MARINA CRESCENTI

Ciao Marina, anzitutto grazie per questa intervista sulla Zona! Partirei dall’inizio della tua storia letteraria.

NEL 2007 PUBBLICHI IL TUO PRIMO LIBRO “4 DEMONI PER IL COMMISSARIO NARDUCCI” CON FRILLI. MI PIACEREBBE SAPERE SE ERA IL TUO PRIMO ROMANZO IN ASSOLUTO O SE AVEVI ALTRO NEL CASSETTO: ALTRI ROMANZI, RACCONTI…  QUANDO HAI COMINCIATO A SCRIVERE E QUANTO CI HAI MESSO PER ARRIVARE A UNA FORMA CHE RITENEVI ACCETTABILE?

Innanzitutto, Davide, sono io che ringrazio te di questa intervista.

4 Demoni è stato il mio primo romanzo, avevo quarant’anni. Fino ai diciotto, non avevo ancora scritto nulla che non fossero i temi a scuola (nei quali non ho mai preso più di un 5, tranne una volta: sette, ero alle medie, avevo copiato). Nella mia vita universitaria, invece, si trattò di qualcosa di più corposo, come tesi o tesine; da ricercatrice ho scritto molti lavori scientifici. Ma vicissitudini avverse della vita mi hanno portata a specializzarmi in un campo diverso da quello che avevo scelto per la mia carriera, e io dentro a un argomento che non parta da una mia decisione mi sento imbottigliata. Per me, usare la penna è libertà allo stato puro. Perciò, non avendo granché voglia di studiare e scrivere dell’effetto serra, nel 2003 mi sono dimessa. I miei due veri amori erano finanza aziendale e tecnica bancaria, ma alla figlia del rettore, contrariamente a quanto si pensi, non è stata offerta alcuna chance di potersi esprimere dove volesse, a meno di scambi di favore a cui, naturalmente, mio padre non ha mai dato seguito. Comunque sia, mi piaceva molto scrivere, mi è sempre piaciuto. Da ragazzina esprimevo i miei sentimenti nero su bianco, parlare mi risultava più difficile, ma si trattava solo di lettere. Di carta, come si usava ai miei tempi.

Ho cominciato a scrivere romanzi a partire dal 2004, una volta liberatami della palla al piede che oramai era diventata per me l’università. E non mi sono più fermata. Ho sempre amato, oltre alla scrittura, la cinematografia italiana dei gialli e polizieschi anni ’70/’80, e anche se oggi è inflazionato dirlo, lo dico: sono cresciuta a pane e polizieschi.

Tu vuoi sapere quanto ci ho messo ad arrivare a una forma di scrittura da me ritenuta accettabile? Chi ti ha detto che io ci sia arrivata? Ogni volta che termino un romanzo o un racconto, dopo averlo riguardato più e più volte, sì, mi sento soddisfatta, al punto da avere l’ardire di consegnarlo all’editore per la pubblicazione. Ma se mi volto indietro a rileggere le mie prime cose, vorrei scomparire, cancellare, modificare e Dio solo sa cosa, eppure, penso: c’è stato un momento in cui quelle stesse pagine le ritenevo, come dici tu, accettabili, anzi, ti confesso anche belle. E allora, mi sono costruita attorno una corazza: considerare i miei scritti passati come foto di un’epoca che non c’è più, ma che ha avuto una sua ragione di esistere. Sono convinta che avere davanti ai miei occhi, ad esempio, 4 Demoni, sia come osservare una mia vecchia foto, quanti di noi stentano a riconoscersi con quella pettinatura, con quell’orribile vestito o i pantaloni a zampa di elefante? Argh! Insomma, siamo o non siamo oggi la sommatoria di tutto ciò che abbiamo vissuto finora? C’è una sola parola per spiegare tutto ciò. E si chiama crescita. Sì, ammetto di essere cresciuta, maturata anche, ma mi cada un Buondì Motta addosso, se tra dieci anni, rileggendo ciò che scrivo oggi (compresa questa intervista), io non rabbrividisca come rabbrividisco adesso quando rileggo il primo Narducci.

