FRANCESCO ARGENTO, UN SOGNO DI SANGUE TRA PARAPSICOLOGIA E THRILLING ANNI ‘70

Nel 1975 esce nelle edicole per l’editore Campironi il thrilling “Un sogno di sangue” di tale Francesco Argento. In realtà si tratta della prima prova di un certo respiro del giovanissimo e sconosciuto Tiziano Sclavi. L’autore pavese omaggia il thrilling argentiano e, come acutamente notato da Daniele Bertusi, guarda anche ad alcuni film di allora, in particolare sembra ispirarsi a “Una lucertola con la pelle di donna” di Fulci (1971), a “I corpi presentano tracce di violenza carnale” di Martino (1973), e ancora a “L’occhio nel labirinto” di Caiano (1972) e a “Passi di danza su una lama di rasoio” di Pradeaux (1972), di cui riprende anche la parola nel titolo.

Tuttavia Sclavi sembra insistere nel testo – una serie di delitti ai danni di alcune studentesse liceali e un professore di matematica, tale Davide Calavera, che riesce ad avere delle “visioni” dei delitti; l’ambientazione poi è (a differenza di tanti romanzi da edicola di allora, penso ai tanti “KKK” o ai “Racconti di Dracula”) italiana, una nebbiosa Pavia in cui ardono gli ultimi fuochi della contestazione studentesca – sul tema del paranormale: le “visioni” del professore, la sua capacità di avere delle premonizioni sugli omicidi.

La cosa è assai interessante, soprattutto perché, proprio nel 1975, Dario Argento in “Profondo rosso” pare nutrire parecchi interessi verso il sottobosco dell’occulto di quegli anni. Anche il personaggio di Calavera rimanda infatti ai tanti sensitivi, paragnosti e veggenti di cui parlano Massimo Inardi o Leo Talamonti nei loro libri di grande successo (in particolare mi riferisco alle figure di Giovanni Battista Pagano, Gustavo Adolfo Rol e Bruno Lava, ritratti mirabilmente nel bel “Dimensioni sconosciute” dell’Inardi, SugarCo – 1978).

Altro motivo d’interesse: il linguaggio usato da Sclavi, una lingua che pare voler mimare le novità stilistiche del cinema argentiano e appare lontanissima da quella dei testi elaborati da Nanni Balestrini per la raccolta di “Profondo Thrilling” (Sonzogno – 1975), in cui venivano trasposti su carta, con una prosa abbastanza anonima, i primi tre film del regista romano; la lingua di Sclavi è altra anche rispetto alle valanghe di romanzi thrilling della collana dei “KKK” o di “FBI” e tantissime altre collane di allora. Il giovane autore di Broni utilizza uno sperimentalismo linguistico che ricerca la forza ellittica e visionaria del cinema, avvicinandosi inoltre alle strutture linguistiche di certa letteratura d’avanguardia del Gruppo ’63, in particolare per la volontà di frantumare la consequenzialità del plot e riducendo il testo a brevi e sincopati dialoghi, alternati da fulminanti descrizioni dal sapore iper-realista.

Un sogno di sangue” verrà ristampato, con lievissime varianti, da Camunia nel 1992, in un volume che raccoglierà altri testi brevi del primo Sclavi.

Notarella polemica

In modo succinto, avevo scritto quanto sopra, allegando, in un post su Instagram, alcune foto che riproducevano la copertina dell’edizione Campironi del 1975 e quella Camunia del ’92; inoltre avevo aggiunto, come colore al pezzo, due fotogrammi estratti da un raro cineromanzo thrilling “Rivelazioni di un maniaco sessuale al capo della squadra mobile”: una relativa all’omicidio sulla spiaggia di Femi Benussi, il secondo sempre legato a una delle morti, col maniaco nerovestito che brandiva un rasoio e stringeva una vittima in vestaglia (della donna si intravedevano appena i seni). Dopo pochi minuti il post è stato rimosso dalle menti di Instagram perché potenzialmente lesivo del pudore degli altri utenti.

“Del pudore degli altri utenti”?

La polizia politica di Zuckerberg ha colpito ancora! Verrebbe da dire che dopo Casa Pound tocca al povero e sconosciuto Davide Rosso. Mi vengono in mente le parole di Mattia Feltri nel suo “Buongiorno” su “la Stampa”: parlava della libertà di opinione, al fatto che serve semmai a tutelare specialmente le idee cattive, che a tutelare quelle buone sono capaci tutti. Ringrazio Mattia Feltri per l’abituale intelligenza e concludo senza troppe polemiche, chiedendomi semplicemente (la mia permanenza su Instagram è durata circa una settimana, mia prima e ultima volta coi social) quale pudore avrei offeso? Le immagini e il testo erano inserite in un contesto (una critica letteraria ragionata, pacata, verificabile nell’esattezza dei contenuti) mi verrebbe da dire “culturale”; da quel poco che ho potuto vedere, invece, su Instagram è un profluvio di culi, pettorali scolpiti e braccia tatuate all’inverosimile, persone senza alcun pudore che postano qualunque sconcezza relativa al proprio ego. Ecco, semmai, nel mio piccolo guscio underground, io mi sento offeso da questo. Purtuttavia non censurerei nessuno. Semplicemente disinstallerei l’applicazione. Come ho fatto!

Davide Rosso