DELIRIO ALL’ULTIMA PALLOTTOLA – TUTTO IL CINEMA DI MICHELE SOAVI 02

World of Horror: il meglio di Dario Argento secondo Soavi

Michele Soavi gira due videoclip musicali: Valley (ispirato all’omonimo brano musicale composto da Bill Wyman e Terry Taylor) per Phenomena di Argento e Demon per Demoni di Lamberto Bava. Poi si cimenta come regista nel suo primo lungometraggio, il documentario World of Horror: il meglio di Dario Argento (1986), a firma sua e del regista Luigi Cozzi. Questo lavoro è un vero e proprio omaggio al più famoso regista italiano di cinema horror. Argento è sempre stato un idolo per il giovane Soavi che fin da adolescente raccoglieva tutte le recensioni pubblicate sulla stampa. Soavi conservava addirittura i ritagli di riviste del settore come Radiocorriere o Sorrisi & Canzoni TV. Ma adesso ha la possibilità di intervistare il suo regista-cult in carne e ossa e di usare per il suo documentario alcune scene dei film del maestro romano. Il documentary – film di Soavi e di Cozzi non è altro che un collage ben riuscito di interviste e spezzoni delle opere argentiane che vanno dal 1969 fino al 1985. Si passano in rassegna alcune delle scene più impressionanti e meglio realizzate da Dario Argento, cominciando con gli omicidi di Profondo rosso (1975), de L’uccello dalle piume di cristallo (1970), de Il gatto a nove code (1971) e di Quattro mosche di velluto grigio (1971), tutti capolavori thrilling argentiani, per finire con gli insetti di Phenomena (1984) e i film di stampo esoterico del regista.

Nell’intervista, rilasciata a Soavi & Cozzi, Argento si racconta, motivando la sua passione per i generi del terrore e dell’orrore con le proprie paure adolescenziali. Il documentario diventa quindi un lungo viaggio nell’universo interiore dell’unico e inimitabile regista visionario italiano.

Il primo film esoterico argentiano, Suspiria (1977), con Jessica HarperStefania Casini, Alida Valli e Flavio Bucci, viene commentato come una “fiaba di streghe”, caratterizzata dai diabolici carillon del complesso musicale dei Goblin, da molti trucchi, da riusciti effetti visivi, da una scenografia dal forte cromatismo liberty, dalla splendida fotografia di Luciano Tovoli e da un uso sapiente della cinepresa. Il documentario mostra il trailer in cui la lama di un coltello da cucina tenuto in mano da una delle streghe nel corridoio dell’accademia di danza riflette di colpo la luce, accecando la giovane protagonista Susy (Jessica Harper), come pure l’acquazzone da tregenda dell’incipit che prepara lo spettatore a uno spettacolo pieno di tensione. Da un solo negativo della pellicola sono state tratte tre diverse matrici di colore per questo film in Technicolor. Viene anche spiegato che i trucchi sono realizzati direttamente durante la ripresa e non successivamente. È il caso della morte violenta del pianista non vedente (un bravissimo Flavio Bucci), che se ne va dall’accademia dopo un furibondo litigio con l’arcigna Alida Valli. Nella piazza di Monaco in campo lunghissimo, la vittima viene quasi schiacciata da un misterioso oggetto volante, ma la morte l’attende, inaspettata, in basso. Come una sky cam, la macchina da presa, legata a un cavo di acciaio fissato al suolo, precipita dall’alto verso il basso, come sopra una funicolare, dando l’impressione dell’immagine che cade per schiacciare il personaggio. Il veloce inquadramento prospettico rinforza il carattere dinamico e ineluttabile del movimento. Michele Soavi rivela pure che le musiche dei film di Argento, composte ed eseguite da Keith Emerson, sono state scritte in diretta, durante la visione delle scene.

Fra un trailer e l’altro, Dario Argento spiega la propria visione cinematografica e il “perché” profondo della sua opera. Il giovane Argento fa cinema perché “vuole essere amato” dal pubblico e la stessa cinematografia viene da lui interpretata come “un sogno totale” per lo spettatore. In definitiva, l’autore del film è più o meno interessante a seconda del fatto che i suoi sogni, i suoi incubi o le sue illusioni siano anch’esse avvincenti per chi li vede. Per rendere interessanti i suoi gialli, Argento punta sulla curiosità della vicenda, sulle complicazioni e sulle sorprese dell’intreccio, come direbbe il critico Luigi Chiarini.

La tesi del film come attrazione viene confermata dalle scene successive del documentario, tratte da Inferno (1980) e da Tenebre (1983). Nella prima, Sarah (Eleonora Giorgi), che tiene in mano il “Libro delle Tre Madri”, incontra il suo assassino, mentre, nell’altro movie, una giovane Veronica Lario, futura signora Berlusconi, in un crescendo incredibile di efferatezze, viene mutilata della mano e uccisa dall’ascia del misterioso omicida. In Inferno la paura tocca il culmine quando Irene Miracle fa un brutto incontro nelle acque del sotterraneo di una casa di Varelli, l’architetto adoratore delle Tre Madri infernali (Mater Suspirorum, Mater Lachrimarum, Mater Tenebrarum) dell’omonimo “Libro” alchemico (basato sul vero “Suspiria de profundis” dell’oppiomane Thomas de Quincey), per le quali aveva costruito tre dimore a Roma, New York e Friburgo. In Tenebre, Argento, ritornando al thriller, ricorre all’uso flessibile del “carrello francese”, meglio conosciuto come louma, che permette ogni genere di acrobazie nonché il continuo ribaltamento delle inquadrature, dei punti di vista e delle distanze.

