FANTASCIENZA STORY 04

MOSTRI NATURALI E ARTIFICIALI

Il cinema di fantascienza sta per conoscere ormai il suo primo “punto fermo”, quando, nel 1933, il gigantesco scimmione Kong si affaccerà sulle platee di tutto il mondo, la critica (specializzata e non) e il pubblico considereranno il film di E.B. Schoedsack un autentico capolavoro.

In effetti, ancora oggi, il film resiste all’usura del tempo, grazie soprattutto al contributo determinante che gli effetti speciali di Willis O’Brien hanno dato alla realizzazione del mondo fantastico immaginato dal produttore e dal regista e malgrado siano stati realizzati due interessanti remake non hanno minimamente sconfitto la gloria dell’originale.

In una disputa a base di carte bollate e citazioni, due grosse case produttrici si contesero l’onore di filmare a colori una nuova versione della pellicola. Siamo sicuri di poter dichiarare che nulla potrà mai scalfire il posto d’onore che il “vecchio” King Kong ha nella cinematografia mondiale e nel cinema di fantascienza in particolare.

Prima di King Kong, in tutta l’epoca del cinema muto americano, vi sono due soli film che possono essere considerati propriamente di fantascienza: A Blind Bargain e Il Mondo Perduto (The Lost World).

Nel 1922 l’attore Lon Chaney Senior interpreta, per la regia di Wallace Worsley, A Blind Bargain: vi si racconta la storia di Robert, un giovanotto che acconsente ad essere la cavia di un esperimento dell’eminente scienziato Dottor Lamb (Lon Chaney Sr); in cambio Lamb accetta di far guarire gratuitamente la madre malata di Robert. L’esperimento si rivela pericoloso, in quanto Robert scopre che il gobbo – assistente dello scienziato (interpretato anch’esso da Lon Chaney Sr) – è in realtà un uomo-scimmia, il risultato di un precedente esperimento. La creatura mostra a Robert la stanza segreta dove il dottore esegue le sue esperienze e le orribili creature che vi sono ingabbiate. Il dottor Lamb aggredisce Robert e sta per vivisezionarlo quando l’uomo-scimmia libera un altro mostro che uccide lo scienziato.

Basato sul racconto L’ottava di Claudius di Barry Payne, la pellicola è comunque un adattamento del famoso romanzo di Wells The Island of  Dr. Moreau.

In questo film appare per la prima volta, in campo fantascientifico, Lon Chaney Senior.

1925: IL MONDO PERDUTO (The Lost World)

Altro film propriamente di fantascienza è del 1925 e rappresenta una nuova obbligatoria “tappa” classica: il mondo dimenticato dell’evoluzione, perduto nel flusso del tempo.

Il soggetto è tratto da The Lost World di Sir Arthur Conan Doyle, il creatore di Sherlock Holmes, pubblicato nel 1912 (Tr. it. Un mondo perduto, Sonzogno, Milano 1975), tema che sarà ripreso numerose volte nelle pellicole di grandi registi negli anni a seguire.

Una spedizione scientifica nella giungla dell’Amazzonia, scopre un altopiano dimenticato dal tempo dove vivono giganteschi rettili preistorici e alcuni uomini-scimmia. Dopo aver catturato uno pterodattilo, gli esploratori lo portano a Londra dove il selvaggio animale si libera seminando il panico e la morte per poi scomparire nel fiume (è la prima, vera, avvisaglia dell’arrivo di King Kong sugli schermi).

Gli effetti speciali, visti con gli occhi di oggi, possono considerarsi ingenui, ma per l’epoca erano sorprendenti: infatti viene adottata, per la prima volta, nel lungometraggio, la tecnica della stop-motion: un procedimento mediante il quale alcuni pupazzi con “un’anima” di ferro completamente snodata (peraltro costosissimi), ricoperti da strati di spugna e di pelle di gomma accuratamente modellata, vengono mossi, fotogramma dopo fotogramma, movimento dopo movimento, sullo sfondo di scenografie artificiali. Successivamente, con un particolare processo fotografico, si “accosta” il mostro agli uomini che così sembrano in proporzione molto piccoli.

Willis O’Brien (1886-1962) iniziò la sua carriera come disegnatore di cartoons e scultore dilettante, in seguito  elaborò la tecnica della stop-motion in fotografia con delle figurine di pugili in creta.

