FABIO ZANELLO E ANTONIO PETTIERRE

Autori della monografia dedicata a Paul Verhoeven, Fabio Zanello e Antonio Pettierre ci presentano questo interessantissimo saggio pubblicato da Falsopiano Editore, ci parlano del regista olandese e… vanno oltre.

CIAO FABIO, E’ DA UN PO’ CHE NON CI SENTIAMO: L’ULTIMA VOLTA AVEVI APPENA DATO ALLE STAMPE “FRONTIERS”, UN SAGGIO DEDICATO ALL’HORROR BELGA, ORA TI RITROVIAMO INVECE IMPEGNATO CON UNA MONOGRAFIA SU PAUL VERHOEVEN.

INIZIAMO PROPRIO DAL TUO PRECEDENTE LAVORO: COM’E’ ANDATA CON “FRONTIERS” E COME HA RISPOSTO IL PUBBLICO A QUESTO GENERE COSI’ POCO CONOSCIUTO?

F.Z.: Parlando della mia esperienza personale con Frontiers, posso dirti che il collettaneo è stato accolto positivamente sia dai cinefli che dai recensori, nonostante la sua indubbia specificità. Qualche appassionato di horror mi ha anche contattato, per avvisarmi che con questo volume, gli ho aperto lo sguardo su un nuovo universo cinematografico. L’editore è felice del riscontro, pertanto stiamo elaborando nuovi progetti da concretizzare insieme.

PENSI CI SIA ANCORA QUALCOSA DI SCRIVERE IN MERITO O LO RITIENI UN CAPITOLO CHIUSO?

F.Z.: Personalmente lo ritengo un capitolo in sospeso, un discorso da riprendere, perchè di recente è stato presentato il film Inexorable riscuotendo parecchi consensi al Noir in festival del belga Fabrice Du Welz, uno dei registi  analizzati in Frontiers pertanto mi pare che la fenomenologia della New French Extremity sia lungi dal deteriorarsi ma al contrario non abbia esaurito la sua spinta propulsiva.

E VENIAMO ADESSO ALLA TUA ULTIMA FATICA, “IL CINEMA DI PAUL VERHOEVEN”. ANZITUTTO, COME NASCE LA TUA PASSIONE PER QUESTO REGISTA E CHE SIGNIFICATO HA PER TE LA SUA PRODUZIONE CINEMATOGRAFICA?

F.Z.: Con le immagini di Verhoeven io e il curatore Antonio Pettierre abbiamo un rapporto solido e duraturo. Potrei raccontarti che il primo impatto fra me e il cinema del maestro olandese è avvenuto negli Ottanta, tramite i trailers televisivi di film come Spetters e Il quarto uomo, con immagini gravide di una certa carica eversiva, visionarietà, truculenza e blasfemia. E’  sufficiente anche solo visionare delle scene e non i film integralmente, per comprendere come lo sguardo verhoeveniano non sia omologato. Grandi successi commerciali nei Paesi Bassi e apprezzati qua da una ristretta cerchia, tanto che ho potuto recuperarli solo qualche anno dopo.  Poi c’è stata la svolta di Robocop (1987), che non solo ha incrementato la fama del regista e lo ha reso ancora più redditizio al botteghino, ma lo ha visto perfettamente a suo agio con i codici della fantascienza. Un film epocale per la mia generazione e la cultura cyberpunk. Per quanto concerne il resto della sua produzione  saranno sempre radicate nel mio immaginario altre sue opere come Showgirls, lapidato senza appello da parecchi ai tempi della distribuzione, Il quarto uomo, L’amore e il sangue, Fiore di carne, Black Book ed Elle. Anche l’ultimo e ancora inedito Benedetta mi ha segnato parecchio e in Francia è disponibile da poco il Blu-ray.

A.P.: Ho scoperto Verhoeven nel 1983 quando andai a vedere in sala “Il quarto uomo”. Non sapevo nulla del regista, ma già all’epoca mi interessavano i film di genere. Ne fui folgorato per l’originalità e per la protagonista femminile così provocatoria. Da allora inizia a seguirlo, tanto più che poco dopo si traferì negli Stati Uniti e i suoi film successivi vennero distribuiti regolarmente in Italia. I suoi film precedenti del periodo olandese li recuperai molti anni dopo. Mi ha sempre colpito il suo cinema provocatorio, la capacità di mettere in scena storie forti e allo stesso tempo con una grande attenzione al loro aspetto visivo, condite da una un’ironia che tracimava spesso nel sarcasmo. Il suo è un cinema con un’identità precisa e riconoscibilissima che me lo ha sempre fatto amare molto. Il suo cinema è tuttora contemporaneo, ha passato l’esame del tempo. È un classico esempio di cinema originale che mischia fonti culturali alte e popolari, il gusto visivo per la pittura classica e quella dei fumetti, la Storia con l’immaginario personale, il realismo con l’onirico. Diremmo postmoderno, se questo termine ormai è abusato, ma per Verhoeven è valido. Poi, questo suo gusto sfacciatamente Camp ed esplicitamente sessuale, senza alcuna pruderie, ma crudelmente reale.

PROVOCATORIO, IMPREVEDIBILE, ALLUCINATORIO, ORRORIFICO, SURREALE E A VOLTE BLASFEMO: IL CINEMA DI VERHOEVEN E’ PERMEATO DA UNA SESSUALITÀ MOLTEPLICE, VIOLENTA, MORTIFERA MAI COMPROMISSORIA O CATARTICA, DA UN CRUDO REALISMO E DALL’INTENZIONE DI FILMARE CONTROSTORIE IN OPPOSIZIONE ALLA STORIOGRAFIA UFFICIALE, TRAMITE UNO STILE CHE CONTAMINA UN PO’ TUTTI I GENERI: COME STUDIOSO, COSA PENSI DEL SUO STILE E CHE CONTRIBUTO RITIENI ABBIA DATO ALLA CINEMATOGRAFIA EUROPEA?

