WATCHMEN FUMETTO/FILM: IL CONGEGNO NARRATIVO E LE SUE RIFRAZIONI

L’apparente indecisione del titolo è presto spiegata: ciò che ci interessa si trova tanto nel fumetto di Moore quanto nel film di Snyder, quindi è indifferente parlare del primo o del secondo. Ciò ci è concesso perché il regista con la sua opera cercò di essere il più possibile fedele alla storia del fumettista, peraltro assai critico nei confronti della pellicola: egli, infatti, “si è opposto sin dall’inizio alla realizzazione del film dichiarando che rifiuta di vedere il suo nome accostato a qualsiasi film ispirato ai suoi fumetti e non intende vederlo nel caso dovesse comunque essere realizzato” (1).

A dire il vero, il romanzo grafico da cui  il regista prese spunto è assai poco perfettibile, quindi l’unica lettura interessante che se ne poteva dare avrebbe dovuto essere molto creativa, molto traditrice (che so, come fece Coppola girando Apocalypse Now a partire da un ricordo decisamente americano di Cuore di tenebra), ma non è questo il caso della pellicola, la cui parte più originale restano i titoli di testa, fra l’altro neppure girati da Snyder bensì dalla yU+Co, un’azienda specializzata in essi e in filmati pubblicitari. Le ucronie che si notano durante lo scorrere dei titoli sono già in un certo senso tutto il meglio del film, poiché danno una lettura particolare del mondo supereroistico, popolato da esseri a vario titolo lontani dalla rispettabilità wasp (che certo negli anni ‘40-’50 non accoglieva nelle proprie fila lesbiche e malati di mente), capace di ridurre all’osso e di stilizzare in maniera mirabile la vicenda anteriore ai fatti che stanno per essere narrati, secondo uno spirito che appare molto vicino a quello di Moore (2). Con Watchmen, questi ebbe il merito di riuscire a far fuori una volta per tutte la stucchevole “eterna lotta fra il bene e il male” stile fantasy (3) trasformandola in qualcosa di assai meno manicheo e al limite collocandola all’interno dei personaggi medesimi, per lo più invecchiati e rosi da una condizione di emarginazione sociale (la prima Spettro di Seta, ormai pensionata, o il secondo Gufo Notturno, precocemente disoccupato dopo la legge promulgata contro i supereroi). Le maschere crepuscolari, tutte nate dalla penna dall’autore inglese per un particolare fumetto e non per una serie, non appartengono a nessun immaginario collettivo alla maniera di un Batman o un Superman: i personaggi furono inventati ex novo per la semplice ragione che nessuna casa editrice gli permise di utilizzare i propri eroi temendo che sarebbero usciti dall’avventura uccisi o inutilizzabili. L’artista fece così di necessità virtù senza stare a piangersi addosso e approfittò semmai della maggior libertà creativa che avrebbe avuto (4) forzando la mano e portando fin dall’inizio a un punto di non ritorno il revisionismo nei fumetti: i supereroi possono morire una volta per sempre, senza finzioni né improbabili – e scorretti – ritorni. Tanto esistono sempre i flash-back.

Non solo: la trama parte proprio dalla fine di uno di essi, Blake alias il Comico. Da parte sua, Snyder non fa altro che un lavoro – peraltro ottimo – di illustrazione calligrafica e riduzione (per esempio, manca del tutto l’intermezzo de “Il vascello fantasma”, il fumetto nel fumetto letto dal ragazzino di colore, che invece occupa un’ampia parte del comic). Il film rimane comunque interessante perché ebbe l’indubbio merito di rendere ancor più popolare una trama assai particolare per il genere supereroistico (il pubblico dei fumetti non è certo paragonabile per ampiezza a quello del cinema).

