FANTASCIENZA STORY 256

FATTI IN SERIE (2009)

Il 2009 ci porta per cominciare Transformers: La vendetta del Caduto (Transformers: Revenge of the Fallen) di Michael Bay. Due anni dopo la sconfitta di Megatron, un nuovo (anzi millenario) Decepticon, il Caduto, è pronto a risvegliarsi dal fondo dell’oceano, e vari piccoli Decepticons si mettono sulle tracce di Sam (Shia LaBeouf) per rubargli una scheggia di AllSpark ancora in mano sua. La minaccia si scatena e il Caduto si riunisce a Megatron e ad altri Decepticons, scatenando la loro forza contro l’umanità. Gli Autobots, nel frattempo alleatisi con il governo americano e uniti a una squadra militare speciale, i NEST, sono pronti alla difesa dell’umanità e la battaglia decisiva si combatterà all’ombra delle piramidi egizie… Dopo il successo del primo Transformers si riforma la stessa squadra tecnica e produttiva, oltre a gran parte del cast, per sfornare una nuova sarabanda di effetti speciali mirabolanti e combattimenti iperdistruttivi. Se lo spettacolo è garantito, non altrettanto si può dire della solidità della trama e del livello della sceneggiatura, diversi gradini al di sotto del primo film.

Terminator Salvation (Terminator Salvation) di McG inizia nel 2003, quando Marcus (Sam Worthington), un condannato a morte, concede il suo corpo alla Skynet, che lo userà per esperimenti scientifici. Nel 2018, Marcus “risorge” per trovarsi in una Los Angeles devastata dalla guerra fra gli esseri umani superstiti e i Terminator della Skynet. Marcus conoscerà il giovane Kyle Reese (Anton Yelchin) e suo figlio (più anziano del padre), John Connor (Christian Bale), uno dei leader della Resistenza umana, e sua moglie Kate (Bryce Dallas Howard), incinta. Mentre i combattimenti infuriano, Marcus scopre di essere lui stesso un cyborg, creato allo scopo di portare allo scoperto Kyle e John. Ma anche le macchine si ribellano… Quarto episodio della saga di Terminator, in realtà una specie di prequel, dal momento che racconta fatti futuri ma precedenti all’invio del Terminator e di Kyle Reese nel 1984. Il progetto di questo episodio è contemporaneo a Terminator 3, ma liti legali sul possesso dei diritti del marchio Terminator posposero continuamente il progetto, con relativi cambi di regista e cast e riscritture della sceneggiatura. È l’unico film della serie che non include Arnold Schwarzenegger nel cast (quello che si vede alla fine è un’animazione digitale con le sue fattezze), e anche l’unico dove non si fa ricorso al viaggio nel tempo. Non è purtroppo fra i migliori della serie, nonostante contenga diversi spunti interessanti (per la prima volta vediamo la Resistenza come un’organizzazione estesa e coordinata, ci sono diversi riferimenti religiosi e cristologici fin dal titolo), in quanto luoghi comuni e caratterizzazioni banali prevalgono su una messinscena accurata e inventiva. È l’ultimo film a cui ha lavorato Stan Winston (1946-2008), genio degli effetti speciali e storico collaboratore della serie fin dagli esordi, e doverosamente il film è dedicato alla sua memoria.

Passiamo adesso ad Avatar (Avatar) di James Cameron. Metà del 22° secolo. Jake Sully (Sam Worthington) è un marine reduce dalla guerra in Venezuela, che lo ha lasciato senza l’uso delle gambe. Alla morte di suo fratello gemello gli viene chiesto di sostituirlo in un esperimento da condursi sul pianeta Pandora: il progetto Avatar, diretto dalla dottoressa Grace Augustine (Sigourney Weaver). Le capacità cerebrali di Sully e delle altre cavie vengono trasferite in corpi, geneticamente costruiti, che riproducono le sembianze dei nativi di Pandora, i Na’vi. Lo scopo è facilitare le relazioni fra i terrestri e i Na’vi e ottenere quante più informazioni possibili, ma dietro la facciata scientifica si nasconde l’avidità: il vero motivo della missione è colonizzare il pianeta per sfruttare le sue preziosissime risorse del minerale unobtainium, e a questo servirà la scorta armata della missione. Jack accetta sapendo le condizioni, e così conoscerà la vita, i costumi, le credenze dei Na’vi, intimamente legati alla natura del pianeta e al loro ramificato e coeso ecosistema, rappresentata dal gigantesco Albero Casa e dalla divinità Eiwa. Ma soprattutto si innamora di Neytiri (Zoe Saldana), la sua “guida” su Pandora, e per lei Jack, insieme a Grace e a pochi amici, si ribellerà ai suoi mandanti, per guidare la lotta per la sopravvivenza dei Na’vi… Dopo il successo epocale di Titanic (1996), James Cameron impiegò oltre 10 anni per realizzare il suo film successivo, in parte perché distratto da altri impegni (immersioni, documentari, tv), ma soprattutto perché il progettato Avatar (intitolato inizialmente Project 800) prevedeva costi troppo alti e capacità tecnologiche troppo innovative. Grazie alla società neozelandese Weta e alle sue tecnologie con il motion-capture, Cameron nel 2005 decise che era arrivato il momento e allestì una monumentale squadra tecnica e creativa per allestire il suo film. Dopo tre anni di lavorazione, il risultato fu un altro trionfo al box-office per un film dalla ricchezza visiva e scenografica sorprendente, ma dalla trama in fondo banale, un misto di Pocahontas e di classici western come Un uomo chiamato Cavallo e Balla Coi Lupi.