COME SEI ARRIVATA A FRILLI?

Si vociferava che questa casa editrice rappresentasse un buon trampolino di lancio per gli esordienti. Così, feci il mio pacchetto con dentro il dattiloscritto e lo spedii, insieme a un’altra ventina di 4 Demoni ad altrettante edizioni. La Frilli mi rispose dopo due settimane, di solito, l’attesa dura mesi. Ho subito creduto che l’amico di un’amica ci avesse messo lo zampino. Ma non fu quello il motivo per il quale mi contattarono dopo solo quindici giorni. In realtà, 4 Demoni piacque parecchio al direttore editoriale di allora, lo trovò un romanzo che prima ti accarezza e poi ti pugnala, e dunque adatto alla loro collana noir.

ECCO, VORREI RIPARTIRE DA QUANDO DICI CHE SEI CRESCIUTA A PANE E POLIZIESCHI. NEGLI ULTIMI ANNI SONO STATE TANTE LE DONNE CHE SI SONO DEDICATE ALLE SCRITTURE DI GENERE: TU, LA BARALDI, LA BARBATO, LA ASTORI (E CHISSÀ QUANTE ALTRE CHE IO NON CONOSCO). COME SEI ARRIVATA, E MI RIVOLGO ALLA SPETTATRICE CHE È IN TE, AD INNAMORARTI DI QUESTI DUE GENERI E A SCEGLIERLI COME BASE PER I TUOI LIBRI: IL THRILLER, IL GIALLO ITALIANO DEGLI ANNI ’70 E IL POLIZIESCO DI ALLORA? QUALI SONO STATI I TUOI REGISTI, O SCRITTORI, PREFERITI IN QUESTI GENERI? MI PIACEREBBE SAPERE SE TI È RIMASTA IMPRESSA LA TUA “PRIMA VISIONE” DI UNA DI QUESTE PELLICOLE; HAI FATTO IN TEMPO A VEDERNE QUALCUNA SUL GRANDE SCHERMO? DOVE?

Comincio dalla penultima domanda. Per fortuna, no. Altrimenti oggi avrei 58 anni. Anziché 54. Sto confessando, dunque, che all’epoca avevo grossomodo 10 anni, e quei film erano vietati ai minori di 14. Però, io me li vedevo lo stesso, di nascosto dai miei, che non volevano che io guardassi certe porcherie. Come puoi ben capire, la mia passione per i gialli e i polizieschi non deriva dalla genetica. Mi sono subito innamorata del genere, credo, a motivo di una mia smodata passione per l’indagine sin da quando ero piccola. Con una mia amichetta giravo per la città munita di valigetta contenente materiale da fare impallidire pure la lente d’ingrandimento di Sherlock Holmes. Non mancava certo all’appello il Manuale del Giovane Detective, consumato fino all’ultima riga. E così, giravamo per le vie della città, con o senza bici, inventando situazioni sospette o persone subdole per ogni dove. Ricordo ancora l’innocua vecchietta affacciata alla finestra di un palazzo, trasformatasi, grazie a una generosa fantasia, in un palo per rapinatori di banca. La necessità – oggi la definirei anche così – per l’indagine è qualcosa che hai dentro, ci nasci, io la vivo non solo quando scrivo, ma anche nel quotidiano: tutto deve essere chiaro, avere una ragione più che valida e concludersi con una soluzione del tutto credibile, proprio come in un giallo, e prima di allora non mi fermo. Chiedi pure a mio marito. Costruire anche solo mentalmente una trama thriller, o poliziesca che sia, è come gustare una ghiottoneria, e delle più succulente: annuso, pregusto, studio, assaporo, ma prima scelgo un argomento che mi affascini e, solo poi, intorno ad esso imbastisco la trama; a quel punto, durante la stesura centellino gli indizi come fossero briciole. Oltre a essere stati i primi due grandi amori della mia infanzia, il giallo e il poliziesco sono diventati – da grande – una scusa per parlare di ciò che mi appassiona nel mio rosso più profondo (abbasso le citazioni), e poi costruirci attorno trappole, delitti e tranelli. Tutti da risolvere. Tassativamente. Lieto o non lieto fine, ma qui si sfocia nel noir, dove il confine tra bene e male è sottilissimo. Non posso definirmi una grande esperta (laddove non arrivo con le mie conoscenze, studio tutto lo scibile, questo sì, non per niente provengo da una ex-carriera universitaria) ma di certo mi considero una grandissima appassionata. La mia cultura è pressoché cinematografica, e mi fa compagnia sempre quando scrivo, voglio dire che quasi tutto ciò che so si fonda sulle visioni. Non faccio che riportare nero su bianco le immagini che chiare si affollano – pur molto ordinate – nella mia mente. Quando costruisco volti, ambienti, o creo abiti e situazioni, io traspongo sul foglio ciò che gli occhi della mente vedono in maniera vivida. E la nitidezza mi giunge da migliaia di scene che divoro da quando ero bambina.

