FANTASCIENZA STORY 255

RIFATTI E ABBANDONATI (2008)

Dando uno sguardo ai film del 2008, fra le tante pellicole di fantascienza uscite, abbiamo scelto di iniziare da Babylon A.D. (Babylon A.D. ) di Mathieu Kassovitz. Nel 2027 il mafioso russo Gorsky (Gerard Depardieu) assolda il mercenario americano Toorop (Vin Diesel) con il compito di scortare una ragazza, Aurora (Mélanie Thierry), da un convento  di seguaci del culto Noelita dal Kyrgyzstan a New York, in cambio di un passaporto americano che gli permetterà di rientrare nella nazione d’origine, da cui è esule. Il culto Noelita è una religione la cui leader è denominata Alta Sacerdotessa (Charlotte Rampling), e che predica una salvezza imminente. A sorpresa, Toorop scopre che Aurora è accompagnata da Suor Rebecca (Michelle Yeoh), una monaca Noelita. Il viaggio incontra molti pericoli, in un mondo devastato da emergenze ambientali e sociali, ma anche Aurora riserva molte sorprese a Toorop, come la capacità di prevedere i pericoli, e soprattutto è incinta e vergine: una caratteristica che spiega l’avidità con cui è inseguita da più fazioni… Il film è tratto dal romanzo Babylon Babies di Maurice Georges Dantec e il regista francese Mathieu Kassovitz lavorò ben 5 anni al suo adattamento, quando finalmente riuscì a realizzarlo in una coproduzione franco-americana. Ma il partner americano, la 20th Century Fox, impose tante e tali interferenze da stravolgere il suo progetto originale, fino al punto che Kassovitz lo disconobbe con queste parole: “Non ho mai avuto la possibilità di girare una sola scena come era stata scritta o come la volevo io. Cattivi produttori, cattivi soci, un’esperienza terribile. Il film così è pura violenza e stupidità.” Forse il regista esagera, ma di certo assistiamo a un semplice, benché ben diretto, film d’azione, solo qua e là risollevato da scene impressionanti (la stazione al confine, l’assalto al sommergibile), ma con una trama confusa e dalle ellissi troppo brusche (dovute probabilmente ai tagli della Fox). Vin Diesel si conferma comunque un attore capace e intenso, non solo un “fascio di muscoli”.

Passiamo a Cloverfield (Cloverfield) di Matt Reeves. New York, 22 maggio. Rob (Michael Stahl-David) sta per partire per il Giappone, e suo fratello Jason (Mike Vogel) e la fidanzata di questo, Lily (Jessica Lucas), gli fanno una festa a sorpresa, mentre il loro amico Hud (T.J. Miller), riprende tutto con una videocamera. La ragazza di Rob, Beth (Odette Yustman), si presenta con un altro uomo, suscitando la rabbiosa gelosia di Rob. Beth lascia la festa, ma poco dopo New York viene attaccata da un gigantesco mostro di provenienza misteriosa che semina morte e distruzione. I militari evacuano i superstiti e fronteggiano il mostro, oltre ai parassiti che, staccatisi dal suo corpo, attaccano le persone. Rob decide di cercare Beth, seguito da Lily, Marlene (Lizzy Caplan), una ragazza conosciuta alla festa, e Hud, che non smette di filmare gli avvenimenti. Addentrandosi in una metropoli sempre più deserta, il gruppo affronta una minaccia che sembra invincibile… Incrocio fra il monster movie giapponese e il filone del “video ritrovato” lanciato da The Blair Witch Project (1999), Cloverfield è interamente costituito dal video girato da Hud. In questo genere di film le domande sono sempre: come fa l’operatore a non abbandonare mai la videocamera, anche quando è un intralcio, per quanto grave sia il pericolo? E: quanto dura la batteria? Prodotto da J.J. Abrams, decano dei produttori e sceneggiatori televisivi, il film comunque riesce a creare una genuina atmosfera di angoscia e pericolo, dosando a dovere le apparizioni del mostro e dei mostricciatoli (animazioni digitali ben riuscite), l’aspetto sentimentale e quello avventuroso. La trovata della testa della Statua della Libertà abbandonata per strada è presa dal manifesto americano di 1997: fuga da New York (Escape from New York, 1981).

