GLI OCCHI FREDDI DELLA PAURA

SCHEDA TECNICA

Titolo originale: Gli occhi freddi della paura

Anno: 1971

Regia: Enzo G. Castellari

Soggetto: Enzo G. Castellari e Tito Carpi

Sceneggiatura: Enzo G. Castellari, Tito Carpi e Leo Anchoriz

Direttore della fotografia: Antonio Lopez Ballestreros

Montaggio: Vincenzo Tomassi

Musica: Ennio Morricone

Effetti speciali: Giancarlo De Leonardis e Otello Sisi

Produzione: José Frade

Origine: Italia

Durata: 1h e 35’

CAST

Giovanna Ralli, Frank Wolff, Fernando Rey, Gianni Garko, Julian Mateos, Karin Schubert, Leonardo Scavino, Franco Merletta

TRAMA

Il regista ci introduce subito in un’atmosfera morbosa che prelude al crescendo di tensione da cui è caratterizzato l’intero film. Le prime sequenze ci mostrano il primo piano di un coltello tra le mani di un misterioso killer che si avvicina al corpo seminudo di una sensuale Karin Schubert. Da notare la sequenza della lama che si riflette sul volto in controluce della donna e la bella attrice svedese che interpreta la solita parte della ragazza destinata a essere violentata e poi uccisa. C’è però un doppio colpo di scena perché il presunto killer recide slip e reggipetto della donna e la possiede. Durante l’amplesso è la ragazza che uccide l’uomo e alla fine lo spettatore si rende conto che era soltanto uno spettacolo teatrale al quale l’avvocato Peter (Gianni Garko) e la sua squillo (Giovanna Ralli) stavano assistendo. Karin Schubert non fa altro, perfetta in una parte che prelude di lì a poco al suo passaggio al cinema porno. Il vero terrore però deve ancora cominciare e si scatena non appena il giovane avvocato entra in casa e comincia ad amoreggiare con la prostituta. Giovanna Ralli, poco solita a interpretazioni erotiche, lascia intravedere qualcosa, anche se dice bene Marco Giusti che in quel ruolo una come Edwige Fenech sarebbe stata più adatta. Il critico romano purtroppo poi equivoca sulla trama quando sostiene che Garko è un giudice, mentre si tratta solo di un avvocato figlio del giudice interpretato da Ferdinando Rey. La musica si fa intensa, il montaggio serrato e alla fine i due amanti vedono interrotta una serie di audaci palpeggiamenti da un cadavere che cade e da un malfattore (Julian Mateos) che irrompe nella stanza. Comincia un gioco di sguardi che si fa intenso e i particolari anatomici degli occhi, i primissimi piani dei volti, servono per aumentare la tensione narrativa. Arriva anche il secondo malfattore (Frank Wolff) che pare il cervello dei due, prende il posto di un poliziotto che uccide e si introduce nella casa. Poco a poco si viene a scoprire che quindici anni prima l’uomo è stato condannato dal padre di Garko che al contrario ha salvato dal carcere molti personaggi influenti ma colpevoli quanto lui. Le ragioni per una vendetta del criminale ci sono tutte e per questo ha organizzato un attentato al giudice per mezzo di una bomba, ma le cose vanno male e la macchinazione viene scoperta. Il finale è un crescendo di tensione che raggiunge il culmine quando Garko provoca un corto circuito e approfittando del buio profondo elimina i due banditi. Lo aiuta pure Giovanna Ralli che prima di morire pianta le unghie negli occhi del criminale più pericoloso. Emblematica l’ultima sequenza che vede di fronte padre e figlio. Il giovane avvocato getta a terra con disprezzo il fascicolo di una causa che resterà per sempre sulla coscienza del giudice.

NOTE

L’horror e il thriller sono due generi che Enzo G. Castellari non ama troppo, lo dice lui stesso in molte interviste, l’ha ribadito pure dal palco livornese durante il “Joe D’Amato Horror Festival 2004”. Castellari ha grande rispetto per chi sa fare questo cinema ma ribadisce con fermezza che lui tanto per cominciare con l’horror non c’entra niente. Ed è ben contento che Zombi 2 l’abbia girato Lucio Fulci, di sicuro molto più adatto a un cinema truculento e ricco di effettacci. Castellari viene fuori alla grande solo quando si parla di cinema di azione, western, poliziottesco, avventura pura, fantastico e postatomico. Basta ricordare Sensitiva (che qualcuno chiama Kyra, la signora del lago e altri addirittura Sensitività che in italiano non si sa neppure cosa voglia dire), un horror italo – spagnolo del 1979 che Castellari rinnega con tutto se stesso. Nel film c’è la bella Leonora Fani nella parte della ragazzina indifesa che se la vede con Laura Yanez (Caterina Boratto) detta Kyra, una strega che combatte a suon di maledizioni. Un horror pessimo girato a basso costo che Castellari non avrebbe neppure voluto firmare, una cosa da dimenticare che uscì in Italia solo dieci anni dopo con aggiunte e tagli apocrifi.

Il cinema thriller è un altro genere fuori dai canoni di Castellari, ma qui il discorso è più complesso e interessante perché l’unica prova del regista romano risulta tutt’altro che da disprezzare.

