FANTASCIENZA STORY 50

ADDIO A JACK ARNOLD (1958) – PARTE 07

APPENDICE: RICORDANDO JACK ARNOLD

Nel cinema di fantascienza come poi, a dire la verità, in ogni genere cinematografico, esistono e sono esistiti degli “specialisti”. Attori, registi, tecnici che hanno dedicato la loro vita o una buona parte di essa, per passione o per necessità al cinema di SF. Uno di questi, forse il più famoso di tutti, almeno per quelli che hanno una conoscenza più completa del genere, è stato Jack Arnold, regista, attore, soggettista e sceneggiatore tra i più completi che ci ha dato il cinema di fantascienza. Soprattutto nel periodo tra il 1953 e il 1959 ha diretto una serie di pellicole riconosciute ancora oggi tra le migliori del genere e che hanno ispirato registi come Steven Spielberg, Joe Dante, James Cameron e John Carpenter, solo per citare alcuni nomi.

Jack Arnold nacque il 14 ottobre del 1916 a New Haven, nel Connecticut; ha iniziato la sua carriera come attore e ballerino nel 1937 con il film China Passage che da noi risulta inedito, poi, sempre come attore, ha recitato in pellicole come The Day the Bookies Wept, altro inedito del 1939, e poi in Framed, del 1940. Quindi altre parti in Enemy Agent (1941) e Junior G – Men of the Air (1942). Fu durante la guerra che Jack Arnold iniziò la sua carriera di regista girando dei documentari per l’esercito assieme a un regista già affermato anche come sceneggiatore: Robert J. Flaherty (Tabù - L’uomo di Aran e La Danza degli Elefanti).

Al termine della guerra Arnold continuò a girare dei documentari e, grazie a uno di questi, arrivò a due passi dal premio Oscar. Questo fu sufficiente alla Universal per metterlo sotto contratto e per fargli girare il suo primo, vero film: With These Hands (1950) anche questo inedito nel nostro paese.

Nel 1953 Jack Arnold girò ben tre film: Glass Web (Delitto alla televisione) con Edward G. Robinson, gli inediti Girl in the Night, conosciuto anche come Life after Dark e, soprattutto, It Came from Outer Space (Destinazione… Terra). L’ingresso del cinema di fantascienza di Jack Arnold fu quanto mai anomalo. Il produttore William Alland (1916 – 1997) cercava un regista che fosse adatto a girare un film di fantascienza, questo perché, secondo i dati che aveva a disposizione, la fantascienza poteva essere un genere che tirava e cioè portava incassi. Per la produzione non vi era molta differenza tra il giallo e la fantascienza, un genere poco considerato e sconosciuto, per cui la Universal mise a disposizione di William Alland, Jack Arnold il quale si dichiarò da subito un esperto del genere pur non avendone una profonda conoscenza. Poteva comunque dirlo tranquillamente perché in un mondo di ciechi un miope viene considerato un re. E comunque fu questo l’inizio di una proficua collaborazione con Alland che portò al cinema di fantascienza delle pellicole estremamente dignitose che solo in tempi più recenti sono state considerate dei capolavori nel loro genere. Destinazione… Terra è tratto da un romanzo di Ray Bradbury e risente, in parte, del crepuscolare pessimismo dell’autore sulla natura umana sempre pronta a combattere ciò che non conosce e a distruggere ciò che gli sembra ostile. Ciò che sembra una meteora cade nei pressi di un piccolo paese, Sand Rock, nell’Arizona. Si tratta in realtà di una nave aliena giunta sul nostro pianeta per un errore di rotta e un guasto al sistema di guida. Orribili nell’aspetto, gli alieni prendono le fattezze dei terrestri per poter girare in mezzo agli umani allo scopo di poter reperire il materiale che a loro serve per riparare la nave spaziale. Accortosi della minaccia solo uno dei terrestri, un divulgatore scientifico dalla mentalità aperta, John Puttman (Richard Carlson), cerca di contattare pacificamente gli extraterrestri. Quando gli umani vogliono combattere e distruggere ciò che non conoscono, è ancora una volta Puttman che entra in contatto con gli alieni e ferma l’avanzata dei suoi simili per permettere agli spaziali di ripartire per la loro vera destinazione. L’uomo non è ancora pronto per incontrarli da amici, torneranno quando saremo pronti. Alla proiezione di questo film che entusiasmò molti appassionati c’era anche un giovane ragazzo ebreo che cominciò a sognare altri mondi, altri pianeti, altre storie e al modo di poterle rappresentare e giurò a se stesso che da grande avrebbe fatto il regista: si chiamava e ancora si chiama Steven Spielberg. Parecchi anni dopo egli creerà un ideale seguito di questo film. L’uomo è ora pronto per incontrare esseri di altri mondi e la dimostrazione ci viene data in Incontri ravvicinati del Terzo Tipo quando, dalla gigantesca astronave madre, e per primo, esce un essere dalle lunghe braccia simile a un ragno e nessuno dei terrestri arretra, tutti hanno la curiosità di conoscere, di sapere.

