FANTASCIENZA STORY 125

NOI NON SIAMO SOLI (1977) – PARTE 01

INCONTRI RAVVICINATI DEL TERZO TIPO (Close Encounters of the Third Kind)

- Sicché se ne sono andati?

 - Per sempre John?-

 - No, solo per adesso.

Non era ancora il momento per conoscerci… ma seguiranno altre notti, e noi osserveremo le stelle… finché non tornino…-

(da Destinazione… Terra di Jack Arnold)

Ora, il momento… è giunto.

Deserto di Sonora. Messico. Epoca attuale.

Una spedizione composta da scienziati e di militari trova un gruppo di aerei scomparsi misteriosamente nel 1945. La citazione è autentica in quanto si tratta di un fatto realmente accaduto. Per la precisione si tratta di cinque aerei Grumman TBM-3 Avangers con a bordo cinque ufficiali piloti e nove membri dell’equipaggio. Essi partirono nel pomeriggio del 5 dicembre 1945 dalla base aeronavale di Fort Lauderdale in Florida per un breve volo di addestramento. I piloti erano dei veterani con parecchie ore di volo e non vi era ragione alcuna perché qualcosa dovesse accadere. Invece, alle 15.15, arrivò la prima segnalazione captata dalla base dove il comandante della squadriglia, il tenente Charles Taylor, comunicava di essere fuori rotta e di non riuscire più a vedere il terreno. Questo fu l’inizio di un dramma che si svolse nei cieli: in una serie di concitati messaggi i piloti comunicarono che bussole e strumenti erano impazziti e che l’oceano aveva un aspetto strano. Gli aerei scomparvero senza lasciare alcuna traccia. Nel film di Steven Spielberg vengono ritrovati perfettamente intatti e funzionanti, senza piloti, con nella carlinga tutte le cose personali al loro posto, portati, a quello che sembra, da una strana luce accecante che cantava e proveniente dal cielo. Intanto altri problemi sorgono ad Indianapolis, alla torre di controllo dell’aeroporto, quando un oggetto volante non identificato rischia di collidere con un aereo. Nonostante il pericolo corso sia l’addetto alla torre che i piloti si guardano bene da fare rapporto. A Muncie, nell’Indiana, un elettrotecnico, Roy Neary (Richard Dreyfuss) è testimone del volo di oggetti non identificati nel cielo della sua cittadina. Neary cerca ostinatamente di capire che cosa sta succedendo e che cosa gli sia capitato. Nella prima versione del film, quella dell’anno che stiamo trattando, assistiamo anche a una riunione governativa dove le autorità cercano di demolire gli avvistamenti che Neary, Julian Guiler (Melinda Dillon) e suo figlio Barry (Cary Guffey), oltre ad altri testimoni e ufologi, hanno visto. Ad Ohamarsala, nell’India Settentrionale, lo studioso Claude Lacombe (Francois Truffaut, 1932 – 1984) vi arriva dopo la scoperta di Sonora, e da un popolo festante e vociante gli viene indicato il cielo come il portatore della luce e della musica.

Non è finita, nella seconda versione di due anni dopo, viene anche aggiunto il ritrovamento di una nave affondata… nella sabbia del deserto di Gobi in Mongolia.

Il piccolo Barry Guiler, ha dimostrato di non aver nessuna paura di quegli strani oggetti luminosi che volteggiano nel cielo, anzi, sembra quasi parlare con loro. In una sequenza che ricorda molto da vicino quella della Guerra dei Mondi in cui i due protagonisti sono asserragliati in una fattoria con le astronavi aliene tutte intorno, Barry viene rapito.

Intanto Neary si trova in uno stato di tensione sempre più crescente, non capisce cosa è quella strana forma che vede osservando la schiuma da barba sul palmo della mano o il purè di patate nel piatto, sa che quest’immagine ancora sfuocata rotea nella sua mente. Sua moglie Ronnie (Tery Garr) non riesce a capirlo, porta via i tre figli e si rifugia da sua sorella. Neary trova un’alleata in Jillian e insieme si dirigono verso il luogo dove lui, attraverso le sculture e lei attraverso i disegni, hanno visto quella strana montagna con la punta tronca.

Anche il ricercatore e il suo staff hanno ricevuto uno strano messaggio, con delle cifre, che si rivelano poi essere delle coordinate geografiche indicanti un posto preciso nello stato del Wyoming, proprio la famosa montagna. La zona viene isolata trovando la scusa di un treno che si è rovesciato con un carico mortale di gas nervino. Roy e Jillian non credono ai divieti ed entrano ugualmente nella zona proibita ma vengono presto scoperti da una pattuglia militare; divisi e poi portati in una base vicina. Roy è ora chiuso in una stanza e guardato a vista. Poi la porta si apre ed entrano Lacombe ed il suo traduttore David Lauglin (Bob Balaban) e si siedono dietro la scrivania di fronte a lui.

David: “Abbiamo pochissimo tempo, signor Neary. Questo è il signor Lacombe…

Lacombe: “Salve.

David: “Vogliamo da Lei delle risposte che siano oneste e pertinenti.

Roy: “Dov’è Jillian?

David: (traducendo Lacombe) “Si rende conto del pericolo che voi due avete corso? Venendo qui vi siete esposti all’azione del gas tossico…

Roy: “Beh, io sono vivo e stiamo… stiamo parlando no?!

David: (T.L.) “Questo è vero signor Neary, ma se i venti dominanti soffiassero dal Sud invece che dal Nord, questa conversazione non avrebbe luogo.

Roy: “Non c’è niente di nocivo nell’aria!

David: (T.L.) “Cosa glielo fa pensare?

Roy: “Io lo so! Non c’è niente di nocivo!

Lacombe: “Vada fuori! Mi accusi di mentire!

Roy: “Ehm… senta..  Voglio vedere chi è in comando qui.

David: “Qui il signor Lacombe è la più alta autorità.

Roy: “Non è nemmeno americano.

David: (T.L.) “Signor Neary, Lei è un’artista, un pittore?

Roy: “No.

David: (T.L.) “Le capita di sentire un suono persistente nell’orecchio, un suono piuttosto piacevole?

Roy: “No.

David: (T.L.) “Ha mali di testa, nevralgie?

Roy: “.”

David: (T.L.) “Irritazioni degli occhi e dei seni?

Roy: “Ehm… sì.

David: (T.L.) “Ha orticaria, ha delle allergie? Ha bruciature sulla faccia e sul corpo?

Roy: “Sì. Ma chi siete voialtri?

Lacombe: “Guardi questo.”

Lacombe gli porge un disegno della montagna, Roy lo degna appena di un’occhiata veloce e glielo restituisce.

Roy: “Sì. Ne ho uno identico nel soggiorno a casa mia. Ma chi siete, lo posso sapere?

I due confabulano brevemente poi lo studioso si rivolge direttamente a Roy:

Lacombe: “Signor Neary, La prego, un’ultima domanda…

Prosegue in francese e David traduce.

David: “Di recente Lei ha avuto un incontro ravvicinato? Un incontro ravvicinato con qualcosa di molto insolito?

Roy: “Chi siete, si può sapere?

I due gli mostrano delle fotografie di persone.

David: (T.L.) “Queste persone le sono sconosciute?

Roy: (prendendo la foto di Jillian) “Tranne questa.

David: (T.L.) “E vi siete sentiti tutti e due spinti a venire qui?

Roy: Sì. Diciamo che è così.

David: (T.L.) “Ma cosa vi aspettavate di trovare?

Roy: “Una risposta! Non è così assurdo, giusto?

I due riprendono a confabulare intensamente, Roy li interrompe:

Roy: “Ehi… Ehi… un secondo! Un secondo! Un secondo… tutto qui? È questo tutto quello che volevate chiedermi? Beh, io ho circa un migliaio di maledette domande da fare…

Questa frase non vi ricorda nulla? Allora era esattamente così: “Ci sono parecchie migliaia di domande che vorrei rivolgerle” ed era in Ultimatum alla Terra quando il professor Barnard (Sam Jaffe) parla con Klaatu (Michael Rennie). Non è un caso.

