IL CINEMA DI GENERE DI UMBERTO LENZI 03 – PARTE 01

Umberto Lenzi e Tomas Milian – Parte 01

Tomas Milian si avvicina al poliziesco all’italiana nel 1974, grazie a Umberto Lenzi, un esperto del genere che aveva già realizzato diversi gialli e interessanti film avventurosi. Tra tutti citiamo Così dolce e così perversa (1969), Kriminal (1967) e Sette orchidee macchiate di rosso (1972). Lenzi è il classico artigiano del cinema di genere che nel corso della sua attività è passato con noncuranza dal film di cappa e spada, al Salgari-movies, per finire con l’horror e il poliziottesco. Si può dire che è lui l’inventore di una via italiana al poliziesco, fatta a imitazione del modello statunitense ma ben ambientata nella realtà delle nostre città, che proprio negli anni Settanta cominciano a diventare sempre più violente. Visto che fatti di cronaca sanguinosi e crudi accadono anche da noi è inutile andare ad ambientare film polizieschi oltre oceano. Umberto Lenzi è tra i primi a indagare il disagio di città come Milano, Roma e Napoli che abbandonano la dimensione a misura d’uomo tipica degli anni Cinquanta. L’Italia deve fare i conti con il boom economico e con gli effetti perversi della dilagante criminalità e Lenzi gira pellicole come Roma a mano armata (1976) che sono di grande attualità. Lo seguono in questa operazione anche registi come Sergio Martino (Milano trema: la polizia vuole giustizia del 1973), Fernando Di Leo (Milano calibro 9 del 1971, tratto dal romanzo di Scerbanenco), Gianni Martucci (Milano… difendersi o morire del 1977) e molti altri. Nel poliziottesco i volti più noti che vestono i panni da commissari o da giustizieri sono Maurizio Merli, Giuliano Gemma, Franco Gasparri (il commissario Mark Patti), Vittorio Mezzogiorno, Marc Porel, Al Cliver, Philippe Leroy, Gastone Moschin, Luc Merenda e pure Tomas Milian che si caratterizzerà, dopo le prime prove, per una serialità originale. Anche qui l’elenco sarebbe lungo e non sta a noi farlo visto che esistono studi interessanti dedicati al poliziottesco. Tomas Milian nei suoi primi poliziotteschi fa quasi sempre la parte del cattivo e del perfido individuo braccato dal commissario di turno per motivi abietti. Il suo aspetto fisico lo rinchiude in questo cliché delinquenziale che lo aveva in parte caratterizzato anche nella stagione degli spaghetti-western. Tutto questo fino al giorno in cui a qualcuno viene la splendida idea di mettere insieme le due componenti e di realizzare una commistione di buono e cattivo che confluisce prima nel trucido Monnezza e poi nell’ispettore alternativo Nico Giraldi. Ma andiamo con ordine.

Veniamo allora all’analisi del primo film che vede Tomas Milian impegnato con il poliziesco. Milano odia: la polizia non può sparare è del 1974 e come già detto lo dirige Umberto Lenzi su soggetto e sceneggiatura di Ernesto Gastaldi, fotografia di Federico Zanni, musiche dell’immancabile Ennio Morricone, montaggio di Daniele Alabiso e scenografie di Giorgio Bertolini. Gli attori principali sono: Tomas Milian, Henry Silva, Laura Belli, Gino Santercole, Mario Piave, Anita Strindberg, Guido Alberti, Ray Lovelock, Tom Felleghi, Pippo Starnazza, Luciano Catenacci e Nello Pazzafini. Molti nomi sono transfughi dai vari generi di moda nel periodo, semplici caratteristi come Pazzafini ma volti indimenticabili di un’epoca cinematografica irripetibile.