Ma il film di Jack Arnold, probabilmente uno dei più ispirati, è girato con una tecnica sicura e felice sfruttando un sistema di visione che era di moda in quel momento negli Stati Uniti e che in Italia non ebbe mai un grosso riscontro: il 3D. Con l’uso di occhiali speciali lo spettatore visiona la pellicola che non appare più piatta e senza profondità di campo, al contrario, gli oggetti che vanno verso lo schermo sembrano fuoriuscire dallo stesso e andare verso lo spettatore. Nel caso del film di Arnold vediamo delle rocce che sembrano cadere verso lo spettatore o le pale di un elicottero che tagliano la sala ma, soprattutto, la visione delle cose così come le vede l’alieno girate in una soggettiva quanto mai suggestiva.

Il film fu un successo che crebbe nel tempo e presentò, in modo abbastanza anomalo, un alieno buono, animato da intenzioni pacifiche, il che all’epoca, tranne l’ottimo Ultimatum alla Terra (The Day the Earth Stood Still) di Robert Wise, non era previsto. Spesso il cinema di fantascienza è stato accostato, sotto molti aspetti, al genere western e, almeno in questo caso, la similitudine è azzeccata, sarebbe stato come presentare un film dove c’erano gli indiani buoni e pacifici il che spesso corrispondeva alla verità storica dove non erano certamente loro gli invasori, ma i bianchi, ma guai a dirlo all’epoca tranne il rarissimo esempio offerto dal film di Robert Aldrich, L’ultimo Apache (Apache) del 1954. La carriera di Jack Arnold proseguì in modo felice e, soprattutto, per i produttori, in modo positivamente commerciale. Nel 1954 Arnold è costretto a intervenire per risistemare in maniera acconcia il film Cittadino dello spazio (This Island Earth), uscito sugli schermi di tutto il mondo con la firma alla regia di Joseph Newmann. Una produzione a colori sempre di William Alland. La pellicola, piatta e smorta nella prima parte, viene vivificata nella seconda da un ritmo e da un delirio di effetti speciali rimontati e rifatti da Arnold stesso che consacra, grazie alla sua opera anche questo film nel novero dei cult.

Un gruppo di alieni sta utilizzando degli scienziati affinché costruiscano delle armi per poter porre fine alla guerra che devasta il loro lontano pianeta, Metaluna. Quando il mondo sta per soccombere sotto l’attacco delle meteore infuocate degli alieni avversari, il comandante della base terrestre Exeter (Jeff Morrow 1907 – 1993) porta due degli scienziati sul loro pianeta. Ma ormai è troppo tardi, i proiettili radioattivi distruggono Metaluna trasformandola in un sole radioattivo. Exeter riporta sulla Terra i due scienziati poi il suo disco, con lui morente, s’inabissa nell’oceano. Ancora una volta, anche se non totalmente, ci troviamo davanti a degli alieni forse più umani dei terrestri stessi, meno superbi, meno presuntuosi e, soprattutto, più umani. Sempre nel 1954 Jack Arnold realizza Il mostro della Laguna Nera (Creature from the Black Lagoon), ancora con Richard Carlson nel ruolo del protagonista che dà la caccia a una misteriosa e preistorica creatura metà uomo e metà pesce proveniente da un passato remotissimo il cui unico superstite si trova negli anfratti lagunosi più profondi dell’Amazzonia.