Trasferita tale tecnica all’età della pietra, O’Brien cominciò a costruire dei rozzi modelli di dinosauri e di uomini-scimmia adattando della creta attorno a scheletri di legno e girò un piccolo film di prova sul tetto della odierna Banca d’America di San Francisco.

Un produttore ne fu sufficientemente impressionato tanto da dare a O’Brien 5000 dollari per un filmetto assai più lungo e più ambizioso: Il dinosauro e l’uomo-scimmia.

Furono necessari due mesi per realizzare il film, della durata di circa cinque minuti e la compagnia Edison di New York lo comperò e lo lanciò sul mercato nel 1917.

O’Brien successivamente fece altre dieci pellicole sulla preistoria per la Edison sotto l’etichetta della Mannikin Films, ognuna di esse durava cinque minuti e aveva un costo di 500 dollari e per la maggior parte possedevano un grossolano umorismo.

Nel 1919 il suo progetto più ambizioso, Lo spettro dello Slomber Mountain, che già anticipava Il Mondo Perduto, fece guadagnare centomila dollari, mentre ne era costato solo tremila.

Per Il Mondo Perduto O’Brien aveva in programma di realizzare una pellicola basata sul mitico regno di Atlantide, la storia di un grande impero sommerso costruito entro caverne sotterranee che si estendevano per chilometri ed erano alte altrettanto. L’illuminazione doveva essere ottenuta con delle torce e alcune valvole a pressione avrebbero tenuto lontano l’acqua di mare. Grandi statue di pietra sarebbero state scolpite nei muri di un’immensa caverna. Gli abitanti di Atlantide avrebbero occupato piccole grotte e, attraversando i  lunghissimi tunnel che correvano sotto il mare, sarebbero usciti per uccidere orribili mostri marini e cercare il cibo sul fondo dell’oceano. Poteva essere un film interessante, ma il progetto venne abbandonato per mancanza di fondi. Con questo progetto si conclude il breve discorso sul cinema muto di fantascienza: l’avvento del sonoro è destinato a rivoluzionare anche questo campo, creando nuovi capolavori.

1931: DUE PAROLE SU FRANKENSTEIN

Anche se per tradizione appartiene al cinema dell’orrore, la creatura nata nel 1818 dall’immaginazione della giovane scrittrice inglese Mary Shelley, possiede dei risvolti fantascientifici che sono assolutamente innegabili. Anzi lo scrittore e critico specializzato inglese Brian W. Aldiss, nella sua storia della fantascienza The Billion Years Spree del 1972 (tr. it. Un miliardo di anni, Sugar, Milano 1974), afferma che la moderna science fiction ha inizio con il romanzo della Shelley (tr. it.Frankenstein, Rizzoli, Milano 1975)

Il primo, vero film su Frankenstein, dopo alcuni tentativi anteriori, è del 1931 ed è diretto da James Whale. Robert Florey, che ne ebbe l’idea, girò due bobine di prova utilizzando, nella parte del mostro, l’attore Bela Lugosi, il quale però, dopo molti ripensamenti, decise di rifiutare l’offerta per non dover sottoporre il suo viso a una truccatura tanto pesante.

Il lavoro poi fu affidato definitivamente a Whale e questi scelse per la parte dello scienziato l’attore Colin Clive e per quella del mostro una allora sconosciuta comparsa, Boris Karloff.

La pellicola fu un trionfo e una buona fetta del successo la si deve, oltre alla accorta regia, anche alla stupenda recitazione di Karloff e alla truccatura ideata da Jack Pierce.

Furono necessarie tre settimane per lo sviluppo del trucco definitivo: Pierce studiò anatomia, chirurgia, criminologia, sistemi di sepoltura antichi e moderni, elettrodinamica. La testa del mostro fu decisa con la fronte altissima, squadrata e dalla sommità piatta, perché così risulterebbe tagliando un cranio nel più semplice dei modi usati in chirurgia, mentre le famose sbarrette che fuoriescono ai lati del collo sono prese di corrente. I pori della pelle di Karloff, estremamente realistici, furono ottenuti da strati sottili di cerone e crema di formaggio; le gambe furono deformate e irrigidite con protesi d’acciaio e per gli stivaloni furono usati quelli degli asfaltatori con l’aggiunta di suole di piombo per rendere il passo più rigido. Le maniche della giacca furono accorciate per far sembrare le braccia più lunghe e Karloff vestì due paia di pantaloni per far sembrare più massicce le sue magre gambe. Karloff ebbe l’idea delle false palpebre per dare un’aria non troppo intelligente al mostro: erano mezzelune di gomma che Pierce chiamava “occhi di lucertola”. Dei diversi make-up provati alla luce dei riflettori, grigio, bianco, giallastro, la tonalità verdastro-grigio fu giudicata la migliore e adottata; gli angoli della bocca erano abbassati e allargati con fili e ami invisibili, mentre la parte superiore del cranio venne costruita con sottili strati di cotone applicati mediante uno speciale collante liquido: il tutto risultava molto simile a strati di carne vera. Gli elettrodi al collo furono applicati con lo stesso collante e, per parecchio tempo, Karloff ebbe due cicatrici dove erano stati applicati.

