DARDANO SACCHETTI

Dardano Sacchetti non è uno sceneggiatore italiano, lui è LO sceneggiatore italiano: a lui si devono alcune delle pellicole di genere più belle della storia del cinema del nostro paese. Ha scritto praticamente di tutto, dall’horror alla fantascienza, dal fantasy al poliziottesco, dalla commedia all’italiana all’avventura, passando dal grande al piccolo schermo e lavorando con tantissimi registi, fra cui Argento, Soavi, Lenzi, Damiani, Mario e Lamberto Bava, Fulci, Margheriti, Carnimeo, Martino, Castellari, Deodato, Cottafavi, Avallone, Lado, Zampaglione… e davvero tanti tanti altri.

Sarebbe stato facile parlare con lui del suo cinema e dei suoi film, ma visto che abbiamo avuto il piacere, l’onore e la fortuna di conoscerlo, abbiamo preferito farci raccontare da Dardano il suo essere uomo di cinema e il suo rapporto con la Settima Arte… sentiamo cosa ci ha raccontato.

COMINCIAMO CON UNA DOMANDA DI RITO. CHI È DARDANO SACCHETTI?

Neanche il mio psicanalista ha saputo rispondere a questa domanda… e dire che sono passato anche attraverso uno psichiatra per sposare alla fine una psicologa, ma resto un buco nero.

COME HAI COMINCIATO A SCRIVERE PER IL CINEMA E COME E’ NATA QUESTA TUA PASSIONE PER LA SETTIMA ARTE?

Per caso, non era mia intenzione scrivere per il cinema, a dirla tutta non sapevo neanche chi fosse uno sceneggiatore e cosa facesse.

Non sapevo cosa fare da grande, non ho avuto miti tipo pompiere o meccanico o carabiniere a cavallo. Pensavo semplicemente di fare vita di partito, magari fosse capitata la “rivoluzione” (cosa che mi intrigava molto). In subordine pensavo da fare l’avvocato (come ho rischiato di fare, lavorando per diversi mesi nello studio di uno dei più grossi penalisti italiani).

Ho cominciato a leggere a 5 anni (Salgari, ovviamente, e un libro russo su come era la vita un milione di anni fa, poi Verne e via via sino a cose più complesse), ma al cinema sono andato prima. I miei amavano il cinema e, non avendo baby-sitter, mi portavano con loro. Il primo ricordo che ho nell’arena del Cinema Castello a Roma (prima si mangiava una pizza stupenda) è il PPP di Jack Palance nel film “Il grande coltello”: un thriller tosto. A dieci / undici anni ho cominciato a leggere i Gialli Mondadori, quindi Urania (conservo ancora il primo numero “Le sabbie rosse di Marte”); poi a tredici ho cominciato a scrivere, ma in realtà ero un narratore, raccontavo le storie che  inventavo e ne inventavo tante, diverse e sempre oltre l’ordinario. Più tardi qualcuno mi disse che ero un creativo. Amavo i libri e i film, non amavo il calcio, né le festicciole sceme. Mi piaceva la politica. Ho cominciato a impegnarmi presto in politica, grazie alla quale sono stato spinto a scrivere due poesie che inviai a un giornale, mentre organizzavo marce per il Vietnam e scioperi nazionali a livello studentesco durante il ’68.  Intanto sviluppavo un interesse per tutto ciò che mi circondava. Ero (e sono) curioso a 360 gradi. La curiosità è tutto. Giravo di notte, a piedi, vagabondavo da night a bar dove giocavo a scopone scientifico con una puttana, una nottola e un vecchio insopportabile barista. Ho avuto anche il tempo di subire una condanna per omicidio preterintenzionale. Insomma ho fatto cose, perfino il militare in un reparto operativo. Poi per caso, un giorno a piazza Navona ho “rubato” l’agenda di un tizio per prendere il numero di telefono di Dario Argento. Un mio amico, che voleva fare il regista, voleva conoscerlo. Telefonai a Dario e un’ora dopo eravamo a casa sua. Lui aveva appena finito di montare “L’uccello dalle piume di cristallo”. A me non me ne fregava niente, ma Dario era molto simpatico, gli era nata da un paio di giorni Fiore, la prima figlia. Non lo sapevo ma in quel momento stava cambiando la mia vita,  tanto cambiata.