Roy: “…Capito? Io voglio parlare con chi comanda qui! Voglio presentare una protesta! Voi non avete nessun diritto di fare impazzire la gente! Cosa credete? Che io vada ad indagare su tutti gli articoli di cronaca che leggo, eh? Se si tratta solo di gas nervino, com’è che so tutto così in dettaglio? Io non sono mai stato qui prima. Com’è che so tante cose invece? Cosa diavolo sta succedendo qui? Chi diavolo siete, si può sapere?

È evidente che non si può sapere ma Lacombe comincia a intuire qualcosa e ne parla, sempre assieme a David al Maggiore Wild Bill (Warren Kemmerling, 1924 – 2005), comandante della base.

Wild Bill: “Avete portato dodici persone al campo di decontaminazione invece che al centro di evacuazione, dove dovrebbero essere. Vorrei sapere perché!

Lacombe: “Perché c’è un mistero da chiarire…

David: “Ci deve essere un motivo preciso… (T.L.) Queste persone sono venute tutte da posti diversi in un posto dove sapevano che avrebbero potuto rischiare la vita, perché?

Lacombe: “Perché?

Wild Bill: “Beh, perché… perché può darsi che qualcuno stia cercando di sabotare tutta questa operazione mandando fanatici, mitomani e chissà cos’altro…

David: (T.L.) “Si tratta di un piccolo gruppo di persone che hanno avuto la stessa visione, esattamente…

Lacombe: “Oui… Guardi… (Fa vedere al militare alcuni disegni della montagna fatti da mani diverse). È ancora un mistero, perché sono qui? Nemmeno loro sanno perché.

Intanto Roy e Jillian, assieme ad altre persone sono state caricate su un elicottero per essere riportate indietro. Tutti quanti indossano la maschera antigas ma Roy non è affatto convinto del pericolo e, con un gesto deciso, se la toglie e scopre di poter respirare liberamente. Frattanto dall’ufficio del Maggiore Wild Bill, Lacombe guarda fuori della finestra da dove vede benissimo l’elicottero e intanto continua a parlare con il militare tramite, ovviamente, la traduzione di David.

David: (T.L.) “Nemmeno io so cosa sta succedendo e devo assolutamente scoprirlo. Io credo che per ognuna di queste persone ansiose, angosciate che sono venute qui oggi ce ne siano centinaia di altre, anch’esse raggiunte da questa visione, che non ce l’hanno fatta a venire qui semplicemente perché non guardano la televisione o forse l’hanno guardata ma non sono arrivate al collegamento psichico.

Wild Bill: “É una coincidenza! Non c’è niente di scientifico.

Lacombe: “Dia retta a me Maggiore Wild Bill, questo è un evento tecnologico.

In tre riescono a uscire dall’elicottero tra cui, ovviamente, Roy e Jillian. Lacombe osserva, sorridendo, la scena dalla finestra.

I fuggitivi si dirigono di corsa verso la montagna, troppo tardivamente seguiti dai militari, il maggiore ordina un rastrellamento ma se non li trovassero, di irrorare la zona con del gas narcotizzante, lo stesso usato sugli animali che sono stati fatti passare come uccisi dal gas nervino.

Mentre il maggiore si allontana su una Jeep Lacombe mormora:

Lacombe: “Hanno diritto più di noi di stare qui.”

La marcia lungo la montagna è molto faticosa e, in prossimità della cima, il compagno dei due, attardatosi troppo, viene addormentato con il gas mentre Jillian e Roy, riescono a raggiungere la cima per trovare dall’altra parte una base attrezzata di tutto punto con al centro una specie di pista di atterraggio circondata da luci.

Comincia ora il finale pirotecnico ideato da Steven Spielberg.

Dopo aver assistito ai volteggi delle piccole navi ecco apparire nel cielo una gigantesca astronave che si avvicina al luogo dell’appuntamento e comincia a comunicare con i terrestri tramite vari tipi di note musicali. Poi lo sportello della nave spaziale si apre per far uscire i piloti scomparsi nel 1945 e altre persone ancora, in tempi e in epoche diverse rapiti dagli alieni. Tra essi Barry. Jillian lo vede e gli corre incontro mentre a bocca aperta Roy segue lo spettacolo. Quando la gigantesca astronave madre si riapre di nuovo appare un essere dalle lunghe braccia e gambe, le prime aperte in un cenno di saluto poi, dalla rampa di attracco, escono dei piccoli esseri.

Lacombe, intanto, ha contattato gli altri responsabili del progetto e propone di arruolare Roy tra i volontari già pronti per entrare nella astronave aliena, si avvicina all’elettrotecnico e gli mormora:

Lacombe: “Signor Neary, io la invidio…

E ha tutte le ragioni per farlo perché, fra tutti, gli alieni scelgono e vogliono solo Roy il quale si avvia all’interno della nave spaziale. Qui abbiamo le scene aggiunte nella riedizione dove si vede l’imponente interno della astronave-madre, un mondo vagante nello spazio pieno di vita.

Lacombe comunica a gesti con uno degli alieni muovendo le mani secondo il linguaggio dei muti inventato da Zoltan Koday e l’essere gli risponde.

La gigantesca astronave prende di nuovo la via del cielo con Roy a bordo.

Il Dr. J. Allen Hynek, nel suo libro L’Esperienza UFO, un’inchiesta scientifica, divide gli avvistamenti attestati di UFO in queste classificazioni:

Incontri ravvicinati del primo tipo: avvistamenti a distanza ravvicinata, generalmente nello spazio di poche centinaia di metri.

Incontri ravvicinati del secondo tipo: avvistamenti seguiti dalla scoperta di prove tangibili, quali segni d’atterraggio sul suolo, terra bruciacchiata e vegetazione distrutta.

Incontri Ravvicinati del terzo Tipo: gli avvistamenti più drammatici, in cui gli occupanti dell’UFO vengono visti e, in alcuni casi, viene stabilito un contatto fisico con loro.

Le prime testimonianze documentate dell’avvistamento di UFO in America – misteriose aeronavi che andavano al di là delle conoscenze scientifiche di quei tempi – avvennero in venti stati durante un periodo di sei mesi, tra la fine del 1896 e l’inizio del 1897. Da allora, eventi insoliti si sono verificati dovunque, nei cieli degli Stati Uniti, del Sud America, Francia, Inghilterra, Russia, India e Giappone; non è certo da escludere che tali fenomeni si siano verificati anche prima di quegli anni.

Col passare del tempo, in particolare grazie a migliaia di avvistamenti UFO avvenuti negli ultimi trent’anni, è andata crescendo e acquistando credibilità l’idea che esista vita intelligente nello spazio. Parallelamente alla convinzione, sono cresciute anche le polemiche. Le testimonianze di incontri ravvicinati hanno dato luogo a paura e curiosità, supposizioni e discussioni. Questo fenomeno è un fatto o pura fantasia? Le autorità governative hanno voluto mantenere segreto questo avvenimento? Esiste una forma di vita intelligente al di fuori del nostro universo che ci sta osservando in questo momento? Costituisce essa una terribile minaccia per l’umanità? Oppure apre fantastiche prospettive di vita futura oltre i confini della più folle immaginazione?

Sia per lo scettico che per il credente, Incontri Ravvicinati del Terzo Tipo presenta un efficace dramma umano che può avvincere a livello emotivo e allargare la mente. Chi può dire che non capiterà a noi, oggi o domani?

Il film è stato realizzato da un gruppo di persone dotate di talento ed esperienza, con al loro attivo un certo numero di successi, e tuttavia caratterizzate, per la maggior parte, dalla sorprendente giovinezza che avevano nel 1977.

Steven Spielberg, ha diretto il film basandosi su di una storia originale. È stato il suo primo grande film dopo Lo Squalo, campione d’incassi, per il quale ha vinto il premio come Regista dell’Anno assegnato dalla United Motion Picture Association e quello di Miglior Regista della Directors Guild of America. Oggi Spielberg occupa un posto di rilievo tra i registi di maggior successo, conosciuto e rispettato come un uomo dal molteplice talento creativo, energico e capace di realizzare imprese cinematografiche apparentemente impossibili. Nel 1973, era ancora alle prese col montaggio del suo primo film Sugarland Express, che più tardi ricevette ottime critiche. La nota giornalista Pauline Kael scrisse sul New Yorker: “Questo è il più fenomenale debutto nella regia nella storia del cinema.

