BACCELLI, CAROTE E INSALATA DI TRIFIDI

“Solo quando dobbiamo lottare per difendere la nostra umanità
ci accorgiamo quanto valga, quanto ci sia cara.”
(“Invasione degli Ultracorpi” di Don Siegel)

“Siamo venuti qui da un mondo in agonia,
trasportati nell’universo di pianeta in pianeta con la spinta dei venti solari.
Ci adattiamo e sopravviviamo. Lo scopo della vita è sopravvivere…”
(“Terrore dallo spazio profondo” di Philip Kaufman)

“Dove vuoi andare? Dove vuoi scappare? Dove vuoi nasconderti?
In nessun posto. Di quelli come te non ne è rimasto nessuno…”
(“Ultracorpi – L’invasione continua” di Abel Ferrara)

Il romanzo di Jack Finney “Gli Invasati ha avuto l’onore di ben tre trasposizioni cinematografiche (quattro, se consideriamo il recente “INVASION” di Oliver Hirschbiegel, ndr), prima fra tutte quella di Don Siegel nel 1956. Siegel ha al suo attivo una filmografia di tutto rispetto ma ha girato nell’ambito della science-fiction solo questo “INVASIONE DEGLI ULTRACORPI” (“Invasion of the body snatchers - 1956), pellicola che però è subito entrata nell’olimpo dei grandi classici. Dopo questo, per quanto riguarda il genere, Siegel ha diretto solo due episodi della serie “Ai confini della realtà” di Rod Serling.

E’ nato il 26 ottobre del 1912, è morto nel 1991 ed è stato il regista preferito di Clint Eastwood. Fu scelto dal produttore Walter Wanger per girare il film di cui aveva acquistato i diritti. Egli dovette lottare duramente con i dirigenti della Allied Artists che consideravano la pellicola uno dei soliti film di mostri. Wanger aveva invece molta fiducia nel soggetto e lasciò che Siegel affidasse la sceneggiatura della storia a Daniel Mainwaring, abituale collaboratore del regista, il quale fu però aiutato a sua volta dall’aiuto regista Sam Peckinpah, futuro autore di pellicole come “Il cane di paglia”, “Il Mucchio Selvaggio” e “Pat Garrett e Billy Kid”.

Il suo tirocinio con Siegel portò Peckinpah a interpretare un piccolo ruolo da gasista nel film. La pellicola costò pochissimo in effetti speciali: appena quindicimila dollari per realizzare i baccelli nella serra per cui Wanger poté dirottare le spese assumendo attori che dessero garanzie. La lunga battaglia con i dirigenti della Allied Artist non ebbe mai fine: il film finito destò molte perplessità con il protagonista Miles Bennell che urla nella strada “Adesso toccherà a te!”. E’ un finale amaro, quasi inconcepibile per l’epoca per cui la produzione ordinò a Siegel di cambiarlo, oltre che tagliare delle scene dove il regista cercava di stemperare la vicenda con un poco di umorismo. Siegel accettò di girare le sequenze iniziali e finali lui stesso in modo che il film mantenesse comunque una logica continuità per cui venne scritturato l’attore With Bissell il quale, per questa ragione, non è citato nei titoli, nel ruolo del direttore di un manicomio che ascolta incredulo il racconto di Miles Benell (Kevin McCarthy) e alla fine gli crede mobilitando le forze di polizia e “l’effe bi i”, come dice il dialogo italiano.

Il titolo della pellicola era originariamente “The Body Snatchers” e cioè lo stesso titolo del romanzo ma Siegel voleva proporre un verso di Shakespeare “Sleep No More” (“Non dormirai più”) con l’ovvio riferimento al fatto che chi cede al sonno è perduto. Wanger accettò il titolo ma non così i produttori che lo sostituirono con un anonimo “They Came from Another World” (“Venivano da un altro pianeta”).

La battaglia infuriò e Wanger cercò di fare in modo che venisse almeno lasciato il titolo del romanzo ma nemmeno questo gli riuscì perché dopo le prime uscite al film venne subito aggiunta la parte “Invasion of” che aggiunto al “The Body Snatchers” consolidò una volta per tutte il titolo definitivo della pellicola.

