DELIRIO ALL’ULTIMA PALLOTTOLA – TUTTO IL CINEMA DI MICHELE SOAVI 04

La cattedrale maledetta

L’horror movie La Chiesa (1989) o “Sanctuaire” (“The Church”), girato in Technicolor e diretto da Michele Soavi, viene prodotto da ADC Film Srl, Cecchi Gori Group Tiger Cinematografica e Rete Italia (per il video, da Vivivideo 1989 e da Univideo 1995 e recentemente disponibile in dvd), grazie a Dario Argento, che ne è anche l’ispiratore.

Soggetto e sceneggiatura sono curati da Dario Argento, da Franco Ferrini e dal medesimo Soavi. Si tratta di uno dei migliori film prodotti da Dario Argento nel 1989. Originariamente destinato a Lamberto Bava e programmato come terzo capitolo del mini-ciclo dei Dèmoni, iniziato nel 1985 (La Chiesa doveva intitolarsi infatti “Dèmoni 3”), questa pellicola si avvale della regia di Soavi, al momento il miglior allievo di Dario Argento. Il fonico è Giulio Viggiani, il direttore della fotografia è l’ottimo Renato Tafuri (AIC), le foto di scena sono di Franco Vitale, la scenografia di Massimo Antonello Geleng, gli effetti speciali di trucco di Rosario Prestopino e gli arredi di Caterina Napoleone, mentre i brani musicali (musiche originali del tastierista Keith Emerson e dei Goblin) vengono eseguiti da Martin Goldray e dal complesso dei Goblin. Se le loro musiche sono spesso convenzionali, salvo gli ipnotici ritmi di Philip Glass, al contrario notevoli sono gli effetti speciali di Renato Agostino e, come sempre, ben riuscite le creature fantastiche create e realizzate da Sergio Stivaletti. Tuttavia questo film fa leva più sull’atmosfera alla Suspiria che sugli effetti speciali, tenendo lo spettatore sotto pressione fino all’esplodere del terrore nel finale demoniaco. La  paura, con le presenze impalpabili del passato, non è mai conclamata, epidermica, bensì ipodermica: si provano “il fascino e le emozioni del non visto, del brivido sotto pelle che ogni storia di fantasmi procura immancabilmente” (Antonio Tentori).

La Chiesa costituisce un’evoluzione in positivo rispetto al precedente Deliria. È un’opera più matura che segue suggestioni letterarie (caratterizzate dal non visto e dall’immaginario) e ricostruisce un’atmosfera alienante tipica delle bolge infernali e del mondo delle streghe malvagie.

Ricordo, tra gli interpreti: Tomas Arana, Hugh Quarshie, Feodor Chaliapin Jr., Barbara Cupisti, Antonella Vitale, Giovanni Lombardo Radice, Asia Argento, Roberto Caruso, Roberto Corbiletto, Alina De Simone, Olivia Cupisti, Gianfranco De Grassi, Claire Hardwich, Lars Jorgensen, John Karlsen, Katherine Bell Marjorie, Riccardo Minervini, Enrico Osterman, Micaela Pignatelli, John Richardson e Matteo Rocchetta.

Fra tanti film italiani di bassa lega, La Chiesa di Michele Soavi è una pregevole (“promettente” per Antonello Sarno) ghost story che costituisce il giusto e felice esito di una bravura registica non indifferente e difficilmente rintracciabile negli ultimi anni Ottanta nel nostro cinema di genere. Michele Soavi ama veramente il filone cinematografico fantastico e soprattutto il sottogenere horror. E anche se è vero che in questa materia è stato detto e visto quasi tutto, come sostiene Domenico Cammarota, La Chiesa rappresenta pur sempre un ottimo film dell’orrore. Proprio di orrore si tratta e non tanto di opera del terrore, in quanto a differenza dei primi film di Dario Argento e dello stesso Deliria, La Chiesa unisce elementi storici, verosimili e realistici a incredibili situazioni soprannaturali e fantastiche, com’è tipico della migliore tradizione orrorifica, nata dall’espressionismo tedesco.