Fino ad allora Spielberg aveva dimostrato il suo talento in campo televisivo, in particolare con la regia di Duel. Distribuito all’estero nei circuiti cinematografici, ottenne un grande successo di critica e di pubblico e si aggiudicò numerosi premi nel corso di festival europei. Mentre preparava Lo Squalo e montava Sugarland Express, Spielberg scrisse le prime venticinque pagine della sceneggiatura di Incontri Ravvicinati.

I produttori Julia Phillips e Michael Phillips hanno collaborato in passato alla realizzazione de La Stangata e di Taxi Driver e subito rimasero entusiasti dell’idea di Spielberg per il suo nuovo film: si presentava molto affascinante e significativa e inoltre non avrebbe mancato di interessare e avvincere larghi strati di pubblico.

Come milioni di altre persone in tutto il mondo, il regista era affascinato e stimolato dai fenomeni extraterrestri e dagli interrogativi da essi sollevati; spiega Julia Phillips: “Così come l’aveva abbozzata, era molto più di una storia di UFO e della determinazione delle autorità di tener segreta l’intera faccenda. So che Steven è convinto, e noi con lui, che lassù stia accadendo qualcosa e che dovremmo esserne informati. Ma ciò che ammiro di più in Steven è il fatto che fa film sulla gente, gente con la quale il pubblico può identificarsi. In questo film il protagonista è veramente un uomo qualsiasi.”.

La reazione dei Phillips a quest’idea fu istantanea: la portarono subito alla Columbia Pictures, dove incontrò il medesimo entusiasmo. Ormai preso dalla realizzazione de Lo Squalo, Spielberg dedicò le sue serate alla stesura della sceneggiatura finale. Il tema del film lo aveva sempre interessato. A 16 anni, mentre frequentava le scuole superiori a Phoenix, aveva girato un film a 8mm della durata di due ore e mezza, intitolato Firelight, su di un gruppo di scienziati che indagavano su strane luci apparse nel cielo.

Una volta terminato Lo Squalo, Spielberg rivolse tutta la sua attenzione a quello che sarebbe diventato un progetto ancora più ambizioso; trascorse altri mesi a rifinire la sceneggiatura, cui apportò ulteriori modifiche anche durante le riprese, secondo un metodo che gli è solito nella sua ricerca della perfezione.

In passato Julia Phillips, grazie alla coproduzione de La Stangata, divenne la maggiore produttrice donna di tutta Hollywood e fu la prima della categoria a vincere l’Oscar in questa veste. Nativa di New York, Julia ebbe modo di mettere in evidenza per la prima volta la sua intuizione nello scovare nuove e interessanti storie lavorando per le riviste McCall , The Macmillan Co. e il noto Ladies Home Journal, più tardi approdò alla Paramount Pictures come story editor; Julia, bella ragazza, dotata di uno spirito d’iniziativa veramente unico, non tardò a farsi notare dalle alte sfere della casa di produzione, si trasferì a Hollywood e cominciò la sua escalation dirigenziale. Michael Phillips al contrario, entrò nell’Ordine degli Avvocati subito dopo la laurea in giurisprudenza all’università di New York; ogni giorno presenziarono sul set di Incontri, spostandosi dal Wyoming all’Alabama, dall’India a Hollywood City, sono stati sempre impegnati, gomito a gomito con Steven Spielberg.

Douglas Trumbull, coordinatore degli effetti visivi, fu definito da Spielberg “il nuovo Walt Disney”. La magia che Trumbull portò sugli schermi cinematografici realizzando gli special effects fotografici di 2001: Odissea nello Spazio di Kubrik, raggiunse dimensioni mai tentate fino ad allora. Tuttavia, gli effetti da lui creati e supervisionati ora per Incontri Ravvicinati sono, come lui stesso ha detto, un’estensione del suo lavoro nel film di Kubrik.

Trumbull fu la prima persona cui Spielberg pensò per questo incarico; ma sapendo che aveva appena finito la regia di 2002: La Seconda Odissea, esitò. Dopo aver invano tentato di trovare un’altra persona qualificata per quel lavoro, il regista tornò a Trumbull e, una volta spiegatogli il progetto, questi fu entusiasta di potervici partecipare.

Il Dr. J. Allen Hynek, consulente tecnico del film, era considerato la maggiore autorità per quanto riguarda gli UFO; gli avvistamenti di oggetti volanti non identificati e ciò che essi possono significare, sono stati da una parte messi in ridicolo e dall’altra difesi a spada tratta. Disse il Dottor Hynek: “Qualunque cosa si pensi degli UFO – sia che si creda o no alla loro realtà fisica, qualunque cosa si possa teorizzare a proposito delle loro origini – un fatto ha predominato nell’ultimo quarto di secolo: gli UFO continuano ad essere avvistati in tutto il mondo da gente dei più diversi ranghi sociali. Il contenuto di queste testimonianze, continua ad affascinare, disorientare, estasiare ed attrarre la nostra immaginazione. Anche il più scettico degli individui non può fare a meno di avvertire l’elemento drammatico che vi è nel racconto ben documentato di un incontro ravvicinato con UFO cui abbiano assistito più persone”.

Ammise che, come scienziato (fu uno dei maggiori astronomi ed astrofisici del mondo), all’inizio non credeva. Il Dottor Hynek affermò che i suoi dubbi iniziali cominciarono a dissiparsi quando seppe che il fenomeno era globale e non limitato agli Stati Uniti. Il fatto che testimonianze provenienti da lontani paesi fossero quasi identiche a quelle americane, per quanto concerne i fatti descritti, e le fonti di tutto rispetto da cui venivano queste affermazioni (piloti di linea, operatori di radar, avvocati, ministri, medici e altri cittadini apparentemente attendibili) fecero sì che la sua convinzione crescesse. Spielberg fu entusiasta della collaborazione di un uomo che aveva dedicato la sua vita alla ricerca e aveva lavorato in settori a lui particolarmente vicini, di fatto Hynek fu consulente della Air Force americana nel progetto Blue Book (nome dato a una sezione governativa riguardante gli avvistamenti), fu direttore del Centro Lindheimer per la Ricerca Astronomica e fu presidente del Dipartimento di Astronomia, poi docente proprio di astronomia alla Northwestern University; e ancora fu co-direttore dello Smithsonian Astrophysical Observatory di Cambridge, nel Massachusetts; capo del programma per i satelliti artificiali appoggiato alla NASA e direttore dell’Osservatorio MacMillin dell’Ohio State University. Purtroppo il povero Dottor Hynek non poté godere appieno del successo del film: morì poco dopo la fine delle riprese.

Come abbiamo avuto modo di dire, nella sua gioventù, Steven Spielberg si è nutrito di fantascienza. È cresciuto adorando e amando quelli che oggi sono considerati spesso solo vecchi film e nelle sue pellicole, quando ne ha l’occasione, vuole onorarli citandoli o ispirandosi a loro. Abbiamo volutamente aperto le pagine che parlano di Incontri Ravvicinati con il dialogo finale di Destinazione… Terra di Jack Arnold perché incontri ne costituisce un’ideale seguito, tanto è vero che Spielberg aveva pensato di mettere tra le persone che appaiono nel finale del film (tra di esse Hynek) anche John Puttman e cioè Richard Carlson ma i problemi di salute dell’attore, purtroppo dedito all’alcolismo che lo porteranno poi alla morte nel 1977, hanno impedito la realizzazione del suo progetto. Anche l’inizio del film ambientato nel deserto di Sonora, con le raffiche continue di vento ricordano molto da vicino Them! e cioè Assalto alla Terra di Gordon Douglas quando i quattro protagonisti sono nel deserto a cercare le misteriose tracce delle creature che hanno distrutto una casa e una roulotte e ucciso tre persone. Anche in quelle scene il vento soffia crudelmente attorno a loro. Non vedranno una luce scendere dal cielo ma una gigantesca formica avventarsi sulla protagonista. Della scena del rapimento di Barry abbiamo già detto come abbiamo già parlato della frase pronunciata da Roy a Lacombe e a David.