TI SEI OCCUPATO DI TANTISSIMI GENERI DURANTE LA TUA CARRIERA, MA IN QUESTA SEDE CI LIMITEREMO AL GENERE FANTASTICO, A COMINCIARE DALLA FANTASCIENZA.  CHE RAPPORTO HAI CON LA SCI-FI, QUALI SONO LE TUE ISPIRAZIONI E QUALI I FILM CHE TI HANNO MAGGIORMENTE SODDISFATTO E PERCHE’?

Non mi sono occupato dei generi, ma delle bollette da pagare. Scrivevo per sopravvivere e sceneggiavo qualsiasi cosa mi chiedessero, avrei sceneggiato anche l’elenco del telefono se mi avessero pagato. Vero è che quando mi incaricavano di scrivere un film, cercavo di trasformare in oro anche il piombo, mi piaceva giocare all’alchimista… spesso ci riuscivo (nel senso che i film erano rotondi e giravano), qualche volta no… ma perché mi facevano girare le scatole (produttori che non pagavano, registi che non capivano una minchia ed erano tanti); allora qualche volta ho scritto volutamente avvelenate. La verità è che sono alieno rispetto ai cinema e soprattutto ai classici cinematografari romani. Non ho mai sopportato il cliché, vivevo la mia vita che non aveva niente a che fare col cinema e tutto il circo che gli ruotava intorno. A me piacevano la filosofia, l’astrofisica, la storia, la poesia, il gioco d’azzardo, la notte e la vodka, anche le donne finché non ho incontrato l’amore della mia vita. Mi piaceva il rischio. Tornando a bomba alla fantascienza (che ha molto a che fare con la mia visione del cinema, rimasi molto impressionato a 9 anni dal film di Douglas sulle formiche volanti, tanto che lo vidi per quattro spettacoli di seguito e mia madre mi trovò disperata alla fine dell’ultimo spettacolo), posso dire che la fantascienza non è amata in Italia. Mario Bava ci provò senza successo. Cozzi ci cozzò contro e si fece male. La verità è che la fantascienza pura è meno amata dell’horror, che, al contrario, essendo il nostro un paese cattolico/incasinato/mistico, viene disprezzato ufficialmente ma poi, sotto sotto, tutti lo sfiorano, lo accarezzano, lo titillano, ci fanno cose sessualmente disgustose, vuoi per esorcizzare la paura di morire, vuoi perché trovano in certe sequenze terrificanti lo sfogo visivo a pulsioni inconsce che non avrebbero mai il coraggio di confessare. La fantascienza invece non riesce a coinvolgere l’emotività italiana, a parte due saghe famose: “Star Wars” (che in fondo è un avventuroso brillante) e “Alien” (che in fondo è un horror ambientato altrove).

PER QUANTO RIGUARDA IL GENERE HORROR, STESSO TIPO DI DOMANDA DELLA PRECEDENTE…

No, non mi ha influenzato nessun film horror. I Dracula mi hanno sempre fatto ridere, qualche film in bianco e nero classico degli anni 50/60 era fatto bene, ma mi ispirava di più “Totò cerca casa” nel frammento al cimitero. Per dirla tutta, sono un tipaccio a sangue freddo, non ho mai paura, a volte metto paura agli altri, anche senza volerlo. Ma… c’è sempre un ma nella vita: mia nonna ha disseppellito di notte clandestinamente per tre volte la bara del marito morto. L’ultima volta (cimitero sconvolto da un’alluvione) l’ho accompagnata io a riconoscere tra le casse sfasciate i resti di nonno. Predestinazione? Bah…

MOLTE DELLE SCENEGGIATURE CHE HAI SCRITTO, SONO STATE COLLABORAZIONI CON TUA MOGLIE ELISA BRIGANTI. VUOI PARLARCI DEL TUO RAPPORTO CON LEI E DI COME SONO NATE E SI SONO SVILUPPATE LE STORIE A QUATTRO MANI?