A dire il vero, proprio in rapporto alla storia principale Dave Gibbons dichiarò: “Più proseguiva, più in Watchmen acquistava importanza il modo in cui veniva narrato piuttosto che il racconto in sé. La trama principale si poggia sostanzialmente su quello che viene definito un Mac Guffin, uno stratagemma… Quindi la storia non ha in sé grandi conseguenze… Semplicemente non è la cosa più importante di Watchmen. Il modo in cui siamo giunti a raccontare quella storia, quello sì è l’aspetto in cui è subentrata la vera creatività” (5). Ci permettiamo di dissentire dalle affermazioni di Gibbons perché un Mac Guffin, almeno secondo l’esempio di Hitchcock tratto da Psycho (una ragazza scappa dopo aver rubato 400.000 dollari e lo spettatore ritiene che quello sia il centro della vicenda, mentre in seguito la trama prende una strada del tutto diversa) (6), non si concilia affatto con la storia iniziale di Watchmen, tutt’altro che un semplice pretesto: essa evolve semplicemente, restando la medesima dall’inizio alla fine senza particolari deviazioni. La vicenda, in sostanza, ci propone qualcosa di molto simile a un ben noto problema di filosofia, conosciuto come il “problema del carrello ferroviario”, uno dei dilemmi morali su cui riflettono, discutono e s’accapigliano i filosofi da più di un secolo, reso celebre da Philippa Foot nel 1967: “nella versione originale, un autista di un tram conduce un veicolo capace solo di cambiare rotaia (tramite deviatoio), senza la possibilità di frenare. Sul binario del percorso si trovano cinque persone legate e incapaci di muoversi e il tram è diretto verso di loro. Tra il tram e le persone legate si diparte un secondo binario parallelo, sul quale è presente una persona legata e impossibilitata a muoversi. La persona nei pressi del deviatoio si trova di fronte a una alternativa che comporta due sole opzioni: lasciare che il tram prosegua diritto la sua corsa, uccidendo le cinque persone, oppure azionare lo scambio e ucciderne una sola” (7). In Watchmen il problema del carrello ferroviario viene semplicemente riproposto da Moore (e poi da Snyder) su scala planetaria: se Ozymandias ha le possibilità economiche e intellettuali di salvare la maggior parte della popolazione mondiale, sacrificando però milioni di persone, da una guerra nucleare fra USA e URSS che non è ancora scoppiata anche se ormai sembrerebbe alle porte – è giusto che lo faccia? E poi, una volta portato a termine un tale disegno, l’umanità superstite dovrà essere lasciata all’oscuro di quel che è accaduto? Ozymandias pensa di sì – si arroga il diritto divino di decidere tanto della morte quanto della vita e di far restare nell’ignoranza il mondo, mentre Rorschach, prima di morire per mano del Dottor Manhattan, spedisce a una casa editrice alla ricerca di nuove storie da pubblicare il proprio diario nel quale è puntualmente descritta per filo e per segno l’enormità della quale Veidt è stato l’artefice: quindi perlomeno il mondo saprà a quale prezzo è stata conquistata la pace. Qual è dunque, secondo voi spettatori, la scelta moralmente più giusta da fare? State con Rorschach, il sociopatico manifesto che si oppone fino alla morte al piano apocalittico di un sociopatico nascosto affetto da manie di grandezza, Ozymandias, o siete favorevoli a quest’ultimo?

Come si capisce da quanto detto, la vicenda di Watchmen è lontanissima da quelle alle quali siamo abituati a trovarci di fronte nei film di supereroi: qui non è un antagonista (o più d’uno) a minacciare la Terra​ o la tranquillità dei cittadini “innocenti e perbene”, bensì uno di coloro che dovrebbero proteggerla: ma “Quis custodiet ipsos custodes?” o, per dirla nel latino dei nostri giorni, “Who Watches the Watchmen?”.

