FANTASCIENZA STORY 252

CLONAZIONI DIGITALI (2005)

Iniziamo questa annata con The Island (The Island) di Michael Bay. Nel 2019 un disastro ambientale costringe i superstiti a vivere in una comunità isolata e ipertecnologica. Una lotteria periodica permette ai vincitori di raggiungere l’Isola, l’unico luogo al mondo in cui la vita naturale è ancora possibile. Lincoln-6-Echo (Ewan McGregor) mette in dubbio la realtà di quanto si racconta e infatti scopre che gli abitanti della comunità sono in realtà cloni, i cui corpi vengono usati per fornire organi ai ricchi “originali” o per maternità surrogate. I vincitori della lotteria sono uccisi dopo esser serviti a questo scopo. Jordan-2-Delta (Scarlett Johansson), amica di Lincoln, ha appena vinto la lotteria, e Lincoln inizia con lei una fuga disperata nel mondo reale… Michael Bay, regista di blockbuster come Armageddon e Pearl Harbor, tenta di affrontare tematiche più mature e complesse, ma alla fine The Island ha gli stessi pregi e i difetti tipici dei suoi film: grande abilità tecnica e spettacolare, un ottimo cast (splendido Steve Buscemi nel ruolo di un operaio), ma anche un copione raffazzonato e sempre meno credibile man mano procede. E come molti film sulla clonazione, parte da un’assurdità scientifica: i cloni anche qui nascono già adulti, quando nella realtà seguono lo stesso percorso di gestazione e formazione di qualunque essere vivente.

Il risveglio del tuono (A Sound of Thunder) di Peter Hyams è ambientato a Chicago nel 2055. La TAMI è un’agenzia di viaggi nel tempo, guidata dal magnate Hatton (Ben Kingsley) che organizza safari nella preistoria per ricchi turisti, con regole ferree per evitare paradossi temporali. Ma durante una battuta un cacciatore uccide inavvertitamente una farfalla, cambiando il futuro corso degli eventi. Si scatenano così le “onde temporali”, un fenomeno che nel 2055 trasforma Chicago nell’habitat di una fauna e una flora “alternative”, ma fameliche. Tocca agli scienziati Travis (Edward Burns) e Sonia Rand (Catherine McCormack) trovare il modo di invertire tale processo… Il risveglio del tuono partiva da buone premesse: uno dei più famosi racconti di Ray Bradbury e un regista, Peter Hyams, che aveva dato buone prove nel genere sf, come Atmosfera zero (Outland, 1981) e 2010: l’anno del contatto (2010: the year we made contact). Il film però conobbe traversie pesanti durante la lavorazione: una delle case di produzione fallì, il budget si esaurì, gli studi praghesi dove il film viene girato furono allagati dall’alluvione del Danubio del 2003. Il regista riuscì comunque a finirlo, dopo una travagliata post-produzione durata due anni, in cui quasi tutte le scenografie e gli effetti speciali vennero realizzate in animazione digitali da varie case specializzate in giro per il mondo. Il risultato è un film dalla trama confusa e contraddittoria, dagli effetti speciali scadenti, che pur digitali fanno rimpiangere i pupazzi e i fondali degli anni ‘50. Resta ammirevole solo la tenacia di Hyams nel portare a termine un progetto così sfortunato, che resta nella storia purtroppo per l’enormità del suo disastro, anche commerciale: in America incassò infatti solo un milione di dollari alla sua uscita.

