SERGIO MARTINO, UN REGISTA DI GENERE 08

L’allenatore nel pallone 2

E arriviamo al termine di questa lunga carrellata nella vita artistica di un grande regista di genere: L’allenatore nel pallone 2 (2007) è l’ultimo film girato da Sergio Martino, dopo una lunga assenza dal grande schermo. La pellicola non è ha niente a che vedere con la commedia sexy, ma ci sono alcune sequenze che citano un genere ormai scomparso. Il film è girato nel 2007 ma esce l’11 gennaio 2008, distribuito da Medusa in ben seicento copie su tutto il territorio nazionale. Vista l’aria che tira per il cinema italiano è un bel successo, anche perché gode di un battage pubblicitario di tutto rispetto. Ne parlano radio, televisione, siti internet, blog dedicati, insomma è impossibile non sapere che esiste. Un lancio alla grande, inimmaginabile ai tempi della vera commedia sexy, quando solo il passaparola faceva scattare la voglia di andare al cinema.

Il cast tecnico vede la fotografia di Bruno Cascio, il montaggio di Alberto Moriani, Eugenio Alabiso e Alessandro Cerquetti, la scenografia di Fabio Vitale e i costumi di Valentina Di Palma. Soggetto e sceneggiatura partono da una vecchia idea di Sergio e Luciano Martino, rinnovata e aggiornata agli ultimi eventi calcistici da Roberto Cassini, Luca Biglione, Romolo Guerrieri, Franco Verucci e Lino Banfi. Produce Dania Film di Luciano Martino e distribuisce Medusa. L’elenco degli interpreti è interminabile: Lino Banfi (Oronzo Canà), Giuliana Calandra (Mira Canà), Anna Falchi (Gioia Desideri), Biagio Izzo (Fedele), Stefania Spugnini (Michelina), Alessandro Bonanni (Oronzino), Urs Althaus (Aristoteles), Joanna Moskwa (Myra), Andrea Roncato (Bergonzoni), Mirko Da Cruz Evora (Caninho), Andrea Baccan (Willy Borlotti), Emilio De Marchi (Ivan Ramenko), Milo Coretti (Burri), Maurizio Casagrande (Cherubini), Max Parodi (Brambilla), Andrea Peroni (De Santis), Lucio Montanaro (cameriere), Camillo Milli (Borlotti senior), gemelli Ceccarelli (i tifosi), Alessandro Caroppo (capo ultrà), Ivano Niosi (operatore tivù), Ettore D’Alessandro (Eliot), Antonio Zambito (Crisantemi) e Dino Cassio. Moltissime sono le partecipazioni di personaggi del mondo del calcio e della televisione nei panni di loro stessi: Marco Amelia, Fabio Galante, Alberto Gilardino, Alessandro Del Piero, Luca Toni, Alberto Aquilani, Cristiano Militello, Ilaria D’Amico, Sandro Piccinini, Giampiero Mughini, Little Tony, Claudio Lotito, Carlo Mazzone, Roberto Pruzzo, Francesco Graziani, Giancarlo Antognoni…

Ci fermiamo qui, ma abbiamo sicuramente omesso qualcuno.

Un cenno a parte merita la colonna sonora curata da Amedeo Minghi e va ricordata soprattutto La marcia di Canà, delizioso motivetto nella sigla di testa (quasi un cartoon con personaggi umani) che ricorda le vecchie sigle del cinema di genere anni Settanta.

La trama non è il punto di forza del film anche se cerca di seguire l’attualità sportiva, dalla vittoria ai mondiali, alle retrocessioni a tavolino, le frodi in bilancio e i recenti scandali di calciopoli.

Oronzo Canà ha da tempo abbandonato il mondo del calcio, ritirandosi con la famiglia in Puglia dove gestisce un’azienda agricola che produce olio. La pellicola inizia con una suggestiva parte onirica, un sogno di Canà nei panni di Lippi trionfatore ai mondiali, sigaro in bocca, parrucca bianca, trionfo che finisce male e testata conclusiva alla Zidane, ma il bersaglio del brusco risveglio è la moglie che rischia di veder scoppiare il seno rifatto. La famiglia Canà è composta da un genero infedele sempre dietro alle gonne della bella cameriera albanese, un nipotino tecnologico che fa rivivere la Longobarda con la playstation, una moglie che pensa solo a rifarsi parti del corpo e una figlia in lacrime per i tradimenti del marito. Canà viene chiamato ancora una volta alla guida della Longobarda, che un imprenditore milanese (figlio del vecchio presidente Borlotti) e un intraprendente russo riportano in serie A. La Longobarda approfitta di una serie di retrocessioni a tavolino frutto di squalifiche e penalizzazioni dopo scandali e frodi. Il rientro di Canà nel mondo del calcio porta in auge il modulo a farfalla, nuova incomprensibile tattica del mister pugliese, erede della mitica B – zona. L’allenatore tenta di mantenere in serie A la Longobarda, ma se la deve vedere con un fetido russo che investe nella squadra solo per portare a termine una serie di loschi traffici. La pellicola procede con il ritmo di un campionato di calcio condensato in cento minuti di proiezione. Canà è ospite di trasmissioni sportive dove conduttori come Ilaria D’Amico, Giampiero Mughini e Sandro Piccinini interpretano loro stessi. Anna Falchi, invece, è Gioia Desideri, giornalista a caccia di scoop che rivela l’esistenza di un figlio naturale di Canà: il calciatore Caninho. La madre del brasiliano risolve tutto e confessa che è una bufala, perché non ha mai fatto l’amore con Canà, quella notte lui era così ubriaco che ha soltanto dormito. Alla fine il presidente russo scappa con i soldi e lascia tutti senza una lira, ma l’orgoglio di Canà e dei suoi calciatori fa lottare la Longobarda per la salvezza anche senza stipendio.