Gli occhi freddi della paura è un thriller erotico del 1971 scritto e sceneggiato da Castellari con la collaborazione del fido Tito Carpi e di Leo Anchoriz. La fotografia (a dire il vero un po’ troppo scura) è di Antonio Lopez Ballestreros, il montaggio (serratissimo) è dell’esperto Vincenzo Tomassi e le scenografie sono di Roman Catalayud Alegre. La musica è un gioiello d’autore composta da Ennio Morricone e suonata da un gruppo interessante composto da: Bruno Battisti D’Amario, Walter Branchi, Ennio Morricone, Bruno Nicolai e Vincenzo Restuccia. Produce la romana Cinemar in collaborazione con la madrilena Atlantida. Distribuisce Panta. Interpreti: Giovanna Ralli, Frank Wolff, Fernando Rey, Gianni Garko, Julian Mateos, Karin Schubert, Leonardo Scavino e Franco Merletta.

Il film è un bel thriller condito nelle prime sequenze da una giusta dose di erotismo morboso, che mano a mano sfuma sino a perdersi completamente e a lasciare il posto a un racconto nero intriso di sottili venature sociali. La pellicola è ambientata a Londra e per i pochi esterni necessari pare davvero girata in Inghilterra, visto che la maggior parte delle sequenze si svolgono all’interno della casa del giudice. Ricordiamo lunghe scene fatte di sguardi, telefoni che suonano, passi per le scale, respiri ansimanti e musica intensa che serve a fare atmosfera e a dare risalto all’azione. Wes Craven e la sua Ultima casa a sinistra (1972) verranno solo un anno dopo e cose come Arancia meccanica (1971) di Stanley Kubrick sono contemporanee. Castellari ha il merito di imitare poco e di inventare molto e pensare a questi due film simbolo in merito a tensione e violenza può servire a riflettere, pure se si tratta di lavori di uno spessore non paragonabile.

Fra i thriller erotici italiani del periodo un film intenso e claustrofobico come Gli occhi freddi della paura non perde il confronto con nessuno. La caratterizzazione psicologia dei personaggi è ottima. Gianni Garko è un giovane avvocato donnaiolo ma onesto e idealista, Fernando Rey è un giudice che pare integerrimo ma cede di fronte alle lusinghe del potere, Giovanna Ralli è una sgualdrina abbastanza credibile, Frank Wolff è la mente lucida del bandito che cerca solo vendetta e infine Julian Mateos è l’ingenuo succube trascinato in un’impresa più grande di lui.

La pellicola si avventura anche in un’interessante analisi sociale quando parla dei disordini che nel 1971 erano all’ordine del giorno a causa delle contestazioni studentesche. Sono parti appena accennate che non stonano nell’economia della pellicola e che riproducono intatto il clima dei tempi in cui è stata girata. Giovanna Ralli cerca di dare quel pizzico di malizia che Karin Schubert introduce a piene mani sin dalle prime sequenze e l’apprezziamo in un paio di scene nel bagno assieme a uno dei delinquenti. C’è pure una doccia stile commedia sexy ma appena accennata e purtroppo della Ralli vediamo solo la schiena, subito dopo parte il tentativo di seduzione nei confronti del criminale che però finisce male. Il bandito dice che lui non tradirà mai il compagno al quale è legato da un rapporto che va ben oltre l’amicizia.

Interessanti sono alcune parti oniriche come il lungo flashback dove il regista mostra l’omicidio del poliziotto secondo la soggettiva dell’assassino. Ma pure il sogno del criminale che immagina il giudice saltare per aria non è meno ben fatto. Su tutti resta l’immagine della follia del malfattore che si sente chiamare ancora una volta colpevole da un’immaginaria corte, vede il giudice che punta l’indice accusatore e alla fine grida affranto: “Perché soltanto io?”. A un certo punto si prova persino pena per questo assassino truffato dalla legge, che ha pagato per le colpe di tutti solo perché non aveva amici potenti a proteggerlo. Parte la stupenda scena finale, un vero “quarto d’ora da antologia” per dirla con il Mereghetti, dove nessuno parla ma accade di tutto. Garko fa scattare un corto circuito e si scatena il massacro.

Marco Giusti su Stracult definisce il film come “un thriller così e così, tutto ambientato nella casa del giudice, Gianni Garko (non è veronda), dove un malvivente arriva per vendicarsi della condanna che gli ha ammollato. (…) Un bel disastro al botteghino per il fallimento della produzione. Castellari ha diretto di meglio”. A parte le inesattezze, sul contenuto della critica non sono per niente d’accordo. Condivido in pieno le due stelle e mezzo di Piero Mereghetti che sul suo monumentale Dizionario scrive: “Castellari costruisce un thriller da camera teso ed efficace, sostenuto da buoni attori e dialoghi calibrati. La tensione non manca, anche se, una volta svelati gli intenti, si allenta un poco. (…) Al di fuori dei suoi generi preferiti Castellari sa utilizzare gli spazi chiusi affidandosi a grandangoli, allucinazioni, immagini frammentate (notevole il lavoro del montatore Vincenzo Tomassi al limite dello sperimentalismo)”.

Gordiano Lupi

(tratto dal libro “Il cittadino si ribella – Il cinema di Enzo G. Castellari” di Gordiano Lupi e Fabio Zanello, Edizioni Profondo Rosso)