DAVI DE OLIVEIRA PINHEIRO

Nato nel 1979 a Porto Alegre, in Brasile, Davi de Oliveira Pinheiro è regista, scrittore e produttore di corti e lungometraggi. Tra le altre cose ha prodotto la serie “Boundaries of Thought” con, tra i tanti, Peter Greenaway, Michel Houellebecq e Pierre Levy, e i cinque episodi della serie on-line “Think Thank” con David Lynch, Wim Wenders, José Padilha e molti altri. Davi ha anche scritto e diretto l’episodio “The Soul Detective” con Lynch, mentre recentemente ha  debuttato alla regia di un lungometraggio con “Beyond the grave”, selezionato anche per il “Chicago Latino Film Fetival”. Abbiamo avuto il piacere di intervistare Davi per voi: ecco cosa ci ha raccontato.

PENSO CHE SI POSSA PARTIRE DALL’INIZIO: CHI E’ DAVI DE OLIVEIRA PINHEIRO?

Difficile prima domanda. Sto ancora cercando una definizione. Spero di vivere la mia vita pienamente, così il dubbio ci sarà sempre. Lasciami dire che sono un regista grasso e calvo nei suoi primi trent’anni che nella vita vuole realizzare qualcosa di molto personale e film si spera piacevoli. Ho l’ambizione di portare qualche visione realmente fantastica sullo schermo, ma nel frattempo sto affinando le mie capacità con alcuni nuovi cortometraggi. Diciamo che in questo momento io sono questo: i film che sto facendo.

COME HAI COMINCIATO A FARE CINEMA?

Su invito di Paulo E. Miranda, il regista del corto di fantascienza “Numero 19”: ho partecipato alle fasi finali del suo secondo cortometraggio “Ex Inferis”, insieme a lui e a Jay Woelfel. Anche se non posso prendermi molti meriti, “Ex Inferis” è un film speciale, molto unico e creativo. Ero molto reticente in un primo momento. Credo di essere stato di mentalità molto stretta a quel tempo, ma Paulo diresse il film con un gusto unico per la fantasia che oggi mi ispira moltissimo.Questa prima partnership mi condusse a qualche sceneggiatura non filmata e a sviluppi che diedero inizio ad anni di scrittura che mi portarono a una breve commedia e a una serie comica. Dopo di che, ho iniziato a produrre documentari e in seguito ho spostato la mia attenzione verso il mondo del cinema di genere.

VUOI PARLARCI DEI TUOI PRECEDENTI LAVORI?

Come scrittore e produttore ho lavorato con registi molto differenti con diversi risultati. E’ stata un’esperienza di apprendimento e tramite questo mi sono fatto un’idea molto chiara del tipo di regia che volevo fare. Ho fatto un piccolo corto, in un giorno, con 18 dollari intitolato “The Combat”. Era una battaglia mentale telepatica, con l’utilizzo delle fotografie degli attori, come se fossero i loro ricordi a combattere contro di loro. Ho cercato di trovare qualcosa che fosse assolutamente cinematico senza compromettere la narrativa classica. E’ stata una sorta di esperimento curioso che ha fatto da modello al modo che ho di vedere il cinema. Dopo quello ho diretto solo un cortometraggio, intitolato “The Soul Detective”. Stavo provando a fare ancora un esperimento con l’investigazione psichica. La telepatia è un’idea che mi affascina. E in quanto grande fan di Alfred Bester, penso che non ne siano state esplorate pienamente le potenzialità nel cinema dai tempi di “Scanners” e “The Fury”. “The Soul Detective” si ambienta nel paesaggio della mente, con qualche uso molto sperimentale dello spazio e dei ritmi.

RECENTEMENTE HAI GIRATO IL LUNGOMETRAGGIO “BEYOND THE GRAVE”. VUOI PARLARCENE?