Durante l’intervallo, dopo aver girato la bobina di prova e prima dell’inizio delle riprese definitive, il make-up venne modificato ancora con l’aggiunta del tocco finale voluto dal regista: due profonde cicatrici sulla fronte.

Per la preparazione del trucco erano necessarie più di tre ore e mezza di lavoro e lo struccamento, estremamente doloroso per colpa degli acidi usati, richiedeva più di un’ora.

Una volta truccato Karloff non poteva uscire dalle porte dello studio, peraltro sbarrate, e doveva portare un sacco sulla testa per non essere visto dai visitatori, inoltre non gli era permesso fumare (e di solito fumava parecchio) perché sarebbe bastata una scintilla ad accenderlo come un fiammifero.
Il film fu girato negli Studi Universal, in California, in agosto, con più di 40° all’ombra.

Ricordiamo infine il celeberrimo La Moglie di Frankenstein (Tre Bride of Frankenstein – 1935) ancora di James Whale, il miglior film del genere mai girato e poi l’ultimo che Karloff  ha interpretato nel ruolo del mostro, Il Figlio di Frankenstein (Son of Frankenstein - 1939) di Rowland Van Lee.

Prima di chiudere il capitolo giova ricordare che nel 1930 fu prodotto e girato il film La Fine del mondo (La Fin du Monde) per la regia di Abel Gance che narra la storia di uno scienziato scopritore di una cometa in procinto di collidere con la Terra e solo le forze unite delle varie nazioni possono sventare la strage; il cataclisma fortunatamente non avviene, ma il mondo è comunque unito e in pace.
Nel 1931 uscì un film estremamente curioso e suggestivo per l’epoca, Just Imagine, da noi conosciuto come I Prodigi del 2000, dove si immagina, appunto, un futuro – per l’esattezza il 1980 -, nel quale gli abitanti di New York non vengono più considerati come persone, ma numeri e gli uomini, per contrarre matrimonio, dovevano sottoporsi a prove degne di un campione olimpico e avere poi la debita autorizzazione governativa. La regia è di David Butler.

1933: L’UOMO INVISIBILE (The Invisible Man)

L’uomo invisibile, diretto dallo stesso regista di Frankenstein, James Whale, è tratto dall’omonimo romanzo di Herbert George Wells pubblicato nel 1897 e doveva essere interpretato da Boris Karloff, ma questi rifiutò: infatti la parte richiedeva un’ottima voce e una buona dose di modestia, poiché l’attore sarebbe apparso soltanto in pochissime sequenze. Fu quindi il primo film di Claude Rains che sostenne benissimo la parte, sorretto anche dal dialogo serrato. La trama è fedele al libro: Griffin, scoperto il modo di diventare invisibile, compie tutta una serie di nefandezze per poi essere ucciso da una folla che lo identifica seguendo le sue impronte sulla neve. A differenza del libro, però, si basa molto sulla megalomania di Griffin, in quanto la droga (la monocaina) che lo rende invisibile l’ha reso un pazzo assetato di potere.

Ottimo è l’uso degli effetti speciali, realizzati da John P. Fulton: soprattutto la scena in cui Griffin si toglie le bende e mostra per la prima volta la sua invisibilità, è realizzata con una tecnica che ancora oggi è valida e convincente.

Il trucco fu perfezionato da sovraimpressioni e sovrapposizioni, con lo stesso procedimento usato da Willis O’Brien per il suo Il Mondo Perduto: si gira la scena con un paesaggio sul fondo nero (che non impressiona il negativo) e poi a fianco o dietro, dove è necessario, si aggiungono altri particolari, in modo da avere l’effetto desiderato.