Star Trek – Il futuro ha inizio (Star Trek) di J.J. Abrams ci porta nell’anno 2233. L’astronave della Federazione Kelvin viene attaccata da una misteriosa nave romulana dalla tecnologia sconosciuta, la Narada, guidata dal comandante Nero (Eric Bana). Il capitano della Kelvin, Robau (Faran Tahir), sale a bordo della Narada per parlamentare, ma Nero gli chiede notizie sull’ambasciatore vulcaniano Spock e quale sia la data stellare odierna; Robau non sa nulla di Spock e gli dice la data: adirato dalle risposte, Nero lo uccide e continua l’attacco contro la Kelvin, il cui comando è ora assunto dal capitano George Kirk (Chris Hemsworth), che resta a bordo della nave per permettere all’equipaggio di salvarsi. Così facendo muore, ma fra i superstiti c’è sua moglie Winona (Jennifer Morrison), che proprio in quei momenti partorisce il figlio James Tiberius. Anni dopo le vite del giovane James T. Kirk (Chris Pike) e del coetaneo vulcaniano Spock (Zachary Quinto), di madre terrestre, scorrono parallele, fino a che non si incontrano come cadetti della Flotta Spaziale. I rapporti fra i due sono tesi, anche perché rivali per l’amore di un’altra cadetta, Uhura (Zoe Saldana), ma tutti e tre si ritrovano sulla stessa nave, l’Enterprise, l’ammiraglia della Flotta. Devono fronteggiare la minaccia di Nero, che per misteriose ragioni è alla ricerca dell’anziano Spock (Leonard Nimoy), venuto dal futuro per salvare il proprio pianeta, minacciato dallo spietato Nero… Dopo il fiasco di Star Trek: Nemesi, il franchise di Star Trek sembrava destinato all’estinzione, eppure il produttore Rick Berman decise di rivitalizzarlo, riesumando un vecchio progetto mai realizzato di Gene Roddenberry, il creatore della serie: raccontare la giovinezza di Kirk e Spock. Berman ottenne la collaborazione di J.J. Abrams (il “re” delle serie tv) e degli sceneggiatori Roberto Orci e Alex Kurtzmann (autori di serie cinematografiche come Mission: Impossible e Transformers). Abrams non era un fan della serie, ma accettò la sfida, Orci e Kurtzmann invece la conoscevano a tal punto da saccheggiare episodi più o meno noti presi dalle varie incarnazioni televisive e letterarie della serie e sparpagliarli nel loro copione. E convinsero anche Nimoy a tornare a recitare, per impersonare un’ultima volta il personaggio che gli ha dato la fama. Star Trek – Il futuro ha inizio ebbe un tale successo da ridare nuova linfa al franchise, nonostante una certa perplessità dei fan più accaniti, che fecero le pulci alla continuità del nuovo film rispetto alla coerenza della serie complessiva, e trovarono troppo ardita la reinterpretazione dei caratteri dei loro amati personaggi. Grazie alla consulenza di Carolyn Porco, scienziata della NASA, c’è un particolare insolitamente “realistico”: quando l’astronave Kelvin e il pianeta Vulcano vengono distrutti, essi implodono invece che esplodere, come avverrebbe realmente in caso di una distruzione nello spazio. La voce del computer della Flotta è di Majel Barrett, vedova di Gene Roddenberry. Majel morì poco dopo la fine delle riprese e il film è dedicato a lei e a suo marito.

