FANTASCIENZA STORY 263

ATTENTI AL CIELO! (2016)

Iniziamo con Arrival (Arrival) di Denis Villeneuve. 12 astronavi scendono sulla Terra restando in levitazione sopra altrettanti punti del globo, fra cui le campagne del Montana. La linguista Louise Banks (Amy Adams), segnata dalla morte della figlia tredicenne Hannah, viene reclutata dall’esercito per far parte di una squadra scientifica per stabilire una comunicazione con gli alieni in quel punto. Della squadra, diretta dal colonnello Weber (Forest Whitaker), fa parte anche il fisico Ian Donnelly (Jeremy Renner), che si trova sempre più attratto da Louise. Gli alieni sono dotati di 7 arti e per questo chiamati eptapodi; due di loro, ribattezzati Abbott e Costello, si presentano alla squadra esibendo una forma di scrittura logografica che Louise riesce faticosamente a decifrare, raffigurata con un inchiostro emesso direttamente dai loro arti. Pur tra equivoci pericolosi, le scoperte di Louise cambieranno il destino tanto dei terrestri che degli eptapodi… Tratto dalla novella Storie della tua vita di Ted Chiang, è il film con cui il regista canadese Denis Villeneuve corona un sogno d’infanzia: girare un film di fantascienza. Presentato al Festival di Venezia 2016, Arrival fu un inaspettato ma meritato successo di critica e pubblico. Intenso e profondo dal punto di vista drammatico, offre una vasta gamma di personaggi umanissimi e una costruzione narrativa sorprendente. E degli extraterrestri attendibili proprio perché non hanno nulla di umano. E affronta il tema della comunicazione fra specie diverse con originalità e intelligenza.

In 10 Cloverfield Lane (10 Cloverfield Lane) di Dan Trachtenberg, Michelle (Mary Elizabeth Winstead), durante un viaggio notturno in automobile, ha un incidente e si risveglia in una cella all’interno di un bunker sotterraneo, prigioniera del contadino Howard (John Goodman), che le racconta di averla soccorsa e di averla imprigionata per salvarla dai pericoli dell’attacco batteriologico causato da invasori alieni che stanno sterminando l’umanità. Convinta di essere nelle mani di un folle, Michelle conosce Emmett (John Gallagher Jr.), un giovane compagno di prigionia che però crede alle affermazioni di Howard. Dopo aver ottenuto da Howard abbastanza fiducia e libertà di movimento, Michelle tenta la fuga e così scopre che Howard non le aveva mentito… Il film è stato presentato dal suo produttore come una “successore spirituale” di Cloverfield (Cloverfield, 2008). Personalmente, se non fosse per il titolo, farei fatica a trovare un qualche riferimento al capostitpite. 10 Cloverfield Lane resta comunque un godibilissimo thriller claustrofobico, il cui impianto teatrale non ostacola ma anzi è pienamente funzionale allo sviluppo della tensione e alla costruzione delle psicologie, fino a un finale emozionante e brillante. John Goodman costruisce magnificamente un personaggio ambiguo, minaccioso, psicotico e umanissimo.

Con Independence Day: Rigenerazione (Independence Day: Resurgence) di Roland Emmerich, 20 anni dopo aver dichiarato che un seguito a Independence Day (Independence Day, 1996) era impossibile, il regista-produttore-co-sceneggiatore Roland Emmerich ne realizza appunto un seguito. In verità aveva cominciato a pensarci già nel 2001, ispirato dai fatti dell’11/9, ma la gestazione fu molto lunga e travagliata, soprattutto a causa delle difficili trattative per ottenere la partecipazione della star Will Smith, interprete del colonnello Miller, definito da Emmerich presenza imprescindibile. Alla fine l’esorbitante compenso chiesto da Smith spinse Emmerich a fare a meno di lui e sostituire il suo personaggio, dato per morto, con quello del figlio di Miller, Dylan (Jessie Usher). Il nuovo film ha uno sfondo insieme ucronico e favolistico: l’esperienza della “guerra del ‘96” ha dato inizio sulla Terra a una stagione di pace e concordia a livello politico, e di grande progresso scientifico in campo aeronautico e spaziale, grazie alle tecnologie sottratte agli alieni sconfitti. Gli alieni iniziano una nuova invasione il 4 luglio 2016, quando presidente degli Stati Uniti è una donna, Elizabeth Lanford (Sela Ward). Per il resto tornano in pratica tutti i personaggi del primo film con i relativi interpreti: l’ex-presidente Whitmore (Bill Pullman), lo scienziato David Levinson (Jeff Goldblum) e il suo eccentrico padre Julius (Judd Hirsch), il dr. Brakish Okun (Brent Spiner), Jasmine (Vivica A. Fox), madre di Dylan e vedova di suo padre. Si aggiungono personaggi nuovi, come la dottoressa Catherine Marceaux (Charlotte Gainsbourg), che ha passato gli ultimi 20 anni a studiare gli effetti dell’invasione sull’umanità, e vari piloti militari come Jake Morrison (Liam Hemsworth) e la cinese Rain (Angelababy). La trama incrocia varie sottotrame, come nel primo film, e inanella una lunga serie di devastazioni terrestri e battaglie aeree e spaziali, con effetti speciali ovviamente aggiornati rispetto agli anni ‘90, ma una sceneggiatura ancor più banale e prevedibile, e persino uno scontro finale con la Grande Madre aliena che ricorda un po’ troppo quello di Aliens – Scontro finale (Aliens, 1986) di James Cameron.