Questa tecnica, come tante altre, è stata surclassata dal computer che ci ha mostrato effetti magici nel film di Paul Verhoeven L’Uomo senza Ombra (The Hollow Man – 2000).

Sempre nel 1931 e sempre a proposito di uomini invisibili, vogliamo ricordare un curioso film tedesco di Harry Piel, L’Uomo Invisibile attraversa la Città (Ein Unsichbarer Geht Durch Die Stadt), dove si narra di un tassista che trova un apparecchio che rende invisibili e lo usa a proprio vantaggio per arricchirsi e quando il diabolico meccanismo gli viene rubato e usato per scopi criminali, egli si mette alla ricerca del ladro, lo trova e lo affronta… per poi svegliarsi bruscamente nel suo letto e rendersi conto così che quella strana avventura era solo il risultato di un sogno.

1933: KING KONG (King Kong)

Il regista Carl Denham (Robert Armstrong) assume una ragazza disoccupata che aveva sorpreso a rubare una mela, per andare a girare un film in Malesia. La spedizione, alla quale si unisce il tenente Driscoll (Bruce Cabot) approda in un’isola a forma di teschio divisa quasi a metà da un immenso muro. La ragazza (Fay Wray) viene rapita dagli indigeni del luogo per essere sacrificata al dio Kong, ma un enorme gorilla la rapisce a sua volta e la porta con sé al di là del muro, dove si cela una fauna preistorica agli albori della civiltà.

Gli uomini della nave lo inseguono, ma cadono quasi tutte vittime dei giganteschi mostri che popolano l’isola.

Denham torna indietro per organizzare i soccorsi, raggiunge la ragazza e la porta in salvo, mentre il gorilla li insegue, abbatte il portale – unico varco nel grande muro -, ma viene abbattuto da gas soporiferi sparatigli contro e successivamente trasportato a New York per essere presentato come l’ottava meraviglia del mondo.

Purtroppo non sarà così, infatti il gorilla evade, rapisce ancora la ragazza, devasta la città e infine viene ucciso, da una squadriglia di caccia, in cima all’Empire State Building (all’epoca il più alto grattacielo di New York), dove si era arrampicato trascinandosi dietro la ragazza.

Il venerdì 24 marzo 1933 al Grumman’s Chinese Theatre di Hollywood, l’alta società della celluloide assisteva alla prima del film di E.B. Schoedsack, esplodendo in un’ovazione trionfale alla parola “fine”.

La pellicola entrava così negli annali del cinema mondiale.

Bisogna rendere giustizia però a colui che fu il vero ideatore di King Kong, il co-regista Merian C. Cooper, infatti lo spunto di realizzare un film su uno scimmione gigantesco che imperversa per le vie di New York, nacque mentre girava un documentario in Africa, quattro anni prima che la pellicola venisse effettivamente realizzata.

Non fu facile superare tutte le difficoltà che si presentavano via via che il soggetto prendeva forma: solo l’intervento di Cooper, coadiuvato da Willis O’Brien (di cui il co-regista aveva visionato uno dei brevi film cui abbiamo accennato prima) rese possibile la realizzazione pratica di King Kong.

Fu girata per prima la famosa scena nella quale il gigantesco gorilla scagliava nel burrone un tronco sul quale erano aggrappati i marinai ed essa fu giudicata soddisfacente dai dirigenti della R.K.O. che autorizzarono Cooper e O’Brien a continuare il loro lavoro.

Nel 1931 il famoso scrittore Edgar Wallace elaborò il soggetto iniziale: purtroppo morì prima che il film fosse terminato, ma il suo nome rimase nei titoli di testa come una firma illustre. (Sulla parte che ebbe Wallace in King Kong si veda: Margareth Lane, Biografia di un fenomeno, Sperling & Kupfer, Milano 1940. E’ stata effettuata anche una versione romanzata della sceneggiatura apparsa sotto il nome di richiamo del famoso giallista: tr. it. King Kong, Longanesi, Milano 1971).

Alcune scene progettate subirono modifiche da parte della soggettista Ruth Rose che, per esempio, decise di far morire il gigantesco gorilla sulla cima del più grande grattacielo di New York, l’Empire State Building, invece che nello Yankee Stadium come si era pensato prima.

Il principale collaboratore di O’Brien, Marcel Delgado, lo stesso che aveva costruito gli animali de Il Mondo Perduto, fabbricò i modelli: due King Kong realizzati su uno scheletro snodato di acciaio, alti circa mezzo metro e del peso di circa cinque chili l’uno.