La mia “prima visione” di questo genere di pellicole ha a che fare con un film poliziesco. Avevo 10 anni, ero in macchina di ritorno dal circolo tennis, la mia seconda casa, anzi, la prima. In un punto dove affiggevano sempre piuttosto grossi – allora mi parevano enormi – dei cartelloni pubblicitari di film, resto folgorata dall’immagine che ritraeva un attore (non sapevo ancora chi fosse) con la pistola spianata, il tutto su sfondo rosso; e sotto, imponente, giganteggiava il titolo: MILANO TREMA: LA POLIZIA VUOLE GIUSTIZIA. Consacrato a mito in via definitiva in quello che fu un attimo, un guizzo, un balenio, sarebbe stato impossibile per la bambina credere che l’immagine rimastale d’un colpo scolpita nella mente, avrebbe fatto da copertina alla biografia di quel bellissimo uomo – che di nome, scoprì presto, faceva Merenda Luc – e di cui lei stessa, nel fantascientifico anno 2017, sarebbe stata l’autrice.

COME SECONDA COSA VORREI SAPERE COME HAI AFFRONTATO IL GENERE GIALLO. MI SPIEGO: HAI CERCATO UNA SCRITTURA CHE CREASSE DELLE EQUIVALENZE CON QUEI FILM PER SEMPRE PERDUTI NEL TEMPO? TI SEI POSTA IN QUALCHE MODO IL PROBLEMA? TE LO CHIEDO PERCHÉ, IL GIALLO ITALIANO DI ALLORA – E MI RIFERISCO AI VARI ARGENTO, FULCI, MARTINO, ECC – NON HA TROVATO SBOCCHI NELLA LETTERATURA ITALIANA DI ALLORA. A PARTE LA COLLANA DEI “RACCONTI DI DRACULA” (SPOSTATA SULL’HORROR PORNO) SI È VISTO POCHISSIMO. IL SOLO CHE ABBIA, CREDO PER PRIMO, PROVATO A CERCARE UNA LINGUA THRILLING EQUIPARABILE A QUEI FILM È STATO TIZIANO SCLAVI COL SUO “UN SOGNO DI SANGUE”, AMBIENTATO PROPRIO A PAVIA ED USCITO NELLE EDICOLE PER CAMPIRONI NEL LONTANO 1975. SE TU LO HAI LETTO, AVRAI NOTATO COME LA SCRITTURA DI SCLAVI SIA BEN PIÙ MODERNA ED EFFICACE RISPETTO ALLE PIATTE TRASPOSIZIONI LETTERARIE DI NANNI BALESTRINI SUI PRIMI TRE GIALLI DI ARGENTO, PUBBLICATE NEGLI OMNIBUS DELLA SONZOGNO IN QUELLO STESSO ANNO.