All’epoca di realizzazione del film Spielberg, aveva solo 29 anni e una lunga carriera ancora davanti a lui, sia come regista, sia come produttore eppure fu costretto a subire le imposizioni della Columbia e costretto a immettere il film sul mercato senza aver avuto la possibilità di finirlo completamente, mancavano quello che lui stesso definì le rifiniture e soprattutto le scene all’interno della astronave-madre. Prima di diventare quindi produttore di sé stesso egli dovette fare buon viso a cattivo gioco ma riuscì egualmente a mettere le scene aggiunte due anni dopo. In realtà non si trattò solamente di aggiungere qualcosa ma anche di toglierlo. Manca tutta una buffa scena in cui Roy scardina lo steccato di metallo dove la sua curiosa vicina tiene le oche, per servirsene come base per il plastico della sua montagna, alcune scene del litigio sono state tolte e sostituite con altre e, soprattutto, la comunicazione ufficiale del Governo che gli avvistamenti erano dei palloni sonda o fenomeni meteorologici. Ufficialmente esistono diverse opinioni riguardo al montaggio finale del film: ci sono persone che affermano che molte scene sono state tagliate volutamente, altre che assicurano che questo è il montaggio originale, sta di fatto che è uscita una nuova versione del film. Il DVD è la fusione delle due versioni (la versione originale e la versione in uscita speciale Close Encounters of the Third Kind – The Collector’s Edition nella quale sono state inserite le scene tagliate) con l’omissione voluta della scena all’interno dell’astronave madre; la durata è di poco superiore alle altre, ed è la versione più lunga per il momento esistente. Secondo le veritiere affermazioni di Spielberg, la faccenda si svolse esattamente così: la Columbia, dopo aver speso fior di milioni per la realizzazione dell’astronave-madre, avrebbe voluto impressionare il pubblico (pagante) con degli effetti sbalorditivi; c’è anche da aggiungere che il film doveva uscire nel periodo natalizio, in quanto la stessa Columbia stava subendo una fase di ristrettezze economiche e non poteva certo permettersi di lasciare passare troppo tempo dall’uscita prevista del film (estate 1978) e il consuntivo di chiusura anno (i ragionieri potranno capire!!); per cui Spielberg fu costretto a montare il film in tutta fretta, lasciandolo incompleto. L’anno successivo il regista chiese, e ottenne, un ulteriore finanziamento di circa un milione e mezzo di dollari, per terminare la realizzazione del film secondo i suoi desideri; la Columbia accettò, imponendogli però di realizzare una scena favolosa dell’interno dell’astronave. Contrario alla cosa, poiché l’interno secondo Spielberg, doveva rimanere un mistero, il giovane regista accontentò la casa di produzione: e il risultato è quello che noi conosciamo come Incontri Ravvicinati – Special Edition.

Si narra che la CIA fosse interessata a sovvenzionare il film in attesa di un annuncio o di un evento importante che doveva accadere, poi la chiacchiera rientrò e non se ne seppe nulla è comunque notevole notare la somiglianza degli alieni macrocefali di Carlo Rambaldi con quello sezionato nella dichiarata autopsia di Roswell.

E, a proposito di Carlo Rambaldi, in una intervista egli dichiara molto chiaramente che non fu di Spielberg l’idea di rieditare il film ma che il materiale dell’interno dell’astronave era già pronto ma non inserito solo per mancanza di tempo. L’idea della riedizione fu della produttrice Julia Phillips, una scusa per far tornare la gente a rivedere il film e che la cosa diede molto fastidio al regista. D’altra parte la stessa creazione dell’extraterrestre fu un intervento che Rambaldi operò a film praticamente finito. Mancavano le scene dell’alieno e quello che gli effettisti gli avevano preparato non gli piaceva assolutamente. Poco prima che Carlo Rambaldi partisse per Roma, Spielberg, che aveva visto King Kong, lo interpellò affinché gli facesse una bozza della sua visione dell’extraterrestre; il risultato gli piacque e lo commissionò all’italiano che ne fece gli stampi nel nostro paese.

Quello che non è mai mancato a Spielberg è sicuramente la voglia di stupire, di certo con questo film ci è riuscito, a giudicare anche dagli effetti speciali!

Inizialmente c’era il massimo riserbo sulla trama, più e più volte la stessa fu smentita dai produttori; lo stesso dicasi per i possibili alieni: nessuno li aveva mai visti, quindi si pensava che la troupe di Spielberg creasse strani uomini verdi con lunghissime antenne, altri credevano che utilizzasse bambini vestiti di rosso fuoco, altri si immaginavano chissà cosa. Sta di fatto che fino al giorno della prima, tutti rimasero con il fiato sospeso, solo per vedere quello che il regista era riuscito a fare.

Cominciamo in primis con l’atmosfera: solo il personale autorizzato poteva accedere agli studi, nessuno di loro poteva raccontare ai propri familiari cosa stava succedendo sul set; i giornali potevano solo ipotizzare il tema del film e nessun giornalista era stato autorizzato a scrivere recensioni sul film o pubblicare notizie inesatte. D’altra parte, come potevano i giornalisti riportare notizie se non potevano avvicinarsi ai set?

Tutto doveva essere perfetto nei minimi particolari, niente doveva essere lasciato al caso, per esempio il personaggio di Richard Dreyfuss (Roy Neary) è un tipico americano di classe media con le sue manie e le sue psicosi, una vita comune, una famiglia comune, un lavoro comune, quindi non gli si potevano affibbiare modi e dialoghi spropositati, da intellettuale: doveva risultare semplicemente un uomo qualsiasi, così l’effetto distruttivo dell’incontro con il disco volante sarebbe stato maggiore. Anche i vestiti e le ambientazioni sono stati studiati in modo da rendere il personaggio credibile. Guardiamo ad esempio la casa di Neary, il colore giallognolo del soffitto e il verde-azzurro delle pareti rendono la sua casa un tantino squallida. Spielberg era convinto che quanto più credibile fosse il personaggio, tanto più il pubblico si sarebbe immedesimato in lui (detta in soldi sarebbe stato un successo). La scelta della musica come forma di comunicazione ha sicuramente dato il tocco finale, l’idea è venuta da Johnny Williams (compositore della colonna sonora del film): spiegò al regista che il metodo del solfeggio era spesso usato dai compositori mentre esprimevano, tra di loro, commenti musicali, adoperando dei numeri al posto delle note. Il compositore russo Scriabin stava già sperimentando questo tipo di sistema, quindi sfruttare questa nuova forma di comunicazione, applicandola agli alieni, sarebbe senz’altro risultata più efficace della solita telepatia. I toni utilizzati non hanno però un particolare significato, sono dei suoni piacevoli a sentirsi. Non è un jingle, e non è una rima, è solo una composizione di note che aspetta, che prega per una risposta. E anche l’interpretazione manuale delle note è stata volutamente inserita, per rendere maggiormente forte l’idea della musica. I segnali manuali, tra le altre cose, sono un metodo di traduzione di ogni nota nella scala pentatonica inventato da Kodaly. Le nostre cinque note usate (Re, Mi, Do, Do alto e Sol) sono suoni del passato che gli extraterrestri hanno adoperato per comunicare, ma questi ultimi hanno utilizzato le stesse note per mandare il segnale che il Radiotelescopio ha percepito, la traduzione da suono a impulso è facilmente spiegabile: i suoni sono stati convertiti dagli alieni in un vettore spaziale e, quando ricevuto sulla Terra, questo vettore è stato decodificato. Da qui i famosi numeri:

140 44 30     40 36 10.

Le riprese del deserto sono state in dubbio fino all’ultimo: doveva esserci una piccola tormenta al momento dell’arrivo della squadra di Lacombe-Truffaut, ma aspettare una vera tormenta in un vero deserto era alquanto sconveniente e costoso, Spielberg aveva bisogno di un luogo crudo, violento, talmente arido da far dimenticare all’uomo la natura della sua stessa esistenza; aveva pensato a un altipiano del Brasile, ma stanco di viaggiare per scegliere i set, si attestò sul Messico. La troupe girò le sequenze in una vasta area isolata nel nord della regione; era stata ricostruita una palizzata in legno all’interno della quale erano stati sistemati dei grandi ventilatori, a monte dei quali stava una “polveriera”, ovvero una macchina contenente un grande quantitativo di sabbia, rilasciata progressivamente. Inizialmente si era pensato al ritrovamento di un sottomarino militare nel deserto, ma l’idea degli aerei sembrava migliore e poi il sottomarino poteva benissimo essere usato per un eventuale sequel. Qualcosa di simile fu trovato nell’Indiana: un bellissimo modellino alto quasi due metri di una nave mercantile adagiata su di un fianco.