Delgado inaugurò un nuovo metodo estremamente realistico per dare vita ai mostri: direttamente sullo scheletro di acciaio applicò i muscoli di lattice che si tendevano con assoluta naturalezza, vi applicò poi del cotone, cominciando a dare forma alla creatura e infine su tutto colò del lattice liquido, plasmandolo man mano che si solidificava sul modello.

Con l’aiuto del fratello Victor Delgado, costruì in grandezza naturale anche una testa, una mano, un piede di King Kong e anche gli artigli di uno pterodattilo, una sorta di uccellaccio preistorico che afferra Fay Wray, la protagonista del film. Il busto di Kong era così grande che ci vollero quaranta pelli d’orso per ricoprirlo e sei uomini all’interno per manovrarlo. Poiché era la prima volta che procedimenti così complessi venivano sperimentati, fu necessario fotografare una scena fino a dodici volte per ottenere il risultato desiderato.

Per realizzare King Kong occorsero 55 settimane di produzione, senza contare i molti mesi di pre-preparazione. Murray Spivack, capo degli effetti sonori, fu costretto a inventare nuovi processi come, per esempio, abbassare di un’ottava il ruggito di un leone che registrò al contrario rallentandolo e ottenendo così il ruggito di King Kong; sovrapporre il sibilo dell’aria che esce da un compressore all’urlo di un puma infuriato (le strida di un tirannosauro), inoltre piazzò un microfono sensibilissimo sulla schiena del regista Schoedsack per registrare i tonfi di una mazza di tamburo battuta sul suo petto per imitare Kong che si batte il torace.

Furono girate anche molte scene che non appaiono nel film: i marinai caduti nel burrone vengono divorati da un ragno gigantesco, la lotta di Kong con un triceratopo e il suo cucciolo (tagliata poi in Italia), l’impagabile sequenza di Kong che “sbuccia” i vestiti di Fay Wray, unico esempio di strip-tease eseguito da due pupazzi animati. In tutto furono costruiti ventisette King Kong di diverse misure.

Probabilmente oggi alcune scene appaiono ingenue e gli sfondi chiaramente falsi, però giova ricordare, non solo l’epoca in cui il film venne girato, ma anche la voluta rappresentazione scenografica delle pellicole: alcune scene sono da considerarsi veramente dei quadri, perché questo era lo scopo che O’Brien voleva prefiggersi. Il film possiede una notevole carica di erotismo e violenza sia diretta che indiretta ed è sintomatico che, fin da allora, alcune scene fossero tagliate nella versione italiana. In una versione a 8 mm e in quella originale americana si vede King Kong catturare una donna, accorgersi che non si tratta di Fay Wray e lasciarla cadere nel vuoto. Oggi una scena del genere farebbe la gioia dei cinematografari, ma allora si pensava molto di più alla sensibilità dello spettatore.

Prendiamo ora qualche brano del dialogo della versione italiana. Notiamo, prima di tutto, la presentazione didascalica che viene fatta all’inizio della pellicola, presentazione che è stata inserita nella seconda riedizione del film per le platee del nostro paese.

Con King Kong riappare sugli schermi un esempio tuttora insuperato di tecnica cinematografica. La sua fama è stata ed è tale che nessun altro film ha mai potuto vantarne una uguale. King Kong ha segnato una data nella storia del cinema e poiché il tempo non ne ha diminuito l’interesse questa prodigiosa documentazione delle possibilità cinematografiche viene ora ripresentata affinché le nuove generazioni possano conoscerla.”

Passiamo ora ad un colloquio fra il regista Denham, Driscoll e il capitano Englehorn (Frank Reicher):

Englehorn: “Questa è la nostra posizione: due sud, novanta est. Mi avevate promesso chiarimenti a questa latitudine.”

Denham: “Rotta a Ovest di Sumatra

Englehorn: “Rotta assolutamente sconosciuta. Conosco le Indie Orientali come la mia mano ma non da questa parte”

Driscoll: “Dove si va di qua?

