OLTRETOMBA GIGANTE E IL GOTICO ‘70

1 giugno 1973, esce nelle edicole italiane il primo numero di “Oltretomba gigante”, che va ad aggiungersi alla collana regolare e a “Oltretomba colore”. Il formato aumentato, grandi tavole, copertine pittoriche coloratissime e spettrali, tutti elementi che rendono la collana tra le più belle tra i fumetti neri di allora. Per una breve storia editoriale rimando ai bei volumi filologici curati da Luca Mencaroni Editore.

Qui vorrei cercare invece di tracciare un’altra storia. Riannodare certi fili, certi contesti culturali. Partiamo da quei primi anni ’70.

“Oltretomba gigante” apre i battenti nel 1973, in un’Italia già presa nel diagramma convulso dell’età finanziaria, in un mondo già azionario, societario, che troverà nella faccia maciullata di Pasolini una maschera occulta capace di rivelare il vero volto nascosto della nostra società. Un corpo schiacciato e insanguinato. Un’Italia necrofila, “un’Italia brulicante e sommersa, annoiata e giocherellona, cinica e cavillosa, spensierata e crudele che soprattutto la domenica, nel giorno di festa, risvegliava i suoi istinti più profondi e ferini (1).”

La cultura di quegli anni, specialmente quella di massa, sembra rivelare un involontario punto di vista psico-antropologico sugli italiani e sui rapporti malati tra le varie generazioni. Umberto Eco, in un articolo del 1971, leggeva nella valanga di fumetti neri di allora i germi di una disposizione pre-fascista, un gusto esplicito per la violenza sessuale e un gusto erotico deviato e senza rimorsi. L’ambiguità di quelle storie metteva in pratica l’insegnamento del Divin Marchese, aprendo l’immaginario bigotto e perbenista dell’italiano medio a un’ambigua liberazione dei costumi, a un gusto voyeuristico di deflorazioni, necrofilia e incesti a buon mercato.

E non è un caso che il fumetto nero abbia un boom in quegli anni e definisca un processo di nation building: lapidi, croci, cimiteri e inumazioni si sposano con le bandiere, le medaglie, le lapidi e i riti commemorativi delle istituzioni repubblicane. Il fumetto nero (in particolare una collana come “Oltretomba”) sembra sintetizzare tra le sue tavole un folclore laico e religioso che mixa arcaismi, automobili, elettrodomestici e cultura di massa; ecco allora riemergere nell’immaginazione popolare il gusto per le mummie, le bare esposte di Papi, santi mummificati, sante bambine immolate, o ancora i pennacchi dei Carabinieri, le processioni, le statue, in un intrecciarsi di potere civile e religioso, di modernità e superstizione.

E se i gerarchi della DC presentano un’immagine di sé in cui il corpo quasi scompare, privato e asciugato da pulsioni e passioni, il fumetto nero contrappone un panorama di corpi ipnagogici e deliranti, in cui i tabù si contaminano con magia, senso del sacro, blasfemia e parossismi patologici. Il fumetto nero sembra immaginare un mondo febbricitante, narcotico e nevrotico, fra ipnosi e frenesia. Un ibrido in cui anche il consumo del sesso diviene qualcosa di alienato, lontano dalle rivoluzioni proletarie del corpo. Ecco allora che le zoppie e gli squilibri deambulatori di tanti personaggi di “Oltretomba” non sembrano rimandare al nostro bisogno di dare una forma all’aldilà, quanto una degradazione animale dell’attività sessuale, una pura conseguenza del gioco del mercato, della libido borghese e della prostituzione della classe proletaria. Un erotismo sterile e sporco, già tramutato trasformato in merda dal denaro del demonio. Il fumetto nero è abitato da un culto per l’accumulazione delle copule, per il buco del culo e gli orifizi della donna ridotta a strega e puttana. La nuova famiglia borghese degli anni ’70 centrata su bambini, pedagogia e sorveglianza, trova nel fumetto nero un rovesciamento cupo e soverchiante della propria apparenza.