La Chiesa è un esempio topico di questo genere nella versione del blood & gore, non ancora intaccato dalla moda americana dello splatter più duro (vedi La casa di Sam Raimi, seguita, per esempio, da Fabrizio Laurenti ne La casa 4 - Witchcraft, sempre nel 1989). Secondo certa critica (Domenico Cammarota), La Chiesa rappresenta “un dignitoso prodotto medio” del cinema-brivido che non annoia gli spettatori con i suoi 97’ di proiezione. Personalmente lo ritengo un lavoro di ottima fattura, di sicuro uno dei migliori del genere “italian horror”, grazie soprattutto alla riuscita ricostruzione di certe ambientazioni medievali (stupendo e terribile il violento prologo storico), connesse alle Crociate, agli esorcismi e alla persecuzione dei movimenti ereticali da parte degli inquisitori e alla costruzione delle cattedrali gotiche. Certamente inferiore ad analoghi prodotti d’oltre oceano (il ritmo di Soavi non regge la rapidità descrittiva di registi come David Cronenberg, Ridley Scott, Sam Raimi o di altri americani, ma questo è un difetto di tutta la filmica horror latina), La Chiesa si fa ricordare in modo speciale per alcune ingegnose “soluzioni iconiche” strettamente connesse alla storia alternativa medievale.

Il film si fonda su un caso di contaminazione demoniaca sulla falsariga della sequela dei Dèmoni di Bava, ma qui il Male aggredisce l’anima. Non vediamo né lupi mannari né diavoli, ma solo emaciati e sepolcrali zombi tutti occupati nel santuario a preparare il ritorno trionfale delle forze maligne chiuse nella “casa di Dio trasformata… nella casa di Satana” (Antonio Tentori).

Il regista, come un osservatore che racconta i fatti con distacco naturalistico, pone all’origine della satanistica vicenda moderna l’antefatto storico del massacro dei Calpestanti ungheresi. Ricordo altresì le immagini dell’iniziale fossa comune sigillata dalla croce, l’oscuro destino degli stessi Calpestanti, le figure dipinte e le apparizioni di diavoli, gli indemoniati da colonna infame (simili ai monatti manzoniani dei “Promessi sposi”) dentro la chiesa gotica nonché la fulcanelliana figura dell’architetto-alchimista, costruttore della stessa chiesa. Frutto di una creatività mitopoietica, il film è assai ricco di simboli e di citazioni, ma ciò invece di appesantire il discorso narrativo serve a dare un senso compiuto all’intera vicenda. Le citazioni fungono da puzzle di un grande mosaico narrativo che svelerà soltanto alla fine il perché dell’origine del male celato sotto il pavimento della chiesa. È infatti la chiesa gotica la vera protagonista del film, causa e soluzione stessa del male compiuto secoli fa in quella città europea.

Siamo nei secoli bui dell’età intermedia, in Ungheria. L’incipit vede una grossa civetta che guarda gli stendardi crociati dei Cavalieri dell’Ordine Teutonico mentre galoppano in una pineta, diretti verso una misteriosa caverna, richiamati dalla torcia agitata da una loro guida. Ricordo che l’Ordine Teutonico, fondato nel 1191 a San Giovanni d’Acri (Israele) dal duca Federico di Svevia, contribuiva alla difesa dei Luoghi Santi. Trasferito dopo alcuni decenni in Germania per cristianizzare le popolazioni prussiane e baltiche, si fuse nel 1237 con l’Ordine dei Portaspada (“Fratres militiae Christi”) di Alberto, vescovo di Riga, acquistando rapidamente grande importanza politica sia per le vittorie conseguite, sia per la vastità dei territori conquistati. Colonizzata e cattolicizzata la marca del Brandeburgo, nel 1346 conquista l’Estonia e, frenando la pressione polacca, poco dopo sottomette la pagana Lituania. Ma, dopo alterne vicende, la potenza dell’Ordine andò scemando a seguito di gravi sconfitte subite ad opera dei Polacchi guidati dagli Jagelloni (battaglia di Tannenberg nel 1410), dei Lituani e dei Russi, nonché per la perdita territoriale della Prussia passata ai luterani nel 1525. L’Ordine piaceva molto ai nazisti e Hitler lo emulò per le sue Schutzstaffeln (SS) nel 1927. La croce di ferro tedesca era in realtà la croce nera teutonica.

