LA PORNOGRAFIA HORROR ILLUSTRATA

Zoofili [1], zoorasti, esibizionisti, feticisti, perversi nati, onanisti, bambine precoci, collegiali ambigue, educatori equivoci, nuclei famigliari devianti, collezionisti d’orgasmi rinchiusi dentro castelli/penitenziari, guardoni; l’elenco/classificazione delle perversioni è un modo per regolarle, per dar loro un segno linguistico che corrisponda all’effrazione elencata – e che la folla di pervertiti finisca pazza, in manicomio, in un tribunale poco importa, ciò che conta è l’evidenza del segno usato.

Il sesso (degenerescente o monogamo familiare) deflagra tra le vignette, si vende in ogni edicola, raggiunge (potenzialmente) chiunque ed è culturalmente/moralmente accettato (insieme a un’altra quantità di riviste per adulti e porno foto). Chi le compra, consuma un gadget di devianza per pochi spiccioli, rassicurato dall’istituzionalizzazione del commercio.

Il sesso dei porno fumetti horror sadici dei ‘70/’80 (su di loro s-ragiono in solitudine da un po’) raggiunge la saturazione, il mormorio basso e costante; è classificato, definito, codificato dalle varie collane; i redattori dei porno fumetti non sono degli artisti, bensì degli scienziati sessuali della società borghese, capitalistica e industriale. Il bisogno è sempre lo stesso: formalizzare la pratica sessuale. Il p.f. è una valvola di sfogo che limita l’energia del coito in una sfera privata, in un consumo coatto, fine a se stesso. Inoltre, proprio in virtù di tutti gli stupri che narra, il p.f. preserva il valore del matrimonio, vivacizzandolo attorno ai deliri controllati.

Tuttavia il p.f. non coincide con la realtà del periodo, se non come riduzione al silenzio inoffensivo di una sessualità adulta incanalata nei circuiti commerciali del porno eros; i p.f. dunque sono, lo ripeto, devianza controllata, tollerata, consentita.

E che forme si dà tale devianza?

Il corpo sessuale delle donne e degli uomini di quegli albi non è un corpo morigerato, bensì affetto da concupiscenza a scadenza quattordicinale, settimanale, mensile.

L’ortopedia del sesso disegnato assomiglia a una tassonomia delle posizioni, a una grammatica delle eiaculazioni, dei getti moltiplicati e prolungati che solcano e saturano gli sfondi delle vignette.

Dunque: moderazione o intemperanza?

Gli antichi ragionavano su una sessualità (desiderio naturale) da disciplinare, delimitare, misurare. Insomma: dimmi come godi e ti dirò chi sei!

L’universo del p. f. (e di conseguenza quello che l’ha prodotto e distribuito) presenta una costante strategia del bisogno e, come Diogene, soddisfa ogni impulso sulla pubblica piazza. Il bisogno di trattenersi, controllare i piaceri, di avere padronanza della propria natura non vale per le Zora, Sukia, Jacula, De Sade, Wallestein, Ulula & Company, tutti schiavi degli aphrodisia più estremi. Appunto Senefonte, nei Memorabili, giunge alla conclusione che tra un uomo intemperante e una bestia non vi sia differenza alcuna. La libertà individuale, il libero arbitrio (e quindi il raggiungimento della felicità) nei p.f. è fuori discussione. L’atteggiamento dei personaggi è tirannico, incapace di dominare le proprie passioni, quindi incline ad abusarne, disonorando figli, ragazze, ragazzi, vecchie.

Vi è una certa inquietudine verso l’atto sessuale del p.f., visto sempre come morbo comiziale, come ci riferisce Aulo Gellio; il seme stesso, sperma maschile o femminile, schiuma del sangue, ha origine da frammenti di materia cerebrale (Diogene Laerzio) o dal midollo (Platone nel Timeo). Aristotele dice la sua nella Generazione degli animali, propendendo per un residuo del processo digestivo.

Comunque sia, lo sperma è forma e sostanza di chi l’ha prodotto, risultanza finale del processo organico, simbolicamente legato al bisogno di sfuggire alla morte; tuttavia l’immane attività sessuale del p.f. è sterile (i parti o le cure materne, così come le coppie matrimoniali, sono quasi assenti se non per irriderle); l’individuo del p.f. è destinato a morire orribilmente (spessissimo) appena dopo aver consumato l’eiaculazione; l’indebolimento dell’energia fisica accordata all’atto rivela un’inquietudine della carne, sintomo dell’inquietudine stessa della dottrina cattolica o di tutte le dottrine.

L’economia del sesso (non morigerato) è dunque economia della morte (Bataille/Baudrillard)?

Ma torniamo (e chiudiamo?) alla questione della lingua. Dopotutto vale la pena chiedersi se questi p.f. (sicuramente reazionari negli anni in cui sono stati prodotti, squisitamente anarchici e devianti, letti e collezionati oggi) rappresentino davvero una involuzione. E se questa regressione nello sperma dei freaks non fosse il fondo del linguaggio, bensì il suo apice, sintesi di vari (altri) linguaggi sublimati; il testo del p.f. opera una torsione della lingua, la scarnifica riducendo la struttura morfologica a brevi didascalie (spazio/tempo), battute e soprattutto onomatopee, ossia radici verbali italianizzate, predicati che da soli reggono i piccoli testi e li fanno assomigliare al fiato, al respiro originario di una lingua.

Davide Rosso


[1] Scrivo questo articolo in modo disperso per un bisogno di non stringere le riflessioni all’interno di un quadro definito e sicuro.