LA MUMMIA NEL MODERNO CINEMA HORROR

Icona tra le più importanti della cinematografia horror degli anni Trenta e Quaranta, confermata tra la fine dei Cinquanta e i Sessanta, quando la Hammer decise di riproporre i mostri della Universal, nei tempi più recenti la Mummia ha sicuramente perso il suo ruolo, diventando spesso un personaggio di contorno, probabilmente perché la storia era già stata abbondantemente sfruttata e non era possibile inventare variazioni significative.

Il paradigma era dato da La Mummia di Karl Freund del 1932, con un indimenticabile Boris Karloff, dove per caso, leggendo una formula su un papiro, un egittologo riporta in vita il sacerdote Imhotep, che poi sotto la falsa identità di Ardath Bey tenterà a sua volta di far rivivere la sua amata Anck-Su-Namun sacrificando la fidanzata di un archeologo che con quella ha una straordinaria somiglianza.

Su questa falsariga ci sono stati seguiti, riedizioni (da segnalare quella di Terence Fisher del 1959, con Peter Cushing e un Christopher Lee che non fa rimpiangere Karloff), parodie e imitazioni, ma la storia è rimasta sostanzialmente la stessa e il personaggio ha quindi perso la sua attrattiva, anche perché probabilmente negli anni successivi la sua valenza è stata incarnata dallo zombi, che in effetti possiede la stessa caratteristica di essere un morto in qualche modo resuscitato ma non è legato all’Egitto e sul quale quindi si possono costruire trame più originali e varie.

Così i film nei quali la mummia gioca una funzione centrale sono veramente pochissimi dagli anni Settanta in poi; tra questi c’è Alla 39ª eclisse di Mike Newell del 1979, basato su un romanzo minore di Bram Stoker, Il gioiello delle sette stelle (1903), che già aveva ispirato nel 1971 Exorcismus – Cleo, la dea dell’amore di Seth Holt & Michael Carreras. Questa volta la mummia non è di un uomo ma della malvagia regina Ka-Ra, e non si risveglia fisicamente ma si impossessa della coscienza dell’archeologo suo scopritore per costringerlo ad operare un rito che le permetterà di risorgere nel corpo della di lui figlia. Il ritmo è un po’ lento e i tragici accadimenti che si verificano via via non sembrano di origine soprannaturale ma quasi delle coincidenze, ma la sceneggiatura è solida e il film possiede un suo fascino esotico con punti di forza nella ricostruzione storica e nell’ambientazione (è girato veramente in Egitto), mentre è solo sfiorato l’aspetto erotico, che adombra un rapporto incestuoso tra padre e figlia. Buona la recitazione di Charlton Heston e Susanne York, che nel finale perdono la loro identità per rivivere quanto era accaduto nell’antico Egitto. Il romanzo di Stoker ha poi originato il mediocre La tomba di Fred Olen Ray (1986), dove il motivo della vendetta del demone Nefratis (che per perseguirla si incarna in un’avvenente fanciulla, con conseguenti scene sexy) è la profanazione della sua tomba, e Bram Stoker’s Legend of the Mummy di Jeffrey Obrow (1998) che non è stato importato in Italia sebbene più interessante del precedente e più aderente al romanzo.

Benché di co-produzione italiana non è stato distribuito nelle sale (ma circola sottotitolato su internet) nemmeno Dawn of the mummy di Frank Agrama (1981), film talmente ridicolo – le mummie somigliano di più agli zombi di Lucio Fulci – che forse non avrebbe meritato nemmeno la citazione del solo titolo.

Di un altro livello – almeno siamo nel campo della produzione per sala – è Talos – L’ombra del faraone diretto da Russell Mulcahy nel 1998, con la solita storia della tomba violata e della mummia del principe Talos che per tornare completamente in vita ha bisogno di alcuni organi che recupera dai profanatori, ma anche qui il regista di Highlander non convince appieno e restiamo su una valutazione appena sufficiente.

Va molto peggio con La tomba di Bruno Mattei (2004), che scopiazza malamente film celebri rubandone anche delle sequenze in una vicenda di ambientazione centroamericana (in effetti la civiltà Maya usava la mummificazione), e altrettanto possiamo dire di 7 mummies di Nick Quested (2006), ambientato nel deserto ai confini del Messico, un weird western in cui sette frati gesuiti mummificati risalenti a cinquecento anni fa (!) difendono sanguinosamente un tesoro dall’avidità di un gruppo di banditi.

Intanto l’anno prima c’era stato il (poco) più interessante Legion of the Dead diretto da Paul Bales, anche questo un direct-to-video a basso costo ma che almeno non cade nel ridicolo, con di nuovo una regina egiziana di nome Aneh-Tet incautamente risvegliata dai soliti egittologi.

Si sarà notato dagli accenni delle trame che alcuni di questi film più che storie del terrore sono al confine con l’avventura e il fantasy, ed è proprio in quest’ambito che si situa la trilogia costituita da La mummia del 1999, La mummia – Il ritorno del 2001 (scritti e diretti da Stephen Sommers) e La mummia – La tomba dell’Imperatore Dragone di Rob Cohen (2008), sebbene il primo fosse stato classificato ufficialmente come il remake del celebre La Mummia del 1932 e riprenda il nome, Imhotep, del protagonista. In tutti e tre i film si parte dal ritrovamento da un manufatto egizio (nel primo c’è la consueta scoperta e quindi profanazione di una sepoltura segreta, della quale conosciamo la vicenda dal prologo) che scatena gli spiriti vendicativi degli antichi abitanti del Nilo, per proseguire poi con una serie di viaggi, fughe e incontri pericolosi. Film divertenti e spensierati ma non c’è un briciolo di paura, siamo più dalle parti del fantasy storico o dell’avventura esotica alla Indiana Jones.

