4 MOSCHE DI VELLUTO GRIGIO

SCHEDA TECNICA

Titolo originale: 4 mosche di velluto grigio

Anno: 1971

Regia: Dario Argento

Soggetto: Dario Argento, Luigi Cozzi e Mario Foglietti

Sceneggiatura: Dario Argento

Direttore della fotografia: Franco Di Giacomo

Montaggio: Françoise Bonnot

Musica: Ennio Morricone

Effetti speciali: Cataldo Galliano

Produzione: Salvatore Argento

Origine: Italia / Francia

Durata: 1h e 42’

CAST

Michael Brandon, Mimsy Farmer, Jean-Pierre Marielle, Bud Spencer, Stefano Satta Flores, Marisa Fabbri, Francine Racette, Costanza Spada, Calisto Calisti, Oreste Lionello, Fabrizio Moroni, Aldo Bufi Landi, Tom Felleghy, Guerrino Crivello, Corrado Olmi, Gildo Di Marco, Leopoldo Migliori, Fulvio Mingozzi, Dante Cleri, Pino Patti, Ada Pometti, Jacques Stany, Renzo Marignano

TRAMA

Roberto Tobias è un batterista in un complesso rock. È pedinato da alcuni giorni da un misterioso individuo, nascosto in un impermeabile scuro. Una sera, finite le prove con la band decide di affrontare direttamente il proprio persecutore: accortosi nuovamente della sua presenza, lo segue fino all’interno di un teatro e lo uccide accidentalmente, utilizzando in modo maldestro lo stesso pugnale dello sconosciuto. L’omicidio viene fotografato da una persona che, con il volto nascosto da una maschera carnevalesca dalle sembianze infantili, si trovava già sul loggione del teatro e da quel momento comincia a perseguitarlo; essa si introduce di nascosto in casa sua, gli invia fotografie del delitto avvenuto e oggetti personali dell’individuo deceduto in teatro tra cui la sua carta d’identità dalla quale si evince che quest’ultimo si chiamava Carlo Marosi. Inizialmente Roberto non fa parola della cosa né agli amici più stretti, né alla moglie Nina, che si accorge però del suo nervosismo. Le minacce continuano: Roberto, in piena notte, viene aggredito dal proprio persecutore. Solo a questo punto mette al corrente la moglie di quanto gli è appena accaduto e dell’omicidio di cui è stato protagonista. In un secondo tempo Roberto si rivolge a un suo amico eccentrico che vive in una baracca, Diomede, soprannominato Dio, che gli consiglia di rivolgersi a un investigatore privato economico ma affidabile, Gianni Arrosio. Nel frattempo, la domestica di Roberto, venuta a conoscenza dell’identità del persecutore e messasi in contatto con quest’ultimo per ricattarlo, viene uccisa nel parco dove aveva fissato l’appuntamento. Si scopre, frattanto, che Carlo Marosi, l’uomo che pedinava originariamente Roberto, in realtà non è morto, che il pugnale con cui è stato colpito era del tipo usato nelle finzioni cinematografiche: egli ha accettato di collaborare con l’assassino per mettere in scena la propria falsa morte. Dopo l’omicidio della domestica però decide di rompere ogni accordo con l’assassino e quando lo comunica al persecutore di Roberto finisce a sua volta ucciso, colpito al volto e strozzato con un filo di ferro. Roberto intanto è da tempo afflitto da un incubo ricorrente: la decapitazione di un individuo (di cui ignora l’identità) da parte di un boia armato di scimitarra, in una affollata piazza dell’Arabia Saudita. Impaurito, egli tuttavia non cede alle insistenze della moglie che lo sollecita ad