LA CORTA NOTTE DELL’ANARCHICO PINELLI (COLPIRE AL CUORE DEL GOTICO ITALIANO)

Fabio Camilletti, nel suo “Italia lunare”, coniuga con originalità il genere gotico col clima di tensione degli anni ’60 e ’70; soprattutto nell’ultimo capitolo del saggio (intitolato in modo suggestivo “La notte in cui Pinelli uscì dalla tomba”), lo studioso collega la deriva finale dello sceneggiato “Il Segno del Comando” con quanto andava ad avvenire in quel momento, nel 1971. Controspionaggio, moti fascisti, cospirazioni internazionali, i vecchi fantasmi della Seconda Guerra Mondiale.

Camilletti ha il grande pregio di scovare analogie importantissime che iniziano a snodarsi dalla bomba di Piazza Fontana, giù fino all’intera parabola degli anni ’70: la prima analogia è quella su alcuni scritti di Umberto Eco, autore interessatissimo alla semiosi ermetica di quel decennio. All’interno della raccolta di saggi “Sette anni di desiderio”, Eco propone una serie di scritti che, in qualche modo, sono un epitaffio sul passato e un’anticipazione su quel che sarebbe venuto.

In uno dei primi articoli, uscito su L’Espresso del 3 dicembre 1978, Eco ragiona sul millenarismo presente nella società americana (l’episodio di riferimento è quello del suicidio di massa della setta del reverendo Jim Jones), ricercando precedenti letterari, fino ad arrivare al caso simbolo riguardante Charlie Manson; in ognuno di questi tragici fatti il semiologo alessandrino legge i segni di una storia antica, sulla scia dei moti apocalittici del Medioevo, dei vari fraticelli di Segarelli, Dolcino, i flagellanti della Turingia, i Fratelli della Croce, eccetera. In attesa della fine o di un colpo di stato fascista o negroide, i millenaristi alternano un estremo rigorismo di regole e codici a periodi di estrema libertà sessuale e sregolamenti vari, esplodendo in momenti di crisi storica e sociale. Per Eco, il millenarismo è connesso con la rivoluzione, con una ricerca frenetica di una nuova vita, di una promessa di rigenerazione collettiva. Forze positive e negative si annullano, in un rigorismo deformato dalla follia dei suicidi di massa, chiave di accesso a una nuova terra promessa.

L’attesa spasmodica di qualcosa, per qualcosa, prosegue nei deliranti e fumosi comunicati delle BR. Nell’articolo “Colpire quale cuore?” (La Repubblica, 23 marzo 1978), Eco disegna una politica planetaria che è già quella nella quale viviamo. La rete delle Multinazionali era già al centro delle ossessioni delle Brigate Rosse, ma lontana dal loro raggio d’azione. Il potere “segreto” e deviato degli anni ‘70 si è trasformato in un sistema rizomatico, senza centro, pieno di diramazioni, labirinti. Ciò che interessa è il segno di un’aggressività biologica connaturato col potere. Una piccola strage qui, una piccola strage là, una fabbrica qui, una là, il terrorismo è un’esigenza del potere, una delle sue emanazioni, uno strumento che è stato utile e indispensabile per controllare l’opinione pubblica e la governabilità di un paese.

Lo scrive anche Mirco Dondi nel suo “L’eco del boato”, storia della strategia della tensione in Italia dal 1965 al 1974. Dondi certifica le esigenze di un potere occulto, di strutture sotterranee e parallele in Italia, legate tra loro dall’esigenza di evitare una vittoria democratica del partito comunista italiano. Una guerra non ortodossa combattuta da strutture occulte come GLADIO, il Piano Solo del ’64, corsi di ardimento, logge massoniche. L’intera geografia politica degli anni ’60 e ’70 è percorsa dalla frenetica attività dei servizi segreti, manovrati a loro volta dalla CIA e dal bisogno di fomentare disordini e conflitti per consolidare l’egemonia atlantica. In poche parole: “la CIA voleva creare, attraverso la rinascita di un nazionalismo esasperato e con il contributo dell’estrema destra (…) l’arresto di questo scivolamento verso sinistra. Questo è il presupposto di base della strategia della tensione”.