Death Race (Death Race) di  Paul W.S. Anderson ci porta in un prossimo futuro devastato da una pesante crisi economica, dove l’operaio disoccupato Jensen Ames (Jason Statham) viene ingiustamente condannato per l’omicidio della moglie. Nella prigione in cui viene rinchiuso si pratica ogni anno la Death Race, una gara automobilistica organizzata dalla direttrice della prigione, Claire Hennessey (Joan Allen) e trasmessa in diretta sulle pay-tv, che si svolge nell’ambito di tre giorni in un circuito interno al carcere, in cui l’uccisione dei rivali è ammessa e incoraggiata. Ma Jensen è anche un ex-corridore automobilistico, e Hennessey gli propone di assumere l’identità di Frankenstein, un campione di quella corsa deceduto alla sua quarta gara, la cui morte è tenuta nascosta per non perdere la sua attrattiva sul pubblico. I detenuti che vincono 5 gare sono graziati, e Jensen, se accetta e vincerà la prossima gara, beneficerà di quella grazia al posto di Frankenstein. Jensen accetta e gli viene assegnata come navigatrice Case (Natalie Martinez), già navigatrice del vero Frankenstein. La Death Race ha inizio, ma Jensen-Frankenstein non dovrà vedersela solo con Machine Gun Joe (Tyrese Gibson), storico rivale del defunto campione, e con gli altri spietati concorrenti, ma anche con le macchinazioni di Hennessey… Il film è il libero remake di Anno 2000 – La corsa della morte (Death Race 2000) di Paul Bartel, ideato dallo stesso produttore, Roger Corman, ma portato a termine da Tom Cruise, qui solo nelle veste di produttore. Con un’estetica da videogioco, ma un tono molto meno ironico, Death Race riduce lo spazio della gara dagli Stati Uniti all’interno di un carcere, ma usa un montaggio e un ritmo ancor più adrenalinico e vorticoso, con un’estetica quasi da videogioco, costruendo uno spettacolo fracassone ma avvincente.

In …E venne il giorno (The Happening) di M. Night Shyamalan, gli abitanti di New York sono presi da una tragica psicosi: dopo aver camminato all’indietro, si suicidano nei modi più bizzarri. Questo comportamento si sparge per tutta la nazione e Elliot Moore (Mark Wahlberg), professore di scienze, fugge nelle campagne della Pennsylvania con la moglie Alma (Zooey Deschanel) e la piccola Jess, figlia di un suo amico. I suicidi sono sempre preceduti da un movimento delle fronde ed Elliot si convince che la causa sia una neurotossina emessa dalle piante per difendersi dall’umanità… Il regista di Il sesto senso (The Sixth Sense, 1999) imbastisce un thriller ricco di atmosfere arcane e misteriose, introducendo con maestria lo spettatore in un clima di follia e minaccia, influenzato da maestri come Alfred Hitchcock e Jean-Luc Godard, ma basandosi su una trovata originale: un’ondata di follia suicida invece che omicida, il tutto condito da preoccupazioni ambientaliste sinceramente sentite.

WALL°E (Wall°E) di Andrew Stanton è ambientato nell’anno 2805. Da 7 secoli l’umanità si è trasferita sulla base spaziale Axiom, e il robo-spazzino WALL°E da allora raccoglie e composta la spazzatura nella baia di San Francisco, unico abitante della Terra. Un giorno la sua solitudine finisce grazie alla visita di EVE, un robot femminile mandato da Axiom per studiare la vita vegetale sulla Terra. Fra i due nasce l’amore e WALL°E la seguirà nello spazio fra mirabolanti avventure. Splendido cartone animato prodotta dalla Disney e realizzato dalla Pixar, che nonostante gli inevitabili infantilismi, conserva una ricchezza e una profondità degne di un romanzo del genere. Graficamente eccellente, tutto il film è un tripudio di trovate geniali e poetiche (la spazzatura disposta in grattacieli, il tenero idillio dei due robot, lo stile di vita degli abitanti di Axiom), e occupa uno spazio importante nella storia del cinema, non solo di sf e non solo d’animazione.

Chiudiamo con Ultimatum alla Terra (The Day the Earth Stood Still) di Scott Derrickson. Una gigantesca astronave atterra al Central Park di New York, e ne escono due occupanti di aspetto robotico, Klaatu e Gort, il primo dei quali, ferito da un soldato, assume poi aspetto umano (Keanu Reeves), e quindi fugge dall’ospedale. Aiutato dalla dottoressa Helen Benson (Jennifer Connelly) e dal figlio di lei Jason (Jaden Smith), Klaatu cerca di salvare l’umanità del pericolo ambientale che rischia di distruggere il pianeta. Ma allo stesso tempo Klaatu scatena una minaccia destinata a punire gli uomini se non ascolteranno i suoi avvisi… Il film è il remake del celebre e omonimo classico diretto da Robert Wise nel 1951, a sua volta tratto dalla novella Farewell to the Master di Harry Bates. La vicenda viene aggiornata e dal pericolo di una guerra nucleare si passa alla crisi ambientale; Klaatu è ancor più messianico che nel film originale, ma anche più spietato e insensibile verso la razza umana (resuscita un poliziotto dopo averlo ucciso). La sua alleata terrestre non è più solo una brava mamma ma una grande scienziata, e su tutto c’è una strana atmosfera mistico-new age. Tutto molto professionale, con ottimi effetti speciali digitali, ma anche una certa sdolcinatura che fa rimpiangere la sobrietà e il disincanto del film di Wise. Peccato che nessuno dei due film mantenga l’efficacissimo finale a sorpresa della novella di Bates.

Mario Luca Moretti