IL VAMPIRO PRESENTA: SURREALISMO, SADISMO ED EROTISMO NEL GOTICO ITALIANO DEGLI ANNI ‘70

Nella bella introduzione alla nuova edizione del classico di Ernesto de Martino “Sud e magia” (Biblioteca Donzelli, 2015), i curatori Fabio Dei e Antonio Fanelli accennano – nonostante la scomparsa di certa cultura della miseria e di un contesto contadino e agrario legato a ideologie magico religiose dissolte parzialmente dall’avvento della cultura di massa –  a una permanenza della magia nei contesti modernizzati e urbani dei segmenti sociali del ceto medio.

La cultura di massa degli anni ’60 e ’70 ha forse trovato una sopravvivenza delle forme di vita popolari anche in quelle visioni e in quelle letture, nelle immagini piene di malia di quel contesto culturale degli anni ‘60. La vita erotica, la fascinazione magica di cui parla de Martino esplode e si frammenta nella maggiore libertà sociale della modernità dell’Italia degli anni ’70, dove tra censura e rivoluzioni, il Bel Paese vive un’orgia di immagini impregnate di donnine formose, sadismo, necrofilie, eccessi e surrealismo, in un impasto di cultura alta e bassa, di pop e autorialità.

Come ricordato dagli studiosi Stefano Piselli e Riccardo Morocchi, una dolce paura attraversa il sexy horror di quel periodo e le pubblicazioni popolari dei fumetti neri, i cineromanzi, i cartelloni cinematografici, le collane di romanzi da edicola, fino a creare una sorta di dimensione irreale, metafisica e irripetibile.

In questa selva di incubi spiccano soprattutto i fumetti horror erotici editati da Renzo Barbieri, i quali hanno lasciato un marchio irripetibile e geniale; quegli albi da poche lire enfatizzavano e sintetizzavano nelle loro pagine l’immaginario filmico del cinema horror e gotico degli anni ’60 e ’70, sovraccaricando i disegni (le superbe e surreali copertine), le storie con lugubri cimiteri, donne nude e vogliose, violenze di ogni genere, mostri, vampiri.

Una delle collane più belle – oltre a “Oltretomba”, “Oltretomba gigante”, “Oltretomba colore” – è stata quella de “Il vampiro presenta”, edito dalle Edizioni Segi di Milano.

In questo articolo voglio analizzare le copertine (oltre alle trame) delle prime due annate di questa collana (1972 – 1973, biennio in cui il cinema gotico italico vive i suoi ultimi fuochi), particolarmente legata al mondo arcano dell’horror internazionale e alle sue figure archetipiche; figure che in qualche modo funzionano come forme di sopravvivenza di una cultura popolare nel pieno di uno stravolgimento e modernizzazione all’interno di grandi mutamenti economici e sociali che però non elimineranno la frattura fra ceti dominanti e contesti popolari e subalterni.

Sarebbe curioso ricostruire la fisionomia sfumata del lettore medio di quegli anni, un lettore che passava furtivo nelle edicole periferiche e in quelle delle stazioni, comprava questi albi dalle copertine seducenti e profane, poi magari si rintanava nei pomeriggi liberi in qualche sala di seconda visione isolata e lontana, in cui si respirava l’acre delle sigarette e il rancido di orina e dove venivano proiettati film dai manifesti onirici e depravati che oggi sarebbero impensabili. L’onirismo, e l’estetica brutalmente raffinata di quei prodotti culturali, rimandano a un contesto di depravazione morale e sociale, rielaborando un immaginario di sopravvivenze magiche, rozze cerimonie e liturgie erotiche all’interno di un mondo industriale, razionalizzante.