Come con le immagini, anche con il tipo di scrittura ricreo quasi sempre equivalenze con la cinematografia di quegli anni. Tu usi l’espressione “cercato una scrittura”. Ecco, no, io non l’ho cercata, mi è venuta così, ha fatto tutto da sola. Iniziare e poi continuare a scrivere in quel modo – un solo esempio per la miriade di simbolismi: il guanto nero di Mario Bava (poi ripreso da Argento) su cui si focalizza l’intero schermo – è stata per me l’unica maniera possibile, non mi sono posta in alcun modo il problema.

Quanto all’equivalenza con film perduti nel tempo, di cui difetterebbe l’allora letteratura italiana, occorre tenere presente una cosa importante: all’epoca, attraverso quei film, si esploravano i vari mondi in cui immergersi, ma mancando tutti gli strumenti di ricerca moderni, si poteva solo sperare di trovare un’altra pellicola, una rivista, un libro o un gruppo musicale, che ti facessero ritrovare e riprovare le stesse sensazioni. Non era concepibile nemmeno una ricerca degli arretrati. E a chi, come me, allora aveva solo 10 anni, non restava che l’assillo quotidiano al solito edicolante sotto casa. Figuriamoci se si poteva pensare a un discorso sistematico di confronto multimediale, unico simpatizzante, credo, di una certa mescolanza tra cinema e letteratura.

HAI RAGIONE, PERÒ ALLORA LE EDICOLE PULLULAVANO DI FOTOROMANZI CHE TI PERMETTEVANO DI FERMARE I FOTOGRAMMI DI QUEI FILM, OPPURE QUEI MAGNIFICI FUMETTI NERI DI BARBIERI E CAVEDON, PENSO A OLTRETOMBA, JACULA, ZORA, ECC.

E io penso a Diabolik.

COMUNQUE TORNIAMO A TE: CON NARDUCCI CONFEZIONI UNA TRILOGIA THRILLER MOLTO CAZZUTA. LA TUA SCRITTURA È LEGGERA, SCORREVOLE, TUTTAVIA CAPACE DI COSTRUIRE TRAME SPESSO CRUDELI, FORTI, SPIAZZANTI. DIREI CHE LA COSA PIÙ EVIDENTE DELLA TUA SCRITTURA SONO I DIALOGHI A CASCATA, COSTRUITI SU UN PARLATO QUOTIDIANO, ORDINARIO, SENZA TROPPI ORPELLI, QUASI UN MARCHIO DI FABBRICA. TI TROVI D’ACCORDO?

Visto che lo prendo come un complimento, lascio che siano gli altri a essere d’accordo, comunque, io sì lo sono. Ad ogni modo, a monte c’è un motivo. Ho letto tanto Scerbanenco, e sono stata affascinata dalla Sua straordinaria capacità di rendere realistici i personaggi attraverso i
dialoghi. E’ come se per osmosi io avessi assimilato il Suo enorme talento, che ho poi centrifugato con quello mio zoppicante della neofita e alla fine l’ho fatto mio (il linguaggio, no Scerbanenco). Sono subito stata attratta dal fatto che la personalità – perché no, anche l’aspetto o uno sguardo – dei personaggi uscivano allo scoperto senza troppe spiegazioni, a volte, lunghe, tediose, anche parecchio inutili. Noi non andiamo in giro con un cartello appeso al collo con su scritto chi siamo e chi no. A spiegarlo bastano i nostri modi di fare, di muoverci, di parlare, allora perché dilungarsi nello spiegare com’è fatta la gente che si accalca e strepita nei romanzi, oppure chi solo fa capolino fra le righe. Perciò, sì, la prevalenza dei dialoghi è il mio marchio di fabbrica, ma non è farina del mio sacco.

PRIMA PARLAVAMO DELLE TUE PRIME VISIONI E HAI ACCENNATO AL POLIZIESCO CON LUC MERENDA, ATTORE DI CUI, TRA POCHISSIMO, USCIRÀ PER I TIPI DELLA BLOODBUSTER UNA TUA BIOGRAFIA. COM’È NATO QUESTO PROGETTO?