Passiamo un attimo alla scena in cui il piccolo Barry, Jillian e Neary assistono al passaggio di un qualcosa sulla strada: sono tante luci, rosse, giallastre e blu, ricordano i giocattoli di quando eravamo bambini; sono piccole luci, semplici, ma di grandissimo effetto ottico! Le lucette altro non erano che effetti speciali, costruiti nel laboratorio di Mobile, in Alabama. A questo proposito è bene chiarire che non tutte le lucette che si vedono nel film sono semplici effetti ottici, i dischi volanti che si vedono fluttuare vicino all’astronave, nella scena finale, sono dei graziosi modellini, soprannominati “Saucer D” (Disco D), costruiti in plastica con piccole lampadine montate sulla parte superiore. L’idea era quella di rendere i piccoli dischi assimilabili all’astronave madre, dovevano essere sempre ricondotti a lei, così bisognava studiare una forma molto simile: quella del disco era la forma più classica e sfruttata, ma poteva essere un’ottima partenza per l’elaborazione di un modellino completamente diverso. Si pensò poi a svilupparne la forma, facendolo assomigliare a una padella da cucina, con tanto di coperchio; la parte inferiore era composta da una fascia di finestre giallastre, dietro le quali si sistemarono due tubi al neon, guardandolo da lontano sembrava quasi che ridesse, prevedendo il successo. La parte superiore (il coperchio della pentola) fu completamente costellata da lampadine giallo-rosse, quasi a delineare degli occhi immaginari; tutti i modellini sono stati dipinti a mano, ponendo una grande attenzione ai minimi dettagli. Spielberg non aveva certo bisogno di creare dei modellini perfettamente colorati, dal momento che nel film non si sarebbero inquadrati per molto tempo, ma il SUO film sarebbe dovuto essere un capolavoro e niente andava lasciato al caso.

Ci sono voluti molti giorni per effettuare le riprese, considerando che si doveva applicare la tecnica delle sovraesposizioni multiple. Inoltre al momento del passaggio di Neary e delle auto della Polizia attraverso il confine dell’Ohio, si vedono chiaramente i modelli: sono delle strutture piramidali a testa in giù, con una specie di lampada d’emergenza in cima; per donare l’effetto di luce satinata eterea (glowing) era convenzione dell’équipe di Trumbull di riprendere le scene con i modellini illuminati con uno sfondo di nuvola d’olio vaporizzata. Come è noto l’olio è molto denso e non ha delle proprietà riflettenti come quelle dell’acqua, quindi vaporizzandolo non avrebbe generato un riflesso, anzi avrebbe attenuato l’effetto luminoso delle lampadine creando quella particolare atmosfera eterea.

Lo scenario del Crescendo Summit, ovvero quel frammento di strada in cui le auto della polizia inseguono le luci, è stato interamente riprodotto in miniatura, sembra quasi impossibile, data la minuziosa cura dei particolari. Ma alberi, pietre, cartelloni e cespuglietti sono stati incollati uno per uno, rigorosamente a mano! Naturalmente la strada era stata riprodotta anche sul set a dimensioni naturali.

Spielberg voleva che tutto il suo pubblico pensasse che gli UFO non erano un fenomeno prettamente americano, ma in tutto il mondo potevano esserci dischi volanti, in ogni zona della Terra potevano verificarsi strani fenomeni, quindi doveva essere presente nel film un qualcosa che dimostrasse che la realtà UFO andava ben oltre il solito comune pragmatismo, un luogo spirituale poteva benissimo esprimere questo concetto.

La scena dell’adorazione degli adepti è stata girata quindi a Bombay, in India; per una scena di pochi minuti sono stati impiegati due giorni di riprese e settimane di allestimenti: bisognava trovare un luogo suggestivo, all’aperto, abbastanza vasto da poter ospitare centinaia di persone: il villaggio di Hal, a circa un paio d’ore da Bombay, fu l’ideale. Furono ingaggiati gli abitanti del paesino, erano veramente entusiasti di poter partecipare alla realizzazione di un film, dovevano essere solo 500, vestiti di giallo, ma al momento delle riprese, erano oltre tremila! Il capo degli adoratori fu scelto a Bombay, era un cantante, o almeno così lui si definiva, ed era abbastanza intonato, sarebbe stato una fantastica guida per gli altri; ma la sua memoria non era certo quella di un ragazzino e, per cantare solo cinque note, ci vollero oltre otto ore: non riusciva a dire la giusta sequenza e tutti gli altri, con lui, cantavano la versione sbagliata. Dopo un pomeriggio perso a cercare di indirizzarli sulle note giuste, Spielberg si rassegnò e qualche mese più tardi corresse il problema doppiando tutte le voci in uno studio di Hollywood.

Oltre l’astronave, uno degli ambienti più suggestivi è la Devil’s Tower, monumento nazionale del Wyoming, situato proprio nel mezzo di una sterminata pianura arida. Piuttosto difficilina da raggiungere dal momento che in macchina, ci vogliono un paio d’ore. Durante il primo sopralluogo, la troupe trovò un panorama bellissimo: la montagna si ergeva maestosa nel cielo e le poche nuvole che la circondavano erano assai rarefatte, di un bellissimo bianco. Lo stesso non si poteva dire per i giorni successivi, non si potevano rimandare le riprese per troppi giorni e Spielberg impiegò dei fondali dipinti di piccole nuvole da inserire successivamente; il tutto venne filmato in dieci giorni esatti. Tornati in Alabama, per diverse settimane furono tutti impiegati nella realizzazione dei plastici delle abitazioni di Neary e della sperduta fattoria di Jillian e di suo figlio Barry, mentre Trumbull studiava il panorama per coglierne l’essenza.

La realizzazione della sua miniatura ha richiesto molte ore di duro lavoro, chili di colla e una straordinaria pazienza. Lo straordinario George “Greg” Jein impiegò molte ore nel ricostruire meticolosamente ogni singolo aspetto della sommità rocciosa, perfino gli anfratti più nascosti dovevano essere ricostruiti. Per un lavoro così complesso, la Devil’s Tower fu fotografata da ogni angolazione possibile, furono presi dei campioni di terra per creare un colore molto simile. Pure gli elicotteri che si vedono sorvolare la Devil’s Tower spargendo gas nervino non sono proprio quello che sembrano: uno di questi è un piccolo gioiello di plastica, per la precisione è un Phantom Huey, lungo meno di un metro con un motore molto piccolo inserito al suo interno.

La Mother Ship è senza dubbio la forma d’arte cinematografica meglio riuscita degli ultimi vent’anni, l’esterno è certamente affascinante, ma l’interno è qualcosa di mai visto. Si fa presto a dire modellino! Quello era un modellone, con tanto di particolari anche all’interno. Le telecamere erano posizionate a 360 gradi intorno all’astronave, in modo da poterla riprendere in ogni istante e in ogni suo movimento. Era costato così tanto alla Columbia produrre quei modelli che fu ingaggiato un intero staff di sicurezza, dotato di tesserini di riconoscimento con tanto di foto autenticata, altro personale, munito di regolare tessera, non poteva entrare: il lettore delle tessere riconosceva il solo formato di quelle in dotazione alla sicurezza. Certo, non si trattava solo della salvaguardia dei modelli e delle apparecchiature, c’era anche il timore che qualcuno si intrufolasse per fotografare i set; nonostante tutte queste precauzioni, un giorno sparì un intero set di telecamere: non c’era nessun evidente segno di effrazione, non mancava niente, solo le telecamere (Nikos e Pentaxes). Questo curioso episodio fu soprannominato Close Encounters of the Worst Kind (Incontri Ravvicinati del Peggior Tipo).

