MASSIMILIANO BOSCHINI, FABIO CAMILLETTI E ANNA PREIANÒ

Amanti e appassionati da sempre del genere fantastico, Massimiliano Boschini, Fabio Camilletti e Anna Preianò sono un eccezionale trio che ha da poco dato alle stampe il volume L’UOMO CHE CREDEVA NEI VAMPIRI per le Edizioni Profondo Rosso. Ognuno, a modo suo, ha da sempre dato al nostro genere preferito il proprio contributo, a volte anche solo restando dietro le quinte… per cui andiamo a conoscerli meglio. Partiamo dunque con la nostra prima intervista tripla!

COMINCIAMO CON UNA DOMANDA DI RITO. CHI SONO MASSIMILIANO BOSCHINI, FABIO CAMILLETTI E ANNA PREIANÒ?

Massimiliano: Mi piace pensare di essere un briccone, un trickster che cambia e muta senza mostrare mai la sua vera faccia. La mia esistenza quotidiana è fatta di tante cose, tanti livelli che spesso non s’incrociano mai. Anche chi mi conosce bene spesso non è al corrente di alcuni aspetti della mia vita, che pure sono importanti: il lavoro, la famiglia, il mio ruolo come amministratore locale del paese dove vivo, la scrittura, la fotografia, la poesia, le tante cose che ho organizzato e che organizzerò.

Fabio: Anzitutto, un ex-dodicenne appassionato di horror, che voleva fare l’acchiappafantasmi e che, a modo suo, ci è riuscito – basta mettersi d’accordo su quel che si intende per fantasma. E poi professore all’università, chitarrista a tempo sempre più perso, orgogliosissimo padre di una stupenda bambina di due mesi.

Anna: Non so chi sono. Ogni giorno è una scoperta. Il fantastico, l’orrore, la fantascienza, il bizzarro, il mistero, l’occulto sono generi che mi dicono qualcosa di me. Per questo li amo e li esploro praticamente da sempre. Quanto alla mia identità sociale, lavoro nell’editoria. Ho accanto un uomo eccezionale. Viviamo con due gatti che ogni giorno, con le loro percezioni (extra)sensoriali, ci insegnano qualcosa.

COME AVETE COMINCIATO A SCRIVERE?

Massimiliano: Ho sempre scritto e non ho mai scritto, nel senso che sono arrivato relativamente tardi a pubblicare qualcosa, anche se poi non mi sono più fermato. Diciamo che ad un certo punto della mia vita mi sono reso conto che la scrittura mi faceva stare bene, era terapeutica, più di altre forme espressive con le quali ho avuto, o forse avevo, a che fare.

Anna: Di norma io non scrivo, a differenza dei miei colleghi. Se a volte lo faccio, è per caso e quindi, a ben vedere, per ragioni molto profonde. Sono incostante, volubile. Al momento scrivo (a mano) un diario privato di riflessioni e divagazioni sulle mie letture, incatenate tra loro da un filo invisibile dal quale mi lascio guidare e che si mostrerà chiaramente solo quando avrò finito le letture, e quindi questa vita. Mi riesce molto meglio far scrivere gli altri: questo lo faccio per mestiere, all’interno di una casa editrice.

Fabio: Presto, avrò avuto neanche cinque anni. E però – e questo è interessante – non si trattava, come succede in genere coi bambini che si mettono a scrivere, di un racconto o di una fiaba: era un saggio sugli antichi egizi, dettato a mia madre alla macchina da scrivere e che poi avevo corredato di disegni miei. Mi piaceva l’idea di fare, materialmente, un libro: avevo già – come molti bambini – un’idea molto concreta della scrittura, in cui il supporto e la grafica sono tanto importanti quanto il contenuto. Da allora è cambiato ben poco. Non sono mai riuscito a scrivere narrativa, e non mi interessa. Scrivo saggi, di cui mi piace congegnare – quando posso – ogni aspetto: la copertina, le epigrafi, i rimandi interni… In realtà, credo di pensare ai miei libri come i musicisti degli anni ‘70 pensavano agli album, come universi a sé stanti e tappe di un percorso stilistico. Credo che in quello che scrivo ci sia una componente molto più creativa (e forse autobiografica) di quanto sembri a prima vista, e nonostante il rigore scientifico che ovviamente voglio e devo mantenere.