Il fumetto nero funziona quasi come un relitto sublimato e affinato di fantasie e stati onirici che scivolano verso limbi di stupidità, ignoranza, anarchismo e dadaismo involontario che uniscono cultura alta e bassa, anticipando i bisogni corporei di una società a venire, purificata da qualunque ideologia politica. I personaggi del fumetto nero, nei loro deliri scopofili, documentano già l’Italia e gli italiani degli anni a venire, quando la disperazione più profonda sarà occultata tra le nefaste ombre e le macerie degli anni ’80, quando la corsa ai consumi riprenderà a correre come negli anni ’60 e nuove ideologie ottimistiche nasconderanno la crescente sperequazione e il debito pubblico dello Stato (voragine alla quale, oggi, ognuno di noi ha immolato il proprio futuro di lavoratore e contribuente).

“Il vampiro presenta” esce per la prima volta nell’aprile del 1972, quando gli episodi di guerriglia urbana, terrorismo, manifestazioni sono all’ordine del giorno. Sono gli anni della “strategia della tensione”, in cui in molti quasi si augurano un ritorno a un regime forte e autoritario. Anni di tentati golpe e di uno spostamento a destra, una crescita del Movimento Sociale e una avversione diffusa nei servizi segreti per il comunismo. Nei palazzi del potere sembra quasi volersi combattere una guerra santa contro le ideologie marxiste: da una parte la politica della DC, le forze di polizia e le forze armate, dall’altra scioperi, caos e il terrorismo coi suoi turpi riti. Per non parlare poi della droga e della pornografia dilagante che avvelenano la famiglia e la patria. In questo clima e contesto culturale fa la sua comparsa la nuova collana della Segi di Renzo Barbieri. I primi due numeri hanno un formato aumentato rispetto ai classici tascabili.

Il n. 1 si intitola “Il mostro di Londra” ed è una bella storia di vendetta coniugale dall’oltretomba. La copertina mette in scena (ricalcando una delle situazioni descritte all’interno dell’albo) un vampiro dall’aspetto classico (mantello foderato di rosso, frac, capelli ingellati all’indietro e aplomb alla Chris Lee). Stesa dinanzi a lui una bella donna in vestaglia da notte e seni prosperosi che emergono dai pezzi. “Il vampiro presenta” è una collana, rispetto ad altre, iconograficamente legata la cinema del terrore di quegli anni. Visivamente opera una rilettura dei manifesti, delle locandine e dell’immaginario gotico che si andava ormai consumando. Il gotico degli anni ‘70, come scrive Roberto Curti “si configura per gran parte come un’escrescenza tarda e imbastardita, da un lato fin troppo smaliziata”, con pellicole che sembrano davvero inseguire il successo dilagante dei fumetti neri, dove corruzione, violenza d’ogni tipo e soprattutto sesso e sadismo la fanno da padroni. Ecco allora titoli che fanno già il verso a quelli delle varie collane “Oltretomba”, “Terror” e “Il Vampiro”: “Riti, magie nere e segrete orge nel ‘300”, “Terror! Il castello delle donne maledette”, “Nuda per Satana”, “La mano che nutre la morte”, “Le amanti del mostro”, “Il plenilunio delle vergini”, “Il sesso della strega”, “Lady Frankenstein”, ecc.

Curiosamente “Il vampiro presenta n. 3” intitolato “La clinica del terrore” (giugno 1972) si rifà (con aggiunte di sesso e violenza splatter) invece al bel sceneggiato RAI di Daniele D’Anza “Il sospetto” tratto dall’omonimo romanzo pubblicato nel 1953 da Friedrich Dürrenmatt e andato in onda pochi mesi prima, nel febbraio del 1972. La seconda parte del fumetto vira invece verso altro: nelle segrete della clinica, l’illustre chirurgo (sospettato di essere da un anziano poliziotto un ex medico nazista sotto falso nome) tiene alcune cavie da laboratorio, tra cui un mostro di Frankenstein già ridotto a freak buono per sfasciare teste; il mostro, anche graficamente, è già uno dei tanti Frankenstein italici, un nerboruto demente ridotto a icona istintuale di violenza gratuita e sessualità abnorme.