A dire la verità l’astronave si vede nelle ultime scene del film, ma gioca un ruolo veramente importante: molte sono le navi aliene che la televisione ci ha mostrato in questi anni, ma mai nessuna è riuscita a infondere un senso di mastodontica pace. Furono disegnati tre modelli di astronavi, tutti e tre diversi, ma solo l’ultimo modello fu quello più accreditato (e poi realizzato), data la sua versatile forma era facile far credere che fosse qualcosa di non terrestre: altamente rifinita e super illuminata. Quindi venne messa in atto la costruzione della miniatura, che richiese una lavorazione di oltre sei settimane a cui partecipò lo stesso Spielberg, intagliando i piccoli spazi della sezione esterna. Fondamentalmente la costruzione non è altro che una calotta di plexiglass attorniata da tubi di alluminio e neon per darle luce; altri neon e lampade furono applicati all’interno della calotta assieme a svariate fibre ottiche, in modo da far illuminare la nave dall’interno verso l’esterno. Sulla sua superficie sono stati applicati un mucchio di svariati oggetti di varie forme e dimensioni, per inventare un miglior impatto ottico, la maggior parte di questi oggetti era costituito da parti plastiche di modellini in scatola (quelli che compriamo comunemente nei negozi di modellismo), in particolare furono incollate le campanelle del “Calypso”, la nave di Jacques Cousteau, le ruote dei carri armati della Seconda Guerra Mondiale, i missili degli aerei giapponesi e così via. Pesava oltre 180 chilogrammi e ci vollero circa 160.000 volt di elettricità per illuminarla tutta!

L’astronave è costituita di tre sezioni differenti, montate una sopra l’altra: c’è la sezione inferiore, come un emisfero tondeggiante, la seziona mediana, costituita da un disco schiacciato, e la sezione superiore, rappresentante un puntaspilli stilizzato. Come status è un po’ grossolano, ma scendendo in particolari si potrà notare la particolare raffinatezza della stessa. Per cominciare, misuriamola: il suo diametro è di circa un metro e venti centimetri, per un’altezza complessiva di appena settanta centimetri, gli “spilloni” aggiunti hanno conferito altri trenta centimetri in altezza e sessanta in larghezza.

Per creare il magnifico effetto delle luci colorate sul fondo dell’astronave è stato necessario un lavoro d’équipe molto particolare: si poteva benissimo intagliare la sezione inferiore e inserire al suo interno un neon multicolore, ma la resa sarebbe stata scarsa e non avrebbe sortito l’originalità desiderata. Dennis Muren e Robert Swarthe per la Future General crearono una complessa e sofisticata maschera per la realizzazione: disegnarono sulla carta la bozza di quello che doveva essere il fondale, con migliaia di puntini di diverse forme; dovevano avere una grandezza media, non troppo grande, né troppo piccola. È un po’ difficile creare un puntino di giusta dimensione, dal momento che il puntino stesso era più piccolo di un segno di pennarello! Swarthe allora intagliò dodici sezioni triangolari (messe tutte in fila avrebbero costituito su carta il fondo dell’astronave) e su ognuna di esse disegnò molteplici puntolini; queste sezioni vennero poi riprese su di uno sfondo nero con diverse esposizioni (dalle due alle cinque!) in modo da smussarne i contorni, parallelamente una luce soffusa illuminava le sezioni da dietro, facendo in modo che il colore filtrato attraverso i puntini assumesse un tono chiaro, quasi magico. Una volta riprese tutte le sezioni, si è passati alla sovrapposizione delle immagini, si è cioè proiettata l’immagine dei puntolini illuminati sul fondo dell’astronave; l’effetto delle luci che sembrano diminuire ed aumentare d’intensità è dato dalle molteplici esposizioni cui sono state sottoposte le sezioni stesse. È stata davvero un’impresa lunga, dal momento che sono stati affittati altri cameramen per poter filmare le dodici sezioni di continuo: esse infatti dovevano essere filmate in successione, una dopo l’altra, in posizioni diverse.  Le animazioni delle luci sincronizzate ai suoni sono state aggiunte in seguito, in studio. Per quanto riguarda i pinnacoli posti all’estremità superiore dell’astronave (la stessa fu rovesciata per girare alcune scene) erano tubi in vetro e plastica incollati con un particolare collante a base di resina, in quanto il pannello sottostante era completamente in legno.

I tecnici l’avevano soprannominata “City of Lights” (Città della Luce) ed era effettivamente divisa a strati con nomi di quartieri di New York, si trovavano così (dalle torri in giù) Broadway, Manhattan, Bronx, Time Square, The El, Harlem e Dust Bin per finire; l’interno, come Greg Jein lo definì, era un vero nido di vermi, tanti erano i cavi che vi erano stipati! Curiosando sulle torri, si può notare che in cima ad alcune di loro vi sono degli oggetti particolari come un piccolo crocefisso, una moneta (di quelle dei giochi dei bimbi), addirittura un paio di soldatini; la nave aliena sarebbe stata fotografata e ripresa da una distanza considerevole e di certo questi piccoli oggetti non sarebbero mai apparsi… Come non si sarebbe mai sentito il rumore delle Tacos. Spieghiamo subito: lavorare pesantemente stanca, se poi il tempo è brutto è ancora peggio, sul set dell’astronave quella mattina c’erano Greg Jein, Peter Anderson e Dave Jones, annoiati, con il lavoro che andava per le lunghe, le sezioni di nave da assemblare… Ordinarono delle patatine Taco (quelle messicane, buonissime) e, per movimentare la cosa, cominciarono a darsi battaglia a colpi di patatine e, parecchie di queste, finirono dentro l’astronave: era impossibile tirarle fuori a causa dei cavi intrecciati all’interno e, per giorni, mentre si provava la rotazione della nave, si sentiva uno strano “crik crok”… Quelle patatine sono passate alla storia come le prime patatine intergalattiche!

Spielberg trasse l’idea della forma da una raffineria, per la verità all’inizio la forma immaginata dal regista era quella di un pezzo di torta piatto su di un lato, senza alcuna luce, ma durante un sopralluogo in India, di sera, passando davanti a una vecchia raffineria illuminata, Spielberg (è il caso di dire) s’illuminò! Ecco la perfezione! E per placare i commenti dei perfezionisti, il regista fornì una descrizione tecnica dell’astronave: ovvero, come poteva una nave spaziale di forma insolita (tra un disco volante e una raffineria ce ne passa…) entrare nell’atmosfera terrestre senza riportare alcun danno? La cosa era spiegata egregiamente: attorno alla nave esisteva un campo di gravità negativa che permetteva a tutti gli oggetti, a contatto con essa, di rimanere sospesi e imprigionati nel campo.

In tre mesi fu approntato un grandissimo set (chiamato il Big Set) per girare le scene dell’atterraggio della nave spaziale, doveva sembrare un hangar gigantesco, a sua volta modificato per ospitare un rendez-vous galattico. Sul soffitto del Big Set c’era un intricatissimo intreccio di fili elettrici e lampade, riflettori e lunghissimi tubi, il tutto per poter rendere l’effetto dell’atterraggio il più naturale possibile. L’effetto ottico delle sfumature delle luci dell’hangar è stato creato direttamente sul set, ingrassando i vetri delle luci con particolari gel densi e opachi che attutiscono il violento filtrare delle lampade.

Parallelamente, intorno al set fu montata una grande impalcatura, per sorreggere un’unità mobile di ripresa: questa sarebbe servita per filmare lo stupore della gente della base all’avvistamento dell’astronave. L’impalcatura è stata abilmente collocata ai tre lati della base, incastonata a sua volta ai piedi della Devil’s Tower, location altamente azzeccata per nascondere enormi piantoni di metallo, considerata la sua vastità: quasi 800 piedi. Certo, anche lì i problemi non mancarono: era piena estate, faceva molto caldo e c’era un altissimo tasso di umidità; lavorare di giorno per montare le apparecchiature non era certo molto gradevole, ma la frescura della sera e la convinzione di ottenere un risultato più che ottimo rincuorava tutti.

La parte dei boccaporti della nave spaziale, quella da dove escono gli alieni, fu costruita a terra, nel villaggio di Mobile, in Alabama: fu prodotta in scala, a grandezza naturale, per dare modo agli attori di potersi muovere liberamente.

Gli extraterrestri non sono deformi creature, sono umanoidi, dotati di un’intelligenza più evoluta della nostra, appaiono ben disposti verso i terrestri e sono probabilmente qui per aiutare la razza umana a progredire, a superare le idiosincrasie, le guerre e i problemi di sottosviluppo.

