IL CINEMA SECONDO DI LEO – TRA EROTISMO PERVERSO E NOIR PRE TARANTINO 06

IL CINEMA SECONDO DI LEO

Leggo alcune interviste rilasciate da di Leo prima di morire e soprattutto una è interessante, perché spiega a fondo il rapporto il regista pugliese e il cinema. L’ha realizzata Lorenzo Letizia il 19 dicembre 2004 ed è stata pubblicata integralmente nel volume due di Città violente edito da Profondo Rosso. Di Leo si riteneva a ragione uno dei padri del western all’italiana e fa un po’ sensazione non sentire rammentare il suo nome durante i commenti alla retrospettiva sullo spaghetti western che ha avuto luogo a Venezia nel 2007. La responsabilità è tutta degli organizzatori, credo. Di Leo afferma che il western all’italiana muore per colpa dei produttori che manifestano disprezzo per il pubblico quando decidono di non cercare soggetti interessanti, ma chiedere agli sceneggiatori solo morti e violenza. Per di Leo è Leone che ha inventato uno stile narrativo western, ha creato una scuola di registi e ha permesso al western italiano di diventare celebre nel mondo. Leone possedeva grande carisma sul set ed era capace di creare un cinema rallentato, dilatando a dismisura le dinamiche narrative, ma al tempo stesso era un mago dei tempi che sapeva controllare da maestro. Nessuno come Leone ha saputo gestire bene i rapporti tensione – distensione e nessuno meglio di lui ha saputo raccontare storie western per immagini.

Di Leo ama registi italiani come Gianni Amelio, Mario Martone e Giuseppe Tornatore. Secondo lui è Amelio il più bravo in assoluto perché ha uno stile tipico da cinema italiano, mentre Martone è più sperimentale, dotato di uno stile secco e rivoluzionario. Può sembrare strano ma di Leo ama molto un film come Morte di un matematico napoletano (1992) e persino L’amore molesto (1995). Tornatore, invece, ha uno stile antico, anni Cinquanta, ma è dotato di tecnica sopraffina. Di Leo ritiene Salvatores un regista sopravvalutato, piuttosto discontinuo, capace di fare cose buone come Mediterraneo (1991), ma anche pessime come Nirvana (1997).

Fernando di Leo si ispira al cinema americano classico. I suoi modelli sono Nicholas Ray, John Houston, Robert Siodmak, mentre è meno affascinato da registi come William Wyler e Billy Wilder perché troppo colti per uno che ama i vecchi film americani, belli perché semplici. La più grande passione cinematografica del regista pugliese resta Jean-Pierre Melville, il solo regista di noir che riesce a dare una moralità al bandito, un innovatore del genere, anche se in pochi se ne sono accorti. Il regista pugliese afferma che la sua ispirazione di autore deriva anche dal cinema francese di Jean Renoir, Marcel Carné, Julien Duvivier, Georges-Henri Clouzot, fino a Francois Truffaut e Jean-Luc Godard, che ha stravolto il linguaggio cinematografico. Ama molto i registi europei degli anni Venti e Trenta che sono emigrati a Holliwood: Josef Von Sternberg, Ernest Lubitsch e Fritz Lang. Tra gli italiani preferisce Federico Fellini, Luchino Visconti e Michelangelo Antonioni. Secondo di Leo il maestro dei tempi cinematografici è senza dubbio Alfred Hitchcock ed è naturale ispirarsi a un esempio così grande. Il regista pugliese sostiene che è impossibile eguagliare un simile genio, ma che il suo obiettivo è sempre stato quello di creare un’attesa più o meno lunga nello spettatore. Il cinema è soprattutto ritmo.