Il mito della bella e della bestia torna prepotente in questo film emulando quello che fu presentato nel 1933 da Ernest B. Schoedsack con King Kong e La Bella e la Bestia (La Belle e la Bete) del 1946 di Jean Cocteau. La regia di Arnold è tutta a favore del mostro, della sua rabbia, del suo dolore, dei suoi desideri e anche della sua ferocia contro gli stranieri che hanno invaso il suo mondo per dargli la caccia. Il suo istinto lo spinge a riprodurre la specie rapendo la protagonista e solo l’intervento degli umani superstiti impediscono che l’amplesso avvenga. L’amore di Jack Arnold per la sua creatura è dato dal fatto che lascia un interrogativo sulla sua sorte, cosa che giocherà molto a favore del produttore Alland che imporrà ad Arnold un seguito del film intitolato La Vendetta del Mostro (Revenge of Creature) del 1955.

Prima di questo però Arnold affronta un altro tema caro al cinema di fantascienza di tutte le epoche: i mostri giganteschi per provenienza preistorica o ingigantiti da esperimenti. Nasce così, da un suo soggetto, Tarantola (Tarantula) del 1955. Anche in questo caso l’approccio di Arnold al genere è diverso, costruito su una storia che al di là dell’apparente banalità ci mostra sì un gigantesco aracnide ma proveniente dagli esperimenti di uno scienziato che cercava il modo di prevenire la fame nel mondo. Arnold scivola anche nell’orrore in questo film in quanto l’invenzione dello scienziato, il siero radioattivo che permette a topi e a cavie e quindi a una Tarantola, di diventare gigantesca, inoculato su un essere umano, gli provoca sintomi assai simili a quelli di una malattia rarissima ma realmente esistente: l’Acromegalia, una malattia della ghiandola pituitaria che provoca l’ingrossamento delle mani e dei piedi ma che, in questo caso, provoca disfunzioni orribili in tutto il corpo come accade ai due assistenti dello scienziato l’ultimo dei quali, prima di morire e per vendicarsi, inietta lo stesso siero nel corpo dello studioso svenuto.

A questo punto assistiamo a due storie parallele. Da una parte alle incursioni dapprima occulte e misteriose della tarantola e al lento progredire degli stadi della malattia nello scienziato (Leo G. Carroll). Alcune scene sono entrate nella storia del cinema di fantascienza. L’assistente dello scienziato che passa più volte davanti alla finestra senza accorgersi che dietro la stessa la osservano i giganteschi occhi del mostro e l’incursione dello stesso in un recinto di cavalli. Una sequenza silenziosa e montata in fasi alterne dove si vede nello sfondo nero della notte il mostro, immobile, mentre i cavalli si agitano sempre di più. Poi la creatura si muove verso il recinto e la scena sfuma. Ancora una volta Arnold fa uso della soggettiva nel farci vedere il mostro che si china verso le sue vittime umane che urlano vedendo l’orrore nero che scende verso di loro.

Come abbiamo detto, praticamente Arnold viene costretto, per ragioni contrattuali a girare un seguito del Gillman come viene battezzata la creatura della Laguna Nera. Nasce così La Vendetta del Mostro dove l’uomo pesce viene catturato e portato in un acquario dal quale fugge seminando il panico nella cittadina per poi essere colpito a morte e scomparire nel mare. Arnold gira il film con la mano sinistra puntando soprattutto alle brutali incursioni di una creatura ben lungi questa volta dal suscitare pietà. Nonostante questo il film resta pur sempre una spanna sopra alle produzioni dell’epoca. Il regista poi rifiuterà di girare il terzo episodio della Creatura Il Terrore sul Mondo e questo provocherà un’insanabile incrinatura tra lui e Alland.