VOLETE PARLARCI DELLE VOSTRE PRODUZIONI PRECEDENTI, IN PARTICOLAR MODO DI QUELLE A CUI SIETE PIU’ LEGATI?

Massimiliano: Ho accennato al fatto che m’interesso di cose diverse, a volte anche lontane tra loro. Questo vale anche per la scrittura: ho dato alle stampe libri di fotografia e saggi, senza disdegnare la narrativa e soprattutto la poesia. Tra tutto questo, la cosa alla quale sono più legato è il radiodramma “La pace dei sensi”, che ho scritto, sceneggiato e mandato in onda sulle frequenze di una radio locale mantovana. Ispirato a “La guerra dei mondi” di Orson Welles, rappresentava la mia utopica partecipazione al 49º Premio Suzzara, avvenuta nel 2016.

Fabio: Io mi occupo di letteratura dell’Ottocento, e ho scritto – fra le altre cose – due libri su Leopardi. Al gotico non sono arrivato, sono tornato: e oggi credo di fare quello che avrei voluto fare da adolescente, ma con i mezzi e gli strumenti che la mia formazione accademica mi ha dato. Le cose a cui sono più affezionato sono la traduzione dell’antologia gotica Fantasmagoriana, uscita nel 2015 per Nova Delphi, e Italia Lunare, un libro sugli anni ‘60 e l’occulto pubblicato nel 2018 da Peter Lang. La prima mi ha dato la concretezza di lavorare su un qualcosa di ben preciso e controllabile; il secondo di raccontare e interpretare un universo culturale che mi aveva sempre affascinato, e che desideravo possedere.

RECENTEMENTE AVETE PUBBLICATO UN SAGGIO PER LE EDIZIONI PROFONDO ROSSO SCRITTO A SEI MANI E INTITOLATO “L’UOMO CHE CREDEVA NEI VAMPIRI – LA VITA E DELLE OPERE DI EMILIO DE ROSSIGNOLI”. CE NE VOLETE PARLARE?

Massimiliano: Sono particolarmente orgoglioso di questo saggio, perché è la dimostrazione che il web può produrre anche qualcosa di tangibile, come un libro cartaceo. Ho capito che non era una storia qualsiasi, magari inventata, ma un percorso ad ostacoli sulle tracce della vita di Emilio De Rossignoli, quando Anna ed io ci siamo recati al cimitero di Lambrate, nel Riparto 105, n. 246, davanti alla sua tomba.

Anna: Cercavo qualcuno che potesse aver conosciuto De Rossignoli e ho interpellato Luigi Cozzi: la persona giusta. L’idea di far confluire le nostre ricerche in un libro si deve a lui. Max e Fabio erano i compagni d’avventura perfetti: ci eravamo conosciuti proprio grazie al comune interesse per De Rossignoli, che senza dubbio ci ha scelti per raccontare la sua storia. Prima delle nostre ricerche su di lui si sapeva poco o niente. Non aveva nemmeno due righe su Wikipedia: la pagina dettagliatissima che si può leggere ora è opera di Fabio.

Fabio: Era l’autunno del 2013, cercavo ispirazioni, saccheggiavo bancarelle; c’era qualcosa nell’aria ma non sapevo bene cosa (era Italia Lunare). D’un tratto, spunta questa rivista online – Mattatoio n. 5 – e c’è un saggio di Anna e Max su Emilio De Rossignoli. Io credo nei vampiri l’avevo divorato, nell’Edizione Gargoyle, quando abitavo a Berlino. Li contatto. Eccoci qua.

QUALI CHICCHE SIETE RIUSCITI A SCOVARE PER QUESTO VOLUME?