Inutile raccontare la trama per filo e per segno. La pellicola si ispira completamente al primo L’allenatore nel pallone ed è impossibile apprezzarla a fondo se non si conosce l’originale. A partire dalla gag iniziale che vede il funerale di Crisantemi, eterno numero tredici che portava sfortuna, ma anche proseguendo con il giapponese che fa solo autogol e viene ceduto nel mercato di ottobre. Il suo nome è la traduzione di Crisantemi in lingua nipponica, regala crisantemi come fiori beneauguranti e porta sfortuna come il predecessore. Martino non perde l’occasione di citare la Marchigiana, altra squadra di fantasia comparsa in Mezzo destro, mezzo sinistro (1985) interpretato da Gigi e Andrea.

Lino Banfi ritorna a una comicità ruspante a base di finto pugliese come Ti spezzo la noce del capocollo e porca puttena, ma la corregge secondo i meccanismi del suo nuovo personaggio di successo televisivo. Banfi non è più il Canà di ventitré anni fa ed è anche giusto così, perché il tempo passa e il pubblico si è abituato a vedere l’attore pugliese in altre vesti. Banfi non tradisce il personaggio che lo ha reso famoso negli anni Settanta, ma lo rivede inserendo connotazioni tipiche del nonno televisivo. Importante la figura del nipotino telematico che aiuta l’allenatore con la tecnica moderna, gioca con la playstation, prepara schemi e consiglia calciatori. Altrettanto significativa la battuta finale, quasi strappalacrime, rivolta al calciatore Caninho in cerca di un padre: “Se hai bisogno di affetto ci sono qua io che te lo posso dare”. Banfi è ormai il nonno d’Italia, il buono per eccellenza, impegnato nel sociale, che risolve i problemi degli umili e dei diseredati. Non può limitarsi a dire porca puttena, mi sono ingriffeto e a guardare il sedere della prima che passa. Nella pellicola fa anche questo, pronuncia la battuta di grana grossa del calcio come antitesi al sesso perché ha il fallo laterale e la palla al centro, ammicca a cosce e seni che spuntano fuori in modo più che casto e si arrabbia come una volta esibendo la buffa mimica mani in bocca e occhi fuori dalle orbite.

L’allenatore nel pallone 2 cita la commedia sexy in alcune situazioni che mandano in estasi gli appassionati. Joanna Moskwa sale sulla scala per fare le pulizie in casa e Biagio Izzo è subito sotto per accarezzarle le gambe. Malizia (1973) di Salvatore Samperi, iniziatore della commedia sexy, è il riferimento d’obbligo, anche se la sconosciuta Moskwa non ha niente della classe di Laura Antonelli. La sequenza che vede un’assistente dell’arbitro supersexy vestita di rosso transitare con la bandierina in mano davanti alla panchina di Canà è ancora ispirata alla commedia sexy. La ragazza mostra maliziosamente sedere e lunghe gambe mentre i componenti della panchina vanno in ebollizione e guardano soltanto lei. Canà dice a una riserva che deve entrare in campo: “Riscaldati! Anzi no, raffreddati!”.

La citazione più importante della commedia sexy resta il personaggio di Anna Falchi, giornalista a caccia di scoop come lo era Edwige Fenech in Zucchero miele e peperoncino (1980) girato dallo stesso Martino. Le circostanze sono diverse, soprattutto meno spinte, ma la Falchi ricorre alla esibizione (molto parca) delle sue grazie per strappare a Canà la confessione sul figlio naturale. La italo – finlandese Anna Falchi (vero nome Anna Kristiina Palomaki), nata da madre scandinava e padre romagnolo, ex modella, maggiorata del piccolo schermo, ricorda le bellezze della commedia sexy anni Settanta e con molta immaginazione possiamo paragonarla a una Gloria Guida dei tempi moderni. Forse è vero, come lei stessa ha detto, che se avesse lavorato in quel periodo storico, il suo successo come attrice sarebbe stato maggiore. In questa pellicola se la cava bene, interpreta a dovere il ruolo della giornalista maliziosa che irretisce Canà e celebra un rientro in grande stile nel cinema popolare.

