IL VAMPIRO NELLA LETTERATURA ITALIANA

I piccoli editori ci sorprendono sempre per il coraggio innovativo e per il gusto della riscoperta. In questo caso la Keres Edizioni di Avellino pesca nel passato della narrativa gotica italiana, per la precisione riporta in auge il primo romanzo di vampiri, “Il vampiro – Storia vera” (240 pagine; 13 euro) scritto nel 1869 dal barone Franco Mistrali, tre anni prima di “Carmilla” di Le Fanu e trent’anni prima di “Dracula” di Stoker. Il merito della riscoperta va tutto ad Antonio Daniele, appassionato di vampiri e curatore di siti internet dedicati alla materia. Colgo l’occasione per sintetizzare una piccola storia di questo tipo di narrativa.

Si può dire che in Italia non abbiamo una grande tradizione di letteratura vampirica così come non abbiamo una grande scuola di narrativa horror e di genere. Oggi forse le cose stanno cambiando ma in passato la narrativa di genere è sempre stata boicottata e confinata nel ghetto della narrativa di consumo. Restano solo poche eccezioni di autori come Italo Calvino e Dino Buzzati che si sono confrontati con la narrativa fantastica elevandola al rango di narrativa letteraria. Questo è il motivo per cui se guardiamo dentro i nostri confini letterari scopriamo poche cose degne di nota che riguardano il vampiro.

L’esordio del vampiro nella letteratura italiana lo troviamo in un madrigale trecentesco di Niccolò Soldanieri, in un ricordo di Benvenuto Cellini ne “La vita” e nel Canto XII della “Gerusalemme liberata” dove Torquato Tasso mette in pugno a Tancredi una spada assetata di sangue. Si tratta di veri e propri precursori di una letteratura che si affermerà nel secolo diciannovesimo. Il primo accenno al vampiro lo troviamo nell’opera lirica “Il vampiro” di De Gasperini rappresentata a Torino nel 1801. Siamo in pieno periodo romantico ed è molto apprezzato il fascino ai riferimenti vampirici come la simbologia del sangue, la malinconia, la notte e la tenerezza erotica per il cadavere. Per la prima opera di narrativa dobbiamo attendere Franco Mistrali con “Il vampiro” (1869), una storia ambientata nel Principato di Monaco. Si tratta di un romanzo gotico pieno di colpi di scena e oscuri intrighi concepito con la tecnica del feuilleton. Il romanzo descrive i vampiri come un’associazione segreta ed è la tipica narrativa popolare commerciale basata sul culto del sangue. Vi consigliamo di procuravi copia nella nuova edizione edita da Keres. Subito dopo segnaliamo Enrico Boni e il suo “Vampiro” (1908), una novella decadente a base di anemia e sangue ma pure di paletti aguzzi, crocefissi e canini mordaci. La cornice è quella contadina e popolare, un mondo intriso di superstizione e di paure ancestrali. Il libro ha un alto valore folclorico e ci presenta un suggestivo vampiro proletario.

Luigi Capuana con “Un vampiro” (1904), romanzo dedicato a Cesare Lombroso, scrive un racconto naturalista e positivista. La narrazione dei fatti di vampirismo è fatta davanti a uno scienziato che boccia i fenomeni come allucinazioni. La ragione scettica dello scienziato si arrende soltanto davanti all’evidenza dei fatti. Il racconto ha una chiusura che è in polemica con il positivismo.