Massimiliano: Se vogliamo, si può anche affermare che il libro è lacunoso, il tentativo di riunire le poche cose che sapevamo sul Conte ha lasciato diversi buchi nella sua biografia. Ho fatto moltissime telefonate, cercando amici superstiti o parenti, spesso alla cieca, semplicemente consultando gli elenchi telefonici di Trieste o Genova. Non sono mai riuscito a trovare il nipote, Giorgio Guglieri, al quale lo zio aveva accreditato alcune traduzioni nonostante il primo fosse ancora un bambino all’epoca dell’uscita dei libri. Ricordo l’eccitazione quando rintracciai una lontana cugina, che tuttavia mi disse che s’incontrarono forse un paio di volte nel corso della loro vita e che quindi non mi poteva essere molto d’aiuto. Sono convinto che se qualcuno avesse deciso di scrivere la biografia su De Rossignoli qualche anno fa, probabilmente sarebbe stato tutto più semplice e meno frammentato. Una cosa che potrebbero fare i lettori de La Zona Morta è cercare i racconti che scrisse per Playboy nei primi anni Ottanta e inviarci un articolo per il sito…

Anna: Molte e gustose, come si legge nel libro. La più importante per me personalmente però è questa: una sera sto trafficando in cucina; la tv è accesa su un programma che propone spezzoni d’archivio delle Teche Rai. Passa un’intervista a Ilona Staller. Tra il pubblico, qualcuno attira la mia attenzione: è De Rossignoli, inquadrato in primo piano. Così hai voluto mandare un saluto, penso, e ricambio. Se siamo ricettivi, ciò che cerchiamo ci trova. Il fotogramma è pubblicato nel libro. Quando poi ho scoperto dove abitava a Milano non potevo crederci: proprio nella via che incrocia quella dove stavo io in quel periodo.

Fabio: Non c’era quasi niente. E molto c’è ancora da scovare. Il mio piccolissimo contributo è stato aver identificato un libro che De Rossignoli aveva progettato per le edizioni di Luciano Ferriani, ma che non è mai riuscito a realizzare: un fantomatico Spiriti folletti e vergini ossesse, che sarebbe dovuto uscire subito dopo Io credo nei vampiri. In realtà era la riedizione – probabilmente aggiornata – di un misterioso centone di aneddoti soprannaturali pubblicato ad Asti nel 1858. A sua volta, l’anonimo compilatore di quel libro aveva saccheggiato testi per lo più francesi, tra cui Fantasmagoriana… è in questi casi che il brivido della scoperta si intreccia con la consapevolezza che quello che facciamo è mosso da fili non sempre discernibili.

QUANTO RITENETE SIA STATA IMPORTANTE LA FIGURA DI DE ROSSIGNOLI PER IL GENERE FANTA-HORROR IN ITALIA?

Massimiliano: Non ne ho proprio idea. Anche perché probabilmente rispetto ad Anna e Fabio, sono più vicino alla fantascienza, come letture, che non all’horror. In ogni caso mi ha sempre lasciato perplesso il fatto che, sulle varie guide uscite nel corso degli anni dedicate alla storia della fantascienza (anche italiana), il suo nome non saltasse mai fuori.

Anna: Per niente, direi. Anche per questo lo stimo.

Fabio: In molte cose, De Rossignoli è stato un precursore. La simpatia per i mostri, per dire, l’idea che i mostri siamo noi, la ritroviamo in Dylan Dog. Non credo che Sclavi lo abbia letto: dico che De Rossignoli ha catturato qualcosa che era nell’aria, e che poi sarebbe entrato di prepotenza nel fumetto popolare, diventando fenomeno di costume. E poi, niente è deciso: può darsi che il momento di De Rossignoli debba ancora arrivare. Guarda quello che è successo a un altro sconosciuto legislatore dell’horror italiano, Giorgio De Maria.

E QUANTO LO E’ STATA INVECE PER VOI?

Massimiliano: Mi ha aperto un mondo, un mondo che vorrei conoscere meglio e che meriterebbe più attenzione, come quello degli autori italiani che si cimentarono con la letteratura di genere tra gli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso.