A livello di trame secondarie, che peraltro si mantengono sempre all’interno di un’ambiguità di fondo, una menzione speciale va alle vicende del Comico, personaggio nero e contraddittorio all’inverosimile, capace com’è di macchiarsi dei delitti più efferati senza batter ciglio, dall’assassinio di Kennedy (il simbolo del Crimine con la “C” maiuscola per l’immaginario collettivo statunitense) fino ad arrivare a uccidere la vietnamita  incinta di suo figlio; in seguito, tuttavia, egli si intenerirà per Laurie, natagli a seguito di un rapporto consensuale, preceduto però da un tentativo di stupro (non poteva certo essersi macchiato di qualcosa di meno!), con la supereroina Sally Jupiter… e quest’ultima, dopo averlo comprensibilmente odiato in gioventù a causa di quello che le fece, da vecchia in un certo senso lo ama perché le ricorda i bei tempi andati, quando era la desiderabilissima Spettro di Seta, e per averle dato una figlia. Le cose non sono mai così semplici, soprattutto in fatto di sessualità: in una delle sequenze che valorizzano l’idea di Moore meglio del fumetto, e in generale fra le più riuscite, due dei personaggi principali, Daniel Dreiberg e Laurie Juspeczyk, nudi e a letto insieme, pur reciprocamente attratti, non riescono a fare l’amore, ma ci riescono assai bene una volta che indossano i rispettivi costumi di Gufo Notturno II e di Spettro di Seta II (8). Il Dottor Manhattan, poi, dall’alto della propria onnipotenza tradisce come il più banale dei mariti la propria donna con un’altra soltanto perché la prima sta invecchiando! E infine cosa dire del giustiziere Rorschach, che rivendica per sé il diritto di uccidere i criminali invece di mandarli in galera? Si noti bene che nel caso specifico la vicenda ci presenta un pedofilo assassino, addirittura capace di dare in pasto una bambina ai propri cani, che una volta imprigionato dileggia il supereroe dicendogli che una volta in galera si farà passare per matto, eludendo così la pena più severa… fino a che punto siamo disposti a dire che la legge è uguale per tutti? Fin dove siamo disposti a essere umani con chi è stato inumano a tal punto? E’ un modo efficacissimo per mettere alla prova la profondità delle nostre convinzioni umanitarie…

Ma in ogni caso, qualunque sia la nostra risposta alle situazioni problematiche prospettate da Watchmen (fumetto o film che sia), le ricette generali applicate al genere umano – supereroi inclusi – non funzionano, fanno soltanto statistica.

Gianfranco Galliano

NOTE

(1) Watchmen – il film, Wikipedia.

(2) Sull’argomento mi permetto di rinviare al mio articolo Watchmen: i titoli di testa ucronici apparso su questo sito.

(3) Parere strettamente personale. Così come è una scelta del tutto individuale quella che mi porta a escludere dal fantasy manicheo i racconti di Robert Howard che vedono come protagonista Conan.

(4)  Watchmen, Wikipedia.

(5) D. Gibbons, ibidem.

(6) Mac Guffin, Wikipedia.

(7) Problema del carrello ferroviario, Wikipedia. Un doveroso ringraziamento a Michele Flammia per avermi fatto conoscere, come al solito argutamente, la questione.

(8) Se non erro, parecchi anni fa un politico inglese morì mentre stava facendo l’amore, il che non è strano; più strano era che non fosse del tutto nudo, ma indossasse la maglia numero 9 di una celebre squadra di calcio di Premier League. Come dire che per ciascuno di noi l’autenticità è una cosa differente: per alcuni – Gufo Notturno e Spettro di Seta – è persino la maschera e non, come comunemente si pensa, il volto. O forse l’autentico neppure esiste: se si toglie ciò che è inessenziale agli esseri umani, alla fine della nostra bella sottrazione di noi non resterà nulla; o infine: un individuo non mostra la sua vera natura in situazioni estreme, ma soltanto il suo comportamento particolare relativamente a esse, riacquistando prontamente le abitudini del passato una volta terminata la bufera.