Stessa cosa possiamo dire di Adèle e l’enigma del faraone del 2010, kolossal di Luc Besson non ripagato dal botteghino, tratto da un fumetto di Jacques Tardi risalente agli anni Settanta (parzialmente tradotto in italiano in Le straordinarie avventure di Adèle Blanc-sec). Anche qui la trama è complessa e sfiora lo steampunk con uno pterodattilo fatto rivivere e che porta scompiglio nella Parigi del 1911, non manca la mummia ritrovata in un sepolcro egiziano che poi va a fare compagnia a quelle già conservate nel Louvre, ma siamo sempre nel campo dell’avventura senza nessun appiglio all’horror.

Torniamo invece nell’horror più classico con un paio di film che però non vedono la mummia quale vero o unico protagonista, sono dei pastiche che coinvolgono più personaggi assieme, ripetendo la moda inaugurata dalla Universal nel 1945 con La casa degli orrori di Erle C. Kenton, che vedeva insieme Dracula, la Creatura di Frankenstein e L’Uomo Lupo. In Scuola di mostri del 1987, diretto da Fred Dekker, a questi tre si aggiunge (oltre che, solo all’inizio, il Mostro della Laguna Nera) appunto la Mummia che però ha una particina e compare in una sola scena, dissolvendosi dopo che la sua benda rimane impigliata e si srotola. Film senza pretese per un pubblico di adolescenti (i protagonisti sono infatti quattro ragazzi appassionati di storie del terrore che si trovano a combattere con i mostri veri), ma citazionista e garbato, anche con delle sequenze molto indovinate, è una specie di omaggio ai personaggi e alle trame appunto della Universal, forse oggi datato e inadatto a quello stesso pubblico che nel frattempo si è abituato a ben altro. Il secondo è Waxwork – Benvenuti al museo delle cere di Anthony Hickox dell’anno successivo, che rispetto a questi tipi di film in cui i vari episodi sono in genere slegati o messi insieme in maniera non molto coerente ha il vantaggio della unitarietà. La trama vede infatti la visita notturna di quattro ragazzi in un museo delle cere molto particolare, perché accostandosi alle varie statue i protagonisti finiscono per entrare nella dimensione relativa, finendo quindi o vampirizzati, o cacciati dagli zombi, o vittima del Fantasma dell’Opera, o cacciati da una mummia in un sarcofago egiziano (nella parte che più ci interessa). Il film non è particolarmente spaventoso anche se mantiene la suspence ed ha qualche scena raggelante, né è particolarmente divertente anche se c’è qualche scena comica, aspetto che sarà enfatizzato nel seguito Waxwork 2 – Bentornati al museo delle cere del 1991 (stesso regista/autore), che proprio per aver spinto sul lato comico risulta inferiore.

Alla fine, il film migliore sul tema della mummia degli ultimi quaranta anni sembra essere Bubba Ho-Tep di Don Coscarelli (2003), veramente un piccolo gioiello con una regia che riesce a esaltare una trama già in partenza intrigante, tratta fedelmente dall’omonimo romanzo breve di Joe Lansdale del 2002. Siamo in una casa di riposo per anziani, in una cittadina del Texas, e qui tra gli altri pensionanti troviamo niente di meno che Elvis Presley, che non è morto perché al culmine della sua notorietà, stufo dell’ambiente, si era scambiato con un suo imitatore, tale Sebastian Haff, appunto lui a morire nel 1977. Naturalmente nessuno gli crede, come lui non crede al suo amico Jack il quale è convinto, pur essendo nero, di essere John Kennedy e di essere continuamente minacciato da qualcuno che vuole sopprimerlo, magari Fidel Castro o Lyndon Johnson. Fatto sta che nell’ospizio si verificano delle morti strane, alle quali il personale non dà peso considerando l’età dei degenti, ma che Jack e Elvis prendono sul serio, anche perché loro stessi sono stati oggetto di aggressioni. I due vecchietti scoprono così che il “Riposo ombroso” è terreno di caccia di una mummia egiziana, anni prima caduta in un vicino fiume nel camion che la trasportava in giro per musei e conferenze e misteriosamente risvegliatasi. Per vivere, il cadavere imbalsamato, assurdamente vestito da cow boy, deve succhiare l’anima (non diciamo da dove!) di una persona vivente, e gli ospiti anche se hanno un’anima debole a causa dell’età avanzata sono una preda facile. Una commedia macabra, con una grande interpretazione di Bruce Campbell nel ruolo di un Elvis Presley che continuamente rivanga il passato, e una regia che utilizza splendidamente tutti i trucchi del mestiere – lunghe carrellate nei corridoi dell’ospizio, fulminei flashback, inquadrature con angolazione particolare – riuscendo a costruire un’atmosfera che coinvolge lo spettatore e in qualche caso lo fa saltare sulla sedia.

Gian Filippo Pizzo

Articolo tratto dalla “Guida al cinema horror” di Walter Catalano, Roberto Chiavini, Gian Filippo Pizzo e Michele Tetro, Edizioni Odoya