Altro film interessante del 2009 è Moon (Moon) di Duncan Jones. Nel futuro la Terra ha risolto i problemi energetici prendendo risorse dal Sole e dalla Luna. Sulla Luna l’astronauta Sam Bell (Sam Rockwell) sta per concludere il suo contratto di tre anni sulla stazione lunare della ditta Sarang, un periodo passato con l’unica compagnia del computer Gerty 3000, e le periodiche videochiamate alla moglie (Dominique McElligott) e alla figlioletta Eve. Durante una missione all’esterno, Sam ha però un incidente e si risveglia con una lieve amnesia, ma quel che è peggio vede che la stazione è abitata anche da un altro uguale a lui, in pratica un clone… e non è neanche l’unico… Esordio cinematografico del regista di spot pubblicitari Duncan Jones (figlio della rock-star David Bowie), Moon è una piccola produzione indipendente britannica, cha ha riscontrato un certo successo di critica e pubblico, almeno in Europa. Tenta tante carte, dal dramma psicologico, al thriller, alla space-opera, ma riesce comunque a mantenere desta la tensione e l’attenzione dello spettatore, con trovate insolite e una buona prova del suo interprete, Sam Rockwell. Allo stesso tempo, il film dissemina omaggi ai classici come 2001: Odissea nello spazio (Gerty ricorda da vicino HAL 9000), Solaris (le apparizioni nella stazione), Atmosfera zero (lo sfruttamento minerario). Nell’edizione originale, Gerty ha la voce di Kevin Spacey.

Con The Road (The Road) di John Hillcoat siamo in un futuro in cui l’umanità è sulla via dell’estinzione: un padre (Viggo Mortensen) e il suo figlio adolescente (Kodi Smit-McPhee) vagano in paesaggi desolati alla ricerca di cibo, armati solo con una pistola con due colpi, rievocando la madre scomparsa del piccolo (Charlize Theron), e altri ricordi di prima e dopo la catastrofe. Il loro viaggio è irto di pericoli, ma questo non scalfisce il legame fra padre e figlio. Tratto dall’omonimo, bellissimo romanzo di Cormac McCarthy, The Road lo segue con grande fedeltà, mantenendone il vigore drammatico e i valori umani, e fa largo ed espressivo uso dei degradati ambienti umani della Pennsylvania, come di quelli naturali.

Chiudiamo con District 9 (District 9) di Neill Blomkamp. Nel 1982 una gigantesca astronave, probabilmente per uno sbaglio di rotta, finisce sopra Johannesburg; i suoi abitanti, ridotti allo stremo, scendono e le autorità li rinchiudono in una baraccopoli nei sobborghi della metropoli (il Distretto 9), disprezzati e respinti dalla gran parte degli esseri umani, che li chiamano “crostacei” perché dotati di chele e tentacoli, nonostante la loro forma umanoide. A occuparsi di loro è l’MNU, un organismo internazionale che li opprime con una milizia armata e li studia con un’equipe scientifica segreta. Nel 2010 l’MNU decide di spostare la popolazione del Distretto 9 in una nuova tendopoli, il Distretto 10, ancor più angusto nonostante il paternalistico altruismo simulato dall’MNU. Contemporaneamente Cristopher, uno scienziato alieno, sta cercando di riavviare l’astronave, rimasta sospesa sopra Johannesburg, per ritornare al pianeta d’origine. L’operazione di sgombero è diretta da Wikus van de Merve (Sharito Copley), un burocrate inetto. Durante lo sgombero della baracca di Cristopher, Wikus viene infettato da un fluido presente in uno dei marchingegni dello scienziato. Inizia così un processo di metamorfosi che trasforma progressivamente il funzionario in un “crostaceo”. Catturato dall’MNU, che cerca di ucciderlo e usare i suoi resti per studiare il DNA alieno, Wikus fugge e stringe con Cristopher una strana e forzosa alleanza. Il sudafricano Neil Blonkamp esordisce col botto, con questo lungometraggio basato su un suo precedente cortometraggio (Alive in Joburg) e prodotto da Peter Jackson. District 9 può essere considerato come un godibilissimo, adrenalinico film d’azione, ma anche come una satira intelligente sull’apartheid sudafricano e sullo sfruttamento degli immigrati da parte dei governi “ricchi”, e persino come un intricato esperimento narrativo, basato com’è su più livelli che si intersecano. In ogni caso, uno dei migliori film di sf del decennio.

Mario Luca Moretti