L’autunno caldo del ’69 (“Cgil, Cisl, Uil si presentano per la prima volta con proposte unitarie: le più alte richieste di aumento di sempre, maggiore democrazia sui luoghi di lavoro, rinegoziazione degli orari e dei ritmi di produzione, nuove politiche”) contribuirà come non mai a una prima redistribuzione della ricchezza, a normalizzare le norme di lavoro e la spesa sociale. A fronte di queste conquiste democratiche, quell’aggressività biologica a cui faceva riferimento Eco si fa avanti nel potere; si devono cercare modi per fermare il cambiamento in atto, di impedire veramente al paese di modernizzarsi: il 12 dicembre a Milano, in Piazza Fontana abbiamo l’inizio di questa strategia reazionaria. Una strage, una bomba nella Banca dell’Agricoltura. Una strage compiuta fisicamente da Ordine Nuovo, eseguita e favorita da collegamenti internazionali che arrivano fino alla CIA, agli apparati di sicurezza italiani, fino ai piani alti del Governo italiano. Piazza Fontana avrà come capro espiatorio, come fantasma mai rimosso completamente, quello dell’anarchico Pinelli, defenestrato dalla Questura di Milano, questura, sottolinea Camilletti, ormai simbolicamente simile a un castello neo gotico, luogo di revenant senza pace e sette segrete.

Seguiranno altri eccidi, altre morti senza pace, fino alla deflagrazione, al buco nero di Brescia nel 1974 e al buco nero di Bologna nel 1980. Eco insiste sulle forze oscure che si agitano nel dietro le quinte della Storia. Lo ripete nell’articolo per La Repubblica del 16 aprile 1982 “Perché ridono in quelle gabbie?”, quando, assistendo alla tv al processo ai primi brigatisti, vedendoli sorridere beffardi da dietro le sbarre del tribunale, riconosce sui loro volti la medesima smorfia già apparsa sul volto satanico di Charlie Manson durante le cronache del suo processo. Per Eco è la prova che “non c’è ideologia, non ci sono ideali, ci sono solo forze oscure biologiche che trascinano gli uomini al sangue (loro e altrui), non c’è differenza tra martiri cristiani, garibaldini, brigatisti rossi, partigiani”.

Questa voglia di morte, prosegue Eco in uno scritto del 14 febbraio 1981, è il vero fascismo della morte, una necrofilia rituale e nazionale che ci avviluppa tutti. Un odore di morte che ha aleggiato su questo paese in quei decenni, che ha trovato il suo palcoscenico ideale nelle stragi di stato, in una necrofilia culturale fatta di prodotti editoriali affascinati dai liquami della morte (la sagra dei fumetti neri, dei “Dracula”, dei “KKK”, l’esasperazione linguistica di “Lotta Continua” – quotidiano che documenta con compiacimento la brutalità del potere finendo per instillarla, dei comunicati delle Brigate Rosse, fino all’anarchismo di destra postulato da certi fogli estremistici e utopici come quelli di “Terza posizione”). Un odore di morte che chiama a raccolta le pulsioni profonde di un paese antimoderno e ancestralmente squadrista. Al gusto della morte ci si finisce per abituare.

Ed è questa la pesante eredità di quegli anni della violenza. Non tanto il trapasso del potere in qualcosa di differente e delocalizzato. Ai grandi Vecchi della politica anni ‘70, ai loro castelli, al Palazzo del potere – figura horror tematizzata da P.P. Pasolini in tanti scritti corsari e luterani, non luogo dei potenti, a loro volta spettri lasciati indietro dalla realtà, ridicola schiera clerico-fascista di non morti abbarbicati dietro le loro ridicole maschere piccolo borghesi, incapaci di realizzare che una nuova forma di potere economico ha preso il sopravvento e che presto li spazzerà via – è seguito un mondo all’apparenza diversissimo e qualunquista, caratterizzato da accondiscendenza sociale e culturale, da rimozione e indifferenza, oltre che da nuovi abissi di ignoranza e scolarizzazione.

Eppure – lo scrivono lo storico Gotor e Camilletti – non riusciamo a consumare del tutto quel passato maldigerito; quel passato pesa e parla al nostro presente come un’assenza, un vuoto, una voglia di morte a cui abbiamo preso gusto e da cui non ci libereremo più. L’Italia dei Misteri, i Misteri d’Italia, l’Italia lunare, occulta, o forse più semplicemente mortifera, attratta irresistibilmente, per vigliaccheria, bulimia o anoressia da una voglia di morte, di antipolitica, di populismo che ci deresponsabilizza dai nostri piccoli soprusi quotidiani, dalle nostre egoistiche paure, dai nostri privilegi digitali.