Passano così oltre trent’anni prima che il regista Philip Kaufman, nato il 23 ottobre del 1936 a Chicago, nell’Illinois, potesse mettere in cantiere quello che lui stesso, più che un “remake” considera un omaggio a un film splendido, tanto è vero che, in due piccoli camei, appaiono sia Kevin McCarthy che Sam Peckinpah, il primo praticamente nel ruolo di Miles Benell che ancora se ne va in giro cercando di avvertire l’umanità e il secondo nel breve ruolo di un taxista il quale prende a bordo i due protagonisti che cercano di scappare dalla città infetta. Meno incalzante e meno angosciante del primo, “TERRORE DALLO SPAZIO PROFONDO”, anonima traduzione del solito “Invasion of the Body  Snatchers”, si avvale ovviamente di un maggior uso di effetti speciali e della interpretazione di Donald Sutherland e di Leonard “Spock” Nimoy, diretti da Philip Kaufman. Qui il finale è amaro, triste, senza speranza per l’umanità con uno dei protagonisti, Veronica Cartwright, che si aggira per la città contaminata fingendo di essere una copia e così viene riconosciuta dall’ormai assimilato Shuterland che le sibila dietro, un suono estensivo che viene ripetuto con “ULTRACORPI – L’INVASIONE CONTINUA” (“Body Snatchers”) di Abel Ferrara. Il film non ha nulla a che vedere con gli altri due e si svolge in una base militare nella quale aumentano in poco tempo tutti i posseduti da strani semi replicanti la cui provenienza è ignota. I due superstiti fuggono a bordo di un elicottero e nelle conclusive e frettolosamente riassunte sequenze finali, sembra che abbiamo sventato la minaccia, forse… perché non è detto che sia finita. Anche qui l’uso degli effetti speciali travalica l’angoscia della storia e le scene sono molto più di gusto “gore” che fantascientifico ma, comunque sia, in tutte e tre le pellicole, gli alieni prendono il posto degli uomini dissacrandone l’umanità.

Provengono in tutti e tre i casi dal mondo vegetale: baccelli, spore che duplicano gli esseri umani prendendone nel sonno le conoscenze, uccidendo l’originale. Sleep no More, ci avvisa Don Siegel ed è curioso osservare come la maggior serie dell’orrore moderno, genere notoriamente cugino della fantascienza, si occupi dello stesso problema del dormire, della impossibilità di prendere sonno o di cadere in un mondo pieno di incubi dove ci aspetta un’altra creatura proveniente dall’onirico, quel Freddy Krueger grazie al quale, davvero, “Non dormirai più.”.

“Nessun dolore o piacere quali noi li conosciamo, nessuna emozione,
niente cuore. Superiori a noi, superiori sotto ogni aspetto…”
(“La Cosa da un Altro Mondo” di Christian Nyby e Howard Hawks)

“No, noi non aspettiamo. Qui tra noi c’è qualcuno
che non è quello che sembra…”
(“La Cosa” di John Carpenter)

Ancora una volta ci troviamo di fronte a un alieno di aspetto umanoide e a un essere capace di prendere qualunque forma. L’uomo è fonte di cibo per il primo e di assimilazione per il secondo che si comporta come una specie di virus in grado di distruggere ogni parvenza umana dall’originale.

Per quanto riguarda “LA COSA DA UN ALTRO MONDO” (“The Thing from Another World - 1951) fu il protagonista Kenneth Tobey a svelare una volta per tutte il mistero che circondava la regia del film. Perché mistero? Perché ci si chiedeva come era possibile che un regista che aveva dimostrato una mano così sicura, un senso del ritmo così elevato, che era riuscito, insomma, a dirigere una storia di fantascienza così fuori dall’usuale, fosse poi finito nell’anonimato senza più replicare la bravura che aveva dimostrato nella sua opera. La risposta di Tobey fu che il film era stato girato in realtà tutto da Howard Hawks, di cui Christian Nyby era l’abituale operatore. Tobey è stato chiarissimo: “Nyby restava a guardare mentre Hawks organizzava le riprese. Aveva tutto da imparare da lui”.

Ad Howard Hawks non interessava firmare la regia, all’epoca dirigere un film di fantascienza era dequalificante e, in fondo stiamo parlando di uno dei maggiori registi di Hollywood (“Il Sergente York, Il Grande Cielo, “Il Grande Sonno”, per dire qualche titolo.) Il controllo del film da parte di Hawk fu costante e continuo, ne ha supervisionato la sceneggiatura, il montaggio ed era quasi sempre presente sul set come una oscura presenza. Purtroppo non esistono foto per comprovarlo. Il film è liberamente tratto da un racconto John William Campbell, intitolato “Who Goes There?” e fu pubblicato nell’agosto del 1938 con lo pseudonimo di Don. A Stuart sulla rivista “Astounding Science Fiction” di cui lo stesso Campbell era direttore.

Non era possibile, per ovvie ragioni di budget, fare in modo che la “Cosa” mutasse continuamente forma, sarebbe stato costoso e faticoso, per cui si passò subito a considerare un essere di provenienza vegetale e di forma umanoide costante. Il risultato fu una specie di Frankenstein dal cranio calvo e con delle spine nelle nocche delle dita. A interpretarlo fu chiamato James Arness che, con i suoi due metri d’altezza, poteva dare la prestanza fisica necessaria. Di Arness, fratello di Peter Graves, ricordiamo anche la sua parte da agente dell’F.B.I. in “Assalto alla Terra” e ancora una volta nel ruolo di un alieno in “Gli Invasori Spaziali”.