Dopo averlo riacciuffato dall’eclissi cinematografica nella quale si era rintanato da vari decenni, gli chiesi, non senza grosse dosi di coraggio, la prefazione al mio terzo romanzo, visto che il mio protagonista, il commissario Lorenzo Narducci, gli somiglia, e parrebbe parecchio, dato che si ostinano tutti a chiamarlo Luc. Il Luc originale acconsentì alla prefazione, con mia enorme sorpresa, e altrettanto onore. Il suo passo successivo, fu quello di chiamarmi, ero in macchina senza il vivavoce, in barba ai vigili, dimmi tu se non ne valeva la pena. Figuriamoci se gli dicevo: mi chiami più tardi. Mi disse che gli piaceva come scrivevo e se desiderassi cimentarmi con la sua biografia. Tre morti e due feriti sull’asfalto.  No scherzo. Beh, eccoci qua: 7 anni di lungo e duro lavoro, fatti di viaggi e registrazioni, lui a raccontarmi – nella sua splendida casa in Francia – la sua vita, io a trasformarla nero su bianco nella mia cascina alle porte di Pavia. Ora che mi ci fai pensare, a proposito di Scerbanenco, ho confezionato il tutto sotto forma di dialogo tra lui e me. Ne è uscito un libro brioso, frivolo e profondo al tempo stesso, anche arricchito di foto inedite, pubblicato dalla casa editrice Bloodbuster, tra le più professionali ed esperte del settore. La biografia si intitola “La Mia Vita a Briglie Sciolte”, è stata inaugurata al Festival del Cinema di Pistoia il 30 ottobre di quest’anno.

NEL TUO ULTIMO ROMANZO, “AL SANGUE NON SI COMANDA”, AFFRONTI DI PETTO I TUOI TANTO AMATI ANNI ’70. MI È PARSO UN ROMANZO MOLTO BELLO, L’HO PREFERITO AL CICLO DI NARDUCCI, FORSE PERCHÉ PIÙ CUPO, DIREI PERSINO COMPATTO. COME TI SEI TROVATA A LAVORARE SU UNA STORIA “IN COSTUME”?

A mio agio. Ho scelto il 1978 – non prima, non dopo – perché ero finalmente diventata una ragazzina capace di osservare il mondo con i suoi occhi, ricordo tutt’ora molte cose dell’epoca. Ho tratto piacere dalla scrittura di questo libro, non posso dire sia stato più grande degli altri, di sicuro più maturo e consapevole. Ho pescato nel mio passato e ho trovato tantissime cose che erano ancora lì, come in attesa di me, certe che un giorno o l’altro magari sarei andata a recuperarle, chi può dirlo. Per quanto riguarda la ricostruzione della Milano dell’epoca (ti ricordo che sono di Pescara), ho studiato e ricercato e infine trovato ciò che mi serviva: bar, negozi, palestre, piscine, locali notturni – oggi alcuni non esistono più – fino a rintracciare il fruttivendolo più antico della città. Ho telefonato, scritto, e raggiunto più volte Milano per parlare di persona con i diretti interessati; un esempio per tutti: il negozio di articoli sportivi di cui parlo nel libro, oggi è in una via; l’attuale padrone, figlio del vecchio proprietario, mi ha spiegato che nel 1978 si trovava in un’altra zona. Lui me l’ha detto e io l’ho inserita nel testo. Insomma, sono scesa nei meandri della città per rendere l’ambientazione verosimile e coerente, e ho notato una cosa interessante: nessuno in quel di Milano si è mostrato stupito del mio incipit: buongiorno, sto scrivendo un giallo e avrei bisogno di… eccetera eccetera. Nessuno cadeva dal pero, erano tutti abituati a situazioni simili. Ora ti faccio io una domanda. C’è o no lo zampino dei polizieschi?