Biagio Izzo è la modesta spalla di Banfi, Fedele di nome e infedele di fatto, che non va oltre la solita caratterizzazione televisiva del personaggio impacciato e furbetto. Andrea Roncato cita il se stesso de L’allenatore nel pallone, manager di calciatori vecchi e spompati, orfano di Gigi Sammarchi, ma abbastanza credibile. Camillo Milli cita pure lui se stesso, vecchio presidente truffatore della Longobarda, icona dei caratteristi della commedia sexy, presenza importante che completa l’operazione nostalgia. I calciatori che partecipano lo fanno per scopo benefico e sono molte le sequenze da ricordare, ispirate al primo film o del tutto originali.

La parte onirica che vede un processo con Lino Banfi imputato tra i carabinieri Amelia e Galante è memorabile, sia per la requisitoria del pubblico ministero Buffon che per l’intervento del giudice Del Piero. Notevole è la battuta di Totti difensore d’ufficio che si rimette alla clemenza della corte: “Canà, ma quale difensore! Io sono attaccante”.

La pellicola procede per gag e sulla falsariga del primo film c’è anche una parentesi all’estero, in questo caso non a Rio de Janeiro ma a Monaco di Baviera, dove Canà pensa di acquistare Luca Toni ma viene truffato da un compaesano emigrato. Interessante la partecipazione di Toni nella parte di se stesso ma pure quella di Little Tony che si presta al gioco dell’equivoco e canta Cuore matto. Carletto Mazzone (allenatore che ispira il personaggio di Canà insieme allo scomparso Oronzo Pugliese) è protagonista di un incontro in treno con Lino Banfi. “Certo che non mi hai fatto fare una bella figura” dice. Da segnalare anche la presenza di un capostazione che ricorda Luciano Moggi (primo mestiere del discusso manager), ma il regista lascia cadere l’allusione nel vago. Pare che Moggi avrebbe dovuto prendere parte al film, ma il suo manager, Lele Mora, pretendeva di inserire alcune battute non gradite a regista e produzione. Alla fine non se n’è fatto di niente e resta solo una piccola parentesi – citazione che regala al film un ulteriore spaccato di attualità. Claudio Lotito, presidente della Lazio, ironizza su se stesso e i latinismi intellettuali, duettando con Banfi a colpi di mens sana in corpore sano, in hoc signo vinces e via di questo passo.

La parte conclusiva regala nuove citazioni della prima pellicola. Il brasiliano Caninho, confortato da Banfi, salva la squadra come aveva fatto in passato il nostalgico Aristoteles, innamorato della figlia di Canà. Da notare che Aristoteles è in tribuna a tifare Longobarda ed è lo stesso attore svizzero Urs Althaus, noto in Italia per la sua partecipazione a L’allenatore nel pallone, Arrapaho, Il nome della rosa e nelle serie TV Il commissario e Un medico in famiglia. Martino lo vuole nel cast come segno di continuità con il precedente lavoro. L’ultima scena ricalca volutamente il finale de L’allenatore nel pallone, solo che questa volta Banfi non viene preso per un coglione, ma per il culo dai due gemelli tifosi, nipoti dei nerboruti ultras di ventitré anni prima. Il gioco di parole resta ma viene modificato in una nuova esilarante gag che strappa una risata finale.

La pellicola abbonda di doppi sensi e si ispira a una vecchia comicità di grana grossa tipica della commedia sexy, ma resta un film per famiglie, dove la volgarità è quasi bandita. “Abbiamo fatto ciò che la gente si aspettava” confessa Sergio Martino. Ed è vero, perché il pubblico attendeva questo film con trepidazione, soprattutto chi ha amato L’allenatore nel pallone, lo ha visto in cassetta e in dvd, riconoscendo Martino come il regista di un cult imperdibile. Lino Banfi dice di aver avuto sollecitazioni da parte di molti componenti del mondo del calcio per scendere ancora in campo e interpretare Oronzo Canà, mitico allenatore della Longobarda. Pare che L’allenatore nel pallone sia una pellicola molto vista nei ritiri delle squadre di calcio per stemperare momenti di tensione. Totti afferma di conoscerla a mente. Sono molti i fan del primo film e il nuovo lavoro si rivolge soprattutto a loro che hanno decretato il successo di una pellicola snobbata dalla critica, uscita in un periodo nero del cinema italiano, che si è presa una rivincita con il successo nel mercato Home Video.

La regia di Martino è attenta, ricca di citazioni e di particolari, anche se in alcune scene si vede spuntare un microfono nella parte alta della pellicola e non è un indice di accuratezza. L’allenatore nel pallone 2 è una piacevole operazione nostalgia, un film costruito a tavolino con molta tecnica, poca naturalezza e genuinità, ma pur sempre un lavoro godibile e divertente. Il solo consiglio per apprezzare in pieno l’operazione, è quello di vedere il film dopo aver guardato con attenzione il dvd della prima pellicola. I riferimenti sono troppi e non si possono dare per scontati.

(8 – fine)

Gordiano Lupi