Ed eccoci allora a quel 1 giugno del 1973, quando nelle edicole esce il primo “Oltretomba gigante” intitolato “La vendetta dell’appestato”, cupa storia in costume ambientata in una Londra del 1665 attanagliata dalla peste. L’albo non è dei migliori ma segna comunque l’esordio della nuova collana. Sullo sfondo, in quel 1973 gli echi di Piazza Fontana hanno generato una serie senza fine di giorni blindati e stragi. Il 9 marzo di quel ’73 avviene lo stupro di Franca Rame, mentre cresce sempre più la minaccia del terrorismo nero. Ad aprile abbiamo un dirottamento sul Torino-Roma, a maggio una bomba alla questura di Milano: sullo sfondo l’inquietante organizzazione atlantica della Rosa dei Venti, composta da estremisti neri, militari e industriali uniti dal desiderio di modificare in senso autoritario la natura della Repubblica italiana. Un senso autoritario che si rispecchia nelle storie di “Oltretomba”, anche in quelle apparentemente arcaiche, ma codificate da un nichilismo, da un egoismo violento che non sembra lontano da quei flutti estremi a un passo dal Golpe.

E mentre si scivola verso la mattina del 28 maggio a Brescia, “Oltretomba” sembra seguire (o anticipare) le ultime derive del gotico cinematografico italiano. Il gotico ’70, così come ne parla Roberto Curti nel suo studio monumentale sul genere, è imbastardito e smaliziato, percorso da una carnalità inquieta impensabile per il decennio precedente. Temi e figure estremizzate del pornofumetto nero (a loro volta figli dei romanzetti tascabili delle collane “I racconti di Dracula” e i “KKK”) ridanno un ultimo soffio di vita al nostro cinema di genere, generando pellicole decadenti e stilizzate piene di sesso e truculenza morbosa, il tutto a discapito di qualunque forma di coerenza narrativa. E’ una dissipazione creativa, una trasgressione fine a se stessa, un cupio dissolvi di donne-bambine e deflorazioni anali. Interessante, in questa oscena discesa verso il porno, il connubio che si crea tra “Oltretomba” e gli ultimi cascami di quel cinema di genere degli anni ’70.

E se già nel numero 4 di “Oltretomba gigante” intitolato “Il nano del luna park” è possibile leggere echi anticipatori del nano pornografo di “Terror il castello delle donne maledette”, bisogna aspettare il numero 8 “Le nove piaghe” del gennaio 1974 per avere una trasposizione su carta del film “L’abominevole dr. Phibes” di Robert Fuest. Certo le Edizioni EP esasperano la dimensione necrofila della storia, senza lesinare sulle trombate e sulla figura del dottor Faustroll, versione a fumetti del dr. Phibes interpretato da Vincent Price. L’albo rimane fedele al film, soprattutto nell’originalità dei delitti compiuti dal perverso e fantasioso protagonista.

Anche il numero 9 “Il grido del capricorno” (febbraio 1974) è un ibrido argentiano molto interessante. Il fumetto infatti anticipa il soggetto da cui verrà tratto il film “Murder Obsession” di Riccardo Freda (1980), ma è anche alla base di quello di “Profondo rosso” il capolavoro di Argento. Ancora più interessante è la rilettura, nelle prime tavole del fumetto, di una sequenza delittuosa presa di peso da “L’uccello dalle piume di cristallo”, quando l’assassino segue una malcapitata fino a casa e poi la aggredisce nel letto, denudandola e sventrandola. “Il grido del capricorno” è un fumetto che condensa dentro di sé molti stimoli passati e futuri del thriller di quegli anni, in particolare la fusione del gotico con le tematiche del giallo.

Il numero 14 di “Oltretomba gigante” dal titolo “Lo scarabeo d’oro” è una curiosa rilettura del racconto omonimo di Edgar Allan Poe, infarcito di battutacce razziste e sesso contronatura.