Tomas Milian è Giulio Sacchi, un delinquente da quattro soldi che ci viene subito presentato come un losco individuo, amorale e perdente. Milian ha ancora il look con i capelli lisci e la barba fatta, non ha niente del Monnezza-Giraldi che siamo abituati a vedere e soprattutto interpreta un personaggio per niente simpatico. Nelle prime scene Giulio Sacchi uccide a sangue freddo un vigile urbano mentre fa il palo in una rapina e subito dopo scassina un distributore automatico di sigarette e manda all’altro mondo un metronotte per seicento lire. Umberto Lenzi ci mostra anche un bell’inseguimento per le vie di Milano tra le Alfette della polizia e i malfattori, quindi passa a illustrare il carattere da vigliacco di Giulio Sacchi che dopo aver ucciso il vigile implora i suoi complici di non malmenarlo. Giulio ha pure una fidanzata (Anita Strindberg) che maltratta e di lavorare proprio non ne vuol sapere, preferisce spillare quattrini alla sua donna che fa l’impiegata nella ditta di un noto industriale. La sua morale è che nella vita contano solo i soldi e per questo motivo un giorno ha l’idea di rapire Marilù (Laura Belli), la figlia del datore di lavoro della fidanzata. Per mettere in pratica il piano convince altri due malviventi (Ray Lovelock e Gino Santercole) che lo assecondano. Prima ruba l’auto alla sua ragazza e subito dopo uccide un mercante d’armi e sua moglie e lo deruba di tre mitragliatori. Giulio é uno spietato assassino privo di morale e si trasforma in una belva sadica che non si ferma di fronte a niente. Una notte i tre banditi seguono Marilù e la sorprendono mentre fa l’amore in auto con il fidanzato. Giulio sfonda il vetro dell’auto e Ray Lovelock uccide il ragazzo, Marilù però riesce a scappare e si rifugia in una villa di periferia dove i malviventi la raggiungono. All’interno della casa Lenzi gira la scena più disturbante della pellicola con Giulio che stermina l’intera famiglia borghese che ha dato asilo a Marilù. L’eccidio tra le mura domestiche è terribile: viene ucciso un bambino e le altre quattro persone sono seviziate, appese a un lampadario e infine massacrate a colpi di mitra. Terminato lo sterminio i tre malfattori rapiscono Marilù, la portano in un barcone sui navigli e chiedono cinquecento milioni di riscatto al padre (Guido Alberti). Nel rifugio dei malviventi c’è Ray Lovelock che dà segni di cedimento psicologico e che pare pentito. Giulio ha già deciso che la ragazza deve morire ma lui non è d’accordo, pare provare qualche sentimento verso Marilù. Tomas Milian fa una parte da spietato criminale davvero notevole e il suo personaggio raggiunge l’apice della violenza quando getta nel lago la fidanzata a bordo dell’auto. “Sapeva troppo”, è il suo commento quando torna dai complici. Una scena cruda è pure quella che vede la ragazza rapita obbligata a scrivere la lettera al padre, mentre Tomas Milian incita Gino Santercole a violentarla per convincerla. Il commissario Walter Grandi (Henry Silva) indaga sui fatti ma non viene a capo di niente. Giulio va addirittura alla polizia per denunciare la scomparsa della fidanzata e recita la commedia dell’innamorato che piange la perdita della donna. Il commissario tenta di impedire al genitore di pagare la somma richiesta ma non ci riesce e persino il questore lo convince a non occuparsi del caso. Henry Silva fa di testa sua e segue il padre all’appuntamento coi banditi, però non riesce a impedire che Tomas Milian uccida la ragazza. Lo spietato bandito si libera pure dei due complici e alla fine resta solo con cinquecento milioni in tasca. Giulio spara un colpo di mitra e ferisce il commissario a una gamba, poi riesce a scappare e si crea un alibi grazie agli amici malfattori della sala biliardo. Alla fine Tomas Milian viene arrestato da Henry Silva ma torna presto a piede libero perché contro di lui non ci sono abbastanza indizi. Lo stesso Milian recita sprezzante una battuta terribile: “Per condannare qualcuno all’ergastolo ci vogliono prove alte come il grattacielo Pirelli”. A questo punto il commissario Henry Silva (sulla falsariga di Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo! girato da Don Siegel nel 1971) decide di farsi giustizia da solo e uccide il delinquente con tre colpi di pistola. Giulio Sacchi muore in mezzo ai sacchi dell’immondizia ed Henry Silva dice: “Dite al questore che l’ex commissario Grandi ha ucciso Giulio Sacchi”.

Umberto Lenzi ha definito il film “di una violenza incredibile, tanto che nonostante sia stato tagliato non è passato in televisione neanche di notte”. Si vede che i tempi sono cambiati perché è stato trasmesso (e noi lo abbiamo registrato) martedì 13 aprile 2004 a notte fonda su Rai Uno. In ogni caso è vero che la pellicola ha una solida struttura narrativa basata sulla sceneggiatura di Gastaldi, che assolve pure al compito didattico di spiegare i motivi della violenza. Il film è comunque crudo e spietato e al tempo suscita diverse reazioni negative tra i critici borghesi e perbenisti. La pellicola viene accusata di compiacimento verso la violenza e soprattutto di giustificare la vendetta di chi si fa giustizia da solo quando la legge è impotente. Certo che pure oggi il nichilismo del film colpisce e disturba e lo spettatore sprofonda nel clima angoscioso che Lenzi sa creare, logico alla fine parteggiare per Silva che libera il mondo da un pericoloso delinquente. Tomas Milian è il vero protagonista della storia che ruba la scena a un commissario come Silva privo delle connotazioni fisiche per competere.  Perfetta la sua interpretazione di un antieroe repellente e amorale che vive ai margini della società e che non è integrato neppure nella malavita. Si tratta di un bel film di genere che descrive la realtà di un’epoca utilizzando anche la colonna sonora di Ennio Morricone che da sola vale la visione della pellicola. Mereghetti, solitamente restio a parlar bene del cinema di genere, concede la bellezza di due stelle e mezzo a quest’opera fondamentale del poliziottesco. Va da sé che sul tema di Milano violenta in questo stesso periodo viene prodotto un tale numero di pellicole che la sola elencazione richiederebbe un intero capitolo.

(3/1 – continua)

Gordiano Lupi