Poi Arnold si allontana temporaneamente dal cinema di fantascienza e gira pellicole come Man from Bitter Ridge (Duello a Bitter Ridge), siamo sempre nel 1955, e un episodio della serie televisiva Scienza e Fantasia (Science Fiction Theatre) che segna non solo il suo rapido riavvicinamento al genere ma anche alla televisione che sarà il suo futuro tra qualche anno. Siamo ora al 1956 e Arnold dirige Red Sundown (Tramonto di fuoco), Outside the Law (Caccia ai falsari) e infine Radiazioni BX: Distruzione Uomo, titolo idiota italiano per The Incredible Shrinking Man. Arnold ha abbandonato Alland e produce il film per Albert Zugsmith il quale non modifica la splendida sceneggiatura di Richard Matheson tranne che nel finale quando il protagonista Scott Carey (Grant Williams, 1930 – 1985) parla di Dio. La storia è apparentemente semplice: un uomo resta investito da misteriose radiazioni che lo rimpiccioliscono progressivamente fino a renderlo un infinitesimale pronto per un nuovo mondo, il mondo dell’infinitamente piccolo. Il film fu per l’epoca molto costoso perché fu necessario costruire delle stanze e degli oggetti giganteschi per poter far interagire il protagonista. Eppure, malgrado l’accuratezza degli effetti speciali, fu proprio il suo soggetto così involuto e non certo molto comprensibile per lo spettatore di allora a decretarne un successo soltanto parziale che con il tempo, però, è cresciuto a dismisura rendendolo ancora oggi, se non il film più ispirato, certamente il più maturo.

Nel 1958, dopo aver portato sullo schermo altre storie e aver fatto a dirigere a un suo allievo, John Sherwood, il film La Meteora Infernale (The Monolith Monster) da un suo soggetto, la cui storia tratta di un meteorite le cui componenti hanno il maligno potere di togliere il silicio dal corpo umano e quindi di pietrificarlo, Arnold dirige I Figli dello Spazio (The Space Children). Ancora una volta è di scena un alieno che giunge sulla Terra con la buona intenzione di fermare il lancio di un missile con a bordo una testata nucleare. Per poter ottenere il suo scopo egli si serve dei fanciulli, gli unici così puri di cuore da comprendere le sue intenzioni. È indubbio che in questo film la parte dei veri alieni, nel senso più deleterio della parola, è sostenuta dal mondo dei grandi che sono gli unici a non voler capire ciò che è diverso da loro e la strada pericolosa e mortale che hanno intrapreso.

Siamo praticamente in pieno orrore con il suo film successivo Ricerche Diaboliche (Monster in the Campus) del 1958, dove uno scienziato si trasforma in un mostro primitivo a causa di un liquido che fuoriesce da un pesce preistorico. L’ultima incursione nel campo del fantastico viene compiuta ai bordi della commedia con il film Il Ruggito del Topo (The Mouse that Roared) e siamo nel 1959, interpretato da un eclettico Peter Sellers in tre ruoli diversi ed è la storia di uno staterello che dichiara guerra agli Stati Uniti perché si sente boicottato dagli stessi in quella che è l’unica loro risorsa: il vino. Poiché gli USA producono a costo inferiore un vino concorrenziale, il Granducato di Fenwich dichiara, come abbiamo detto, la guerra e la vincono in virtù del fatto che un manipolo di guerrieri in armatura medioevale sbarca a New York durante una esercitazione nucleare. Approfittando della città deserta essi rapiscono uno scienziato e la sua super arma nucleare per cui gli Stati Uniti sono costretti a dichiarare la resa. A parte una successiva incursione con il film Hallo Down There (L’incredibile Casa in Fondo al Mare), mediocre commediola di una famiglia che esperimenta una costruzione sottomarina, l’abbandono di Jack Arnold alla fantascienza non è comunque totale, pur lavorando come produttore e per la televisione, egli gira un episodio di Wonder Woman nel 1976 e altri due per Buck Rogers nel 25° Secolo nel quale realizza, televisivamente, quello che avrebbe voluto fare per il cinema e cioè portare sullo schermo il bellissimo romanzo di Robert A. Heinlein Universo adattandolo per il serial televisivo e per i suoi personaggi. Anche il suo progetto concernente Straniero in terra straniera sempre di Heinlein non avrà un seguito, peccato.

Dopo un piccolo cameo nel film di John Landis Tutto in una notte del 1985 e dopo il film televisivo Marilyn: the Untold Story del 1980, Arnold viene colpito da una forma sempre più grave di arteriosclerosi che lo porterà alla morte il 17 marzo del 1992. Ha creato un’epoca, ha onorato un genere. Per chi lo ricorda, per i giovani che non lo conoscono, il suo nome resterà comunque e per sempre legato a un’epoca d’oro del cinema di fantascienza. I grandi registi del fantastico di oggi non si vergognano affatto di dirgli grazie per la strada che ha insegnato loro.

Noi, semplici spettatori, non possiamo far altro che ricordarlo con amore, con affetto e con nostalgia.

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(7 – fine)

Giovanni Mongini