Il documentario di Soavi & Cozzi è una buona divulgazione delle tecniche del cinema orrorifico. Così ancora importante rimane l’analisi fatta sulle quinte di Phenomena, girato nel 1984 a Zurigo con ben 450 effetti speciali. Dario Argento impiega una grande gru con la cinepresa issata alla cima per girare alcune scene dall’alto. La gru scavalca un bosco di conifere che fugge e mostra l’altra parte, dove si trova una casetta isolata. La tredicenne Jennifer Connelly, perduta la corriera, vi entra e viene aggredita. In Phenomena ha lavorato con grande ingegnosità un gruppo affiatato di entomologi, diretto da Maurizio Garrone, per preparare i calabroni filoguidati nella scena 9, 5 prima, interno Mercedes. In un’altra sequenza, nugoli di mosche (effetto simulato usando in sovrimpressione l’immagine di caffè in polvere versato nell’acqua), invocate da Jennifer, attaccano il collegio svizzero, mentre la scena della piscina purulenta di cadaveri viene ricostruita con la spiegazione di tutti i trucchi, compresa la vermiculite mischiata all’acqua. Dario Argento ricorda allo spettatore che gli insetti possono aiutare gli investigatori a svelare certi crimini e Jennifer Connelly, proprio grazie all’aiuto di insetti e di scimpanzé di cui è amica, riuscirà a scoprire il mostruoso assassino delle ragazzine del collegio elvetico.

In una sequenza del film vediamo Dario Argento seduto su un elicottero vero precipitato in una sala cinematografica. Il regista confessa: “Il cinema oggi assomiglia a una guerra”.

L’idea argentiana del cinema moderno come rappresentazione verosimile di una guerra, nel senso di poter raffigurare con reale crudeltà la fantasia più sfrenata, ispira anche i Demoni (1985) di Lamberto Bava, sceneggiato e prodotto da Dario Argento. Gli effetti speciali, veramente truculenti, di Sergio Stivaletti e il make-up di Rosario Prestopino sono stati voluti in Demoni da Dario Argento che vi fa recitare anche la figlia Fiore. La violenza dal mondo moderno passa al cinema e da questo, attraverso il grande schermo, ritorna alla realtà creando spettatori indemoniati. Michele Soavi mostra le tecniche di make-up impiegate per creare i demoni (uso di calchi facciali e di protesi) e anche l’attore lillipuziano Davide Marotta in Phenomena è coperto da una mostruosa maschera posticcia.

I documentaristi non dimenticano poi di fare un accenno al film Dawn of the Dead di George Romero, prodotto dallo stesso Dario Argento nel 1978. Definito dal commentatore “un’esplosione di musiche e di effetti speciali”, il film romeriano deve molto anche a Tom Savini, veterano della guerra in Vietnam e creatore degli effetti speciali e del make-up degli zombi cannibali.

L’estetica dell’omicidio (l’assassinio cinematografico è bello per le masse) viene indicata da Dario Argento per il blood & gore dei suoi film. Salvo l’origine genetica del male ne Il gatto a nove code, spesso il movente degli assassinii si basa su un trauma infantile, mentre soltanto il ricordo del dettaglio rivelatore presente nella scena dell’omicidio in cui il protagonista è stato testimone farà risolvere il caso. Nell’insuperato L’uccello dalle piume di cristallo in cui l’ornitologo Tony Musante (“come prigioniero in un acquario”) assiste a un tentato omicidio in una galleria d’arte, indimenticabili rimangono la sequenza dell’omicidio sul letto e l’immagine dell’abito di pelle nera illuminata dai riflessi del rasoio. L’estetica dell’omicidio per Dario Argento non è esente da una certa sensualità. Infatti la sequenza del delitto sul letto de L’uccello dalle piume di cristallo rappresenta un atto sanguinario che diventa erotico: “c’è un avvicinamento dell’orgasmo della morte all’orgasmo sessuale”.

Alla domanda sui titoli dei suoi primi film che fanno sempre riferimento ad animali (Il gatto a nove code, L’uccello dalle piume di cristallo o Quattro mosche di velluto grigio), Argento spiega che essi rinviano alla bestia che vive in noi, all’istinto cioè che prevale sulla razionalità dell’uomo. In questo contesto la soggettiva con la cinepresa mobile steadycam  diventa rilevante. L’occhio dell’obiettivo diventa gli occhi degli spettatori. E lo spettatore spesso si identifica, per una sorta di transfert empatico, con il colpevole. Ma gli assassini delle pellicole argentiane fanno tutti una fine orrenda. Vedi il Marotta, coperto dal glucosio liquido, divorato dallo sciame di mosche, la madre colpevole di Carlo nel finale di Profondo rosso o la folle criminale (la bionda Mimsy Farmer) di Quattro mosche di velluto grigio, decapitata dalle lamiere del camion, decapitazione in slow-motion prefigurata dal sogno dell’esecuzione capitale nella piazza islamica.

Concludendo, possiamo dire che Michele Soavi e Luigi Cozzi hanno messo ben in evidenza l’abbondante utilizzo di soggettive, di piani americani, di primi piani e dettagli, di lunghi movimenti di macchina, di effetti splatter e sequenze dilatate di suspense nel cinema di Dario Argento. Alla fine usciamo dalla sala di proiezione certamente più ricchi di conoscenze sul conto del maestro Dario Argento, il regista che più di ogni altro ha influenzato lo stesso Michele Soavi.

(2 – continua)

Gordiano Lupi, Maurizio Maggioni e Fabio Marangoni