Il film di Soavi ci porta in pieno Medio Evo, dove un crudele gruppo di  Cavalieri Teutonici, al seguito di un macabro inquisitore, entra  nella grotta (contrassegnata dal malefico numero della grande Bestia dell’Apocalisse: il 666, inciso su una roccia esterna) e viene accolto da una giovane “strega”. Ai gesti di pace della donna i Crociati rispondono con la violenza. I monaci guerrieri scoprono così un villaggio segreto dei Calpestanti, una setta di adoratori di Satana, prevista nelle antiche profezie. Gli uomini e le donne di tale setta satanica usano portare un crocifisso cicatrizzato sulla pianta dei piedi in modo da poter sempre calpestare e profanare il Cristo quando camminano. Dal film non apprendiamo altri particolari su questi antichi satanisti, veramente esistiti, ma solo ciò che è funzionale alla vicenda successiva che si svolgerà ai giorni nostri, nella città di Budapest. Di fronte alla furia omicida dei monaci guerrieri la mia simpatia va certamente ai poveri Calpestanti, più simili ictu oculi a un innocuo gruppo di cenciosi lebbrosi o di appestati piuttosto che a una banda di pericolosi criminali del sacro (Destruktive Kulte). Allora, questi brutali Cavalieri Teutonici – quasi un riporto a colori dei cavalieri Portaspada sconfitti sul lago Peipus (la celebre “battaglia del ghiaccio” del 1242) dal granduca Aleksandr Nevskij nell’omonimo capolavoro del regista Sergei M. Eisenštejn (1938) – assaltano e distruggono con ferro e fuoco il villaggio, uccidendo tutti i suoi abitanti ribelli, contrassegnati dal “segno del demonio”. Non scampa nessuno all’orribile strage, nemmeno le oche e gli altri animali del borgo. Anche una bambina (una giovanissima Asia Argento), che era riuscita a fuggire nel bosco, viene raggiunta e uccisa.

Dopo l’eccidio, si scava una fossa comune che viene poi frettolosamente sigillata da una pesante croce in legno, perché “i morti si risvegliano. Stanno tornando in vita!”. La fossa comune dei Calpestanti, con il suo ammasso di cadaveri che ricorda i morti accatastati nei lager nazisti, evoca anche le sculture e le ceroplastiche di Francisco de Zurbaràn, di Antonio Susini e dei pittori della scuola napoletana del Seicento. Nella fossa collettiva sembra che il pericolo sia scongiurato, ma una mano dei Calpestanti afferra la zampa di un cavallo che viene trascinato giù insieme al suo cavaliere. I monaci guerrieri terrorizzati finiscono di coprire velocemente con calce viva e terra la fossa. Infine, il nero sacerdote inquisitore e cacciatore di streghe, benedice le salme e ordina di costruirvi una chiesa come “eterno peso e sigillo al demonio” e ai suoi seguaci.

Dopo la strage, rapidamente, senza sfumare, si passa ai giorni nostri, nella predetta chiesa, in una moderna Budapest, rutilante di luci e di automobili sfreccianti. La chiesa sovrasta maestosa la metropoli e le cerimonie liturgiche al suo interno si ripetono nel tempo senza problemi. Il passaggio dal prologo alla vicenda centrale è davvero magistrale e avviene senza alcuna soluzione di continuità. Il traît d’union temporale dei due periodi storici è rappresentato solo dalla grande croce-sigillo che giace, silente, nelle cantine. Su questa enorme croce di legno, che copre la tomba collettiva dei presunti eretici, sorge ora questa bellissima cattedrale gotica.