allontanarsi da casa con lei, e lasciatala libera di partire, rimane solo con Dalia, cugina della consorte, con cui allaccia una relazione clandestina. L’investigatore privato Arrosio è un personaggio stravagante con alle spalle ben 84 casi falliti da quando ha iniziato la sua carriera di detective; in seguito si rivelerà un segugio dotato di fiuto fino, capace di avvicinarsi molto all’identità dell’assassino. Egli, analizzando alcune foto familiari fornitegli da Roberto, viene a capo di una notevole circostanza: scopre che il persecutore era stato chiuso anni prima in un manicomio a causa di una grave paranoia omicida provocata dal padre adottivo, cessata dopo la morte di quest’ultimo. L’investigatore Arrosio non fa in tempo a riferire quest’ultima scoperta a Roberto: mentre è alle calcagna del persecutore nei sotterranei della città, viene da questi ucciso in un bagno della metropolitana con un’iniezione micidiale al torace dopo essere stato stordito per mezzo di una bastonata sulla fronte. Emblematica la sua morte con il sorriso, felice di aver risolto il suo primo caso. In seguito è la volta di Dalia, che viene aggredita in casa di Roberto e uccisa a coltellate dopo aver iniziato ad avere dei sospetti sull’identità del persecutore. È a questo punto che la polizia, incapace di identificare il colpevole, decide di fare ricorso a una moderna tecnologia: esaminando la retina della defunta Dalia si ritiene possibile ricavare l’ultima immagine impressa su di essa prima della morte e, si spera, il volto dell’aggressore. Il tentativo, tecnicamente riuscito, risulta tuttavia vano, in quanto l’unica confusa immagine che emerge dalla retina di Dalia è quella di quattro mosche, sfocate e sgranate, che, poste l’una dietro l’altra, formano una specie di arco. A fronte del mistero, a Roberto non resta che aspettare a casa, armato di pistola, il proprio aggressore. In una notte di vento, ecco la soluzione del caso: sua moglie ritorna inaspettatamente cercando di convincerlo ad andare via insieme a lei, ma Roberto rifiuta dicendole di prendere l’automobile e allontanarsi da lì. Mentre spinge Nina fuori di casa, nota il suo ciondolo: una mosca. L’ultima immagine vista da Dalia era quindi il ciondolo di Nina che oscillava: il persecutore assassino, quindi, è proprio sua moglie. La donna, dopo averlo ferito a un braccio con la sua stessa pistola, confessa a Roberto di volerlo uccidere per vendicarsi di suo padre, a cui lui somiglia molto. Nina racconta che il padre, volendo ad ogni costo un figlio maschio, l’aveva fatta soffrire picchiandola, facendola vestire da uomo e mortificandola. Per questo motivo, accecata dalla follia e dalla rabbia, era finita in manicomio. Per tre anni, aveva progettato di uccidere suo padre, per liberarsi della sua paranoia; alla morte di quest’ultimo, avvenuta proprio mentre la ragazza si trovava in manicomio, aveva cercato invano qualcuno che gli somigliasse per potersi vendicare. E l’incontro con Roberto era stato per lei un miracolo. Mentre tenta di uccidere Roberto sparandogli, Nina viene messa in fuga da Diomede, ma l’auto finisce contro un grosso camion ed ella muore decapitata: il condannato decapitato protagonista dell’incubo ricorrente di Roberto era proprio Nina.