Kenneth Tobey o Ken Tobey doveva essere il protagonista de “LA GUERRA DEI MONDI” al posto di Gene Barry ma anche se non fu possibile ottenerlo per questo film, durante la sua carriera, incontrò spesso il genere fantascientifico: “IL MOSTRO DEI MARI”, “IL RISVEGLIO DEL DINOSAURO”, “L’ULULATO”, “STRANGE INVADERS”, “GREMLINS” e “SALTO NEL BUIO”, sono solo alcuni dei suoi film per cui lo si può tranquillamente considerare un veterano del genere. La pellicola ebbe un successo commerciale notevolissimo e la sua trama fu tenuta segreta fino all’ultimo e le illazioni dei giornalisti non riuscirono nemmeno ad avvicinarsi alla vera storia del film. Stranamente la sua vibrante colonna sonora, opera di Dimitri Tiomkin, non risulta essere mai stata editata su disco. All’epoca le fotografie di James Arness vestito da “Cosa” furono tenute segrete così come anche le riprese dove appariva la “Carota di Genio” o “Carotoide” che venivano girate con troupe ridotta. La storia del film è nota: un disco volante precipita tra i ghiacci polari. Mentre la nave spaziale viene accidentalmente distrutta, uno degli occupanti viene trovato congelato. Una volta portato dentro la base scientifica dagli uomini che hanno organizzato la spedizione, questi si libera dal ghiaccio e comincia a compiere stragi. Un arco voltaico, alla fine, distruggerà l’essere vegetale. Abbiamo fatto questo brevissimo riassunto per spiegare come, nel finale, la piccola creatura che si sta lentamente consumando sotto l’elettricità sia un nano con indosso il costume di Arness. Gli esterni sono stati girati sulle innevate montagne del Montana.

Ben diverso è il caso del “remake” di John Carpenter. “LA COSA” (“The Thing1982) – di cui nel 2011 è stato girato un prequel diretto da Matthijs van Heijningen Jr., con protagonisti Mary Elizabeth Winstead e Joel Edgerton, ndr -.

Essa infatti possiede le proprietà camaleontiche che John W. Campbell le aveva attribuito. Sono altri tempi (siamo nel 1982), i film di fantascienza hanno travolto il mercato e le tecniche si sono sveltite e affinate per cui è ora possibile fare della “Cosa” un multiforma che insedia una base americana. Come è diventato d’obbligo, mentre nel primo film l’essere viene distrutto con grande gioia dei molti superstiti, nel secondo non solo ci sono due scampati che non hanno molte speranze di sopravvivenza tra il ghiacci polari, ma non siamo nemmeno sicuri che uno di loro non sia la “Cosa” che ne ha preso l’aspetto.

John Carpenter fa subito un omaggio al primo film con il titolo, scritto nello stesso modo del suo illustre predecessore e con le sequenze televisive del ritrovamento dell’alieno nel blocco di ghiaccio da parte di una spedizione precedente. Molte di quelle scene sono volutamente ispirate al primo film. Ovviamente la vicenda ha dei toni molto più spinti rispetto a quelli della pellicola precedente. Il  mostro non si intravede, si vede e forse fin troppo, ma le esigenze del pubblico sono cambiate per cui il tecnico degli effetti speciali, Rob Bottin, utilizza di tutto per realizzare la creatura senza darle mai una forma ben definita servendosi praticamente di ogni tipo di materiale che aveva a disposizione. Fu un lavoro estenuante che costò a Bottin, alla fine delle riprese, un ricovero in ospedale per esaurimento nervoso e non ebbe nemmeno la soddisfazione di vedersi candidato all’Oscar.

Ed ora pensiamo ad altre creature vegetali che hanno minacciato la nostra esistenza.

Tratto da un famoso romanzo di John Wyndham “The Day of Trifids” che in Italia fu editato con il titolo “L’Orrenda Invasione” esce nel 1963 una pellicola girata da Steve Sekely intitolata, nella sua prima edizione, “L’INVASIONE DEI MOSTRI VERDI” e successivamente riportata al suo vero titolo “IL GIORNO DEI TRIFIDI”.

L’ispirazione al romanzo riguarda solo le creature vegetali portate sulla Terra da una pioggia di meteoriti le quali rendono cieca quasi tutta la popolazione mondiale. In questo modo i mostri vegetali possono crescere e moltiplicarsi senza ostacoli per poi essere goffamente distrutti da della semplice acqua di mare.

Il romanzo, invece, è una lunga lotta per la sopravvivenza, la pioggia meteorica è dovuta a dei satelliti orbitanti e i Trifidi sono una specie sconosciuta e apparentemente terrestre. Tutto questo nel film è appena accennato se addirittura non detto e la pellicola si riduce solo a una semplice “lotta contro i mostri”.

Nulla di particolare da dire sui Trifidi. Venivano portati sul set su un carrello a volte anche fin troppo traballante e le loro “mani” venivano mosse da pali e fili fuori campo.

Giovanni Mongini