Evans (Tomas Arana), giovane e orgoglioso archivista, appena assunto per catalogare la biblioteca, entra per svolgere il suo dovere. Conosce subito la bella restauratrice (una Barbara Cupisti, all’epoca regina del blood & gore italiano) di un affresco su Lucifero e la figlia del sacrestano, Lotte (un’acerba e inquieta Asia Argento alla sua terza prova cinematografica dopo Dèmoni 2 – L’incubo ritorna di Lamberto Bava e Zoo di Cristina Comencini). Intanto l’omelia tenuta dal canonico (un eccellente Feodor Chaliapin) ricorda il Vangelo di San Luca (8:27 e seguenti), sull’indemoniato di Gerasa (vedi anche Matteo 8:28-34 e Marco 5:1-20), creando l’adatta tensione alla vicenda moderna. Lo spirito maligno del gerasèno si chiamava “Legione”: “in quell’uomo infatti erano entrati molti demoni, e chiedevano a Gesù di non mandarli nell’abisso”. Dall’abisso difatti viene il diavolo. Nel Nuovo Testamento è chiamato anche Beelzebul o Satana (per Marco 3:22-23) ed è il più diretto avversario di Dio, il tentatore e seduttore dell’uomo. Egli è il nemico giurato dell’Umanità, è il “cancro della coscienza” che deve essere vinto per mezzo della fede nell’Onnipotente e con la preghiera. Ma il mondo è del diavolo (“mundus est diaboli”), cioè il mondo è il diavolo stesso (si identificano mondo materiale e demonio, secondo le vetuste, ma risorgenti concezioni dello Gnosticismo e del Manicheismo). È per questo motivo che non c’è da aspettarsi niente di buono dall’attuale società mondana e carnale che, quale adatto terreno di cultura del male, sembra richiamare dall’abisso i demoni.

Barbara Cupisti, che ode nella navata il galoppo di un cavallo fantasma (era il cavallo del cavaliere teutonico trascinato nella fossa da un Calpestante rinvivito), trova nel muro del sotterraneo un’antica e misteriosa pergamena in cui si parla di una pietra con sette occhi nascosta nella cripta. Sarà lei a consegnarla al bibliotecario, un uomo che l’ha già sentimentalmente irretita. In seguito l’archivista ricorderà all’amante le teorie esoteriche di Fulcanelli (alias Jean-Julien Champagne), l’alchimista più straordinario del XX secolo, autore di libri come “Il Mistero delle Cattedrali” (1926) e “Le Dimore Filosofali” (1932). Il primo è un’importante opera di alchimia che contiene il segreto della Grande Opera, mentre l’altro è un vero e proprio monumento dell’ermetismo, illustrato da 36 tavole, in cui troviamo sparsi i frammenti di un grande disegno alchemico. Questi due opere, dedicate all’immaginaria società segreta dei Fratelli di Eliopoli, contengono incredibili riflessioni sul simbolismo e sulla “lingua degli uccelli”, tipica degli iniziati e formata da giochi di parole ed enigmi. Ne “Il Mistero delle Cattedrali”, Fulcanelli vuol dimostrare che tutti i segreti dell’alchimia sono nascosti nelle sculture del portale centrale di Notre-Dame di Parigi e dei portici della cattedrale di Amiens, mentre, secondo la sua cabala fonetica,  l’arte gotica (“l’art goth”) indica l’argot, il gergo della gente comune che discende dai marinai della nave Argo, alla ricerca del Vello d’oro nella Colchide. In una cattedrale gotica sarebbero poi sepolte le tavole della Legge di Mosé, che erano custodite nell’Arca dell’Alleanza, oggetto della famosa ricerca di Indiana Jones (ne I predatori dell’Arca perduta di Steven Spielberg, 1981). Grazie alle conoscenze legate al Decalogo mosaico fiorì l’epoca delle cattedrali gotiche i cui sotterranei celerebbero preziosi tesori, reliquie od oggetti trafugati in Palestina nonché la chiave di una scienza sconosciuta il cui ritrovamento trasformerebbe il fortunato scopritore in un  superuomo (l’ubermensch di stampo nicciano) o in un dio.