Æon Flux – Il futuro ha inizio (Æon Flux) di Karyn Kusama ci racconta che nel 2011 un’epidemia stermina il 99% del genere umano. Nel 2415 i discendenti dei sopravvissuti vivono in una città-stato, Bregna, che vive separata dal resto del pianeta, al riparo da una natura rigogliosa e presumibilmente ostile. Bregna è un regime totalitario, anche se permette ai suoi abitanti di vivere nell’agio materiale. Sul cielo della città vola il Relicle, un dirigibile che ufficialmente ha lo scopo di ricordare le vittime di quell’epidemia. L’unico motivo di angoscia per gli abitanti sembrano essere i misteriosi rapimenti che subiscono alcuni cittadini, dei quali non si ha più notizia. Æon Flux (Charlize Theron) è un membro dei Monican, un gruppo di guerriglieri che oppongono al regime, e per il quale la donna, dotata di un doppio sistema visivo e di eccezionali doti atletiche, compie pericolose e sanguinarie azioni di spionaggio e sabotaggio. Æon ha una sorella, Una (Amelia Warner), che viene uccisa dalla polizia perché ritenuta un agente Monican. Quando Æon riceve l’ordine di uccidere Goodchild (Marton Ksocas), dittatore di Bregna e discendente dello scienziato che scoprì la cura per il virus di 400 anni prima, la sete di vendetta si unirà a quella per la verità… Il film è tratto da una serie animata tv degli anni ‘90 che ha una strana peculiarità: alla fine di ogni episodio l’eroina muore, ma la ritroviamo viva e vegeta nell’episodio successivo, senza spiegazioni. Æon Flux – Il futuro ha inizio è soprattutto un veicolo divistico per Charlize Theron, che fra piroette acrobatiche e vestiti elegantissimi (firmati Jean-Paul Gaultier) riesce comunque a costruire un personaggio valido e sfaccettato. Il film, girato in esterni a Berlino, è un tripudio scenografico (splendido l’ambiente di Relicle, il dirigibile che nasconde i segreti di Bregna). La trama decolla solo nella seconda parte, ma riesce comunque a somministrare il giusto gradi di colpi di scena e tematiche profonde, come l’identità e la percezione della realtà. Il film fu sottratto al controllo della regista Karyn Kusama, ma la versione approntata fu così deludente che la produzione la richiamò per un nuovo montaggio del film. A Kusama fu però impedito lo stesso di inserire alcune scene che, a suo dire, avrebbero reso il film migliore.

Star Wars Episodio III: La vendetta dei Sith (Star Wars Episode III: The Revenge of the Sith) di George Lucas è il terzo episodio in ordine narrativo della saga Star Wars, sesto in ordine produttivo. E’ l’episodio dove la rivalità fra Obi Wan-Kenobi (Liam Neeson) e Dooku (Christopher Lee) si compie, mentre Anakin (Hayden Christensen), pur amando la sposa Padme (Natalie Portman), ora incinta, è sempre più influenzato dal malvagio Palpatine (Ian McDiarmid). Su Kashyyk, pianeta natale di Chewbacca (Peter Mayhew) si svolgerà la battaglia fra le forze del bene e quelle del male… Qualche spiritoso ha detto che non c’era bisogno di girare tre film per dire che Darh Vader è il padre di Luke Skywalker e di Leia. Sta di fatto che in questo terzo episodio George Lucas si concentra ancor di più sul personaggio di Anakin-Darth Vader e sulle sue relazioni familiari, preparando a un finale che di fatto era già rivelato in Star Wars V: L’Impero colpisce ancora (Star Wars V: EmpireStrikes Back, 1980). Come e più che nei due episodi precedenti, tutto il film è un tripudio di effetti e creature digitali, con una propensione alle mutilazioni che lo rende l’episodio più sanguinoso di tutta la serie. Anche stavolta viene usata la tecnica di riprendere ambenti reali (la foresta di Phuket in Thailandia, quella di Guilin in Cina) e di sovrapporvi animazioni e scenografie digitali, soprattutto per rappresentare il pianeta Kashyyk, mentre le riprese dell’eruzione dell’Etna nel settembre 2004 furono usate come sfondo per il duello finale fra Obi-Wan e Anakin. Come gli altri 5 capitoli, questo suscitò un grande successo al box-office e reazioni discordanti tra i fan. Rick McCallum, vecchio socio di George Lucas e coproduttore della saga, dichiarò: “Dal punto di vista cinematografico, questa è la fine definitiva”… ma si sa come vanno le cose a Hollywood.

