THE CROPSEY FILM

Uno studioso come Mikel Koven ha studiato il rapporto tra leggende urbane & film slasher americani.

E’ interessante come, alla base di molti slasher, vi sia la medesima leggenda, riproposta in vari modi, tuttavia senza alterarne i tropi caratterizzanti.

Mi riferisco a una delle leggende urbane più conosciute (tra quelle horror), ossia quella del Cropsey Maniac.

Due studiosi, Lee Haring & Mark Breslerman, hanno scritto un articolo seminale sulla rivista New York Folklore del 1977 in cui svisceravano le origini, le varianti e le motivazioni sociologiche alla base di Cropsey.

Anzitutto si tratta di una leggenda che vanta numerose varianti nell’area di New York.

La storia di base vede protagonista un certo Cropsey, membro rispettabile della comunità, che vive in uno dei tanti campeggi dello stato di N.Y. col figlio. Quando una coppia (o un gruppo) di campeggiatori, accidentalmente, causa la morte del bimbo, Cropsey esce pazzo, si rintana nei boschi e attende l’anniversario della morte del figlio per scatenare la sua vendetta a colpi di ascia su altri campeggiatori.

La storia, diffusissima sul finire dei ’70, veniva narrata oralmente nei camping, coi counselor che raccoglievano il gruppo di ragazzini attorno ai tizzoni di un fuoco e avevano premura di concludere la storia con la medesima raccomandazione: “Cropsey è ancora là fuori e questa notte è l’anniversario che aspetta e voi potreste ricevere la visita della sua ascia a mezzanotte. Buona fortuna!”.

Nelle numerose varianti orali della leggenda, Cropsey è un uomo impazzito o un fantasma che aleggia sugli sleepaway camp come una maledizione che attraversa i decenni. Ciò che si perde è anche l’origine della parola Cropsey, cognome molto diffuso nell’area di New York.

La studiosa di folklore americano Libby Tucker rinviene una variante in cui Cropsey è il fantasma dello spirito di un bambino annegato (particolare che ci riporta direttamente al primo Venerdì 13 e alla leggenda di Jason).

Ciò che colpisce in Cropsey è il forte legame coi camping (scenario principe di molti slasher degli anni ’80). Il camp estivo era un momento topico di una middle class americana e un moderno rito di passaggio dei giovani adolescenti. I summer camp si diffondono nel corso del ‘900 e rappresentano una risposta alla crescente industrializzazione (e conseguente nevrosi) degli USA. Essi offrono un contrasto salutare al minore che, per la prima volta, può uscire dalla cerchia parentale e dai confini della città per scoprire un modo di vivere differente.

I bambini sono privati delle comodità domestiche usuali e del sostegno dei genitori.

Il loro carattere deve rafforzarsi, affrontare le difficoltà e imparare a convivere con un gruppo di coetanei che affrontano la medesima avventura.

Il rude contatto con la natura (e i suoi pericoli primigeni) è un modo per sviluppare nei piccoli quell’attitudine (tutta capitalistica) a saper affrontare e risolvere i problemi, in previsione della vita vera che li aspetterà da adulti (magari in qualche multinazionale dello sfruttamento).

In un summer camp i bambini rimangono a contatto coi loro coetanei anche 24 ore al giorno e possono trarre soltanto nel gruppo aiuto e sostentamento. A disciplinarli le figure adulte dei campeggiatori esperti, i counselor, coloro che li guidano alla scoperta dei pericoli che li circondano e li spingono a superarli.

E qui l’importanza delle storytelling.

Delle leggende urbane come Cropsey.

Ogni campo ha le sue leggende che vengono tramandate di anno in anno.

Lo scopo è appunto quello di unire il gruppo contro le avversità della wilderness, spingere i ragazzi a rispettare le raccomandazioni e gli ordini dei counselor nel maneggiare il fuoco o le armi da taglio.

Non è un caso infatti se tra le varianti di Cropsey vi sia proprio il fuoco, visto come un elemento pericoloso e incontrollabile. In natura da un fuoco non curato può scoppiare un incendio, pericoloso per gli altri e per gli animali, oltre che per l’ecosistema.

In certe narrazioni un familiare di Cropsey muore proprio per l’irresponsabilità nel maneggiare il fuoco di alcuni campeggiatori.

I counselor dunque usano le leggende per cementare con la paura il gruppo di ragazzini e spingerli a ubbidire ai vari divieti imposti.

Cropsey è perfetto allo scopo.