Attratto da simili miraggi di potenza, il presuntuoso Evans va alla ricerca di questa chiave esoterica, quasi una pietra filosofale, ma nel sotterraneo s’imbatterà nella testa di un caprone (il Caprone di Mendes) dai sette occhi, scolpita nella pietra tombale posta al centro della croce della fossa collettiva. Se i sette occhi ricordano le sette pietre protettrici della croce appesa al collo di Gordon Mitchell, figlio di Satana in “La croce delle 7 pietre” (1987) di Marco Antonio Andolfi, invece il Capro nero di Mendes (Nete Amon) era un antico simbolo pagano della fertilità di origine egizia, ripreso dai Templari nel famoso Baphometh e convertito dalla Chiesa cattolica, ostile alla religione della natura, in un sigillo del demonio. Il simbolo di Baphometh (il Bafometto templare) viene utilizzato per rappresentare Satana e il Bafometto rappresenta la potenza delle tenebre combinata con la fertilità del caprone. Esso simbolizza anche l’oscura corrente idro-lunare dell’involuzione del non-Sé, contrapposta alla figura di Gesù Cristo, che rappresenta, con il culto del Sacrificio, la corrente solare dell’evoluzione del Sé e dell’ascesa del Figlio al Padre celeste. Nel “Christ-Satan complex” di Alvin Boyd Kuhn (1940), Satana indica l’essere che vive nelle “spesse tenebre”, tipico della “morte improvvisa”, il che implica l’involuzione dello spirito nella materia. Per il magista Eliphas Lévi, il Capro di Giuda (Goat of Mendes) con la formula “Solve et Coagula” rappresenta i poteri tellurici combinati con la fertilità procreatrice della capra. Oggi è stato ripreso da molti gruppi neo-satanici (come l’Ordine del Trapezoide) come sigillo pentalfico delle dark forces del diavolo.

Tornando a La Chiesa, vediamo che il bibliotecario imprudentemente rimuoverà la botola coperta da questa immagine satanica: la croce cade così in un abisso senza fondo, liberando i diavoli finora bloccati in un sacco da quel cancello di morte. La scena mi ricorda la leggenda lovecraftiana (Capitoli XVI e XX del “Necronomicon”, Tantra di Tenebra) della tomba sottomarina del viscoso demone Cthulhu (Kathulhu) Sumgal della Corrente 777, imprigionato dai cancelli di R’lyeh. Il deep one Cthulhu, come tutti i demoni del profondo, rappresenta la forza destabilizzante del caos in cui “Kathulu provvede alla necessaria instabilità per combattere gli stolidi e fissi metodi dell’Ordine strutturato” (per Tyagi Nagasiva in “Kathulu Majik” sul web). Alla caduta della croce (simbolo archetipico dell’Ordine cosmico contrapposto al Caos primordiale) segue un’intensa luce azzurra che, risalendo dalla voragine, avvolge il protagonista del film, propagando il “contagio” demoniaco.

Nel suo discorso anti-satanista, Michele Soavi descrive la possessione diabolica come un processo teratomico dell’invasato, caratterizzato dalla perdita letterale del proprio cuore e dall’auto-trasformazione (o mutazione interna) nella “nuova carne” dei demoni (tema caro ad altri film come Dèmoni e Dèmoni 2, entrambi di Lamberto Bava e a gruppi magico-religiosi come i Bizango, gli Anioto e l’Ordine palladista di Robert North a Boston).