NOTE

“4 mosche di velluto grigio”, diretto da Dario Argento (“Suspiria”, “Profondo Rosso”, “Inferno”, “Phenomena”, “Opera”, “La sindrome di Stendhal”, “Giallo”, “Dracula 3D”… giusto per citare alcuni titoli), è stato girato fra Torino, Milano, Spoleto, Tivoli e Roma, ed è il terzo capitolo della cosiddetta “Trilogia degli animali”, insieme a “L’uccello dalle piume di cristallo” e “Il gatto a nove code”.

Il film, nel descrivere il menàge fra Roberto e Nina, contiene alcuni riferimenti autobiografici. Lo stesso Michael Brandon (“Captain America: Il primo Vendicatore”) fu scelto dal regista perché gli somigliava vagamente, come pure Mimsy Farmer (“Macchie solari”, “Black Cat”, “Camping del terrore”), scelta per il ruolo della moglie del protagonista dopo aver repentinamente scartato altre attrici candidate al ruolo di Nina Tobias, assomigliava all’ex moglie del regista romano.

Il personaggio di Diomede, interpretato da Bud Spencer (conosciuto per aver recitato quasi sempre in coppia con Terence Hill, ha interpretato anche lui alcune commedia fantastiche, come “Uno sceriffo extraterrestre… poco extra e molto terrestre” e il suo seguito “Chissà perché capitano tutte a me”), è originariamente presente nel romanzo “La statua che urla” di Fredric Brown, da cui è stato tratto il primo film di Argento, “L’uccello dalle piume di cristallo”.

La magistrale sequenza finale del film, girata a 18.000 fps fu un’idea suggerita ad Argento dall’organizzatore generale Angelo Jacono.

La casa di Roberto è, nella storia del film, in via Fritz Lang, evidente omaggio al maestro del cinema espressionista tedesco, ma nella realtà si tratta del viale dell’Esperanto nel quartiere EUR di Roma, vicino al PalaLottomatica, strada rimasta pressoché inalterata. A poca distanza da dove, undici anni dopo, Dario Argento girerà alcune scene romane di “Tenebre”.

Per quanto riguarda le musiche, il regista, essendo un grande appassionato di rock, inizialmente prese in considerazione i Deep Purple per la colonna sonora, ed essi avevano iniziato già a scrivere alcuni temi, quando il progetto sfumò a causa della legge italiana, che non permetteva l’elargizione di finanziamenti pubblici alla produzione di una pellicola, in caso di coinvolgimento di artisti stranieri. Alla fine Argento decise di rivolgersi a Ennio Morricone (inutile provare a dire qualche titolo, no?), già celebre all’epoca per le musiche composte per i film di Sergio Leone, e con il quale aveva già fruttuosamente collaborato in “L’uccello dalle piume di cristallo”. Però, a seguito di contrasti nati durante la lavorazione, Dario Argento e Morricone non avrebbero più lavorato insieme fino a “La sindrome di Stendhal” del 1996.

“4 mosche di velluto grigio” è l’unico film di Argento a non essere stato trasmesso per lungo tempo (dal 1992 al 2008) dalle emittenti televisive italiane e a non essere uscito nel mercato italiano home video prima del 2009, né in VHS e né in DVD a causa di problemi legati ai diritti d’autore. Benché fossero state annunciate ipotetiche uscite video nel 1999, nella seconda metà del 2000 e nel 2003, e si fossero dimostrati interessati sia la Filmauro di Aurelio De Laurentiis che la Dragon Entertainment, la prima uscita in DVD risale al febbraio 2009. I diritti del film per l’Italia erano detenuti dalla Cine International Corporation, succursale europea della americana Paramount Pictures. Il contratto di distribuzione stipulato nel 1971 era scaduto il 31 dicembre 1991 senza che qualcuno avesse nel frattempo provveduto a trovare un nuovo distributore. Dal 1º gennaio 1992 il film era tornato dunque di proprietà della Seda Spettacoli: dal momento però che la società italiana era fallita nel 1983, i diritti sono stati automaticamente trasmessi a Dario e Claudio Argento, che a tutt’oggi li detengono per tutto il mondo, tranne che negli Stati Uniti d’America. Negli Stati Uniti D’America, infatti, la pendenza dei diritti rientra ancora nelle disponibilità della americana Paramount Pictures. Recentemente, dopo varie vicissitudini legali, la pellicola è uscita in DVD per la 01 Distribuzione.

Del film esiste anche una versione stampata e distribuita in super 8, alla fine degli anni Settanta. La qualità è tuttavia mediocre. Altri film di Argento con le stesse caratteristiche, prodotti privi di autorizzazione, furono realizzati nella stessa epoca: “L’uccello dalle piume di cristallo”, “Profondo rosso” e “Suspiria”.

La sceneggiatura romanzata del film (scritta da Nanni Balestrini) è stata pubblicata dall’editore Newton Compton nella prima metà degli anni Novanta, assieme a quelle de “L’uccello dalle piume di cristallo” (Nanni Balestrini), “Il gatto a nove code” (Nanni Balestrini), “Profondo rosso” (Nicola Lombardi), “Tenebre” (Luigi Cozzi), sotto il titolo “Profondo Thrilling”. Allegata al libro c’era anche una scheda tecnica di “4 mosche di velluto grigio”.

Davide Longoni