Il numero 16 del settembre del 1974 “La rivolta dei gladiatori” pare anticipare di poco l’uscita del film “La rivolta delle gladiatrici”, produzione americana rimaneggiata anche dal nostro Joe D’Amato. Il fumetto centra poco col film ma curiosamente ne riprende, nella copertina, una delle scene chiave, quella in cui Pam Grier lotta contro un gladiatore pelato e nerboruto. Per ricostruire correttamente la genesi di queste filiazioni, bisognerebbe conoscere i nomi dei soggettisti e i loro rapporti col mondo del cinema di allora. E’ evidente infatti che tra questo fumetto e la pellicola del medesimo anno, ma ancora non distribuita, esista un legame evidente, anche se non si capisce come e in quale misura autori del fumetto e cartellonisti del film siano entrati in contatto (da una breve ricerca su internet il film americano sembrerebbe uscito nel dicembre del ’74, quindi alcuni mesi dopo il fumetto). Giova comunque ricordare che molti di quegli anonimi sceneggiatori lavoravano anche per il cinema, così come disegnatori e copertinisti copiavano e si ispiravano abbondantemente dalle immagini delle foto buste, dei poster e dei manifesti di allora, quando non li avevano direttamente disegnati loro stessi.

Il numero 24 “La maledizione dei Wurdalak” (febbraio 1975) rielabora il bel gotico di Giorgio Ferroni “La notte dei diavoli” (1972), calcando la mano su atmosfere nebbiose e sospese e cimiteri di campagna sconsacrati. Il fumetto è uno splendido folk horror fatto di arcaicità campagnola e istanze modernizzanti (l’automobile, la clinica, i telefoni), in cui l’isolamento del paesaggio di provincia rimanda, nello specifico italiano, al suo passato e ai suoi traumi postfascisti. Il fumetto infatti, con le sue inumazioni di cadaveri e i suoi rituali cadaverici, sembra rimandare a quei riti di passaggio della nostra società, per cui la Chiesa otto/novecentesca è riuscita a mantenere un controllo sulla sfera pubblica. Tuttavia la società che fa da sfondo al fumetto (così come avveniva nella pellicola) rimanda a un mondo anni Sessanta e Settanta fatto di dinamismo economico e società dei consumi; il boom economico è appena oltre le bare e le lapidi disegnate, oltre le pennellate bianche della nebbia; movimenti studenteschi e conflitti sociali sono pronti a spazzare via le ultime vestigie della superstizione e a ridefinire l’immaginario sociale e aziendale degli anni ’80.

Il numero 24 (maggio 1975) “La setta del demonio” ha una copertina splendida e da galera: un diavolo pecoreccio e caprino che frusta sulle natiche nude una bella camerierina uscita da qualche pornorivista francese. La storia all’interno rilegge in salsa hard il film “La notte del demonio” (1957) di Jacques Tourneur.

“Oltretomba Gigante” n. 36 presenta delle caratteristiche molto interessanti. Fino a qui il fumetto nero non ha sfoggiato delle citazioni letterarie fuori dai canoni classici del gotico ottocentesco riletto in una chiave fortemente erotizzata. Prevalentemente queste pubblicazioni guardavano (e anticipavano) le derive del cinema gotico italiano e internazionale, cercando di catturare nelle grandi pagine gli aspetti più cruenti e piccanti delle storie. In questo numero intitolato “Organi viventi” le cose non sono poi così diverse, se non per un particolare: il fumetto anticipa di nove anni il film splatter americano “Re-Animator”, tratto liberamente dalla novella di H. P. LovecraftHerbert West, rianimatore”. Il merito del fumetto (e dell’anonimo sceneggiatore) è quello di abbeverarsi alla medesima fonte, variando l’ambientazione (qui londinese) e tenendo un contesto temporale sovrapponibile a quella in cui l’autore americano ha composto questo racconto giovanile infittito di abominazioni necrofile e pulp. In anni, la metà dei ’70, in cui Lovecraft è ancora lontano da una piena riabilitazione critica, sorprende la scelta di questi fumetti neri nel prendere ispirazione da un raccontino così. La storia di “Oltretomba” modifica i personaggi, ma non la trama, che, grosso modo, segue quella di Lovecraft, fino al suo finale delirante e ad effetto. Certo gli anonimi sceneggiatori della EP non perdono l’occasione per sguazzare nelle perversioni più congeniali alla collana, prendendo divagazioni sessuali che certo Lovecraft non avrebbe messo esplicitamente: necrofilia coi cadaveri, sadismo spinto, orge razziste e ninfomanie varie. Colpisce ancora la copertina, qui davvero anticipatoria del film americano del 1985: si vede infatti un cadavere senza testa impegnato a grondare sangue e iniettare il siero miracoloso per la rianimazione in una discinta e prosperosa ragazza urlante. Tra i piedi della donna una testa mozzata che sembra guidare le mosse del corpo decapitato, esattamente come accadrà nella pellicola di Stuart Gordon! “Organi viventi” va insomma ad aggiungersi alle trasposizioni a fumetti di Lovecraft che in quegli anni andavano sperimentando autori del calibro di Battaglia e Breccia.