Evans e il sacrestano si strappano il cuore. In esso è racchiuso simbolicamente tutto il Bene della persona e senza di esso, sfuggendo l’amore, si diventa esseri mostruosi chiamati Dèmoni. Il bibliotecario, come James Wood (che interpreta il manager televisivo Max Renn con la sua “pistola-mano biomeccanica”) nel diabolico Videodrome (1983) di David Cronenberg,  si apre il torace con la mano, mentre il sacrestano cade sopra un martello pneumatico. Il bibliotecario “senza cuore” è mosso dagli istinti più bassi ed è ormai un indemoniato: interessante la trovata della dattiloscrittura reiterata del triplo 6. Inoltre la possessione diabolica, come la peste (la “morte nera”), anzi più di questa, si diffonde come un contagio nella cattedrale maledetta, divenuta cattedrale di demoni. “Cathedral of Demons, “Demon Cathedral” e “In the Land of the Demons” erano altri titoli originari del film La Chiesa e il titolo spagnolo “El engendro del diablo”, cioè “L’embrione del diavolo” rende bene l’idea di una chiesa di Dio diventata, per gioco antinomistico, una chiesa di Satana che risorge dagli abissi per preparare il ritorno del suo nero Signore. Il male sepolto dalla violenza dei Cavalieri dell’Ordine Teutonico vuole giustamente vendicarsi dei torti subiti, diffondendo il contagio della ribellione fra tutte le persone che si trovano nella “cattedrale dei demoni”. Nel satanismo moderno, qualcuno come Anton Szandor LaVey, il famoso “papa nero” di San Francisco, ha voluto chiamare provocatoriamente la propria setta “Chiesa di Satana”, quale centro anti-sistema d’irradiazione di evocazioni diaboliche, mentre i membri occultisti del “Tempio di Set” si ritengono degli effettivi cancelli (gates of the hell) aperti sull’abisso dell’Inferno.

Seguono altre vicende incredibili e varie allucinazioni legate a famosi disegni della pittura fantastica. Questa forte componente pittorica è dovuta anche al fatto che il regista è cresciuto in una famiglia legata alle arti figurative, con il padre stesso pittore e studioso di pittura. Ricordo solo la visione del diavolo-vampiro alato che abbraccia Joan, una giovane motociclista nuda (figura tratta dalla copertina del fumettista Boris Vallejo disegnata per il libro “L’Orrore di Cthulhu”, curato da Gianni Pilo nel 1986 per i tipi della romana Fanucci), il demone cornuto nell’amplesso del Sabba e il gruppo sanguinante dei cadaveri dei Calpestanti che emerge dalle cantine, quasi a formare un’enorme testa di diavolo così simile alle morbose e surreali pitture di Giuseppe Arcimboldi. L’alato diavolo-vampiro che abbraccia la donna è una vera e propria raffigurazione anti-cristiana che rovescia la figura della Beata Vergine Maria che schiaccia con il tallone il Serpente tentatore dell’Eden perduto (in Genesi 3:4), mentre il volto del diavolo che possiede la restauratrice nel Sabba finale (probabile omaggio a Rosemary’s Baby di Roman Polanski) richiama alla nostra memoria le orribili facce dei demoni di Clive Barker nella Midian di Cabal (1990) e i Supplizianti Cenobiti della saga di Hellraiser (dal 1987 al 1996), film horror in cui, in un mondo di incubi popolato da mostri, si combatte la lotta tra bene e male.

L’intera vicenda tuttavia può giungere all’epilogo solo con l’ermetica chiusura delle vie d’uscita della cattedrale per impedire la diffusione del contagio diabolico all’intera città. Una modella in abito da sposa (la bella Antonella Vitale destinata allo sfregio), tutti i sacerdoti, una comitiva scolastica guidata dalla professoressa-vittima sacrificale, una vecchia coppia, i fidanzati motociclisti e altri fedeli e turisti, giunti lì per caso, rimangono intrappolati dentro il santuario, come i topi nella stiva di una nave alla deriva. L’atmosfera si fa sempre più claustrofobica e le vie di fuga diventano tutti passaggi mortali. Soavi ci ricorda qui certe scene zombistiche della romeriana La notte dei morti viventi. Così la mora fotomodella Antonella Vitale, guardandosi allo specchio, si vede come una vecchia megera e, gridando: “Io non sono così!”,  si lacera le guance con le unghie assumendo il volto deformato di un Dèmone (come la Sally di Dèmoni 2 – L’incubo ritorna) di Lamberto Bava. Il vecchio e sinistro canonico Feodor Chaliapin (“io sono la chiesa!”), custode dei segreti alchemici del santuario, rinnova qui il far tenebroso della sua precedente parte del professor George Arnold (in realtà l’alchimista-architetto Emilio Varelli) del film Inferno (1980) di Dario Argento, fino al volo fatale tra le guglie della chiesa gotica. Capirà troppo tardi il terribile disegno di conquista del mondo da parte del Maligno, esclamando nella chiesa divenuta prigione: “Questa è opera di Satana!”. La motociclista invece è quasi al sicuro, ma sbuca nella galleria della metropolitana, suo malgrado. I due coniugi anziani, reduci dall’anniversario del loro matrimonio, sono a loro volta protagonisti di un’incredibile e ironica gag dall’humour nero tipico degli statunitensi horror comics degli anni Cinquanta: salgono fin sul campanile per chiamare aiuto suonando le campane, ma la moglie indemoniata ucciderà il marito e userà come un batacchio la sua testa mozzata, cantando. Infatti il marito esasperato le aveva detto: “E come le suono le campane? Con  la mia testa?”.

