WATCHMEN: I TITOLI DI TESTA UCRONICI

I titoli di testa della celebre pellicola tratta dall’ancor più noto fumetto di Moore/Gibbons si collocano a circa cinque minuti dall’inizio, ma per essere precisi si tratta di un corto di 5:21 (interpolato dopo i 5:45 iniziali dedicati all’assassinio del Comico) girato non da Zack Snyder, bensì dalla yU+Co (società specializzata per l’appunto in tali brevi sequenze e in filmati pubblicitari) e risulta essere un vero e proprio film – di antefatti, quasi interamente ucronici, che vanno dal 1939 al 1985 – nel film. Le costanti formali di un tale tour de force capace di stilizzare una gran quantità di contenuti in pochi minuti sono l’uso continuo del rallentatore, le dissolvenze scandite da una schermata nera, la rapidità con cui si susseguono gli eventi, dei campi per lo più medi che inquadrano le scene.

Ucronie, grandi e piccole:

-          l’affresco bellico di Miss Jupiter sulla fusoliera del B52 (invece della Miss Lace di Milton Caniff);

-          al momento dei festeggiamenti per la sconfitta del Giappone, la foto del bacio fra marinaio e infermiera a Times Square pubblicata da “Life” diventa omosessuale (fra Silhouette e l’infermiera);

-          il presidente Kennedy stringe la mano al Dottor Manhattan;

-          Kennedy viene sì ucciso in una fedele ricostruzione del filmato di Zapruder, ma dal Comico;

-          su un televisore, accompagnato dalla didascalia “Escalation della guerra in Vietnam”, si assiste al suicidio col fuoco del monaco buddhista Thích Quảng Đức, ma in realtà il filmato è un falso estrapolato da Mondo cane n. 2 di Gualtiero Jacopetti (i soli documenti visivi reali che ci restano del tragico fatto sono le foto di Malcolm Browne);

-          Andy Warhol accanto all’esposizione delle serigrafie di Gufo Notturno – invece che di Marylin Monroe;

-          sulla visiera del casco del primo uomo sulla Luna si riflette l’immagine del Dottor Manhattan;

-          un televisore annuncia che Nixon è stato eletto per la terza volta, mentre la realtà del passato ci dice che fu il solo presidente degli Stati Uniti a dimettersi dalla sua carica a sei anni dalla sua prima elezione.

Le due uniche sequenze storicamente corrette sono quelle in cui Fidel Castro viene ripreso sulla piazza Rossa e la manifestazione degli studenti americani repressa con la forza.

Sotto il profilo estetico, lo scopo e insieme l’elemento caratterizzante del corto della  yU+Co è una sorta di monumentale glorificazione di quanto viene presentato, espressa attraverso l’orecchiabilità della notissima ballata di Bob Dylan The Times They Are A Changin’ (1964) che fa da sfondo sonoro al susseguirsi delle sequenze e con l’uso continuato del rallentatore che inquadra i gesti dei personaggi, e persino la violenza dei bossoli espulsi dalle armi, come esemplari e spettacolari. Interessante l’accoppiata rallenty – rapidità del montaggio, che rende quest’ultimo ben diverso da quelli odierni, vorticosi e disturbanti per l’occhio (almeno per il mio), capace com’è di conservare sia il dinamismo che la piena comprensione di quanto accade.

Non mancano elementi quasi subliminali di raffinatezza: la presenza assai pervasiva di un fotografo, di un fotoreporter o di un televisore sulla scena (talmente costante, soprattutto all’inizio, da risultare pressoché impercettibile a una prima visione): quando si dice la società delle immagini!; le ironiche copertine di Batman alle pareti nella scena iniziale in cui compare il primo Gufo Notturno; i tableaux vivants, che non a caso documentano le morti di Dollar Bill e Silhouette: la scelta di un tale mezzo estetico cristallizzante riproduce con eleganza formale quasi orientale il contenuto, già cristallizzato e definitivo di suo; quando Sally va in pensione, il banchetto d’addio strizza l’occhio a L’ultima cena con l’indice del marito della ex Spettro di Seta puntato verso l’alto, come S. Tommaso nell’affresco di Leonardo.

Che dire? Consiglio semplicemente di lasciarsi andare alle emozioni e di godersi tanto sfoggio di estetica potenza capitalista, salvo dopo – come contrappasso od ossimoro, a seconda delle propensioni personali, moraleggianti o retoriche che siano – di vedersi un corto di J. M. Straub e D. Huillet (durata 15:43), Introduzione alla “Musica di accompagnamento per una scena di un film” di Arnold Schönberg, nel quale si ritrova esattamente come in uno specchio capovolto quanto è stato così facile recepire per il nostro occhio nei titoli di Watchmen: bianco e nero, riprese molto lunghe, letture non recitate – o recitate con brechtiano distacco – all’interno di anonimi studi di registrazione, pochissimi movimenti di macchina, musica dodecafonica (per l’appunto di Schönberg), contenuti rigorosamente storici (il compositore ebreo-tedesco che già nel 1923 si rende conto di quanto si prepara per la sua razza in Germania; la guerra del Vietnam): insomma, tutto quanto è in assoluto all’opposto delle nostre abitudini estetiche di questo inizio millennio. Il film di Straub-Huillet, infatti, è del 1972, quando esisteva una concezione del cinema brechtiano-marxista in grado di fronteggiare con la sola intelligenza della povertà (la necessità aguzza l’ingegno) una visione dell’arte (attenzione, non sto parlando di visione politica o del mondo!) a una sola dimensione come, di fatto, è quella attuale.

Giovan Battista Marino, che nei suoi sonetti era capace d’esaltare di volta in volta la bellezza bianca e la bellezza nera, probabilmente approverebbe questo disprezzo, sia pure limitato al mondo dei simulacri, del principio di non contraddizione.

Gianfranco Galliano

Fonti
- A. F. Berni, “Watchmen: ecco i titoli di testa!”

- G. Niola, “La grande sequenza d’apertura di Watchmen, scena per scena