Oltretomba n. 41 “Ragazzi di borgata” è una vera chicca per feticisti malati! Meglio dare un’occhiata alle date: il numero è nelle edicole nell’ottobre del 1976. La copertina mette insieme (come sempre avveniva) una serie di situazioni che si stratificano e sovrappongono, creando una sorta di narrazione visiva congelata nel frame di un fotogramma dai colori accesi. Un gruppo di tre teppisti (i ragazzi di borgata del titolo si presume) in maglietta e canotte della salute stanno castigando il solito borghese ben vestito. Forse lo hanno trascinato giù dall’auto, comunque lo sprangano ben bene. In primo piano una bella figliola (hippy?) col seno sinistro scoperto si sta iniettando dell’eroina in vena. La ragazza vive in una dimensione altra (e tuttavia prossima) rispetto alla scena di lotta. Lei è seduta su una sedia e si intravede un pavimento a losanghe. Le due situazioni sono comunque accomunate dal rosso acceso dello sfondo. Per finire, accanto alla giovane, un cadavere decomposto, presagio e sintomo necrofilo che si amalgama con la blasfemia esasperata delle figure che vanno a comporre il quadro. E l’interno dell’albo? La storia riprende l’omicidio cronachistico dell’attore gay Ramon Novarro, massacrato nella sua villa di Santa Monica da due scellerati fratelli a caccia di grano, anche se l’ambientazione trasteverina, la parola stessa “borgata” e le facce del terzetto di teppisti protagonisti dell’inizio rimanda di peso all’Italia di quegli anni, ai giovani protestatari, ai vagabondi del beat e a certe facce truci ritagliate dai film di Pasolini (uno in particolare ha i capelli di Ninetto Davoli e il grugno ferino di Franco Citti). Ed è infatti all’ombra di Pasolini che sembra rimandare questo fumetto. Il vecchio attore omosessuale che si aggira tra gli sfaccendati a caccia di avventure sessuali, anche se ha le fattezze di Novarro, allude al cineasta e poeta massacrato l’anno prima all’Idroscalo di Ostia. Il fumetto condisce tutto con abbondanti dosi di sesso, depravazioni varie e ritorni dall’oltretomba del morto vendicativo. Tuttavia è interessante la descrizione cinica di un mondo dello spettacolo di serie B, tutto preso dalla moda dei film western o di un erotismo (ormai quasi pornografico) che dilaga nei cartelloni, nelle prime riviste hard, nei fotoromanzi dell’epoca. Il gruppo di sbandati evoca l’apocalittica ansia scopofila degli sbandati del Circeo, responsabili di una carneficina su cui lo stesso Pasolini scriverà una delle ultime Lettere Luterane, prevedendo un nuovo modo di produzione e quindi una nuova cinica umanità, in cui feroci figli della borghesia e feroci figli del proletariato si uniranno in un rozzo cerimoniale sadico di violenze e impunità. Una cancrena di corruzione e ripetizioni, una litania oscena e a buon mercato, spaventosamente leggera e “divertente”, un concentrato blasfemo di fascismo e omologazione di destra e sinistra di cui “Oltretomba” è perfetta sintesi grafica.

Il n. 46 “666 il segno del demonio” (marzo 1977) rimanda fin dalla copertina al bel film di Richard DonnerIl presagio” del 1976, anche se poi la storia all’interno dell’albo rielabora in modo assai diverso gli avvenimenti della pellicola, tenendo solo alcuni passaggi, in particolare il finale. Come sempre il fumetto spinge l’acceleratore sul sesso, col piccolo anticristo che si diverte a ipnotizzare e plagiare delle bambine, costringendole ad atti masturbatori che oggi costerebbero la galera dell’editore, sceneggiatore e disegnatore.