Di Leo conosce a fondo il linguaggio cinematografico, sospende le azioni, ritarda gli eventi traumatici, precede le citazioni violente con sequenze lente e riflessive. In altri casi utilizza l’esperimento tecnico di effettuare numerose inquadrature al secondo, cercando di sconvolgere lo spettatore. Di Leo non usa i meccanismi e gli stereotipi del poliziesco, non fa mai cinema consolatorio, evita di creare personaggi – caricatura e di cadere nei cliché del genere. Gira film noir e sono cosa ben diversa dal poliziesco. I suoi personaggi sono ambigui, complessi, mai totalmente buoni e cattivi, realistici, pieni di sfaccettature caratteriali. Di Leo preferisce finali tragici sconvolgenti al lieto fine, perché non ama tutto quello che nel cinema sa di contraffatto e di poco affine alla realtà che ci circonda. Basta citare i finali de La bestia uccide a sangue freddo, Avere vent’anni e La seduzione per avere una prova. Di Leo parla di tradimento, corruzione, paura della morte, cose che appartengono al quotidiano. Quando comincia a girare un film ha le idee chiare su tutto, va sul set con le inquadrature già pronte in testa e non improvvisa niente. Gli attori hanno poco spazio per inserire connotazioni personali, perché di Leo ha già deciso, difficilmente si lascia convincere e modificare un’idea. Gira poche volte le sequenze dei film e se non ci sono errori evidenti sceglie i primi ciak che reputa più veri e sinceri. Di Leo è un regista veloce che in sei – sette settimane realizza un film, addirittura per il modesto La bestia uccide a sangue freddo ne impiega soltanto tre. Uno dei segreti per tanta rapidità è che utilizza più macchine da presa contemporaneamente. Di Leo preferisce ambientare le pellicole in ambienti esterni realistici e ricorre ai teatri di posa solo in casi di necessità.

Secondo lui gli attori italiani peccano spesso di scarsa professionalità e amano improvvisare. Gli statunitensi, invece, hanno una scuola basata sul metodo Stransberg – Stanislavski e preparano a fondo il personaggio. Di Leo apprezza molto Henry Silva, un attore che avrebbe le qualità e le attitudini fisiche di Charles Bronson, ma non riesce a diventare una stella. Silva resta confinato nel cinema minore e lavora nel cinema di genere italiano, soprattutto per interpretare ruoli da cattivo nei film polizieschi. Di Leo lavora con attori come Lee J. Cobb, Klaus Kinski, Jack Palance, Martin Balsam, James Mason, Barbara Bouchet, Joe Dallesandro, Ursula Andress, Valentina Cortese, Gastone Moschin e Mario Adorf. Si trova molto bene e non litiga quasi mai con gli attori, riesce persino ad andare d’accordo con l’intrattabile Kinski. Di Leo è un decisionista autoritario e sul set impone sempre all’attore la sua visione del personaggio.

Nei suoi film noir la musica ha un ruolo importante, crea un’atmosfera di tensione e prepara le scene di morte. Per ben dieci film lavora con Luis Enrique Bacalov, un ottimo musicista che arricchisce le pellicole con magnifiche partiture. Ricordiamo tra tutte le colonne sonore il capolavoro di tensione che riesce a realizzare la musica di Milano calibro 9.

Fernando di Leo non si ritiene un artista, ma è consapevole di aver realizzato alcuni film di grande valore come Il boss, La mala ordina e Milano calibro 9. Anticipa i tempi e si occupa di Milano come capitale del crimine, parla di connessioni tra mafia e politica e realizza una Trilogia della mala stilisticamente ineccepibile. Secondo di Leo, il regista è un professionista capace di raccontare per immagini, organizzare la narrazione, creare un ritmo interno al racconto e gestire la troupe. Lui si ritiene un regista fortunato perché dopo il successo di Brucia ragazzo brucia diventa produttore di quasi tutti i suoi film. Non gira mai pellicole contro voglia o su commissione e non rinnega neppure La bestia uccide a sangue freddo, uno dei film che ama meno, scritto e realizzato per fare un favore a un amico. Di Leo reputa tra i suoi film migliori l’intera Trilogia della mala, La seduzione, Il poliziotto è marcio e I padroni della città.

Il regista pugliese lavora anche a un serial televisivo che non è stato mai trasmesso per guai produttivi e si trova piuttosto bene. Non ritiene che per il lavoro del regista tra cinema e televisione ci sia una grande differenza di linguaggio tecnico. A un certo punto della sua vita la situazione familiare gli impone di smettere di girare film. La sua compagna si ammala di cancro e lui preferisce starle accanto. Nel 1998 viene contattato dalla televisione per girare un serial a imitazione di X-Files con titolo provvisorio Chi ci cammina accanto?, ma il progetto viene abbandonato.

Il di Leo degli ultimi anni è soprattutto un romanziere erotico che scrive storie di donne con protagonisti femminili. Il suo stile narrativo è diretto, da sceneggiatura, ci sono poche descrizioni e molta attenzione alla psicologia dei personaggi. La sua narrativa è una continuazione diretta del lavoro cinematografico e racconta per immagini storie di donne tormentate.

(6 – continua)

Gordiano Lupi