Contemporaneo di Capuana è Oberto Marrama che scrive “Il dottor Nero” (1907), una dark story di consumo ispirata a Le Fanu. Il Futurismo è stato importante soprattutto nella poesia ma come narrativa ha prodotto solo i racconti “Vampiro biondo”, “Il poema del male” e “Amplesso tragico” di Renzo Novatore, raccolti nel 1924 nel volume “Al di sopra dell’arco”. In età a noi più vicina troviamo Vittorio Bacchelli con “Ultimo licantropo” (1947), Nino Savarese con “I ridestati dal cimitero” (1932), Gualberto Titta ne “Il cane nero” (1964) e Tommaso Landolfi ne “Il racconto del lupo mannaro” (1939). Sono racconti a metà tra il mito del vampiro e del licantropo. Vanno citati pure i libri pulp anni Cinquanta – Sessanta che uscivano in edicola sotto la denominazione “I romanzi del terrore”, “KKK Classici dell’orrore” e “I racconti di Dracula”. Tutta narrativa commerciale di solito scritta da italiani sotto falso nome anglo americano. Un autore su tutti è stato Gaetano Sorrentino, meglio noto come Max Dave. Nel 1970 esce “Il mio amico Draculone” di Luigi Pellizzetti, un romanzo umoristico che descrive un mondo magico tra erotismo giovanile e un maggiordomo vampiro che si sposta su di una bara a rotelle. Interessante è pure il racconto di Italo Calvino “Storia del regno dei vampiri” inserito nel volume “Il castello dei destini incrociati” (1973). Calvino è stato importante pure perché è uno dei pochi autori italiani che ha utilizzato il fantastico per fare alta letteratura. La storia vede la ricerca della donna vampiro nella notte di Valpurga e il regno dei vampiri è la città del passato che si oppone alla città del re. Tutto è incastonato in un meccanismo che rappresenta un gioco di carte e il tema del racconto è l’idea del vampiro come non accettazione da parte dell’uomo dell’idea della morte.

Giovanni Fontana ha scritto “Tarocco meccanico” (1973), un romanzo che lui stesso definisce sonoro e di avanguardia. Si tratta di un poema visivo di difficile lettura e interpretazione. però si parla di vampiri in un contesto artistico – sperimentale e quindi la citazione è dovuta. Nel 1982 vede la luce “La casa incantata”, romanzo postumo di Furio Jesi, un’avventura per bambini con vampiri, bicchieri animati, professori arroganti, poeti e investigatori.

Alberto Abruzzese nel 1984 firma “Anemia”, una storia di vampiri molto originale. Un funzionario di partito afflitto da una malattia del sangue diventa protagonista di una singolare storia gotica. Il racconto è pure un pretesto per fare un discorso politico che vede un vampiro integrato nella società ricoprire addirittura la carica di funzionario del PCI. L’uomo è malato di una cronica anemia e percorre un cammino iniziatico sino alla presa di coscienza del male che irrompe e scatena il dramma. La piena consapevolezza di se stesso come vampiro lo fa rinascere e vivere a contatto con la notte. La sua consacrazione vampirica sarà l’atto di succhiare il sangue di una donna come manifestazione d’amore. Il protagonista del romanzo comincia a vivere quando prende coscienza del suo stato.

Furio Jesi però resta nella storia della narrativa vampirica soprattutto per “L’ultima notte”, anch’esso uscito postumo nel 1987. Jesi in vita è stato un importante studioso del mito e della letteratura e ha pubblicato molto in quel campo. Il vampiro di Jesi non è un vero uomo, anzi si può dire che non è mai stato un uomo. Il vampiro si è sempre nutrito di sangue umano per vivere e da millenni non avvicina più gli uomini ma si nutre di sangue coagulato dei morti. Il vampiro di Jesi viene dallo spazio, da un altro mondo, è un essere alieno che anticamente ha dominato la Terra, non ha niente a che vedere con il vampiro della tradizione. Ne viene fuori una storia che è un’originale favola per adulti.

Tra i contemporanei citiamo Gianfranco Manfredi con “Ultima notte” (1987) che riporta alla luce vampiri del passato, “Magia rossa” (1983) che parla di vampirismo sessuale e “Ultimi vampiri” (1987), opera fantascientifica che ci presenta i vampiri come ultimi salvatori della specie umana. Tiziano Sclavi merita di essere ricordato non solo come creatore del fumetto “Dylan Dog” ma anche come autore di romanzi onirici e affascinanti come “Film” (1974), “Dellamorte Dellamore” (1991), “Nero.” (1992) e “Nel buio” (1993) che ci presentano un vampiro di fine millennio, disadattato e nevrotico. Alda Teodorani, la dark lady della narrativa italiana, invece tratteggia dei vampiri sadici e assassini nei suoi racconti contenuti in “Giorni violenti” (1995) e “Cuore di pulp” (1997). Per finire citiamo Gianfranco Nerozzi, uno dei più interessanti narratori horror contemporanei. “Ogni respiro che fai” è un romanzo edito nel 2000 che vede l’ispettore Bonetti alle prese con un caso complicato fatto di vampiri che respirano il sangue delle persone invece di succhiarlo. Tralasciamo volutamente Chiara Palazzolo, autrice che non merita nessuna considerazione, purtroppo edita da Piemme.