NEL LIBRO? VUOI SAPERE SE SI SENTE LA TUA MANO “POLIZIESCA”? SI’, SEMPRE, IN FONDO LA TUA SCRITTURA SOMIGLIA A QUEGLI STRANI IBRIDI TRA IL THRILLING E L’ACTION ANNI ’70, ROBE TIPO “MORTE SOSPETTA DI UNA MINORENNE” DI MARTINO. DIREI CHE È UN ALTRO MARCHIO DELLA TUA PROSA, QUALCOSA CHE TI RENDE RICONOSCIBILE E DIFFERENTE RISPETTO AD ALTRE SCRITTRICI DI GENERE. HO MOLTO APPREZZATO ANCHE IL LIBRO PRECEDENTE, “LE LACRIME DEL BRANCO”. SU INTERNET SI TROVANO RECENSIONI DI LETTORI SPIAZZATI DALLA VIOLENZA DEL TESTO. IN EFFETTI SEI RIUSCITA A CONCENTRARE IL TUO “DARK SIDE” IN QUELLE PAGINE. NEL LEGGERLO RIVEDEVO POLIZIESCHI SPIETATI COME “FANGO BOLLENTE”, “I VIOLENTI DELLA ROMA BENE”, “COME CANI ARRABBIATI”. COME MAI TI SEI CIMENTATA IN UN LAVORO COSÌ DURO? E COME TI SEI TROVATA A SCRIVERLO?

Il Branco è il mio libro “peggiore”, è violentissimo, dici bene, ho tirato fuori il lato più rabbioso e rancoroso di me. E ho scritto anche il seguito, pensa. L’ho intitolato “Il Branco 2 – Il Drago giallo”, uscirà nel 2018 per la Nero Press. Ho esorcizzato tanto di quell’odio e malessere che non ho avuto più bisogno dello psichiatra! Mi era stato commissionato un poliziesco molto crudo e truce dal grande scrittore e traduttore, ma prima ancora, UOMO ECCEZIONALE, Sergio Altieri, Re indiscusso del genere. Sergio oggi non c’è più. Aveva letto i miei primi due gialli, e con il suo sorriso – che gli illuminava il suo faccione – li definiva “delitti e cannelloni”; non ti offendere, mi diceva. Gli piaceva come scrivevo, come costruivo la trama, credeva in me. Addirittura, comprò 4 Demoni il giorno della mia prima presentazione alla Libreria del Giallo a Milano, io gli dissi: ma no! Lui: i libri si comprano. Ecco, Sergio era anche questo. La sua è stata una grande perdita per chiunque abbia avuto, come me, la immensa fortuna di conoscerlo e di averlo accanto. Quando mi propose di tentare la carta di una scrittura molto più decisa, insomma, togliamo i cannelloni, mi disse quel giorno, e giù la sua indimenticabile grassa risata, io gli risposi che ci avrei provato: non ero sicura che mi sarebbero piaciuti quei temi così estremi, e quindi non ero sicura se sarei stata capace e all’altezza delle sue aspettative. Invece lui, dall’alto della sua esperienza, chissà, magari lo immaginava già. Scelsi come protagonista un branco, capii subito che i componenti non andavano certo a cogliere le margherite, né si esprimevano con buongiorno, buonasera, la prego, permesso o un gentil: mi scusi. Dovevo andare giù dritto, un caterpillar, se volevo raggiungere lo scopo che Sergio aveva in serbo per me. Mi chiamò a Pescara un pomeriggio d’agosto, per lui non c’erano ferie, mi disse che gli era piaciuto. Molto. Che era esattamente quello che lui aveva in mente. Stentavo a credergli. Ne fui, come puoi immaginare, immensamente onorata, quel giorno Sergio mi rese felice. Il libro avrebbe dovuto uscire nella collana del Giallo Mondadori, la vita ha voluto diversamente, ma ancora oggi a me basta il suo giudizio per andare avanti in questo mondo duro come il mio branco, per credere in me stessa e per non cedere mai. Devo a lui, a mio marito, alla mia Simona (Viciani), a Pinketts e a Cappi se sono ancora qui a scrivere. Tutti al primo posto sul podio.