Le persone imprigionate muoiono uccise non dai fantasmi, ma dalle loro paure più recondite che si materializzano attraverso allucinazioni spaventose provenienti dal loro inconscio (Es). Ormai il Male pare aver vinto sull’uomo. La “cattedrale dei demoni” si tramuta, appunto, in “un’anticamera dell’inferno” e gli spiriti maligni, dopo aver posseduto i corpi delle loro vittime, si preparano a richiamare dall’abisso senza fondo il Male Assoluto del nero signore Satana.

Secondo il Cristianesimo esoterico certi luoghi come le chiese o i monasteri vengono “magnetizzati” (cioè consacrati) secondo la conoscenza, la spiritualità e la purezza delle persone che vi abitano, grazie ai loro pensieri, alle loro preghiere e alle loro azioni od omissioni. Alcuni luoghi possono, quindi essere, sacralizzati dal dimorarvi di persone sante o di esseri soprannaturali (come gli angeli) il cui elettromagnetismo irradia attorno al loro essere e armonizza tutto l’ambiente di vibrazioni di pace. E’ il caso dell’angelo che in una data stagione veniva a toccare l’acqua di Betzaetà (“acqua agitata”), conferendole la proprietà di risanare, come ci narra San Giovanni (vedi Gv. 5:4). Così, dice ad esempio la teosofa Annie Besant, “nei luoghi dove il pensiero religioso si è accumulato per anni e anni, secoli e secoli… la mente… si calma e si tranquillizza”. Ogni persona che visita una chiesa “con cuore riverente e devoto”, armonizzandosi in tal modo con le vibrazioni localizzate, rafforza le stesse vibrazioni con la propria vita “e quando se ne va lascia il posto migliore di prima”. Tuttavia, come nel rovescio della medaglia, la presenza di persone malvagie e dannate danneggia il luogo sacro in quanto le pulsazioni nocive e contrarie che loro emettono indeboliscono quelle positive preesistenti. Così, ne La Chiesa di Michele Soavi, le oscillazioni nocive del pensiero malvagio e demoniaco diminuiscono fino ad annullare le vibrazioni angeliche e devote preesistenti. L’effetto poi risulta proporzionato alla relativa forza delle vibrazioni negative.

Tuttavia spetterà  a un sacerdote di colore, interpretato da Hugh Quarshie, novello San Giorgio che combatte il dragone, rinvenire l’antico meccanismo di difesa della chiesa. Secondo una leggenda alchemica, le cattedrali gotiche conterrebbero una specie di  segretissimo punto di appoggio (sul quale è costruito l’edificio) che funge da “dispositivo di  auto-distruzione”, capace di farle crollare al suolo in pochi istanti. Così, una volta scoperta la tomba dell’architetto costruttore legato alla ruota della tortura dall’Inquisizione ed estrattagli la “pera per la bocca”, il sacerdote, a prezzo della propria vita, come Sansone (Giudici 16:30), riesce a far precipitare le colonne e le volte della cattedrale su tutti gli indemoniati, fermando le orde di creature maligne e salvando così la città dall’avvento del Male Assoluto. In tal senso La Chiesa è l’esatto opposto del grattacielo Starliner in Il demone sotto la pelle (1974) di David Cronenberg. Il crollo della cattedrale gotica rappresenta ancora una volta, nel cinema fantastico, per Gerard Lenne e Teo Mora, la vittoria dell’Ordine costituito sul Caos (“è sempre la battaglia del Giorno della Creazione e mai il Ragnarök”). Tuttavia il the end di Soavi ha qualcosa di sovversivo: l’irruzione dell’anormalità che minaccia l’ordine può sempre negare il tranquillo tran-tran borghese delle moderne città europee. In piena epoca di governo pentapartito dominante avvertiamo i primi scricchiolii nel sistema di potere (dimissioni di Ciriaco De Mita) che sfoceranno nella crisi purificatrice di Tangentopoli, mentre durante le riprese degli esterni (location) del film di Soavi si consumava in Romania il tragico epilogo di Nicola Ceauşescu e di sua moglie. La guerra civile rumena fu oggetto, tra l’altro, di un documentario di venti minuti girato dallo stesso regista (dichiarazione di Michele Soavi rilasciata a Danilo Arona sulla rivista telematica “IT – Horror Magazine” di mercoledì 26 dicembre 2001).