Il n. 8 “Fantasma contro vampiro” (novembre 1972) ha una trama scalcinata e divertente che raggranella gli stereotipi del genere ed enfatizza la componente scopofila (vero fulcro delle vicende): ambientazione passatista, un castello, un barone pervertito, servette infoiate, vampire ninfomani, fantasmi femminili persi in un eros sanguigno e volgare. Tutte le tavole sono l’occasione per ricalcare fotogrammi perduti di una messinscena barocca e abbondante, simile a quelle già corpose di un Antonio Margheriti. La copertina invece ritorna sulla scalcinata contrapposizione del vampiro Dracula e del mostro di Frankenstein, icone classiche del genere in una parabola discendente e lontana dalle loro origini gotico-romantiche. I Dracula e i Frankenstein dei fumetti horror sono dei ricicli sterili e maldestri che rimandano a film come “La casa di Dracula” di Erle C. Kenton (1945), o al suo remake surreale “Dracula contro Frankenstein” di Jess Franco (1972), quest’ultimo distribuito anche da noi e accompagnato da una locandina meravigliosa che è già una sintesi di quelle di molti fumetti neri del periodo (non a caso questi la prenderanno a modello).

Il n. 7 dell’aprile del 1973, “Morte di un vampiro”, presenta in copertina una vampira nudissima e un corredo cimiteriale e necrofilo. L’interno dell’albo somiglia a un gotico polselliano con un vampiro maniaco che ammazza coppiette con una falce. La prima viene trucidata in una tenda da campeggio (quasi una sinistra premonizione dell’ultimo delitto del mostro di Firenze nel 1985). Alla fine si scoprirà che il vampiro è solo una maschera per coprire tare famigliari e l’albo somiglierà a tanti thriller morbosi di quegli anni (“La polizia brancola nel buio”, “I vizi morbosi di una governante”, “Il vizio ha le calze nere”, “La sanguisuga conduce la danza”).

Il n. 8 del 21 aprile 1973 si intitola “Il ritorno della strega” e nasconde, sotto una copertina fuorviante, un albo gotico che si ispira vagamente a certe scene di “Il lago di Satana” (un gotico di Michael Reeves girato in Italia nel 1966) e a certe situazioni del thriller di Lucio FulciNon si sevizia un paperino” (1972). Tra i personaggi del fumetto vi è un prete inquisitore che ha le fattezze dell’attore Umberto Raho. Anche qui, dietro ai delitti di una strega ammazzata, si nasconde una vendetta familiare dal sapore thrilling. Questo slittamento verso il giallo non deve stupire: la collana del Vampiro esce nel pieno del boom del thriller argentiano e anche altre collane del fumetto nero si ispireranno ai canovacci di quelle pellicole.

Il n. 9 del maggio 1973 intitolato “Il cadavere che non perdona” ha degli echi da tardi gotici come “La notte dei dannati” (1971) e sembra anticipare, nella brutale figura di un nano malefico, la pellicola del 1974 “Terror, il castello delle donne maledette!”.

Il n. 10 del 19 maggio 1973, “Sabba infernale”, sembra invece rifarsi all’horror francese “Le diavolesse” del 1971: le illustrazioni paiono uno splendido omaggio a quegli anni, età d’oro delle vampire lesbiche (e mi affascina sempre pensare al clima politico che faceva da sfondo a queste pubblicazioni; mentre i personaggi del fumetto nero erano presi dal loro delirio scopofilo e fascista, l’Italia era nella morsa di una strategia della tensione che continuava a cercare svolte autoritarie; in quel 17 maggio del 1973, pochi giorni prima dell’uscita nelle edicole del fumetto, alla questura di Milano è organizzata l’inaugurazione di un busto alla memoria di Luigi Calabresi a cui partecipa anche Mariano Rumor; poco dopo che l’esponente democristiano ha lasciato la questura, un ordigno viene lanciato contro l’edificio, provocando quattro morti).