Veniamo ora a parlare di Passengers (Passengers) di Morten Tyldum. L’astronave Avalon, a guida automatizzata,  sta effettuando un viaggio interstellare di 120 anni diretta alla colonia Homestead II, con a bordo 5.000 persone sottoposte a ibernazione. A causa di un malfunzionamento dovuto a una pioggia di meteoriti, uno di loro si risveglia, con 90 anni di anticipo rispetto al previsto, l’ingegnere Jim Preston (Chris Pratt). Consapevole che non arriverà vivo alla fine del viaggio, Jim ha come unica compagnia il robo-barista Arthur (Michael Sheen), e scivola poco a poco nella depressione, finché non decide di risvegliare un’altra persona ibernata. Sceglie così Aurora (Jennifer Lawrence), una scrittrice, a cui fa credere che anche il suo risveglio sia dovuto a una malfunzione. Poco a poco fra i due nasce l’amore, ma a un certo punto Aurora scopre la verità… Insolito esempio di storia romantica spaziale, il film presenta diversi spunti interessanti nella prima parte, oltre a ottimi effetti speciali (memorabile la scena della piscina rovesciata), ma diventa sempre meno credibile man mano procede, sia a livello psicologico che nel tentativo di introdurre elementi avventurosi verso il finale. Lascia comunque sconcertati l’elemento base della trama, in cui l’amore nasce da un enorme sopruso.

Con Rogue One: A Star Wars Story (Rogue One: A Star Wars Story) di Gareth Edwards, la Disney, parallelamente alla terza trilogia di Star Wars, decise di varare Star Wars Anthology, una serie di film ambientati nell’universo della saga, che raccontano storie collegate ma secondarie rispetto al filone principale. Il primo titolo fu Rogue One, che racconta per esteso un episodio di cui si fa cenno nel cartello d’apertura di Star Wars IV: il furto dei piani della Morte Nera, che permette ai caccia ribelli di individuare il suo punto debole nella battaglia finale di quel film. Così vediamo le vicende di Jyn Erso (Felicity Jones), figlia di Galen Erso (Mads Mikkelsen), scienziato dell’Impero, progettista della Morte Nera, che però, preso da una crisi di coscienza, decide di impiantare un punto debole segreto per permetterne la distruzione all’Alleanza Ribelle. Divenuta adulta, Jyn si allea al contrabbandiere Saw Guerrero (Forrest Whitaker), al pilota ribelle Cassian Andor (Diego Luna) e a due disertori dell’Impero, il robot d’assalto K-2SO (Alan Tudyk) e il pilota Bodhi Rook (Riz Ahmed), e insieme guideranno la missione decisiva per le sorti della ribellione… Senza fare paragoni con i film di George Lucas, Rogue One, rispetto a Star Wars VII, ha una trama più costruita e personaggi più approfonditi, e ha un’atmosfera da film di guerra “classico” che gli dà un tono di (molto relativo) “realismo”, anche se la parte spaziale non manca e sfoggia gli ormai abitualmente mirabolanti effetti digitali. Peccato solo per i pistolotti sulla “speranza” che non deve mancare mai. All’apparenza, Peter Cushing, morto nel 1994, riprende il ruolo di Tarkin, già interpretato in Star Wars IV: in realtà si tratta dell’attore Guy Henry a cui è stata sovraimpressa un’animazione digitale con le fattezze del viso di Cushing; discorso simile per l’apparizione di una giovane Carrie Fisher nel ruolo della principessa Leia nella scena finale: il corpo è di Ingvid Deila, il volto una ricostruzione digitale.

Chiudiamo con Star Trek Beyond (Star Trek Beyond) di Justin Lin. Il capitano Kirk, a metà della sua prima missione quinquennale al comando dell’Enterprise, trova l’incarico noioso e chiede di passarlo a Spock, che ha da poco interrotto la sua storia con Uhura. Ma la flotta guidata dal misterioso alieno Krall (Idris Elba) cattura l’Enterprise attirandola con uno stratagemma sul pianeta Altamid. Alcuni membri dell’equipaggio vengono catturati, fra cui Uhura e Sulu, mentre altri, fra cui Kirk, ingaggiano una lotta senza esclusione di colpi per liberare i compagni e sventare la minaccia di Krall, che vuole distruggere la base spaziale di Yorktown e vendicarsi di un tradimento subito ben un secolo prima… Si tratta del terzo episodio della serie ideata da J.J. Abrams che racconta la giovinezza degli eroi di Star Trek. Qualche lungaggine nella prima parte non guasta un prodotto in cui le varie sottotrame si articolano in un film ben diretto e interpretato, come al solito, che si snoda avvincente e gustoso. Nel cameo di un ufficiale alieno compare Jeff Bezos, fondatore del gruppo Amazon. Leonard Nimoy, storico interprete di Spock, morto nel 2015, viene omaggiato in una scena in cui il giovane Spock riceve la visita di due vulcaniani venuti dal futuro che gli comunicano che lo Spock anziano è morto nella loro epoca: in pratica gli rivelano la data della sua morte!

Mario Luca Moretti