F.Z.: Ho tentato di dare già una risposta alla tua domanda nel mio saggio sul libro, dedicato alle donne mantidi nella trilogia neonoir del regista, composta da Il quarto uomo, Basic Instinct ed Elle. Posso inoltre aggiungere che Verhoeven non è solo abile a contaminare allegramente i generi più diversi (erotismo in primis, gotico, melodramma, surrealismo, thriller,  horror, etc.) Attraverso questi processi di ibridazione tesi a sovrapporre i codici stilistici e narrativi più disparati, Verhoeven è diventato nel cinema europeo l’ultimo baluardo per coloro che perseguono un audiovisivo morboso, estremo e trasgressivo per stigmatizzare le istituzioni come la borghesia, la Chiesa e la famiglia. Negli anni Settanta questa critica veniva perseguita da cineasti come i cari estinti Walerian Borowczyk e Andrzej Żuławski e oggi mi pare che Verhoeven sia l’unico ad aver metabolizzato la loro lezione.

A.P.: Come dicevo Verhoeven ha uno stile identificabile e personale. Vedi una qualsiasi sequenza di uno dei suoi film e la puoi riconoscere subito come sua. Possiede le qualità che hai elencato. In più ha avuto la capacità di portare una visione culturale europea incistandola all’interno della macchina produttiva hollywoodiana senza farsi schiacciare, ma, al contrario, sfruttandola per i suoi scopi artistici. Pensiamo che con “Basic Instinct” ha creato uno dei capisaldi del post noir degli anni Novanta, ridisegnando la femme fatale come icona femminista, e regalato grandi opere all’interno della fantascienza come “Robocop”, “Atto di forza” e “Starship Troopers”. E in questo contesto è riuscito a rivitalizzare il genere. Più che contributo alla cinematografia europea direi, tout court, il suo è stato un contributo di opere essenziali per la cinematografia mondiale negli anni Ottanta e Novanta. Il nostro libro ha cercato di mettere in evidenza i tratti essenziali del suo stile e delle sue tematiche, organizzandoli per fornire una lettura organica di un’intera filmografia di un autore europeo più conosciuto per singoli film. Invece, si può scoprire come ci siano delle costanti in tutta la sua cinematografia.

VERHOEVEN HA SAPUTO UTILIZZARE A MODO SUO TANTI GENERI, DALL’EROTICO ALLA FANTASCIENZA, DAL THRILLER ALLA SATIRA, DALLO STORICO/FANTASY AL GIOVANILISMO, FACENDO DELL’ECCESSO IL MOTORE DEL CLIMAX NARRATIVO DELLE SUE OPERE. SECONDO TE IN QUALE GENERE HA SAPUTO ESPRIMERSI MEGLIO?

F.Z.: Difficile scegliere anche perchè la grandezza di questo regista è leggibile proprio nella sua impermeabilità a facili incasellamenti. Potrei replicare, generalizzando un po’, che Verhoeven ha saputo esprimersi meglio nel pastiche di generi, che in un genere specifico.

A.P.: Sicuramente sono fondamentali i contributi nel genere noir e in quello fantascientifico, dove ha prodotto le sue pellicole più significative e originali.

FRA LE SUE PELLICOLE, QUALE E’ LA TUA PREFERITA E QUALE INVECE PROPRIO NON HAI DIGERITO?

F.Z.: Fra i preferiti In cima alla mia personale graduatoria c’è la satira antihollywoodiana di Showgirls, l’altra collaborazione fra Verhoeven e lo sceneggiatore Joe Eszterhas dopo Basic Instinct. Michele Raga nel nostro collettaneo gli ha dedicato un saggio, evidenziando i meriti artistici, ricostruendo il massacro critico subito dal film ai tempi, anche se ci fu fortunatamente qualche voce fuori dal coro ed elogiativa come Mariuccia Ciotta del Manifesto e la venerazione nei suoi confronti di insospettabili come Jacques Rivette. E’ stata pubblicata una monografia su Showgirls per il mercato anglosassone, per dirti la recente captatio benevolentiae verso quest’opera.

A proposito di film sbagliati, sceglierei il registro dell’imperfezione. In questa prospettiva però tale opzione è sempre progettata e mai involontaria da parte del regista: penso all’apologia del militarismo di Starship Troopers.

A.P.: Innanzi tutto, devo dirti, che tutti i film hanno almeno qualche aspetto che mi interessa e mi affascina. Poi ce ne sono tanti che mi piacciono, quindi diventa difficile compiere una scelta. Ti elenco le pellicole che amo di più su tutte: “Robocop”, “Atto di forza”, “Basic Instinct” ed “Elle”.

ULTIMA DOMANDA. QUALI SONO I TUOI PROSSIMI PROGETTI?

F.Z.: Dato che la pandemia ha messo in standby alcuni miei progetti editoriali, preferisco in maniera scaramantica non lanciare proclami, anche se sto progettando altri saggi con l’editore Falsopiano. Seguitemi sui social, non mancherò di aggiornarvi.

A.P.: Ho una serie di saggi e monografie a cui sto lavorando da tempo e che vedranno, si spera, la luce nei prossimi mesi. Per scaramanzia non ti svelo altro.

NON CI RESTA CHE ATTENDERE… QUALCOSA E’ IN ARRIVO DI SICURO!

Davide Longoni