Il n. 47 “Concerto per artiglio solista” anticipa alcune situazioni iniziali che si ritroveranno nell’incipit del film “La setta”, ad esempio l’arrivo di Charlie Manson in motocicletta e la comune di hippy accampata nel deserto. Le scene sono molto simili e si fa fatica a pensare ad una casualità… La seconda parte del fumetto, invece, sembra attingere a piene mani dal thriller inglese “La torre del male”, inscenando misteriosi omicidi compiuti da un individuo semiumano armato di roncola. La commistione di spunti (Manson + il thriller inglese) non deve stupire: siamo ormai nella seconda metà dei ’70 e il gotico è praticamente morto, così come il thriller. “Oltretomba” e i fumetti neri continuano ancora per alcuni anni la loro corsa verso il nulla, assorbendo da quanto ancora si andava facendo in giro per il mondo.

In “Quel dannato figlio di Sam”, “Oltretomba Gigante” n. 59 dell’aprile 1978, è facile capire che il fumetto si riferisca ai recentissimi delitti avvenuti a New York per mano di David Berkowitz, un postino serial killer che uccise 6 persone tra il 1976 e il 1977. Berkowitz cominciò casualmente col ferire a coltellate una donna nel 1975 per poi passare a una serie di agguati con un’arma da fuoco. Tra le sue vittime anche alcune coppiette. Prima di essere arrestato Berkowitz inviò varie lettere deliranti e sgrammaticate alla polizia e al New York Daily News, blaterando di cani, urina, vomito e del demone Behemoth (o Sam) che si aggirava per la spazzatura del Queens, circondato dai latrati dei cani e che gli ordinava di uccidere. Una volta catturato, Berkowitz racconterà di aver sentito l’impulso di ritornare sui luoghi dei delitti per eccitarsi e masturbarsi e di aver cercato nei vari cimiteri le lapidi delle sue vittime (particolari che potrebbero rimandarci al mostro di Firenze). Nel fumetto la vicenda è praticamente riscritta, col nostro che diventa Hugo Berliowitz e mantiene una forte somiglianza col killer originale. New York coi suoi grattacieli rimane il fondale della storia, lontana dal gotico fatto di reincarnazioni, vampire e zombi degli altri albi. Siamo ormai nel 1978 e i fumetti neri cercano di stare al passo, succhiando nuove idee dai fatti di cronaca nera. Lo sceneggiatore anonimo dell’albo però impasta bene gli elementi, saturando il tutto come di consueto: il trauma di Hugo è legato alla calvizie e a un certo odio contro i capelloni; il nostro cerca conforto nel sesso orale con una prostituta, ma anche questa finirà per deriderlo. Dopo un maldestro tentativo di suicidio, Hugo finirà per incontrare un tale Sam, un vecchio pazzo che lo trasformerà nel killer denominato appunto “Figlio di Sam”. Da qui in avanti Hugo, infagottato come un assassino dei thriller argentiani, si inerpicherà lungo le facciate dei grattacieli per introdursi negli appartamenti delle sue vittime. Dopo averle uccise, il figlio di Sam le scalpa, in un modo praticamente identico a un film di poco successivo, quel famigerato “Maniac” del 1980, pellicola che presenta sinistre analogie col caso del mostro di Firenze. Nella pellicola (di due anni successiva) il maniaco farà la stessa cosa alle vittime, anticipando un’ossessione per la cute e i peli che troverà nel maniaco fiorentino il suo più illustre esponente. Coincidenze? Casualità? A pag. 70 – 77 il figlio di Sam a fumetti ammazza una coppietta in macchina, lasciando la sua firma sul seno della donna e portandosi via i suoi preziosi trofei. Se è difficile immaginare che gli sceneggiatori americani della pellicola abbiano potuto incappare in questo fumetto, è ben più facile immaginare che il serial killer fiorentino (secondo i lunghi e documentati studi del dottor De Gothia) si sia cibato (negli anni di silenzio tra il delitto del 1974 e la ripresa nel 1981, a pochissimo dall’uscita della pellicola americana nelle sale italiane e fiorentine in particolare) di questo genere di prodotti culturali. Tracce, anticipazioni del mostro le abbiamo nei “KKK” (la perizia è di Daniele Vacchino e rimando al saggio fondamentale che ha dedicato a quella collana), nei thriller di allora e, perché no, in questi albetti da edicola per anonimi onanisti. L’albo a fumetti prosegue con un mitomane che sequestra una bella figa e prova a spacciarsi per il vero maniaco (un particolare che sembrerebbe alludere a quanto stava avvenendo nel caso ancora aperto dello squartatore dello Yorkshire) e finisce col vecchio Sam (di lui si scoprirà che era stato tantissime cose, un collaborazionista nei campi di concentramenti, un becchino profanatore di tombe che amava depredare le salme e abusarne, un poco come – ma non lo si poteva ancora sapere – faceva il vero squartatore dello Yorkshire, al secolo Peter Sutcliffe) bruciato sulla sedia elettrica, anzi polverizzato sulla sedia elettrica, tanto che