UN CANNIBALE DI NOME DEODATO: IL CINEMA THRILLER – HORROR DI UN REGISTA AMERICANO 02 – PARTE 01

Capitolo Secondo – Parte 01

I maestri di Deodato

Ruggero Deodato inizia la sua carriera nel segno del neorealismo e nelle vesti di assistente alla regia di Roberto Rossellini partecipa alla lavorazione di pellicole come Il generale della Rovere, Era notte a Roma, Viva l’Italia e Anima nera. La scuola è delle migliori. Roberto Rossellini fa parte del grande cinema neorealista, quello che è sempre piaciuto ai critici importanti che storcono la bocca quando al cinema vedono pellicole non impegnate. Ma se andiamo dietro al pensiero di Paolo Mereghetti ci accorgiamo che il Rossellini con cui collabora il giovane Deodato non è più il grande regista ispirato di Roma città aperta (1945), Paisà (1946) o Francesco giullare di Dio (1950). Per Mereghetti (e in parte ci sentiamo di condividere questa impostazione) siamo in presenza di un Rossellini che ha ormai tirato i remi in barca e fa soltanto film su commissione, didattici e moralistici. Non dimentichiamo però che nel 1963 Rossellini consegna alla storia del cinema uno splendido episodio nel film Ro.Go.Pa.G.-Laviamoci il cervello, una pietra miliare del cinema impegnato…

Dei quattro lavori Il generale della Rovere è quello che piace di più al critico milanese, affascinato dal modo in cui nella prima parte Rossellini descrive la miseria morale e materiale delle città italiane abbattute dal conflitto, ma condanna la seconda parte di ambientazione carceraria per gli eccessi di retorica. Mereghetti bolla Il generale della Rovere con l’etichetta di cinema su commissione che si riscatta solo per merito del talento di un grande attore come De Sica. La pellicola vinse comunque il Leone d’Oro a Venezia nel 1959 (ex aequo con La grande guerra di Mario Monicelli) e si aggiudicò il Nastro d’Argento per la miglior regia.

Deodato era quinto assistente alla regia ne Il generale della Rovere.

Viva l’Italia invece è definito dal Mereghetti un film agiografico da centenario sulla spedizione dei Mille e i pochi tocchi realistici come gli acciacchi di Garibaldi non bastano a salvare un film puramente celebrativo.

Era notte a Roma peggio che mai: film moraleggiante diretto da un Rossellini ormai stanco di fare cinema tradizionale.

La penna al vetriolo di Mereghetti conclude accanendosi pure su Anima nera: film su commissione diretto per pure ragioni alimentari (sic!) … lo stile naturalistico del testo non ha niente a che vedere con l’idea rosselliniana di cinema.

In ogni caso, anche se accettiamo l’idea del grande regista sul viale del tramonto, il maestro di Ruggero Deodato era pur sempre Roberto Rossellini e la frequentazione della sua bottega non può che avergli giovato a livello di apprendimento tecnico. L’ispirazione si può anche perdere, i temi possono logorarsi, ma la perizia artigianale si affina con il tempo e si può trasmettere agli allievi più ricettivi. Sono le idee che non si possono insegnare, se un autore non ne possiede di originali il maestro può fare poco. L’esperienza con Rossellini fruttò al giovane Deodato molte richieste sul mercato e lui le sfruttò al meglio anche perché voleva imparare bene i trucchi del mestiere. La bottega di Rossellini era un ambiente stimolante, ma il grande regista non lasciava molta libertà ai collaboratori, era un accentratore. Invece nelle produzioni più piccole era più facile interagire con il cast e il resto del personale.

“Con Rossellini non era facile imparare la tecnica” ha detto Deodato “c’era così tanta gente sul set  e io me ne stavo seduto a trecento metri dalla macchina da presa e non capivo niente delle luci, di come si guidano gli attori, della fotografia…”.