E per questo lo ritroviamo, camuffato, in molti film seminali del genere slasher.

Sulla variante del bambino annegato abbiamo l’esempio di Venerdì 13 di Sean S. Cunningham.

Ma anche nel secondo episodio, Venerdì 13 parte II (1981) di Steve Miner, Cropsey aleggia con una certa insistenza. In questa pellicola, il counselor del camping raccoglie i suoi giovani aiutanti attorno a un fuoco e assolve al compito assegnatogli raccontando appunto la leggenda di Jason, leggenda che ha molti punti di contatto con quella repertata da Haring & Breslerman nel 1977.

Ad esempio anche Jason diviene pazzo dopo la morte di un famigliare stretto (la madre).

Anche Jason muta e da bravo bambino incustodito diviene un mostro deforme.

Inoltre, nella scena sopra riportata, il counselor ha cura di concludere il suo racconto dicendo che l’uomo nero dei boschi è ancora in giro, affamato e cattivo, monito per coloro che non rispetteranno le regole del campo e si allontaneranno dai sentieri tracciati.

Sempre in Venerdì 13 parte II l’iconografia di Jason pare perfettamente ricalcata sull’uomo dei boschi. Egli è un uomo o forse un fantasma che aleggia. Concreto e tangibile e al contempo già indistruttibile. Indossa abiti boschivi e calza un sacco di iuta col foro per un solo occhio. Un villain da manuale per stupratori mentalmente deficienti. Jason si è costruito una baracca nel cuore del bosco, nella quale ha costruito un reliquiario per la testa mozzata della madre.

Ed è in suo onore che uccide.

Un film che affronta di petto la leggenda di cui stiamo parlando è il bellissimo slasher di Tony Maylam, scritto tra gli altri da Bob Weinstein, The Burning (1981). Qui Cropsey è il custode di un fantomatico camping chiamato Blackfoot e diviene vittima di alcuni ragazzi del camp che lo sfigurano col fuoco (elemento chiave, come abbiamo visto, della leggenda originale). Dopo 5 anni di ospedale, Cropsey esce e torna libero nei boschi, sfigurato e vendicativo, con una forbice da giardinaggio pronta a calare sui ragazzi dello Stonewater Camp. All’inizio della pellicola vediamo il maniaco appena uscito dalla clinica che passeggia per le vie della metropoli illuminata dai neon dei porno shop, il che ci riporta a certe pellicole urbane e luride di William Lustig. Poi il camping e i boschi sono quelli di Venerdì 13, infestati da ragazzini e ragazzine deficienti. L’idiozia regna sovrana e a poco servono le ramanzine dei counselor anziani che, attorno al fuoco (in una sequenza identica a quella seminale di Venerdì 13 parte II) rievocano la leggenda di Cropsey per spaventare e promuovere lo spirito di gruppo dei giovani e incoscienti campeggiatori. Insomma, The Burning ci mostra tutto il campionario classico di scherzi sotto la doccia, agonismo sportivo con calzini bianchi impregnati di sudore, scarpe da ginnastica masticate, bulli tamarri da manuale, giovincelle obese, zattere sul fiume. Su tutto aleggia l’ombra thrilling di Cropsey e delle sue cesoie. Omicidi brutali e realistici coronano la carriera di Tom Savini.

Identico nell’ispirazione di base è il bel film di Joe Giannone Madman (1981). Anche qui abbiamo una variante molto fedele dell’uomo nero con l’ascia. Il suo nome è Madman Marz ed è un uomo molto cattivo che abusa della sua famiglia. Una notte, ebbro di alcool, li uccide con l’accetta, ma i contadini dei dintorni lo giustiziano impiccandolo. Il mattino successivo il corpo di Marz è scomparso. Passano gli anni e dei giovani campeggiatori, raccolti intorno a un fuoco ebbro di leggende, dovranno verificare fino a che punto un racconto orale può uccidere. Madman è un film veloce e asciutto come solo certe pellicole degli anni ’80 riuscivano a essere. E la sagoma del mostro dai lunghi capelli bianchi, la salopette e la faccia grinzosa è di quelle che rimangono impresse.

Ma Cropsey può essere un fantasma come un uomo sfigurato e pazzo.

E può duplicarsi o triplicarsi.

Nello splendido Just before Dawn (1981) di Jeff Lieberman, Cropsey assume le forme di due gemelli obesi armati di lunghe seghe. Qui il lavoro del regista si concentra sulla regressione allo stadio animale della protagonista femminile per poter sopravvivere.