Nel film la lotta tra il Bene e il Male non pare in tal modo definitivamente conclusa a favore del primo: in effetti il catartico happy ending qui scompare. La sopravvissuta Asia Argento, reincarnazione di una giovane Calpestante, ritroverà l’immagine del Caprone di Mendes dai sette occhi e tutto lascia supporre un probabile sequel della storia, che il regista non ha mai realizzato. Il volto felice della bambina reincarnata, sporta sulla luce azzurra dell’abisso, non assume il valore catartico tipico della risoluzione in chiave di conflitto manicheo tra Bene e Male, bensì pare esprimere tuttavia la gioia del riappropriarsi della propria originaria anima Calpestante. Come dire, la vendetta non ha fine.

In questo ottimo film Michele Soavi  rispetta dunque tutti i canoni connessi alle molteplici leggende sulle cattedrali gotiche. Il regista riesce anche ad amalgamare in breve tempo gli elementi più disparati, accogliendo nel finale l’idea del meccanismo infernale di auto-distruzione realizzato dal folle architetto alchimista, accusato di stregoneria, torturato e tumulato dall’Inquisizione. Il clima evocato dal binomio musica d’atmosfera-luogo sacro è veramente indovinato. Il richiamo alla storia dell’Inquisizione rende questo ghost movie davvero interessante, suscitando curiosità nello spettatore. Meno felice mi pare la parte centrale (più dispersiva e incoerente), quando le persone vengono intrappolate nella cattedrale (divenuta una “casa infestata” o haunted house) come fossero prigioniere di un angelo vendicatore buñueliano. Qui avrebbe dovuto cominciare il bello, caricandosi maggiormente la vicenda di pathos e di “scene particolarmente forti per tenere lo spettatore incollato” allo schermo (per Davide De Maspero). Il secondo tempo del film è stato girato in fretta e furia e per di più eliminando la suggestiva sequenza finale prevista dalla sceneggiatura originaria per mancanza di tempo e di risorse finanziarie. Un vero peccato. Comunque gli ultimi attimi dello spettacolare finale sono da rivalutare, con gli effetti speciali che ricordano l’incendio del monastero nel film Il nome della rosa (1986) di Jean-Jacques Annaud. Di sicuro effetto sono anche il risveglio dei Calpestanti morti e l’atto eroico del sacerdote nero. Il topos dello stop all’avvento del demonio, l’arginare il Male Assoluto affinché non dilaghi nel mondo esterno, bloccando ora i Dèmoni (e, più tardi, gli zombie), sulla soglia della chiesa-tomba collettiva, diventa tipico nella filmica di Soavi, che svilupperà meglio in Dellamorte Dellamore nel 1993.

Infatti, dopo aver firmato La Chiesa, Soavi girerà La Setta che Antonello Sarno ha definito “deludente”, ma che è un film da rivalutare. Infine farà la sua ultima incursione nel cinema dell’orrore con un’eccellente trasposizione del romanzo Dellamorte Dellamore, opera di Tiziano Sclavi, autore conosciuto soprattutto per aver ideato Dylan Dog, fumetto culto degli anni Ottanta e Novanta

(4 – continua)

Gordiano Lupi, Maurizio Maggioni e Fabio Marangoni