La Guerra dei Mondi (War of the Worlds) di Steven Spielberg è il secondo adattamento cinematografico del classico romanzo di H.G. Wells, dopo la versione prodotta da George Pal nel 1953. Il protagonista stavolta è Ray Ferrier (Tom Cruise), gruista del porto do New York, che, mentre passa un weekend insieme ai figlioletti Robbie (Justin Chatwin) e Rachel (Dakota Fanning), vede la Terra invasa da tripodi che sorgono dal sottosuolo, guidati da misteriosi alieni intenti a sterminare il genere umano. Per i tre inizia una fuga disperata… Spielberg da una parte riesce a riprodurre l’atmosfera angosciosa del romanzo, con la maestria registica che gli è propria, dall’altra lo americanizza, lo adatta al clima post-11 settembre, e lo permea della tematica forse a lui più cara e ricorrente, quello della paternità. Per dare un’idea dell’atteggiamento del regista: come il romanzo, tutto il film è visto dal punto di vista del protagonista, ma diversamente dal film, il protagonista del romanzo non ha figli. Il risultato è allo stesso uno strano ma ben riuscito mix di film d’autore all’europea e di giocattolone hollywoodiano (sofisticati effetti speciali digitali abbondano). Spielberg omaggia i suoi predecessori ambientando il film nel New Jersey (come nell’adattamento radiofonico di Orson Welles del 1938) e dà un cameo finale a Gene Barry e Ann Robinson, protagonisti del film di George Pal. Per strano che possa sembrare, il film è in qualche modo figlio di E.T. l’extraterrestre (E.T. the Extraterrestrial, 1982). Infatti la favola del tenero alieno nasce da un copione di John Sayles in cui una famiglia di contadini è minacciata da un minaccioso extraterrestre: il progetto si modificò come sappiamo, ma Spielberg rimase con il desiderio di ricreare l’atmosfera di quella sceneggiatura e con La guerra dei mondi finalmente ci riuscì.

Parliamo infine di King Kong (King Kong) di Peter Jackson. Dopo il successo (anzi, il fenomeno) mondiale di Il Signore degli Anelli, Peter Jackson corona un sogno d’infanzia: il remake del suo film preferito, ovvero King Kong (1933) di Merian C. Cooper ed Ernest Schoedsack. Forte dell’appoggio quasi incondizionato della Universal, Jackson prende la sceneggiatura del film originale, la segue fedelmente (nello schema almeno) e fa largo uso di effetti speciali in animazione digitale, con i quali ricrea la New York anni Trenta e la Skull Island, con i suoi animali preistorici e la sua natura selvaggia. Una differenza importante è semmai aver dato a Kong un lato sentimentale del tutto assente nell’originale. In più, dilata i 90’ del film originale in  ben 3 ore, aggiungendo qualche personaggio e varie sottotrame per mostrarci l’industria del cinema e la crisi economica dell’epoca, la vita di bordo sulla Venture, la nave che porta i nostri eroi, i costumi dei nativi dell’isola, varie scene con i suoi animali, etc. Jackson allestisce anche la scena dei ragni, progettata per il film del 1933, ma mai girata, seguendo appunto la sceneggiatura piuttosto che il film finito. Una differenza: Kong nel primo film era un pupazzo a passo uno, nel remake del 1976 era il truccatore Rick Baker dentro a un costume, alternato a primi piani di testa e zampe create da Carlo Rambaldi; nel film di Jackson, Kong è impersonato dall’attore Andy Serkis, che recita in “motion-capture”, vale a dire indossando una tuta con sensori che registrano i movimenti e che sono poi usati come base per l’animazione digitale che si vede nel film: il risultato strappa l’applauso per realismo e spettacolarità. Il cast è ottimo, decisamente superiore a quello (onestamente mediocre) del 1933: Jack Black dà al regista Carl Denham un’aura alla Orson Welles, regista geniale e “avventuriero” per antonomasia; Naomi Watts è una brillante Ann Darrow; Adrian Brody impersona lo sceneggiatore Jack Driscoll (primo ufficiale nel primo film) con molte sfaccettature. E Jackson imbastisce uno spettacolo generoso e fastoso, carico d’amore per il cinema e la sua magia. Peccato solo per l’eccessiva lunghezza, che troppo spesso dà un senso di “brodo allungato”.

Mario Luca Moretti