Altre metamorfosi sono riscontrabili nel seguito di Sleepaway Camp. Il numero 2 (1987), diretto da Michael Simpson, vede la leggenda del massacratore di campeggiatori perdere un sesso preciso. E’ un “him”, una “she”, un “It”? Angela, l’omicida della serie, è ormai una leggenda urbana che si tramanda di bocca in bocca e torna a minacciare i sonni dei ragazzini più amorali e riottosi alla regolarità della vita in comune.

Anche nello slasher italiano più compiuto, Il camping del terrore di Ruggero Deodato non è difficile rinvenire tracce sintetiche del mostro dello Staten Island nella figura evanescente dello Sciamano. Iconograficamente le due figure sono sovrapponibili. Capelli bianchi da pazzo, faccia raggrumata dal tempo e un’ascia sempre a portata di mano. Pur senza un cappello introduttivo (il fuoco, l’annegamento), lo Sciamano infetta i boschi di una non meglio specificata località statunitense (in realtà siamo nello stupendo Gran Sasso) ed è pronto a calare la sua lama su tutti gli incauti campeggiatori o simili che si avventurano nel suo territorio.  Pur senza una grande originalità di base, Deodato è bravissimo a girare tutti i luoghi comuni del genere senza farsi mancare le docce dismesse nel bosco, i nudi e il solito ciccione scemo pura carne da macello. Anche certi omicidi ricalcano le pellicole americane come Venerdì 13 e The Burning.

Per venire a tempi più recenti, è possibile rintracciare l’ombra dell’uomo nero dei boschi anche nella serie di Wrong Turn (2003), in particolare nel primo episodio diretto da Rob Schmidt e interpretato dalla sensuale Eliza Dushku. Qui Cropsey è trino, duplicato in tre figuri regrediti e deformi che rimandano al Jason boscaiolo di Venerdì 13 parte II. I mostri di Wrong Turn si muovono fuori dai camping e aggrediscono chi capita nella loro porzione di foresta, colpevole di una inversione di rotta non dissimile dalle proibizioni dei counselor. Inoltre, pur usando le asce, i maniaci qui sono cacciatori cannibali.

Recente (2006) è anche la pellicola che ha dato vita a una trilogia, Hatchet di Adam Green. Hatchet riprende il grumo alla base di Cropsey e ne inverte i fattori. Qui è il padre a morire, dopo aver inavvertitamente sfigurato con l’ascia un figlio (Victor Crowley) già deforme e bersagliato dalla cattiveria degli altri bambini. Victor muore e risorge, divenendo uomo mostro tangibile e, al contempo, indistruttibile. Anche l’elemento del fuoco è ben presente, in quanto tutto inizia quando un gruppo di giovani appicca le fiamme alla baracca in mezzo ai boschi dove vivono i Crowley. L’ambientazione si sposta in una melmosa Louisiana impreziosita da un cast stellare (Tony Todd, Robert Englund, Kane Hodder) e i trucchi gore di John Carl Buechler. Adam Green gioca bene le carte e confeziona un film che parte già come un classico ma ha dalla sua l’autoironia e la leggerezza tipica di molti slasher post Scream.

Altro titolo da segnalare è il bel documentario Cropsey (2009) di Joshua Zeman & Barbara Brancaccio, scritto dallo stesso Zeman e fotografato splendidamente da Chad Davidson. Il documentario cerca di trovare delle radici reali alla base della leggenda urbana dell’uomo nero dei boschi e si concentra su 5 scomparse di minori nello Staten Island di N.Y. tra il 1970 e il 1980. Le scomparse e le uccisioni vengono ricondotte intorno a un fatiscente e inquietante istituto abbandonato per minori con gravi malformazioni. Nel documentario l’uomo nero ha un nome e un volto e, pur discostandosi dall’oralità fantastica del Cropsey di Haring & Breslerman, è altrettanto, se non più, disturbante. Ciò che colpisce maggiormente nell’opera di Zeman & Brancaccio è l’aver colto (attraverso immagini di repertorio, articoli di giornale e sequenze puramente atmosferiche in cui la videocamera riprende porzioni di boschi o il Willowbrook Mental Institution abbandonato, evocando scene di un film slasher mai girato e più inquietante di ogni altro) l’evidente impatto che la leggenda di Cropsey ha, in ogni variante, sui minori, sulla loro educazione e i loro traumi.

Carlotta Caron