E’ il mio film più personale, in senso emozionale. Anche se il film in se stesso può sembrare qualcosa di freddo, per via del soggetto, contiene invece amore per l’umanità e il disprezzo per la nostra capacità di trovare il modo di cancellare le potenzialità nella vita. E’ stato un viaggio che ha cambiato la mia vita non solo in maniera finanziaria (è stato auto prodotto), ma mi ha mostrato chi sono come uomo e ha rimodellato il modo di vedere i miei rapporti di lavoro. Il film è stato molto più che un semplice film per me, una creatura che man mano che plasmavo, mi stava trasformando.

COME E’ NATA LA TRAMA?

Sono stato influenzato dall’arte alta e dall’arte bassa e da eventi che mi sono capitati nella vita. E’ stato sviluppato come semplice rielaborazione del film di George A. Romero adattato alla realtà brasiliana in un periodo di tre anni, ma il soggetto originale è stato riscritto per un tempo più breve per esigenze di produzione.

QUALI SONO STATE LE DIFFICOLTA’ CHE HAI INCONTRATO NELLA CREAZIONE DEI PERSONAGGI E DELL’AMBIENTAZIONE?

Più di tutto, i miei stessi limiti sono stati le sole difficoltà che ho dovuto affrontare. L’eccellente troupe e il cast hanno fatto del loro meglio per portare avanti la visione che avevo loro descritto, ma sentivo di non essere ancora allora il regista che volevo essere. Anche adesso non sono ancora il regista che voglio essere. Le più grandi difficoltà sono state cercare di spiegare qualche idea molto particolare riguardo a come esistessero l’atmosfera e il mondo costruito intorno agli attori. Quello che ho imparato è che la gente è molto tecnica e pensa in termini solidi molto più di me, così ho avuto bisogno qualche volta di pensare con esagerazione il realismo per spiegarlo o di chiedere loro di andare avanti e di fidarsi di me dei risultati. Nonostante ammiri molto le possibilità del CGI, ho un carattere meno fantasioso rispetto alla maggior parte con la tecnologia. Amo la realtà della location, amo l’idea del mondo esistente così come lo riprendo. Se si ha bisogno poi di valorizzarlo, bene, ma quando lo filmo sento che gli attori hanno bisogno di un mondo intorno a loro per viverlo, anche se le loro buffonate a volte non sembrano reali, reagiscono bene al luogo e alla realtà che li circonda e tutto ciò porta un’autenticità che è difficile da creare se lo stai facendo in uno studio.

IN QUESTI ANNI HAI SEMPRE AVUTO UNA PREDILEZIONE PER IL FANTASICO. CHE SIGNIFICATO HA PER TE QUESTA TEMATICA?

E’ un qualcosa che mi riesce naturale. Io inizio scrivendo storie che si suppone siano molto radicate nella realtà, che siano drammi o commedie personali e il fantastico subito fa capolino. E qualche volta in una maniera tale che non comprendo come non ci fosse prima, perché è così naturale e importante per quello che sarà il risultato finale. Ho lavorato per così tanto tempo a scrivere sceneggiature, che è facile per me fare quello che l’altra gente mi chiede per i loro progetti, ma nei miei progetti personali le cose sono differenti. C’è meno razionalità, meno struttura in quello che faccio. Anche se ci lavoro su, le cose tendono a uscire dalla scala di quello cui ho lavorato  piuttosto rapidamente e a diventare qualcosa che non era stato preparato. Ho la tendenza ad andare incontro alla mia irrazionalità, quando faccio le mie cose personali. Quando scrivo per altri registi, la razionalità è così legata alle emozioni e l’emozione legata alla struttura che mi sento di poter fare un lavoro più soddisfacente in quella che comunemente dovrebbe essere una sceneggiatura, mentre amo i rischi nello scrivere quando lo faccio per me stesso.

ORA UNA DOMANDA GENERALE. DOVE TROVI L’ISPIRAZIONE PER TUTTE LE TUE STORIE?

