LO HOBBIT: LA BATTAGLIA DELLE CINQUE ARMATE

SCHEDA TECNICA

Titolo originale: The Hobbit: The Battle of Five Armies

Anno: 2014

Regia: Peter Jackson

Soggetto: tratto dal romanzo di J.R. Tolkien

Sceneggiatura: Peter Jackson, Fran Walsh, Philippa Boyens e Guillermo del Toro

Direttore della fotografia: Andrew Lesnie

Montaggio: Jabez Olssen

Musica: Howard Shore

Effetti Speciali: WETA

Produzione: Carolynne Cunningham, Zane Weiner, Fran Walsh e Peter Jackson

Origine: Nuova Zelanda / Regno Unito / Stati Uniti

Durata: 2h e 24’

CAST

Martin Freeman, Ian McKellen, Richard Armitage, Orlando Bloom, Evangeline Lily, Stephen Fry, Cate Blanchett, Luke Evans, Ken Stott

TRAMA

Smaug, il drago che dimora da decenni nella grotta di Erebor sopra il tesoro dei Nani si è ridestato e liberato, e attacca Pontelagolungo, provocando morte e distruzione finché non viene annientato. I sopravvissuti si dirigono verso Erebor, in cui si sono asserragliati Thorin e gli altri Nani, ormai corrotti, soprattutto Thorin, dall’avidità di ricchezza e pronti a difenderla contro chiunque. Intanto, nuove minacce stanno arrivando, con la calata degli orchi e con l’ombra di Sauron che Gandalf ha scoperto, salvato prontamente da Saruman e Galadriel. La battaglia finale sarà di fronte a Erebor, distruggendo vite, amicizie e amori, e al mite Bilbo non resterà che tornare a casa, con in tasca quel misterioso anello preso a Gollum da cui nascerà un’altra avventura, sessant’anni dopo. Ma questa è un’altra storia.

NOTE

Con il terzo capitolo, chiuso magnificamente dalla struggente ballata The last goodbye di Billy Boyd, che ne Il Signore degli Anelli era Peregrino Tuc, e che per molti, con un po’ di malizia, è il momento migliore della trilogia perché è la fine, si conclude la trilogia che Peter Jackson ha tratto da L’Hobbit di Tolkien.

Un film che ha gli stessi pregi e difetti dei primi due capitoli, meno lento della prima parte ma con meno ritmo della seconda: la sequenza iniziale dell’attacco di Smaug, cliffhanger con La desolazione di Smaug, è decisamente spettacolare (ma un po’ troppo videogioco); ci sono spunti molto interessanti, come la contrapposizione tra l’avidità di Thorin e lo spirito in fondo buono e semplice di Bilbo, senza contare il discendere nella follia del re dei Nani, che mette in luce in pieno le ottime qualità recitative di Richard Armitage, attore di teatro e televisione da tenere d’occhio.

Per il resto, sommo come sempre il Gandalf di Ian Mc Kellen (e il nostro Proietti che non fa rimpiangere il grande Gianni Musy), grande anche il Saruman del veterano Christopher Lee, che rende ancora più ambiguo poi il suo futuro voltafaccia, ma decisamente ridicoli Legolas con un ormai invecchiato Orlando Bloom e la Galadriel che si trasforma a un certo punto in Sadako di Ring, senza contare lo sfruttare cose già viste ne Il Signore degli Anelli, battaglia finale compresa.

Ancora più degli altri due film, L’Hobbit 3 alterna momenti riusciti ad altri francamente di troppo, a cominciare dalla poco riuscita storia d’amore tra Kili e Tauriel, che più che per un film fantasy sembra adatta a una soap opera.

La scelta di fare di un libro di 300 pagine, nato come racconto per ragazzi, un film di otto e passa ore in tre parti (e la versione estesa delle tre pellicole sarà ancora più lunga) è e resta discutibile: certo, le ragioni del botteghino hanno prevalso, ma quello che alla fine la saga dell’Hobbit lascia è una sensazione di troppo, di brodo troppo allungato, e ahinoi anche di noia, con oltretutto un uso intensivo della computer graphic che rende tutto molto stucchevole. Due cose che Il Signore degli Anelli al cinema non aveva mai trasmesso e non trasmetterà mai: mentre la trilogia dell’anello è un evergreen da vedere e rivedere, da soli o in compagnia, con L’Hobbit spesso basta e avanza una sola visione.

Adesso corre voce che Peter Jackson vorrà occuparsi de Il Silmarillion, libro ancora diverso dagli altri due: non resta che attendere e vedere cosa verrà fuori.

Elena Romanello