Molto interessante anche l’incipit del numero 11 del giugno 1973: le prime tavole ricalcano praticamente Rosalba Neri e il bagno nel sangue de “Il plenilunio delle vergini”, gotico vampiresco ed erotico di quel medesimo anno, diretto da Luigi Batzella e fotografato stupendamente da Aristide Massaccesi.

Il n. 14 del 14 luglio del 1973, “La vergine resuscitata”, ha una copertina che sembra omaggiare quella di un romanzo della collana “I racconti di Dracula”, per la precisione il n. 69 del 1965 intitolato “Una fossa bianca di luna”. Il fumetto ha una trama che rimanda ai gotici classici degli anni ’60 con tanto di carrozze, belle fanciulle, pulsioni omosessuali a covare sotto il perbenismo di facciata, belle castellane morte e sadiche, vampirismo, necrofilia e compagnia bella. Ne esce uno dei numeri più belli e perversi, con la figura della Contessa Suxia (anticipazione del personaggio di Sukia?) a ricalcare le orme della baronessa ungherese Bàthory.

La copertina del n. 18 del settembre 1973 intitolato “La casa nella bufera” sembra rimandare ai cortei delle menadi viste nel primo gotico di Jean Rollin, quel “Le viol du vampire” del 1968.

Anche il n. 19 (22 settembre 1973), “Il risveglio del lupo mannaro”, è un gotico classico esasperato nei contenuti: un servitore gobbo deforme ripreso dal film “Il figlio di Frankenstein” (1939), lupi mannari, vampiri sadici, necrofilia, sorelline procaci, pornografia, cattivo gusto, becerume. Ne esce un altro albo memorabile e gustosissimo, sorta di doppio di quelle pellicole spurie che il cinema italiano andava confezionando in quei medesimi anni (inutile citare sempre i medesimi titoli, ne ripropongo uno, forse tra i più esasperati e folli, identico alle storie di questi fumetti: “Terror, il castello delle donne maledette!”).

Il n. 22 del novembre 1973 esce “La vampira Carmilla”: è una rilettura fortemente erotizzata del romanzo di Le Fanu e guarda anche alle recenti pellicole Hammer dedicate alle vampire lesbiche.

Il n. 23 “I due vampiri” (novembre 1973), a dispetto della copertina classicheggiante con Dracula in vestito da sera e mantello foderato di rosso, presenta una trama alquanto originale che si ispira alle tradizioni degli zingari e altre figure vampiresche.

Il n. 24 “Dracula 1973”, sia nella copertina che nel titolo, sembra richiamare agli ultimi Hammer con Christopher Lee e Peter Cushing; la trama interna cede ormai al pastiche grottesco, forse anticipando di poco quel “Blood for Dracula” di Morrissey/Warhol (1974). La figura di Dracula è sbeffeggiata e ridicolizzata, tanto da finire nel carcere di S. Vittore.

Il n. 25 “I mostri della foresta” mostra in copertina un mostro alla Lon Chaney intento a sbaciucchiare il ventre di una bella ragazza. L’interno del fumetto invece si rifà a un filone in voga in quegli anni, ossia il genere (o sottogenere) eco–vengeance. Qui gli sceneggiatori vogliono rifarsi ai film con gli insetti e gli animali che si ribellano all’uomo, anticipando le tarde pellicole di Bert I. Gordon come “Il cibo degli dei” e “L’impero delle termiti giganti”. Naturalmente gli sceneggiatori si distinguono sempre per genialità e gli insetti mostruosi del fumetto non mancano di violentare sadicamente le loro vittime!

La collana del Vampiro proseguirà ancora fino al 1980, quando ormai il cinema dell’orrore avrà preso strade completamente diverse (il disastro del Vietnam e lo scandalo del Watergate orienteranno la cinematografia americana – faro per tutti gli altri – verso le apocalissi consumistiche di Romero; o ancora in uno scenario post-industriale governato dal caos e da una violenza che non ha più nulla del misticismi hippie; si pensi ai primi lavori di Hooper) e di castelli, vecchi cimiteri e necrofili da vaudeville non si ricorderà nessuno.

Davide Rosso