Qui è come se la madre di Jason si prendesse cura di Michael Myers!

Passano gli anni, siamo nel 1985. Il gruppo di giovinastri, come nel film, è in viaggio. Un guasto al motore li costringe a cercare un riparo per la notte. Trovano il camping, ormai abbandonato e fatiscente. Credendosi soli decidono di fermarsi. Come nella pellicola di Deodato, i bagni sono “una lunga fila di lavandini sovrastati da uno specchio, una fila di docce, i water. E’ tutto in stato di abbandono”. Una delle ragazze, come la Zora Kerova di Antropophagus, è una sensitiva e vede l’immagine di un bellissimo bambino di 7 anni insanguinato che le sorride dallo specchio d’acqua del lago lì vicino. Altra connessione forte con lo spettro di Jason che fa capolino dal lago di Crystal Lake! Comunque il camping non è abbandonato: i gestori, Robert e Julia, li sorprendono e chiamano lo sceriffo della contea, tale Charles McPerson. Dopo un tira e molla, concedono ai giovani di rimanere solo per la notte. Lo sceriffo è il più scontroso e si ricorda dei vecchi fatti di sangue.

Ok, inizia la notte e i giovani sono impegnati a montare le loro tende. Intanto qualcuno li spia dal limitare del bosco. Sentiamo il suo respiro affannoso. L’ombra scivola in una roulotte abbandonata e fruga delle riviste porno. Notte. Scoppia un uragano, il piazzale si riempie di fango e il camper rischia di scivolare in un burrone. I ragazzi si mettono a tirare con le funi e roba così. La mattina dopo, il camper non ne vuole sapere di rimettersi in moto e i giovani si trovano costretti a chiedere ancora ospitalità a Robert e Julia in attesa dei pezzi di ricambio. Carol ha altre apparizioni di gente morta ammazzata e lo dice agli altri, che la prendono per pazza e maniaca. Isolata la guastafeste, il gruppo riprende la festa a base di birra e testosterone giovanile. Intanto i gestori parlottano tra loro e sembrano nascondere un terribile segreto. Carol, isolata dagli altri, si aggira nel vecchio spaccio del camping e trova un libro di cuoio pieno di foto e articoli di giornale riguardanti fatti di sangue, “omicidi… ragazze trovate squartate da un misterioso assassinolo stesso ogni volta… omicidi e poi ancora omicidi… gli articoli parlano di caccia al mostro… altri articoli che cominciano a parlare di come il camping sia disertato ormai da turisti e visitatori… scomparsa la curiosità, ecco arrivare il panico… il campeggio si vuota… ancora fatti di sangue… ancora foto con i coniugi Blackwell e loro figlio Ben che cresce… alto, altissimo… spalle larghe ed un’espressione molto strana negli occhi (…) il camping viene definitivamente chiuso… del mostro omicida nessuna traccia… la disperazione dei gestori che cadono in miseria”. Naturalmente Carol non fa in tempo ad avvisare gli altri perché il misterioso assassino la massacra brutalmente. Uno dopo l’altro anche altri ragazzi fanno una brutta fine. Intanto lo sceriffo, a casa sua, chiama l’aiutante, e gli dice che non si sente tranquillo, vuole andare al camping e controllare la situazione.

Nel frattempo il mostro ammazza Sissy, la cicciona del gruppo (nel film era un maschietto col medesimo nome, però) mentre si masturba con le riviste porno dell’assassino. Robert, il vecchio gestore, trova i cadaveri e avvisa Julia. Vuole avvertire lo sceriffo e lei glielo impedisce, ammazzandolo a colpi di vanga (tutta la sottotrama della pellicola con Julia che se la filava con lo sceriffo e cornificava il marito qui non esiste). Una delle ragazze superstiti, Tracy è aggredita dal pazzo omicida, arriva Julia ma non l’aiuta, anzi. I superstiti si rinchiudono nel vecchio spaccio. Quando irrompe l’assassino misterioso danno fuoco a tutto. Julia brandisce una motosega e massacra i testicoli di uno dei ragazzi. Intanto l’assassino, che è suo figlio Ben, avanza tra le fiamme come in Halloween II nella scena finale dell’ospedale. Lo abbatte a colpi di fucile lo sceriffo, appena giunto sul luogo. Alla fine l’ultima ragazza si risveglia nel 1962. Forse era tutto un sogno (premonitore)?

E’ incredibile come anche in una piccola produzione come questa ci siano tante differenze tra la sceneggiatura e il film finito. L’opera (bellissima, lo ripeto) di Deodato è fedele a un certo canone basso dello slasher e si contamina (nella figura dello sciamano) di fantastico. Alla fine, anche nel film, l’assassino è Ben, ragazzo che ben si mimetizzava nel gruppo. Nel film Ben è un mostro biondo e altissimo, nascosto dalla madre e tenuto in cattività nel camping abbandonato. Questa cosa mi ha fatto venire in mente un’altra sceneggiatura di Capone, Thrauma di Martucci, dove anche lì c’erano due bambini e uno dei due istruiva l’altro per farlo diventare una sorta di mostro primitivo e analfabeta che giocava coi Lego. Inoltre nel testo scritto, l’assassino uccide in modi molto vari, suggerendo analogie e dettagli più da thrilling che da slasher. Anche l’incipit in bianco e nero e il finale, volevano portare la pellicola su livelli estetici più curati. Deodato sfronderà tutto, concentrandosi sul sincopato ritmo dell’ascia sciamanica.

Davide Rosso