FANTASCIENZA STORY 257

L’ANNO DELLA TROTTOLA (2010)

Il 2010 per la fantascienza è l’anno del seguito di 2001: Odissea nello spazio, ipotizzato da Arthur C. Clarke e trasposto in film nel 1984. Ma è soprattutto l’anno di Inception (Inception), il fenomenale film di Christopher Nolan dal cast stellare, che contribuì non poco ad attirare il pubblico verso un cinema di sf allo stesso tempo spettacolare e profondo. Dom Cobb (Leonardo Di Caprio) e il suo socio Arthur (Joseph Gordon-Levitt) sono “estrattori”, ovvero spie industriali dotati di strumenti che permettono loro di introdurre i propri sogni nei sogni delle persone di cui vogliono carpire i segreti. Entrambi hanno un totem personale, cioè un oggetto il cui comportamento permette loro di capire che sono ancora in uno stato di sogno: il totem di Dom è una trottola che non smette di girare, ma nei sogni – e nelle “estrazioni” – è perseguitato dalla presenza della moglie, morta suicida anni prima (Marion Cotillard). Dom riceve dal ricco affarista giapponese Saito (Ken Watanabe) l’incarico di realizzare invece un “innesto”, cioè impiantare un’idea nel subconscio del suo concorrente Fisher (Cillian Murphy), in modo da portare il suo gruppo al fallimento. Dom allestisce un gruppo di “innestatori” per riuscire in questo scopo, ma entrerà insieme a loro in un inestricabile labirinto mentale, in cui sogno e realtà non sono più mondi separati… Effetti speciali innovativi ed entrati nell’immaginario collettivo (i palazzi di Parigi che si spostano e uniscono), una trama complessa. multistratificata e meravigliosamente ambigua, un’azione vorticosa, attori carismatici, un’inventiva visiva fuori dal comune: Christopher Nolan dopo aver reinventato il mondo dei supereroi con la trilogia del Cavaliere Oscuro, dirige il suo primo film fantascientifico (genere sempre amato, solo sfiorato nel suo precedente The Prestige). Il sogno è da sempre uno delle grandi fonti d’ispirazione del cinema, ma poche volte in forma così immaginifica e spettacolare.

Passiamo a Predators (Predators) di Nimròd Antal. Il regista e produttore Robert Rodriguez tentò per diversi anni di dare un suo seguito personale a Predator (Predator, 1987) di John McTiernan, uno dei più famosi film interpretati da Arnold Schwarzenegger, ma fu sempre intralciato da questioni di diritti d’autori, soprattutto dal fatto che la Fox, la casa produttrice, preferiva concentrarsi sulla serie di Alien vs. Predator. Quando finalmente la situazione si sbloccò, Rodriguez preso da altri impegni, ne affidò la regia a Nimròd Antal, che però mantenne le linee guida di Rodriguez: spostare l’azione sul pianeta d’origine dei Predator e farne una variante del classico La pericolosa partita (The Most Dangerous Game, 1932) di E.B. Schoedsack e Irving Pichel, e incentrarlo quindi su una caccia dalle prede umane. In Predators cinque persone accomunate da un presente di violenza si risvegliano mentre vengono paracadutate su quello che si rivelerà essere il pianeta dei Predator, rapiti appunto per essere usate come prede dai sadici cacciatori di midollo spinale umano. I cinque sono un mercenario (Adrian Brody), una soldatessa americana, un membro della Yakuza, un narcotrafficante messicano, un militare russo, un condannato a morte e un serial killer. Il film è così una scorribanda movimentata ma tutto sommato prevedibile, diretta con competenza spettacolare ma niente di più. I nostri complimenti comunque a Adrian Brody, un attore talmente bravo che riesce convincente come implacabile guerriero nonostante il fisico non l’aiuti: solo nel finale, quando fa il verso a Schwarzenegger nel primo film, il gioco non gli riesce più tanto bene.