In quello che sono al momento. Il che significa, quello che leggo, quello che vedo, quello che sento, dove sto vivendo, chi sto amando, chi sto odiando, quello che provo, quello che sto pensando. E’ sempre un continuo processo dell’esistenza. Non so se ora sono veramente un narratore. Certamente lo ero prima di “Beyond the grave”. Ma poi mi è venuta l’ambizione di essere “costruttore di mondi”, che ha più a che fare con la pittura e l’architettura che non con la narrazione. E’ molto difficile trovare una definizione per quello che sto facendo ora nel mio lavoro, perché è una scoperta. Sono un lavoro in corso, non un progetto pienamente realizzato.

QUALI SONO I TUOI SCRITTORI PREFERITI?

Per cominciare J.G. Ballard, Alfred Bester e Ignácio de Loyola Brandão che mi sono molto cari, ma subito dopo ci sono Stephen King, James Joyce, Clive Barker, Isaac Asimov, H.P. Lovecraft, Caio Fernando Abreu, Philip K. Dick, David Mitchell, Graham Greene, Oscar Wilde, in semiologia Roland Barthes, in psicologia C.J. Jung, e in filosofia potresti pensare a un clichè perché sono un estimatore di Arthur Schopenhauer e Friedrich Nietzsche.

E I TUOI REGISTI PREFERITI?

Ecco alcuni dei miei preferiti: Sergio Leone, Terrence Malick, William Friedkin, Brian De Palma, Guilherme de Almeida Prado, Roberto Farias, Robert Bresson, Jacques Rivette, Alain Resnais, Nicholas Ray, Richard Stanley, Dario Argento, Jean Vigo, Ken Russel, F.W. Murnau, John Carpenter, Kenneth Lonergan, Rogério Sganzerla, Paul Thomas Anderson, Yasujirô Ozu, Masaki Kobayashi, Ettore Scola, Seijun Suzuki, Monte Hellman, Walter Hill, Paul Verhoeven, Kenji Mizogushi, Wim Wenders, Robert Altman, Werner Herzog, Tsui Hark, R.W. Fassbinder, Lucio Fulci, Sam Peckinpah, Bob Rafaelson e via di seguito. Molti di loro hanno lavorato così tanto affinché fare film diventasse un’arte. Non c’è carenza di talenti in questi cento anni e più di cinema ed è difficile scegliere dei preferiti. E poi, ce n’è qualche altro ancora da scoprire. Si tratta di registi ben ricordati dagli amanti del cinema, ma molte grandi cose si perdono e ce ne sono tanti che vorrei vedere e che ancora non sono riuscito.

E QUALI SONO I TUOI FILM PREFERITI?

“C’era una volta il West”, “Blow Out”, “Conan il barbaro”, “Grosso guaio a Chinatown”, “Mean Streets”, “Body Double”, “In a Lonely Place”, “Hiroshima, Mon Amour”, “Thunderbolt and Lightfoot”, “L’Atalante”, “A Hora Mágica”, “The American Friend”, “Magnolia”, “The Last Man”, “La belle noiseuse”, “Pra Frente, Brasil”, “Giovanna d’Arco”, “Stalker”, “Suspiria”, “O Bandido da Luz Vermelha”, “McCabe and Mrs. Miller”, “Five Easy Pieces” e “L’aldilà” sono quelli che mi vengono in mente. In queste ultime settimane “The Cabin in the Woods” di Drew Goddard e soprattutto “Margaret” di Kenneth Lonergan mi hanno fatto una buona impressione.

ULTIMA DOMANDA. CHE PROGETTI HAI PER IL FUTURO E QUALI SONO I TUOI SOGNI NEL CASSETTO?

Vivire il cinema. Essere una parte del cinema. Essere il cinema se la vita me lo consente. Dare un contributo all’arte del cinema in questa breve vita che ci viene data. Per essere più  pragmatico, completare i progetti a breve che sto facendo adesso e tornare in pista per un nuovo lavoro.

IN BOCCA AL LUPO ALLORA.

Davide Longoni