La Madre Oscura di questo paese è un bisogno di morti, di martiri, suicidi da immolare in una cerimonia tragica contro la vita, non dissimile da quella becera e furiosa immaginata nel film “Estratto dagli archivi segreti della polizia di una capitale europea”, ripensamento italiano di quanto capitato a Bel Air. Lo aveva capito Leopardi, forse intuito Eco (coi suoi romanzi intrisi di ermetismo e complottismo, su tutti “Il pendolo di Foucault”) e con loro Mussolini, agitatore delle pulsioni profonde e ancestrali di un paese puteolente e incompiuto, nel cui inconscio collettivo si agita represso un ribollente magma di decomposizione e fetori gotici: lo aveva intuito anche il poeta Gianni D’Elia nel suo “Il petrolio delle stragi”, collegando il profondo rosso del 1975 al profondo nero di una fascistizzazione antropologica nuova che avrebbe portato al massacro del Circeo, a Primavalle, fino all’Idroscalo di Ostia, il tutto mentre sugli schermi rimbombava la colonna sonora ritmata dei Goblin.

Spettri dunque. Vicinanze e lontananze. Somiglianze, analogie inquietanti tra passato e presente. Tra vivi e morti, in un rapporto continuo con una spettralità che sarebbe il marchio stesso dell’Europa, una spettralità che non si sa esattamente se esiste, se è e a cosa corrisponda. Una spettralità che oggi ha preso il segno della disoccupazione, dello sregolamento comunitario, di una disseminazione del potere stesso e dei suoi sistemi coercitivi. Una spettralità comunque – e qui ha davvero ragione Camilletti – connessa col presente e che dal presente trae linfa.

E come non rileggere allora sotto il segno del gotico, dei cascami della morte, anche film inaspettati o sceneggiati televisivi come “Il Segno del Comando”, dove studiosi e complottisti neri tramano tra loro, inseguendo un allegorico feticcio di potere che forse non è mai esistito. Oppure la strana amalgama di poliziotti, spiritisti e rapinatori da strada che riempiono le due puntate dello sceneggiato “Il dipinto” di Domenico Campana. O le connessioni evidenti di certi horror marxisti, penso a “Hanno cambiato faccia” di Corrado Farina o “La corta notte delle bambole di vetro” di Aldo Lado, fino a quella lunga notte della Repubblica (balcana) che è “La notte dei diavoli” di Ferroni. O ancora quella processione di morti viventi che rappresentano la DC messa in scena da Elio Petri nel durissimo “Todo Modo”, horror gotico come pochi, ambientato in catacombe piene di mummie sospese tra la vita e la morte e dove anche il delitto, l’omicidio non ha quasi più senso e un acre profumo di cadavere (lo stesso evocato in tantissime copertine dei fumetti neri) aleggia sull’intero paese, in preda ad una millenaristica pestilenza terminale.

In ultimo segnalerei proprio “Teorema” di Pasolini, sorta di horror demoniaco (e ancora il merito va a Camilletti per essersi ricordato di un’intervista fatta allo stesso regista, oggi sepolta alla pagina 1392 del Meridiano Mondadori che raccoglie i “Saggi sulla politica e sulla società”, in cui si parla proprio della figura del Diavolo connessa col personaggio di Terence Stamp), versione mainstream di certi gotici sulle possessioni, nati sulla scia del successo de “L’esorcista”, e qui penso al nostrano “Chi sei?” di Assonitis & D’Ettore Piazzoli, o al becero e fumoso “Un urlo dalla tenebre” del piazzista Elo Pannacciò. Pasolini condivide con queste immagini un gusto osceno e metafisico per la distruzione dell’ordine borghese, coi suoi rituali e le sue ipocrisie. Il visitatore pasoliniano è un demonio ultraterreno, una mescolanza di Dio e Diavolo, un ciclone sessuale che finirà per stravolgere la vita della quieta famigliola alto-borghese, strappandola dalla propria odiosa e paciosa quotidianità per gettarla in una sinistra follia, in un suicidio di massa di depravazioni e desideri deformati.

Ancora quelle forze oscure e biologiche, bisognose, per il bene collettivo, della mistica del sangue e del sacrificio.

Davide Rosso