ANTONIO MARGHERITI

Antonio Margheriti, noto anche come Anthony M. Dawson, è nato a Roma il 19 settembre del 1930 da una famiglia benestante: il padre Luigi era ingegnere delle Ferrovie dello Stato, mentre la madre Pierina si occupava di lui e dei suoi fratelli maggiori Lidia, Adriana e Alberto. Da piccolo visse nel quartiere Monte Sacro, allora in aperta campagna, ma all’inizio della guerra la famiglia si trasferì a Verona, dove Antonio frequentò il liceo scientifico.

Finito il conflitto, Margheriti tentò la carriera di calciatore, giocando nel Verona allora in serie C, ma fu costretto a ritirarsi a seguito di un infortunio. Così alla fine degli anni Quaranta tornò a Roma, dove si iscrisse alla facoltà di Ingegneria, ma dopo solo un anno abbandonò tutto per inseguire il sogno di entrare nel mondo del cinema. Osteggiato dalla famiglia, Antonio cominciò a scrivere racconti e soggetti tentando di farsi notare come regista dirigendo piccole rappresentazioni teatrali, pubblicità e documentari.

In quegli anni conobbe anche Miranda Bonardi, la donna che avrebbe sposato nel 1953 e che gli avrebbe dato due figli: Antonella, nata nel 1954, ed Edoardo, nato nel 1959. Poco dopo il matrimonio, Antonio cominciò ad avere fortuna e riuscì a lavorare per delle piccole produzioni cinematografiche della capitale iniziando a farsi conoscere, soprattutto come tecnico degli effetti speciali, collaborando anche con un Mario Bava, all’epoca ancora solo cineoperatore. Pian piano il suo nome iniziò a farsi strada anche tra le grandi produzioni e dopo un po’ di gavetta come montatore, produttore, sceneggiatore e regista di seconde unità, finalmente Antonio Margheriti riuscì nel 1960 a dirigere il suo primo film: si trattava di un esperimento nuovo per l’Italia, un film di fantascienza, territorio allora esplorato solo dagli inglesi e dagli americani: nacque “Space Men”… e il resto fu storia! Storia del cinema!

Considerato oggi uno dei più affermati registi di film di genere italiani, durante la sua carriera affrontò quasi ogni genere: dall’avventura agli spaghetti-western, dall’horror ai cannibal-movie, dai gialli ai fantasy fino alla fantascienza, eccellendo in particolare in quest’ultimo genere. Infatti Margheriti fu uno dei primi, e dei pochi, registi italiani a occuparsi di cinema di fantascienza aprendo la strada ad altri, come dicevamo, addirittura nel 1960 con “Space Men”. Tra gli altri suoi film sci-fi citiamo: “Il pianeta degli uomini spenti” (1961), il ciclo chiamato “Gamma Uno” (quattro film girati tutti nel 1965: “I criminali della galassia”, “I diafanoidi vengono da Marte”, “Il pianeta errante” e “La morte viene dal pianeta Aytin”), “Alien degli abissi” (1989) e la miniserie televisiva “L’isola del tesoro” (1987) in cui reinterpretò il romanzo di Stevenson in chiave futuristica.

Tra le pellicole horror ricordiamo: “La vergine di Norimberga” (1963), “Danza macabra” (1964), “I lunghi capelli della morte” (1964), “Nella stretta morsa del ragno” (1971), “La morte negli occhi del gatto” (1973), “Killer fish – Agguato sul fondo” (1978), “Il triangolo della paura” (1987).

Margheriti si occupò spesso durante la sua carriera di regista anche di film fantasy e avventurosi, tra i quali non possiamo non menzionare: “L’arciere delle mille e una notte” (1962), “Anthar l’invincibile” (1964), “I cacciatori del cobra d’oro” (1982), “Il mondo di Yor” (1983), “I sopravvissuti della città morta” (1984), “La leggenda del rubino malese” (1985).

Non accreditato, ha collaborato anche come regista della seconda unità e ideatore degli effetti speciali con Paul Morrisey, della factory di Andy Warhol, nella realizzazione dei cult movie “Il mostro è in tavola… barone Frankenstein” (1973) e “Dracula cerca sangue di vergine… e morì di sete!!!” (1974).

Per omaggiare una dei più grandi registi del cinema italiano, nel film “Bastardi senza gloria” (2009), Quentin Tarantino diede il nome di copertura di Antonio Margheriti a uno dei soldati americani al comando di Brad Pitt che avevano come scopo quello di uccidere Hitler.

Margheriti morì a Monterosi il 4 novembre del 2002.

Davide Longoni