Anna: Mi ha dato grande piacere leggerlo e fare ricerche su di lui. Mi ha insegnato cose che non lo riguardano affatto ma che riguardano me: questo è il mio modo sempre infantile di godere della lettura. Se non mi parla di me, non m’interessa veramente.

Fabio: Mi ha dato il piacere dell’indagine, il fremito della caccia. Uno dei suoi libri lo sto ancora cercando, non si trova. Si intitola Strega nuda. Possiedo una prima edizione del Dracula italiano stampato da Sonzogno nel 1922, una specie di Santo Graal per gli appassionati, e l’emozione – quando l’ho scovato – non si può descrivere: ma non so cosa proverei trovando una copia di Strega nuda.

EMILIO DE ROSSIGNOLI E’ STATO SIA SCRITTORE CHE SAGGISTA, SI E’ OCCUPATO SIA DEL GENERE FANTASTICO (HORROR E FANTASCIENZA) SIA DEL REALE IN MOLTE SUE SFACCETTATURE (GIALLI, SERIAL KILLER) SIA DELL’INSOLITO E DEL MISTERIOSO, PER NON PARLARE POI DELLA SUA ATTIVITA’ COME GIORNALISTA (REDATTORE E DIRETTORE) PER ALCUNE TRA LE PIÙ NOTE RIVISTE ITALIANE RIVOLTE AL PUBBLICO FEMMINILE… QUANTE FACCE DELLA STESSA MEDAGLIA CONVIVEVANO IN LUI?

Massimiliano: Per quanto conosco del mondo del Conte, secondo me ci manca qualche tassello, nel senso che sicuramente non tutto ciò che ha scritto e fatto è stato pubblicato a suo nome, ma utilizzando qualche pseudonimo strano. È un vero peccato che la sua biblioteca sia andata persa, così come è stato molto penalizzante non aver mai trovato un familiare stretto o un amico caro che ci desse qualche “dritta” di prima mano. Le sue facce sono veramente tante, forse troppe!

Anna: Tante, come in chi non teme di lasciare libera espressione alle diverse personalità che abbiamo in noi perché sa come mantenerle in equilibrio. Hai descritto uno dei motivi per cui trovo la sua figura così interessante. Diciamo anche che doveva lavorare e molti lavori erano “alimentari”. Tuttavia la sua impronta è sempre molto personale.

Fabio: È quello il bello! De Rossignoli è contemporaneo di Roland Barthes, di Giorgio Manganelli, di Umberto Eco… è uno dei protagonisti sconosciuti del postmoderno italiano, cosa di cui magari egli stesso si rendeva solo limitatamente conto. Ma è riuscito, più di Manganelli, di Eco o di Barthes, nella più postmoderna delle imprese: sparire, completamente, dietro la sua opera. L’opera di De Rossignoli è veramente la (non) morte dell’autore.

MA SOPRATTUTTO NON SCORDIAMOCI IL SUO VISCERALE AMORE PER I VAMPIRI… DA COSA NASCEVA QUESTA PASSIONE?

Massimiliano: De Rossignoli era un grande appassionato di cinema, scrisse anche alcuni saggi sull’argomento, editi dalla Rizzoli. Sono convinto che il suo amore per i vampiri nasca dalla celluloide, per poi ampliarsi alla letteratura. Ma magari mi sbaglio ed è l’esatto contrario, con il Conte non si può mai ben dire…

Anna: La figura del vampiro è un archetipo potentissimo. Vi sono anche ragioni socio-culturali che spiegano la fortuna dei vampiri in quagli anni e che Fabio Camilletti approfondisce benissimo nel libro.

Fabio: Sì, era un momento di grande fortuna del tema vampirico, soprattutto grazie al primo Dracula della Hammer, che in Italia arriva intorno al Natale del 1958. Era anche un’epoca molto più libera di oggi, dal punto di vista dell’immaginario – oggi se fai un film o scrivi un libro di vampiri ti ritrovi legioni di impallinati che si chiedono perché il frassino, la luce sì o la luce no, ma Stoker a pagina X dice questo… De Rossignoli aveva libertà assoluta, in questo la sua opera è assolutamente pop e d’avanguardia.