E A CHI DEVI INVECE LA PASSIONE PER LA LETTURA? PRIMA CITAVI SCERBANENCO. MI PARE STIA EMERGENDO UN TUO RITRATTO MOLTO PIÙ CANONICO, CLASSICO, RISPETTO A QUELLO CHE MI SAREI ASPETTATO. SAREI CURIOSO DI SAPERE ALTRI NOMI.

Ho due personalità, solo nei panni di lettrice, credo.

Autori buoni (giallisti e non): Dino Buzzati, Agatha Christie, Caleb Carr, Andrea G. Pinketts, Patricia Cornwell, Carol O’Connel, Kathy Reichs, Eugenio Corti, Chaim Potok, che minestrone.

Autori cattivi: James Ellroy, Edward Bunker, li adoro.

Dottoressa Jekyll e Mrs Hyde?

SENTI MARINA, UN PASSO INDIETRO. NARDUCCI, LUC MERENDA, PERFETTO. PERÒ A ME QUEL COGNOME, NARDUCCI, RICORDA ALTRO: FRANCESCO NARDUCCI, OSSIA IL MEDICO PERUGINO SOSPETTATO DI AVER A CHE FARE CON LA VICENDA DEL MOSTRO DI FIRENZE. TE LO CHIEDO PERCHÉ IO SONO UNO DEI TANTI MALATI OSSESSIONATI DA QUEL CASO. TE NE SEI MAI INTERESSATA? TE LO CHIEDO PERCHÉ NESSUNO SCRITTORE RIUSCIREBBE A INVENTARE UN PLOT COSÌ INTRICATO E PAZZESCO COME QUELLO. A VOLTE LA REALTÀ È DAVVERO MOLTO PIÙ FANTASTICA DELL’IMMAGINAZIONE! TI SEI MAI SERVITA DELLA CRONACA NERA PER LA TUA LETTERATURA?

Ho notato che spesso travesti dalle 3 alle 5 domande in una soltanto. Allora. 1: Narducci viene dal tennista Massimiliano Narducci, giocatore di Coppa Davis e dell’epoca in cui giocavo io; il mio primo romanzo è pieno di cognomi di ex grandi tennisti che conosco. 2: No, il cognome che ho scelto per il mio commissario – dunque – non c’entra con Francesco Narducci. 3: Sì, ho letto e visto parecchio sul mostro di Firenze. 4: E’ proprio come dici tu: la realtà supera la fantasia. 5: No, non mi sono mai servita della cronaca nera, mentre sì, mi sono servita di mio marito che fa il giudice penale – un mestiere molto comodo per una moglie che scrive gialli – a lui ho sicuramente attinto, ma solo per questioni tecniche e le volte in cui avevo bisogno di parlare con un medico legale, un poliziotto, un grafologo o altro esperto, onde evitare di scrivere sciocchezze. Al peggio, non ne parlo, piuttosto che rischiare di essere anche solo imprecisa.

UNA DOMANDA TECNICA: QUANTO IMPIEGHI NELLO SCRIVERE UN TUO LIBRO? SCRIVI TUTTI I GIORNI O SEGUI L’ISPIRAZIONE? SCRIVI DIRETTAMENTE AL COMPUTER? DEI TUOI LIBRI QUAL È STATO QUELLO CHE HA VENDUTO DI PIÙ? E QUELLO MENO FORTUNATO?