Deodato in pochi anni collezionò un’impressionante elenco di credits collaborando con noti registi. Frequentò il set di Carlo Ludovico Bragaglia, autore di pellicole mitologiche e avventurose come: Gli amori di Ercole (1960), Le vergini di Roma (1961), Ursus nella valle dei leoni (1962) e I quattro moschettieri (1963). Fu assistente alla regia in Ursus nella valle dei leoni (che il solito Mereghetti definisce un film senza vigore) e questa esperienza gli è servita quando ha dovuto girare insieme a Margheriti Ursus, il terrore dei Kirghisi. Bragaglia  era un gran maestro soprattutto in materia di commedia (aveva girato molti film con Totò tra cui il famoso Totò le Mokò nel 1949), sperimentando pure mitologico e avventuroso.

Un altro maestro di grande spessore è Mauro Bolognini che introduce il giovane regista ai film storici e di costume con Madamigella di Maupin (1966) interpretato da un cast interessante: Catherine Spaak, Robert Hossein, Ottavia Piccolo e Tomas Milian. Il film è tratto dal romanzo di Théophile Gautier, ma per Mereghetti è l’opera di un Bolognini minore, malizioso e decorativo. Anche in L’amore attraverso i secoli (1967) Deodato si trova a collaborare con Bolognini per l’episodio Notti romane con Elsa Martinelli e Gastone Moschin, sceneggiato da Ennio Flaiano. Altra opera minore del regista, dice Mereghetti. Ai nostri fini non interessa più di tanto approfondire la questione. Resta il fatto che la frequentazione della bottega di Bolognini ha giovato di sicuro alla formazione di Deodato.

Sergio Corbucci invece guidò Deodato alla scoperta del peplum e del western all’italiana e anche qui Mereghetti stronca senza pietà molte pellicole. Il figlio di Spartacus come sequel apocrifo del capolavoro di Stanley Kubrick era difficile che reggesse il confronto con il primo film, tra l’altro molto più rispettoso della verità storica. La trama è un capolavoro di fantasia: un centurione romano in Lidia guida la ribellione degli schiavi contro Crasso e alla fine scopre di essere il figlio di Spartacus. Per me, giovane spettatore del tempo, il film è divertente e spettacolare, oltre tutto ben recitato. Per Mereghetti è un lavoro ingenuo che manipola la storia. Pare che per i nostri inflessibili critici soltanto gli americani possano farsi beffe della verità storica, come nel caso de Il Gladiatore. Ma anche la commedia era uno schema narrativo usuale a Corbucci e Gli onorevoli è un film a episodi che raccoglie il meglio della comicità italiana anni Sessanta (Totò, Peppino De Filippo, Gino Cervi, Franca Valeri, Walter Chiari, Luciano Salce…). L’episodio memorabile è quello che vede Totò nei panni del monarchico Antonio La Trippa, un onorevole trombato alle elezioni. Nonostante tutto per Mereghetti anche questa pellicola è modesta e strappa al massimo qualche sorriso stiracchiato, sfociando nel qualunquismo. Troppo duro, come sempre. Il tormentone di Totò con Vota Antò… vota Antò… vota Antò è di quelli che non si scordano. Sempre in tema di commedia troviamo Deodato assistente di Sergio Corbucci in altre due pellicole importanti che vedono protagonista il grande Totò: Lo smemorato di Collegno e Il monaco di Monza. Fanno parte del cast di entrambe le pellicole anche Erminio Macario e Nino Taranto: comicità piemontese e napoletana a braccetto per costruire due farse dai contenuti spesso irresistibili. Lo smemorato di Collegno è la storia di un reduce di guerra (Totò) che si barrica in un gabinetto pubblico esigendo dallo Stato un’identità. Da qui ne conseguono situazioni comiche a non finire. Mereghetti definisce il film: un Totò minore che patisce una regia priva di invenzioni. Ne Il monaco di Monza  troviamo anche due giovani cantanti come  Adriano Celentano e Don Backy che ballano il rock in saio cantando La carità. Il cast è nutrito di ottimi attori: Moira Orfei, Jimmy il Fenomeno, Gino Santercole, Lisa Gastoni, Fiorenzo Fiorentini e Carlo Delle Piane. In breve la storia: Totò e Macario si fingono frati e finiscono nel castello del signorotto Egidio (Nino Taranto) che tiene prigioniera la nipote (Lisa Gastoni) per costringerla a sposarlo. Una messa in ridicolo del personaggio di Gertrude, la monaca di Monza di manzoniana memoria, che aveva dato luogo sino ad allora solo a trasposizioni cinematografiche di tenore drammatico. Per Mereghetti si tratta di una parodia abbastanza scontata ma riconosce che è infarcita di giochi di parole irresistibili, fatti apposta per un attore come Totò (un solo esempio: Sono un vero monaco: guardi sulla guida Monaci!). Da dimenticare invece il minore Totò sexy che fu girato utilizzando gli scarti di Totò di notte n.1.