IL VOSTRO LIBRO SI AVVALE ANCHE DEGLI INTERVENTI E DELLE TESTIMONIANZE DI DANILO ARONA, ALFREDO CASTELLI, LUIGI COZZI, FABIO GIOVANNINI E DEL COMPIANTO GIUSEPPE LIPPI. NOMI DAVVERO IMPORTANTI…

Massimiliano: Come dicevo prima, la lacuna più grande del libro è forse il fatto che ci è mancata la testimonianza di qualcuno a lui veramente vicino. Per questo sono felice che i nomi che hai citato abbiano deciso di partecipare al nostro libro, i loro interventi leniscono il rammarico di non essersi mai imbattuti nel nipote Giorgio Guglieri, nonostante le affannose ricerche.

Anna: Sono tutti personaggi eccezionali e la loro partecipazione è un grande regalo. Il mio unico rimpianto è di aver rimandato e rimandato una visita a Giuseppe, fino a non poterci andare più. Va citato anche Sergio Bissoli, fantastico cercatore di libri perduti. Il suo libro sui Racconti di Dracula, sempre pubblicato da Profondo Rosso, è strepitoso: lo è nel contenuto, ma soprattutto lo è, secondo me, come parabola del cercatore. Mostra come le ricerche più bizzarre richiedano fiducia, follia, doti di immaginazione e ricettività. Bissoli ragazzino che nasconde i libri proibiti nel cimitero è per me una scena impagabile (oltre che una reminiscenza di analoghi comportamenti).

Fabio: Mi piace pensare al nostro libro come a una sorta di trait d’union generazionale. Come, a suo tempo, lo era stata la rivista Horror, su cui scriveva anche De Rossignoli e che abbiamo omaggiato apertamente.

CAMBIAMO ARGOMENTO. VISTO CHE ULTIMAMENTE CAPITA SEMPRE PIU’ SPESSO DI LEGGERE MOLTI AUTORI, SIA EMERGENTI SIA AFFERMATI, ANCHE IN FORMATO DIGITALE, SECONDO VOI QUALE SARA’ IL FUTURO DELL’EDITORIA? VEDREMO PIAN PIANO SCOMPARIRE IL CARTACEO A FAVORE DEGLI E-BOOK O PENSATE CHE QUESTE DUE REALTA’ POSSANO CONVIVERE ANCORA PER LUNGO TEMPO?

Massimiliano: Sono un integralista della carta, non mi piegherò mai al digitale, anche a costo di vendere l’anima al diavolo! Poi naturalmente ognuno è libero di scegliere il supporto che meglio crede. Mia moglie, ad esempio, preferisce acquistare gli e-book, prima o poi utilizzerò questa cosa per un divorzio per giusta causa :) :)

Anna: Il cartaceo non scomparirà. Forse, ma il giorno è ancora lontano, per un periodo sì. Poi tornerà, come il vinile. Sarà sempre più un oggetto di lusso, purtroppo. Il digitale serve per leggere cose che non meritano una casa definitiva nella tua biblioteca. In più, studi in merito pare dimostrino che il libro cartaceo attivi una capacità di concentrazione che invece è ostacolata dal supporto digitale.

Fabio: Io sono un grande fan del digitale, e non solo per ragioni di sostenibilità: sono sempre in viaggio, e avere un’intera biblioteca nell’iPad non ha prezzo. Trovo comunque molto azzeccato il paragone con l’industria discografica avanzato da Anna: e infatti, per i libri e i dischi di ieri, continuo a preferire il supporto materiale della carta e del vinile. Suona meglio, in entrambi i casi. Ma le novità, se posso, le compro in digitale, che siano musicali o librarie.

IN QUESTI ANNI DI ATTIVITÀ AVETE SEMPRE AVUTO UNA PREDILEZIONE PER IL GENERE FANTASTICO. CHE SIGNIFICATO HA PER VOI QUESTA TEMATICA?