Non dovevano sembrare entità invertebrate, brutte da vedere, dovevano rappresentare qualcosa di buono, se vogliamo. Oltre i classici alieni, Spielberg sentiva il bisogno di integrare un alieno particolare, diverso dagli altri, e l’unico modo per realizzarlo era quello di utilizzare un pupazzo animato con lunghissime e sottilissime braccia. Era stato contattato Jim Henson, il creatore dei favolosi Muppets, ma nessuno del suo staff era interessato alla cosa; fu così che arrivo Bob Baker, con mille e una idea da realizzare: la prima realizzata fu quella utilizzata. Seguendo le indicazioni di Douglas Trumbull, l’alieno doveva assomigliare a un embrione stilizzato, con lunghissimi arti, trasparente, in modo da poter osservare al suo interno il sangue che scorreva nelle vene e il cuore che pulsava, si dovevano vedere i sottilissimi muscoli che si contraevano a ogni piccolo gesto. L’alieno di Baker era proprio così: costituito da un esoscheletro simile al nostro, con una cassa toracica alta e ridotta entro la quale si intravedono degli organi e gli arti, lunghi e sottili, erano ricoperti così come il lungo collo e la faccia, di una pellicola trasparente.

Bob Baker ne face sorgere tre, tre prototipi e la cosa che lo entusiasmò di più fu che nessuno poteva indossarli. Nessuno. Quindi ci si poteva sbizzarrire con gli effetti digitalizzati, con i radiocomandi, ma per utilizzarli si doveva tralasciare l’idea della trasparenza, in quanto tutte le apparecchiature avrebbero imbruttito il modello. Baker non trovava alcuna scappatoia e Spielberg contattò Carlo Rambaldi che progettò l’alieno poi utilizzato: l’umanoide era alto, con le solite braccia e gambe lunghe, con una testa grande, che ricorda vagamente la testa del piccolo E.T., Rambaldi pensò bene di progettare il suo alieno in modo da farlo realmente extraterrestre. Chiunque affronti un viaggio così lungo e si presenti a un’altra razza comunicando con sistemi mille volte più avanzati, doveva anche avere un aspetto particolare: comunicando telepaticamente o quantomeno influenzando altre forme di vita con il pensiero, gli alieni dovevano per forza avere un’intelligenza incredibile, quindi la materia grigia era maggiore e anche le dimensioni del cranio dovevano esserlo; in più il loro aspetto fisico era giustificato dal fatto che avevano imparato a nutrirsi in maniera differente, probabilmente assimilavano il cibo in modo diverso e il loro senso dell’udito e dell’olfatto era talmente sviluppato che padiglioni auricolari e narici erano ridotti ai minimi termini. Era esattamente quello che serviva, quindi Rambaldi cominciò subito il suo lavoro: scolpì la forma dell’alieno in creta e ne ricavò due stampi, il primo stampo venne ricoperto di una speciale pellicola di poliuretano, che diede un aspetto molto realistico alla pelle, favorendone il cambiamento di colore a seconda della pressione applicatagli. Lo stampo con la pelle venne poi fissato sopra un’armatura di alluminio, cui vennero fissate moltitudini di cavi e di fibre ottiche, in modo da poterlo comandare a distanza. La prerogativa di Rambaldi fu quella di utilizzare un sistema meccanico al posto di uno elettronico, in modo che tutti i movimenti potessero essere guidati tramite lo spostamento di diverse leve, collegate al corpo tramite dei cavi di alimentazione che uscivano dai piedi della creatura. Naturalmente una persona non bastava a manovrare tutte le leve simultaneamente, quindi ne furono impiegate ben otto; le prove di sincrono andarono avanti per oltre una settimana prima di riuscire a coordinare perfettamente tutti i movimenti.

Per evitare qualsiasi tipo di disturbo da parte esterna, la ripresa dell’alieno (nella scena finale), è stata supportata con l’aiuto di fumogeni, pompati dietro la creatura grazie a un sistema idraulico, l’alieno comunque doveva mantenere la sua integrità come forma pacifica e il sapiente gioco di luci ne accrebbe la credibilità.

Tom Burman, del Burman’s Studio, sviluppò alcuni schizzi di alieni da usare come maschere per gli altri alieni del film: avevano una testa tonda e molto grande, sproporzionata rispetto al corpo, con lunghe dita; una volta focalizzato il concetto, bisognava metterla in atto. Si costruirono vari modelli in cera, in modo da vestire tutte le taglie dei bambini-comparse-aliene; poi venne costruita la sagoma in plastica, indi lucidata con del poliuretano e, infine, dipinta. Tutte le maschere create da Burman erano inizialmente sprovviste di bocche, ma data la scarsità di ossigeno presente all’interno della maschera, si decise che era meglio intagliare un’apertura (una bocca) per far respirare i bambini; inoltre alcune maschere erano state appositamente disegnate per ospitare al loro interno un meccanismo capace di far muovere gli occhi in alto e in basso, naturalmente queste maschere, dato il loro maggiore peso, erano indossabili solo da dei maschietti (reclutati sul posto), evitando accuratamente di riprenderli per intero. I movimenti, che dovevano sembrare estremamente naturali, venivano comandati tramite un radiocontrollo simile a quello degli aeroplani; non era certo facile articolare lo sguardo, ma dopo molte prove si arrivò a un risultato soddisfacente.

Si credeva che le ragazzine avessero una minore resistenza fisica rispetto ai maschietti, ma esse smentirono in pieno, dimostrandosi molto più energiche e vitali, mantenendo sempre un elevato tenore, nonostante la miseria che veniva loro retribuita (circa 25 dollari al giorno per otto giorni di lavorazione).

Tuttavia Spielberg, a lavoro ultimato, non fu soddisfatto delle maschere create da Burman, erano volgari, grezze e molto ostili nell’aspetto; Julia Phillips minacciò Burman di denunciarlo, chiedendogli venti milioni di dollari di danni per il ritardo nella realizzazione del film, ma Burman non si arrese, si mise nuovamente al lavoro, ingentilendo quelle maschere inanimate e ridisegnando quelle animate; fu un vero e proprio lavoraccio, senza contare la corsa contro il tempo, ma finalmente, dopo mille cambiamenti, il prodotto finale era pronto!

I movimenti delle mani costituirono uno dei problemi più grandi, non era possibile coordinare i movimenti di tutte le dita simultaneamente, nemmeno i più bravi animatori riuscirono nell’impresa, finché giunse Show Craft: creò una mano prensile, capace di contrarre le dita, afferrare oggetti e piegarsi su se stessa, grazie all’utilizzo di microcircuiti inseriti al suo interno, naturalmente l’articolazione dei movimenti sarebbe stata lunga, bisognava provare e riprovare i movimenti per rendere il gesto lineare e fluido. Il costo proibitivo (seimila dollari al paio) però fece desistere tutti dall’acquisto. Tutto aveva un limite!

Finalmente la grande idea arrivò: il metil-metacrilato, sostanza usata in odontoiatria, era l’ideale: quando si secca, diviene arida, porosa e l’effetto era strabiliante. Subito venne creata una mano di gomma con lunghissime dita, completamente impregnata di questa sostanza; ma ancora una volta la soluzione non andava bene, la finta mano, dovendo essere infilata, non permetteva una grande motilità delle dita e comunque vestiva troppo larga. L’unica possibilità rimasta era quella di un guanto in gomma: un guanto interamente realizzato in gomma che aderiva perfettamente alla mano, permettendo qualsiasi movimento di oscillazione, ma per il resto, completamente inanimata. Le dita furono ridisegnate, mettendo in evidenza le loro estremità.

I colori utilizzati per le maschere dovevano essere identici a quelli utilizzati per i costumi, in modo che in prospettiva, non si potesse capire se gli alieni erano nudi oppure vestiti, per questo ci vollero quasi quattro mesi per scegliere il costume adatto; alla fine si scelsero delle tute stretch. Spielberg pensò inoltre che gli alieni dovevano essere asessuati, non bisognava mostrare alcun segno di distinzione, dovevano assomigliarsi tutti e fu fatta una vasta selezione tra oltre cento bambine per soddisfare le aspettative del regista.

Gli effetti ottici, sviluppati da Trumbull, rimarranno nella storia della cinematografia per l’originalità e la complessa semplicità con la quale sono stati prodotti e sviluppati. Applicando varie tecniche di ripresa (e creandone di nuovi) la troupe di Trumbull diede vita al più fantasmagorico spettacolo di luci fino a quel momento. Cercheremo di darvi conto di alcune delle tecniche ottiche maggiormente utilizzate nella realizzazione di Incontri, cercando di semplificare al massimo le spiegazioni, evitando i termini tecnici più complessi.