l’intera città cadrà in un apocalittico black out! Albo splendido fin dalla copertina, questo è chiaro. Ma vorrei tornare a quei particolari: perché lo sceneggiatore devia così tanto dalla vicenda originale (già di suo parecchio sconcia)? Perché inserire quella pulsione ossessiva per i capelli (i peli…)? Perché far sì che il maniaco si camuffi, mettendosi una sorta di parrucchino ricavato dai feticci delle varie vittime? Perché insistere graficamente così tanto sulle coppiette appartate (in macchina, nei giardini)? E’ il 1978 e il mostro di Firenze non esiste ancora per i media. Eppure ha già colpito nel 1974. Un delitto feroce. Poi ci sarebbe la questione mai risolta del 1968. Era lui? No? L’arma era la stessa? A otto colpi? A dieci? Non lo sapremo mai. Però possiamo ricostruire la fascinazione morbosa che questi fumetti devono aver esercitato su un certo numero di persone e non è escluso (io anzi mi sentirei quasi certo) che il mostro fosse tra questi. Cosa deve aver provato nel veder fissato su carta (e non come sul grande schermo dove le immagini, i sogni a occhi aperti volavano via, svanivano, conservandosi solo parzialmente nella memoria…) azioni e ossessioni che di lì a tre anni avrebbe ripreso a praticare? Anzi. Il mostro, probabilmente, ha visto per la prima volta in questo fumetto, un’anticipazione di quello che avrebbe voluto fare. Nel 1974 era ancora tutto confuso. Leggo dalla perizia del dottor De Fazio, l’illustre criminologo incaricato dalla Procura di Firenze di stilare una relazione clinica sui delitti del mostro (un lavoro unico e straordinario per allora): “E’ possibile che la ragazza, sicuramente ancora in vita dopo che l’omicida smise di sparare, emettesse grida d’aiuto o di terrore, e che l’omicida abbia in un primo tempo tentato di tapparle la bocca con una mano. Le urla della ragazza, o un morso ricevuto da quella, potrebbero aver scatenato nell’omicida lo stato emotivo (ira, furore, eccitazione) in preda al quale ha poi inferto i primi colpi da arma da punta e da taglio. Gli stessi motivi potrebbero giustificare i colpi inferti al viso, quasi come un istintivo attacco alla parte della donna che in quel momento si mostrava più vitale ed aggressiva (…) L’introduzione del tralcio di vite abbia fatto parte di una serie di atti esploratori compiuti dall’omicida sulla donna, come si trovasse di fronte ad un oggetto relativamente estraneo.” Nel 1981 ormai è già tutto tracciato, segnato, compiuto. O quasi. Dopo i colpi di pistola, dopo quelli di arma da taglio. “Sono stati escissi, infatti, con mezzo molto tagliente, con colpi precisi e con tecnica sicura, il pube e parte della vagina (…) Il precipuo interesse dell’autore per la cute e per i peli del pube rispetto alla vagina, di cui è parzialmente asportato solo parte del grande labbro di sinistra (…) Privilegia la testa come bersaglio principale” dei colpi di arma da fuoco, esattamente come nel fumetto. E poi la pag. 65 di “Oltretomba”, con quel corpo femminile riverso sulla panchina del parco, il ventre scoperto, la vagina e i peli pubici in evidenza e strane scritte, simboli incisi sulla pancia. Cosa può aver provato il mostro ripensando a quanto aveva fatto quattro anni prima ai danni della povera Stefania Pettini uccisa in quel terribile 14 settembre del 1974? Quando l’omicida “ha quasi circoscritta la zona del ventre attorno all’ombelico e la linea superiore del pube, e ha descritto linee o cerchi sulle cosce.” Feticismo? Feticismi di carta e carne? Emerge, nell’operato del mostro, una ricerca inappagata, un “oggetto feticistico” fissato, in seguito, sul pube femminile, ma non necessariamente partito da quello. Lo spostamento dei cadaveri e le ulteriori attenzioni post-mortem sono spoglie di immediati contenuti sessuali e solamente funzionali al possesso dell’oggetto feticistico. Il mostro di Firenze non si abbandona a un’orgia di sangue e visceri, non è un antropofago e non indugia in atti masturbatori sulle vittime. Il suo contatto fisico coi cadaveri si limita a mere manovre di denudazione della vittima femminile operate con la punta del coltello. All’inizio l’interesse dell’assassino si concentra sul pube e non sul seno. Un interesse, specificato anche nella relazione del dottor De Fazio, nutrito con buona probabilità da un erotismo letterario (i “KKK”? “I Racconti di Dracula”?) e pornografico (i fumetti neri di allora, con particolare attenzione a una collana cruda e feticistica come appunto “Oltretomba”). Riviste, film porno, letteratura erotica con palesi componenti sadiche. Non è un caso che nel delitto del 10 settembre 1983 a Giogoli, vicino al furgone camper dei due ragazzi tedeschi, vengano ritrovate delle pagine tagliate di un fotoromanzo porno. Sintomi di un’impotenza assoluta? De Fazio ne era convinto e noi con lui.