Denham: “A Sud-Ovest

Englehorn: “Sud-Ovest? Ma non c’è niente. Niente per migliaia di miglia

Denham: “State tranquillo, capitano. Non faremo migliaia di miglia, ecco l’isola che sto cercando

Englehorn: “Beh, la posizione… Guardiamo un po’  la carta…

Denham: “Quell’isola non sta su nessuna carta. L’ha segnalata il capitano di una nave norvegese

Driscoll: “Scommetto che scherzava…

Denham: “No, niente affatto! Sapete… una canoa piena di indigeni dell’isola fece naufragio. I Norvegesi riuscirono a salvare un superstite che morì prima di giungere in porto, ma il capitano era riuscito a ottenere una descrizione dell’isola e a farsi una buona idea della sua posizione.

Driscoll: “Come l’avete saputo?

Denham: “A Singapore due anni fa, me lo disse lui stesso

Englehorn: “E lui ci credeva sul serio?

Denham: “Non lo so… ma io sì… Ecco, questo è il grafico dell’isola. C’è una lunga penisola sabbiosa, l’unico approdo possibile è oltre questo scoglio… il resto della costa è tutto un dirupo alto un centinaio di metri e a Sud la penisola è attraversata da un muro che la separa da tutto il resto.

Englehorn: “Un muro?

Denham: “E’ stato costruito da tanto tempo che gli indigeni hanno perduto ogni memoria della antica civiltà che lo eresse. Quel muro è ancora oggi forte come secoli fa, gli isolani lo tengono anche oggi come difesa… è indispensabile.

Driscoll: “Perché?

Denham: “C’è qualcosa dall’altra parte, qualcosa che temono.

Englehorn: “Forse una tribù nemica…

Dopo aver catturato il gigantesco scimmione, come abbiamo detto, Denham lo espone alla curiosità del pubblico e dei giornalisti.

Giornalista: “Allora siete voi l’eroe…

Denham: “Un momento, un momento, io non c’entro molto, Miss Darrow è l’eroina, se non fosse stato per lei non lo avremmo neanche avvicinato. L’ha inseguita fino al villaggio!

Giornalista: “La bella e la bestia, eh?

Denham: “Proprio così. Questo è l’argomento: la bella e la bestia. Kong poteva rimanere dove stava, ma non poté resistere alla bellezza. Ecco la storia, scrivete pure amici.

Ecco ora Denham davanti alla sala gremita da un pubblico curioso.

Denham: “Signore e signori, sono qui stasera per raccontarvi una storia assai strana. Una storia così strana che nessuno la crederà. Ma, signore e signori, vedere è credere e noi, i miei compagni ed io, abbiamo riportato la prova della nostra avventura, un’avventura nella quale dodici dei nostri hanno trovato la morte. E ora, signore e signori, prima che io vada oltre, vi mostrerò l’essere più colossale che mai occhio umano abbia visto. Egli era il re, era il dio di quel suo mondo, ma ora e nelle mani della civiltà: è un semplice prigioniero che serve a soddisfare la vostra curiosità. Signore e signori ecco Kong, l’ottava meraviglia del mondo… E ora voglio presentarvi Anna Darrow, una ragazza molto coraggiosa… Là la bestia e qui la bella, essa ha passato un’esperienza cui nessun altro sarebbe sopravvissuto, ma fortunatamente fu strappata a Kong dal suo futuro marito, vi presento un vero eroe, signori, John Driscoll…

Il resto è storia nota, vogliamo solo ricordare qui le ultime battute del film consegnate alla storia assieme a questa storica pellicola.

Denham si avvicina al corpo di Kong e il tenente della polizia lo interpella:

Poliziotto: “Allora Denham: gli aeroplani gliel’hanno fatta, eh?

Denham: “Oh no, non sono stati loro: è la bellezza che ha sconfitto la bestia.

Possiamo aggiungere qualche altra nota di pura curiosità a quanto detto fino a ora traendola dal volume di Orville Goldner e George E. Turner The Making of King Kong.

Ecco, per esempio, uno stralcio della stima dei costi dei suoni necessari da inserire nel film, la lista è di Murray Spivack e porta la data del 19 luglio 1932 e in essa leggiamo che il verso di un gorilla costa 50 dollari, quello di uno stegosauro di meno, 30 dollari (strano per un animale estinto). Il verso del triceratopo è addirittura svalutato: solo dieci dollari; il mostro marino (plesiosauro) trenta dollari, lo pterodattilo, dieci dollari, il tutto per una spesa totale di 430 dollari.

Per chiudere vogliamo ricordare che, in due brevi apparizioni, figurano nel film anche Schoedsack e Merian C. Cooper che sono due dei piloti che volano ad abbattere King Kong.

Giovanni Mongini