1: Per scrivere un romanzo non impiego mai un tempo preciso. E di sicuro, non impiego mai lo stesso tempo per ciascun libro, ciò per motivi legati alla vita e al suo quotidiano, o ad altre stesure che si accavallavano tra loro. Ad esempio, per il primo libro mi ci sono voluti 5 mesi, e una volta firmato il contratto, circa un anno per correggerlo. Per il “Branco” e il suo seguito, un mese e mezzo ciascuno, 3 anni per Riccio (“Al sangue non si comanda”) e qualcosa meno per Joy. 2: Scrivo direttamente al computer; solo il primo, 4 Demoni, l’ho scritto a penna per metà, però poi mi sono trovata meglio con la tastiera, giuro, non avrei mai detto. 3: Quale libro ha venduto di più? Oddio, mi fai una domanda a cui non so rispondere, credo che non saprò mai quale è stato il mio libro più gettonato. Solo la Novecento mi ha mandato finora rendiconti annuali più che attendibili, la Frilli, in 10 anni e per due libri, me ne ha mandato uno, uno solo. Stranamente uguale a quello che ricevevano gli altri con cui ai tempi (poi ho smesso) mi sono confrontata per avere un minimo di controllo della situazione. E’ stato così che sono venuta a conoscenza del meraviglioso mondo delle cosiddette truffe legalizzate; con Frilli, ho avuto la gioia di sapere che 4 Demoni e Joy erano usciti anche in e-book una sera che stavo cazzeggiando su internet, ti parlo di qualche anno fa. Bello, vero? 4: Per lo stesso motivo, non so dirti quale sia fra i libri che ho scritto il meno fortunato. Ma a lume solo di naso direi Joy, perché è più di nicchia: Joy dai Joy Division, un gruppo che suonava musica new wave alla fine degli anni Settanta; tutta la trama gialla del libro è incentrata sulla figura del loro cantante/paroliere Ian Curtis.

HO SBIRCIATO SU INTERNET INFO SU DI TE E HO VISTO CHE SEI UNA SCRITTRICE CHE CURA MOLTO IL PROPRIO LAVORO: FAI PRESENTAZIONI, GIRI, PARTECIPI, TI SBATTI. CREDI CHE OGGI SIA INDISPENSABILE, OLTRE ALLA SCRITTURA, CURARE I PROPRI INTERESSI, PROMUOVERSI? TE LO CHIEDO PERCHÉ IO SONO RIMASTO UN FAN DEL VECCHIO LUOGO COMUNE CHE VEDE LO SCRITTORE UN ALCOLIZZATO FALLITO INCAPACE DI COMUNICARE COL MONDO ESTERNO.

Il passa parola è certamente il mezzo più idoneo. Ma il tam tam lo devi pur stimolare in qualche modo, soprattutto se sei un esordiente, alcolizzato fallito (mersì bocù) o sconnesso che sia. All’inizio, ho fatto di tutto di più: My Space prima, Facebook poi, articoli su giornalini e giornaletti, interviste e volantini. Presentazioni a gogò! Una follia! Oggi, posso affermare di averne al mio attivo più di un centinaio. Se devo dire che è servito a qualcosa, credo che mentirei. Ma l’alternativa qual è? Ne conosciamo forse una? Se sì, dimmela subito.

OH, IO UN’ALTERNATIVA CE L’AVREI, MA QUESTA È UN’ALTRA STORIA! MARINA, CREDO DI AVER ABUSATO ABBASTANZA DELLA TUA PAZIENZA. TI RINGRAZIO PER QUESTA INTERVISTA E TI AUGURO BUONA VITA! PRIMA PERÒ TI FACCIO L’ULTIMA DOMANDA, UN CLASSICO: PROSSIMI PROGETTI? HAI ACCENNATO AL SEGUITO DEL “BRANCO”. ALTRO?

1: Se è la stessa alternativa che penso io, posso dirti con certezza che non ho ampie vedute in merito alla cosa! E qui ci metterei una faccina come dico io! 2: Sono io che ringrazio te e ti auguro anch’io tanta fortuna, nella vita non basta mai. 3: Attualmente, sto scrivendo – sempre con le dovute/non volute pause – il seguito di “Al sangue non si comanda”. L’ho intitolato: “La morte ti cambia la vita”. Trovi anche tu?

Davide Rosso