Il “Matte” (o matta) è una maschera ottica usata per evitare che l’oggetto ripreso appaia troppo trasparente (troppo nitido in questo caso specifico) rispetto allo sfondo, questa tecnica, ovviamente molto costosa al giorno d’oggi è stata rimpiazzata dal computer e dalle sue innumerevoli applicazioni. Fu utilizzata per tutte le riprese dell’astronave assieme alla tecnica della doppia esposizione: il negativo viene esposto più volte alla luce, di volta in volta tornando indietro con la pellicola, in modo da sensibilizzare la pellicola stessa con altre differenti immagini. Poniamo l’esempio di voler effettuare una ripresa che contenga un albero, un deserto e un coniglio (strampalato abbinamento, ma serve per rendere l’idea!): bene, riprenderemo ognuno di questi soggetti singolarmente, usando per ciascuno di loro una diversa matta, che ne escluda i contorni, lasciando nitida l’immagine principale. A questo punto le varie immagini (fotogrammi) verranno inserite in un apposito supporto (Matte Box) e stampate su di una nuova pellicola, il risultato sarà quello di un coniglio vicino a un albero con un deserto sullo sfondo. Se adesso riportiamo l’effetto appena descritto all’astronave, al cielo e alla Devil’s Tower ecco che il gioco si semplifica! Attenzione, non è certo un gioco da ragazzi, ma per quelli di voi che si interessano di fotografia la tecnica risulterà molto più familiare. Altra tecnica è la “Front Projection” (la si vede quando Neary e Jillian assistono all’arrivo dei dischi volanti per la prima volta), anch’essa soppiantata dalla computer grafica, dove un oggetto posto in primo piano viene ripreso contemporaneamente a uno sfondo in movimento e per movimento si intende uno sfondo sul quale scorre un filmato, allo scopo di sincronizzarne i movimenti. Altro esempio: vogliamo utilizzare la front projection per riprendere un coniglietto che osserva il veloce tramonto; si riprende un tramonto dal vivo, partendo dal tardo pomeriggio, fino ad arrivare alla quasi oscurità e si proietta il filmato sullo sfondo, magari accelerandone il ritmo, e in primo piano mettiamo un coniglietto che segue con la testa lo scomparire del sole. Il risultato è quello di un coniglietto che osserva stupito il veloce volgere del sole. Applicando di nuovo la tecnica al film, osserviamo che Neary e Jillian (oggetti in primo piano) volgono velocemente il loro sguardo agli oggetti luminosi (sfondo già ripreso) seguendone la traccia.

La scena delle nuvole che svelano l’astronave è stata sviluppata per oltre un anno, in modo da farla sembrare la più realistica possibile e dobbiamo dire che Trumbull ci riuscì egregiamente sviluppando una nuova tecnica; non si potevano certo utilizzare animazioni a cartoon e nemmeno dipingere singolarmente tutti i fotogrammi, così Trumbull pensò di avvalersi di una soluzione quanto mai innovativa utilizzando un particolare componente chimico liquido da far scivolare dentro una grande vasca di vetro, simile a un grosso acquario. Bob Shepherd e Scott Squires, addetti agli effetti, ricercarono il componente chimico, doveva sembrare crema densa, non troppo liquido, estremamente malleabile, non tossico, estremamente economico, disponibile in grandi quantità e soprattutto doveva essere facile da utilizzare: l’unico componente così a buon mercato era l’acqua! Shepherd e Squires studiarono la migliore combinazione possibile, riuscendo in breve a ottenere un ottimo effetto ottico. Sul fondo della vasca era sistemata dell’acqua salata, mentre sopra fu fatta scivolare dell’acqua molto fresca; una volta fatta acclimatare l’acqua fredda, venne versata una polvere di tempera biancastra attraverso una valvola che provvedeva poi all’autoriempimento della vasca stessa; non era certo facile creare questi due strati di acqua: la vasca aveva una capienza di sei metri cubi e mezzo e la giusta dose di ogni tipo di acqua era fondamentale per la buona riuscita dell’effetto. Il sale utilizzato era di tipo comunissimo, lasciato filtrare per oltre un giorno al fine di eliminare ogni possibile impurità, qualsiasi tipo di inquinamento sarebbe stato visibile e avrebbe impedito la buona riuscita dell’operazione nuvola; una volta completato il mix di acqua e sale sul fondo, una lastra di sottilissima plastica trasparente è stata fatta galleggiare sopra il primo strato, consentendo l’inserimento dell’acqua fredda, in modo da evitare che il repentino mescolamento causasse danni. La lastra di plastica fu poi fatta scivolare via velocemente, permettendo all’acqua fredda di mischiarsi con quella salata, consentendo alle fastidiose bollicine di soffocare; inoltre un particolare sistema di illuminazione permise una equa disposizione della luce. Il sistema di propulsione idraulica utilizzata per spingere la polvere di tempera dentro la vasca era stato appena messo a punto, era costituito da un piccolo braccio meccanico immerso nel liquido, alla sua estremità stava un tubicino sottilissimo in materiale plastico dotato di una valvola anti ritorno (non permetteva al liquido o alla polvere di tornare indietro e bloccare il passaggio) in modo da favorire l’espulsione della polvere progressivamente, naturalmente il tutto era comandato a distanza da un operatore.

Si potevano generare nuvole in ogni angolo della vasca, in tre dimensioni, della grandezza e della consistenza desiderata: i tecnici sperimentarono il sistema variando spesso la temperatura dell’acqua, in questo modo si potevano ottenere diversi tipi di nuvole, adattandole alla situazione richiesta; furono provati anche altri componenti, ma senza successo: alcune componenti colorate si scioglievano a contatto con l’acqua salata, altri si adagiavano troppo velocemente sul fondo, altri ancora creavano l’effetto olio, ovvero galleggiavano sulla superficie. Trumbull era quindi sicuro che la soluzione a base di acqua, sale e polvere di tempera era la migliore.

Talvolta Squires e alcuni tecnici della sua unità dovevano rimpinguare la nuvola con piccole iniezioni di liquido: si aggiravano intorno alla vasca con una specie di siringone da animali, pieno di polvere di tempera, pronti a iniettare la soluzione nei punti in cui la nuvola stessa difettava di volume; la fatica maggiore, finite le riprese giornaliere, era quella di svuotare la vasca, pulirla perfettamente in ogni angolo, risciacquarla e ricominciare tutto da capo, ponendo molteplici attenzioni al riempimento, al dosaggio dei componenti. Alla fine delle riprese il lavoro era straordinario, veramente perfetto!

Fotografato in ogni sua mossa il liquido assunse la forma di una nuvola dopo innumerevoli ritocchi fatti direttamente sul fotogramma.

Spielberg non era mai contento, cambiava idea ogni cinque minuti, doveva trovare qualcosa di veramente speciale per il suo film. Cosa farebbe un alieno vedendo un umano? Lo toccherebbe? Sarebbe curioso! Anche noi lo saremmo! Chilometri di pellicola, poi mai montata, furono girati secondo le idee di Spielberg: un alieno si avvicina a Truffaut, lo scruta, lo tocca, un altro alieno si avvicina al Dr. Hynek, lo tocca, gli sfila la pipa dalla bocca, la osserva. Gli occhi degli esseri si muovono, scrutano tutto l’ambiente che li circonda. E come poteva essere il punto di vista? Ecco che Spielberg tenta di darcene un’idea: apre una lattina di Pepsi, la spruzza sui presenti, poi inforca la telecamera, ruota tutt’intorno al capannello di tecnici, avvicinandosi ed allontanandosi velocemente. Niente di tutto questo fu inserito.

Bisogna dire che Burman non ebbe alcun riconoscimento né da Spielberg, né dalla Columbia, infatti il suo nome non compare nei titoli e la Columbia stessa rilasciò al Burman’s Studio un documento attestante che Burman e la sua troupe non aveva partecipato alla realizzazione del film. A molti è sembrato ingiusto, alla Columbia è sembrato giustificato dal momento che le maschere di Burman erano state rielaborate più e più volte, differenziandosi troppo dal progetto originale.

(1 – continua)

Giovanni Mongini