La poesia vampirica italiana invece è praticata soltanto come canto malvagio dai movimenti di avanguardia e ha per protagonista quasi sempre la donna. Nel corso dei secoli se ne sono occupati: Scapigliatura, Futurismo, poeti contemporanei di rottura e di sperimentazione. Tutti hanno sempre messo in primo piano una figura di donna vampiro con grande valenza erotica che ha origine nella poesia di Baudelaire. L’idea di base è quella del mito di una vagina dentata, un utero malefico e mortale visto come bocca provvista di denti. Lo scapigliato Emilio Praga con “Dama elegante” (1864) è uno dei primi poeti che descrive la donna come vamp, donna fatale perversa e aggressiva, di derivazione psicanalitica come rapporto difficile tra madre e bambino. Nella sua opera c’è la folla ipnotizzata dallo sguardo demoniaco, ma troviamo pure l’immagine del morso e il richiamo all’oltretomba. Non mancano gli scenari notturni e la donna vista come essere ultraterreno, quasi come bestia immonda e imprevedibile. Nello stesso periodo Arrigo Boito scrive la lirica “Re Orso” (1865) che parla di un vampiro che ridesta dalla tomba Re Orso e lo trasforma in un fantasma senza pace. Citiamo anche Amilcare Ponchielli con “Gioconda” (1876) e Iginio Ugo Tarchetti con “Memento” (1863). La più alta celebrazione della donna vampiro ce la lascia invece il commediografo Achille Torelli ne “Il giovane poeta e la donna vampiro” (1878). Nella lunga lirica si mette in scena un vampirismo erotico di stampo baudeleriano con una femmina vampiro metafora dell’amante cui non si può resistere e che succhia le energie vitali sino in fondo. Olindo Guerrini ne “Il canto dell’odio” (1877) porta nella poesia oltre al macabro di maniera pure la necrofagia alla Poe. Il poeta diventa vampiro e si vendica della donna vampiro defunta che lo sedusse e lo abbandonò.

Il Futurismo con Filippo Tommaso Marinetti e il suo “Destruction” (1904) ma soprattutto con la tragedia satirica “Roi Bombance” (1905)  presenta una figura di vampiro che incarna l’eternità del desiderio. Ne “Gli amori futuristi” (1922) invece Marinetti ci parla della donna-vampira e dà il via a una serie di operazioni poetiche minori legate a questo tema. Per esempio il futurista minore Nicola Maciarello segue la lezione del maestro nei “Canti malvagi” (1922) e descrive un vampiro che si avventa sulle vergini per succhiarne il sangue. Julius Evola con “Raâga blanda” (1916 – 1922) parla di una donna che si sacrifica per il vampirismo sessuale del suo uomo che aspira a diventare immortale. La poesia italiana ci presenta fanciulle vampiriche pure in Aldo Palazzeschi (“Fanciulle bianche”) e nelle amanti pallide e oniriche di Dino Campana. Citiamo pure Guido Ceronetti che in “Mordimi il collo” (1976) ricorda tutti i doveri del vampiro e Giovanni Testori che ci descrive una Cleopatra in preda alla morte-vampira nel monologo in dialetto milanese “Cleopatràs” (1994). Una rinnovata poetica vampirica in tempi moderni c’è stata pure per merito del poeta beat Giovanni Fontana autore de “Le làmie del labirinto” (1981), un poema visivo su questa figura archetipo di dea madre. Si tratta di poesia di difficile comprensione, molto sperimentale. Infine citiamo Patrizia Valduga con “Donna di dolori” (1991), un libro scritto da una donna dalla raffinata copertina nera che parla di morte e di tutti gli orrori del Novecento.

Gordiano Lupi