Massimiliano: Il fantastico è il genere che più mi consente di evadere, di lasciare da parte i problemi del quotidiano. Mi intrigano molto le distopie, probabilmente perché da anni sono impegnato politicamente e ho un debole per l’antropologia e le scienze politiche in generale.

Anna: Parla direttamente al mio inconscio attraverso i suoi simboli. Mi procura piacere, mi fa stare bene, mi risana, mi dà forza, mi aiuta a occupare serenamente un posto nel mondo, visto che al momento non posso ancora ritirarmi del tutto a vita privata. Mi suggerisce spiegazioni e, a volte, soluzioni.

Fabio: Non saprei. Credo che c’entri la ribellione, più o meno inconscia, a quel realismo che la scuola dei miei tempi, figlia ancora del Dopoguerra, continuava a imporre come unico modo legittimo di fare letteratura. O, peggio ancora, a quel fantastico diluito, talmente astratto da diventare evanescente, che va tanto di moda nei licei e nelle facoltà universitarie: Calvino, Savinio, Ortese, Morselli… Una volta si chiamava fantastico, oggi qualcuno preferisce chiamarlo weird, è sempre la stessa roba: un canone elitario che consente all’accademia di presidiare il campo, marginalizzando la letteratura popolare. Che poi, a leggerli davvero, questi supposti scrittori tanto cerebrali e razionalisti erano in realtà molto più gotici di quanto si sospetti – non a caso, apro il capitolo di Italia Lunare dedicato ai vampiri con Landolfi, non con De Rossignoli (ed è l’idea stessa di far loro coabitare lo stesso capitolo che trovo intrigante). Ma gotico è una parola che in Italia non si può usare, c’è gente che parla di weird e non sa nemmeno chi siano August Derleth o Ray Bradbury, figuriamoci De Rossignoli. E io mi troverò sempre dalla parte dei De Rossignoli.

QUALI SONO I VOSTRI SCRITTORI PREFERITI?

Massimiliano: Non ho scrittori preferiti, le mie letture si muovono per connessioni e casualità. Parto da un autore, ne seguo l’onda, vedo chi ne ha parlato, con chi ha collaborato, chi ha stimolato e da chi si è fatto influenzare, per scegliere poi la lettura successiva. Frequentando molto i mercatini, acquisto compulsivamente senza una logica e ho pile di libri inevasi… Detto questo, dovessi scegliere cosa portarmi sull’isoletta deserta, direi Philip K. Dick, Boris Vian e Fernando Pessoa tra gli stranieri; Dino Buzzati, Andrea Pinketts e Giovanni Arpino tra gli italiani.

Anna: è più facile parlare di generi: la fantascienza, per esempio, non quella scientifico-tecnologica ma quella che parla di cosa è umano e di cosa non lo è. Nonostante la mia predilezione per libri scritti negli anni Settanta e Ottanta (anche italiani: Montanari, Malaguti, Aldani…), mi sento felice quando scopro che anche oggi vengono scritti libri eccezionali: Storie della tua vita di Ted Chiang è un caso esemplare. Philip Dick mi ha aperto le porte del genere quando lo leggevo sotto le coperte fino a tardi anche se il giorno dopo c’era scuola. L’horror: i racconti di Daphne Du Maurier, sottovalutatissimi. Don’t Look Now: capolavoro un po’ più noto solo perché alla base del film A Venezia… un dicembre rosso shocking. I dimenticati: Abraham Merritt e il suo potentissimo Brucia strega brucia! Gli outsider: recentemente ho letto una raccolta di racconti di Howard Nemerov, L’occhio dello stregone, che ho trovato molto ispirata, unico suo libro pubblicato in Italia, per quanto ne so. Nemerov era il fratello di Diane Arbus, la fotografa dei freaks… Tutto ha un senso.