Chiudiamo con un’ultima riflessione. Cosa ha fatto il mostro dal ’74 al 1981? Come è riuscito a soddisfare i suoi impulsi? E qui De Fazio apre gli studi che saranno seguiti con estrema brillantezza dal dottor De Gothia nei suoi lavori degli anni ’90. Simulando le situazioni che lo ossessionavano, anche attraverso spunti sul piano immaginativo, come appunto la lettura compulsiva di riviste e fumetti spinti e sadici, fumetti e riviste che abbondavano di situazioni morbose e feticistiche, molto orientate verso un auto-soddisfacimento narcisistico. Ecco allora che nel delitto del 1974 il progetto dell’escissione del pube non è ancora nella sua mente, ma un fumetto come “Quel dannato figlio di Sam” mette in scena una evoluzione voyeuristica che addirittura anticipa un film come “Maniac” e si concentra proprio su un feticismo genitale come quello dei peli, della cute (ancora capelli, ma il passo è breve per arrivare al pube…).

“Oltretomba Gigante” n. 66 “Rosso macabro” del novembre 1978 continua la ricerca di nuovi spunti a cui attingere. Ed ecco che gli anonimi sceneggiatori si ispirano abbastanza fedelmente a un proto-slasher americano “La grande paura” distribuito (credo da noi verso il 1976), rivisto e corretto con abbondanti dosi di sesso, violenze, sadismo e un’affascinante necrofilia famigliare reclamizzata fin sulla bellissima copertina.

Dal n. 93 del marzo 1981 “Oltretomba gigante” diminuisce di formato, ma non di pagine. Ormai la collana si avvia alla sua conclusione e questi ultimi albi cercano di rincorrere la modernità: nelle storie si affaccia lo spettro del Vietnam, le nuove discoteche, le nuove mode e un orrore sempre più vicino alla cronaca nera che alle cripte e ai cimiteri inondati di nebbia. Anche le storie non trovano più nel cinema dell’orrore fonti di ispirazione. Il gotico è ormai tramontato e i nuovi alfieri della paura (Romero, Carpenter, Craven, Hooper, Cronenberg) sono troppo distanti dalla portata degli sceneggiatori e dei disegnatori della Ediperiodici.

Oltretomba gigante” chiuderà i battenti col numero 115 del gennaio 1983.

Ormai la pornografia la fa da padrona e il fascino dei primi numeri appare lontano.

Un’epoca è finita.

Davide Rosso


(1) Miguel Gotor, “Le possibilità dell’uso del discorso nel cuore del terrore”, in Aldo Moro Lettere dalla prigionia, Einaudi 2008.