Parliamo ora di Space Battleship Yamato (Supēsu Batorushippu Yamato) di Takashi Yamazaki. Nel 2199 la Terra è ormai da 5 anni sotto l’attacco degli alieni Gamaras, che bombardano il pianeta con piogge di meteoriti. I superstiti si nascondono nel sottosuolo, mentre nello spazio la Forza di Difesa Terrestre sferra una controffensiva vicino Marte. L’anziano capitano Okita (Tsutomu Yamazaki) guida l’incrociatore Yamato, ma il suo attacco è vano, e nella battaglia muore il capitano Mamoru Kodai. Il fratello di questi, Susumu (Takuya Kimura), si arruola sulla nave e con la Yamato parte per una nuova missione verso il pianeta Iskandar, che ha inviato un’offerta di aiuto alla Terra. Dopo l’iniziale diffidenza, sulla Yamato Susumu conquista poco a poco la stima di Okita e dei suoi compagni, oltre all’amore della pilota Yuki (Meisa Kuroki). Ma su Iskandar tutto l’equipaggio della Yamato vivrà eventi decisivi per il futuro della Terra… Space Battleship Yamato è l’adattamento con attori dell’omonima serie tv animata degli anni ’70 di Leiji Matsumoto (nota in Italia come Star Blazers). Molto fedele alla trama e ai personaggi originali, persino nell’aspetto fisico, il film è un tripudio di effetti in CGI, che hanno un peso inedito per un film giapponese, e riesce a catturare lo spirito e la baldanza tipico delle serie animate giapponesi, dandoci uno spettacolo generoso e divertente, appesantito solo da un po’ di inevitabile retorica nippo-militarista (che non prenderei troppo sul serio, comunque).

In Codice Genesi (The Book of Eli) di The Hughes Brothers, 30 anni dopo una catastrofe atomica, Eli (Denzel Washington) è un mercenario che attraversa le deserte e infestate lande d’America. Arriva a una città comandata da Carnegie (Gary Oldman), servito da una milizia personale. Carnegie scopre che Eli è detentore dell’unica copia di un libro ritenuto scomparso, ma che secondo la leggenda dà grande potere a chi lo conserva: la Bibbia. Eli fugge con Solara (Mila Kunis), figlia ribelle di Carnegie, alla volta dell’isola di Alcatraz, dove vive una comunità guidata da Lombardi (Malcolm McDowell) che cerca di preservare la cultura e i libri perduti. Il viaggio sarà pieno di pericoli, ma anche di speranza… Godibile film d’avventure postatomico, con una trama da una parte ispirata ai western e ai film di samurai, ma che dall’altra è intrisa delle convinzioni religiose del suo protagonista Denzel Washington, fervente cristiano pentecostale. Fortunatamente quest’aspetto si integra senza forzature né retorica in un prodotto ben scritto, diretto e interpretato, con un’ambientazione suggestiva e non banale.

Chiudiamo l’annata con Tron: Legacy (Tron: Legacy) di Joseph Kosinski. 28 anni dopo Tron (Tron, 1982) di Steven Lisberger, la Disney produce questo seguito. Nel 1989, Kevin Flynn (Jeff Bridges), presidente della società informatica ENCOM, scompare nel nulla. 20 anni dopo suo figlio Sam (Garrett Edkund), seguendo un messaggio ricevuto da Alan Bradley (Bruce Boxleitner), socio di Kevin, attiva un laser che lo trasporta nella Rete, un fantasmagorico mondo virtuale scoperto e visitato da Kevin e Alan decenni prima. Sam partecipa ai suoi violenti giochi, e incontra Quorra (Olivia Wilde), che lo porta da suo padre, imprigionato nella Rete da Clu, un suo alter ego digitale creato dallo stesso Kevin ma sfuggito al suo controllo, che ora domina la Rete. Sam, Kevin e Quorra iniziano una lotta accanita per rientrare nel nostro mondo, ma anche per salvarlo da Clu, che mira a “perfezionarlo”… Tron fu un film pioneristico sotto molti aspetti: gran parte dei suoi effetti e scenografie sono in digitale, profetizzò internet e la realtà virtuale. Comprensibile quindi che il pubblico all’epoca non l’abbia capito, ma anche che con il tempo abbia acquistato sempre più attualità e popolarità. Per questo motivo la Disney ne produsse un seguito a così tanta distanza dal primo e nonostante il suo iniziale fiasco economico. Il regista Kosinski e i suoi sceneggiatori riescono allo stesso tempo a rispettarne lo spirito e a innovarlo, vi innestano dei nuovi sofisticati effetti speciali, costruiscono un affascinante e pittorico mondo digitale, ma soprattutto elaborano una trama avvincente e ispirata, con personaggi umanissimi anche quando virtuali.

Mario Luca Moretti