Ruggero Deodato è stato assistente anche in alcuni spaghetti western di Sergio Corbucci. Ricordiamo Navajo Joe e soprattutto Django che ha dato il via a una vera e propria serie di film basati su questo personaggio, girati da registi diversi e con attori che cambiavano di volta in volta. In Navajo Joe (coproduzione italo-spagnola) protagonista è Burt Reynolds nei panni di un indiano che cerca di fermare un crudele meticcio. Il risultato è un western all’italiana che ha il merito di fare una scelta dalla parte dei pellerossa. Mereghetti lo demolisce definendolo una vicenda inverosimile con psicologie dei personaggi inesistenti e dialoghi che rasentano il delirio. L’altra pellicola è memorabile per la mia generazione di cinefili, perché nessuno di noi nati nei primi anni Sessanta ha potuto fare a meno di vedere il primo film di Django (che significa Nero), ma anche tutti i succesivi – apocrifi o meno che c’importava? -  e persino i Sartana, gli Alleluja, i Provvidenza e altri improbabili personaggi. Li proiettavano in sale di seconda visione, di periferia, tra ragazzini che gridavano, mangiavano semi e noccioline, di tanto in tanto duri alla menta e pistacchi, ma soprattutto si entusiasmavano per poco. Hanno segnato un epoca i film western di serie B e C. Molti non erano capolavori ma li ricordiamo lo stesso con affetto. Il primo Django, quello vero e irripetibile al quale si è ispirato Tarantino per il suo piccolo capolavoro contemporaneo, vede Franco Nero nei panni di un pistolero che gira trascinandosi una bara dove vuole seppellire gli assassini della moglie. Caratteristica del film è l’eccesso di violenza e le scene di sadismo sono simili a quelle che ritroveremo nelle pellicole di Deodato. E poi in questo film la mano di Deodato si nota pesantemente. Fu lui a terminare la pellicola e a girare tutta la parte realizzata in Spagna, come è stato merito suo la scelta di Franco Nero (che aveva già lavorato con la coppia Deodato-Margheriti in alcuni telefilm di fantascienza) come interprete.

Django fu un successo internazionale e dette il via a quattro sequel che però non videro Franco Nero nei panni del pistolero. Furono pellicole non eccezionali. Citiamo i tre film italiani: Django spara per primo di Alberto De Martino nel 1967, Django il bastardo di Sergio Garrone nel 1969, Django sfida Sartana di Pasquale Squitieri nel 1970. Lo spagnolo era Django cacciatore di taglie girato da Leon Klimowsky nel 1968. Franco Nero tornerà nei panni del Nero solo nel 1987 con il pessimo Django 2 – il grande ritorno, film infarcito di luoghi comuni sul West, ormai fuori epoca. Da notare che nel film di Tarantino recita un cameo delizioso nella parte di se stesso.

Per concludere il capitolo sui western girati come aiuto di Sergio Corbucci diciamo qualcosa anche su I crudeli, che si caratterizza per gli eccessi di violenza spesso gratuiti. Una storia che è soltanto un pretesto per esibire stupri e uccisioni a sangue freddo in un crescendo di sangue che non ha precedenti nel cinema western. La frase di lancio diceva tutto: “Un western che supera ogni immaginazione, più spietato, più violento, più spettacolare”.

(2/1 – continua)

Gordiano Lupi