Fabio: C’è un solo autore di cui ho letto tutto o quasi, ed è Stephen King. Del panorama attuale mi interessano Michel Houellebecq ed Emmanuel Carrère, pochi gli italiani: Evangelisti, Mari, Wu Ming, Enrico Brizzi. In genere, comunque, non leggo troppa narrativa, e se la leggo sono cose tipo ghost stories inglesi dell’età classica o romanzi pulp italiani: ultimamente ho divorato le storie di fantasmi di Mary Elizabeth Braddon, solo parzialmente tradotte in Italia. Però questo è già lavoro: nel tempo libero più che altro leggo fumetti o gioco a qualche videogame.

E PER QUANTO RIGUARDA I FILM CHE PIU’ VI PIACCIONO, CHE CI DITE?

Massimiliano: Temo di essere il più irresponsabile fra i tre che stai intervistando, visto che ho via via abbandonato la visione di film, prediligendo i libri. Ho dovuto fare una scelta drastica e ho dato spazio alla lettura, per motivi sostanzialmente di opportunità: puoi leggere dieci minuti, ma non guardare una pellicola per dieci minuti. O meglio, forse lo puoi fare, ma con soddisfazione diversa.

Anna: Io e il mio compagno siamo spettatori onnivori e senza freni, guardiamo di tutto: cose belle se ne fanno, e non poche. Ultimamente siamo rimasti piacevolmente sorpresi dalla serie Netflix Love, Death and Robots. Ma ci sono tre film che hanno segnato il mio immaginario nel profondo. Milano calibro 9 di Fernando di Leo. L’invenzione di Morel di Emidio Greco. Le orme di Luigi Bazzoni. Il mio film d’amore è Nekromantik di Jörg Buttgereit.

Fabio: Io ho i gusti cinematografici di un tredicenne. Per dire, adesso mi sto sparando l’integrale del Marvel Cinematic Universe in ordine cronologico, traendone un piacere che non esito a definire purissimo. Cerco di tenermi abbastanza aggiornato sull’horror, e a volte guardo serie poliziesche o di fantascienza.

ULTIMA DOMANDA, POI VI LASCIAMO AL VOSTRO LAVORO. QUALI PROGETTI AVETE PER IL FUTURO E QUAL È IL VOSTRO SOGNO (O I SOGNI) CHE AVETE LASCIATO NEL CASSETTO?

Massimiliano: In mantovano si direbbe che io sia un’ava matta, un’ape impazzita. Questo perché mi diletto in tante cose, anche solo apparentemente sconnesse tra loro. Quindi di sogni nel cassetto ne ho molti. Il più ricorrente è legato all’apertura di una libreria, dove vendere libri, dischi e quadri, dove incontrare amici, dove bersi un bicchierino ogni tanto, per scongiurare eventuali discese, dal settimo al primo piano…

Anna: fondare Arcana, una grande biblioteca dedicata ai “nostri” generi. La mia personale biblioteca vi troverebbe posto e così quelle di chi volesse partecipare. Arcana sarà immersa nel verde e non avrà alcuno scopo di lucro. Ricordo di essermi disperata quando ho saputo che la biblioteca di Vegetti era finita dispersa, venduta pezzo a pezzo. Quanti grandi vecchi non hanno eredi che apprezzino le loro inestimabili collezioni? Se è un buon progetto, qualcuno busserà e lo faremo insieme. E se il libro scomparirà diventerà un tesoro.

Fabio: io non ho sogni così ambiziosi, e nemmeno così generosi. Sto lavorando a un nuovo progetto che si chiama Orrore popolare, una sorta di Basement Tapes dell’Italia segreta. E vorrei portare questo lavoro in una specie di tour dell’Italia più lunare – teatri fatiscenti, circoli spiritici, studi radio inalterati dagli anni Sessanta. Come in quel racconto, Il continuum di Gernsback, mi piace riportare in vita i fantasmi semiotici dei futuri anteriori: partecipare agli eventi di Planète, assistere ai fenomeni di Gustavo Rol, inseguire i fantasmi rurali di Buzzati o di Bissoli, il tutto con un piede nel mio presente. Come diceva qualcuno, tutto lo sporco degli anni Sessanta con la tecnologia degli anni duemiladieci.

Davide Longoni