Lisa è la donna che ha fatto di me uno sceneggiatore professionista partorendo due figli da mantenere. Bisognava lavorare e non inseguire voli pindarici. Lei è una psicologa, voleva andare a specializzarsi a Londra, io cazzeggiavo, avevo fatto tre/quattro film (anche di successo), ma avevo litigato un po’ con tutti a cominciare da Dario… non è che il cinema mi attirasse molto, poi vennero i figli. Eravamo diventati una famiglia. Era necessario darsi una quadratura, avere delle entrate più o meno regolari, quindi ci mettemmo in cerca di una casa, io accettai qualsiasi lavoro, ma sempre col retro pensiero che avrei mollato il cinema per fare qualche altra cosa, ma intanto lavoravo e mi scaltrivo, imparavo mestiere e trucchi, veniva a galla la mia natura di scrittore che avevo sempre soffocato. Facevo leggere le mie cose a Lisa e lei, da psicologa e razionale, mi dava dritte e limava certe mie grossolanità, poi ci mettevamo a discutere di psicologie, di emozioni, di meccanismi, di che cosa era la paura ecc… così, poco per volta, senza averlo programmato, iniziammo a lavorare insieme… un po’ a cazzo di cane, come dicono i francesi colti… era divertente, ovviamente, per gli imprevisti che capitavano…

QUALI SONO STATI I REGISTI CHE RITIENI ABBIANO MEGLIO SAPUTO SVILUPPARE LE TUE STORIE E QUALI INVECE QUELLI CHE LE HANNO COMPLETAMENTE STRAVOLTE?

I film sono come terni al lotto, qualche volta l’azzecchi altre no. Non sai mai quando è la volta giusta. Ci sono film che partono con tutti i crismi e sono vere catastrofi e altri invece che partono scarciofolati e alla fine trovano una quadra insperata. Sulla carta si parte sempre per fare il film migliore ma le trappole, gli inciampi, gli infortuni i temporali sono all’ordine del giorno su un set, quindi ci sono registi che hanno sviluppato al meglio alcune mie storie, ma gli stessi ne hanno anche toppato altre… Fulci e Lenzi in testa, ma anche Damiano Damiani, non parliamo di Argento… ogni volta è una avventura… e non sai mai come andrà a finire: l’unica cosa certa era che avrei litigato e rotto i rapporti anche per mesi, poi per un motivo o per l’altro si  tornava a lavorare e magari si realizzava qualcosa di buono. Ma lavorare con i registi, per uno scrittore vero, è un tormento. Pochi sono quelli che sanno capire una storia, un personaggio, soprattutto nel cosiddetto cinema di genere.

C’E’ UN FILM  CHE AVRESTO VOLUTO SCRIVERE TU E CHE NON HAI FATTO… E UN FILM CHE HAI SCRITTO E CHE NON AVRESTI INVECE MAI VOLUTO FARE?

No, non guardo mai al lavoro degli altri, quindi non c’è un film che avrei voluto scrivere io anche se ce ne sono molti che ammiro e qualcuno che amo profondamente: per esempio il primo Godard, Resnais, “Caro Diario” di Moretti, tutto Bunuel, quasi tutto Hitch, Lang, certi giapponesi, certi russi, tantissimo il mio adorato Polanski (“Cul de sac”, “Repulsion”, “Il coltello nell’acqua”) e anche Scolimowski (“Le Depart”, “La ragazza del bagno pubblico”)… ma non ho mai invidiato le loro storie, le sceneggiature. Al contrario ci sono molti miei film invece che non avrei mai voluto scrivere ma che ho firmato perché ho una regola: niente ipocrisie, se accetti un assegno te ne assumi la responsabilità nel bene e nel male.

ULTIMA DOMANDA, POI TI LASCIAMO AL TUO LAVORO. QUALI PROGETTI HAI PER IL FUTURO E QUAL È IL TUO SOGNO (O I SOGNI) CHE HAI LASCIATO NEL CASSETTO?

Non ho mai avuto una casa ordinata e quindi arredata: sto ancora con gli scatoloni dei primi traslochi, quindi non c’è niente nei cassetti e quello che sta negli scatoloni potrebbe essere ammuffito… progetti tanti che mi occorrerebbero altre due vite… ho almeno tremila files nel mio computer… soggetti, sceneggiature, libri, poesie, saggi storico/politici, riflessioni, zibaldoni… mi lascio però trascinare dall’istinto e dal vento, non programmo nulla… azzanno dove c’è da azzannare. E continuo a bere vodka!

PROSIT!

Davide Longoni