GIOVANNI MONGINI PRESENTA: CLASSICI SENZA TEMPO 11 – LE MOSCHE PREFERISCONO VOLARE

L’Esperimento del Dr. K (The Fly – 1958)

La vicenda si svolge a Montreal, in Canada, nella fabbrica di componenti elettronici dei fratelli Delambre.

Il guardiano notturno, il vecchio Gaston (Torben Meyer) sta compiendo il solito e tranquillo giro d’ispezione quando sente un rumore provenire dalla stanza della pressa. Mentre si sta avvicinando per controllare, ode nuovamente il caratteristico suono della macchina in funzione. Si avvicina e vede una donna presso l’apparecchiatura. Accortasi della presenza di Gaston essa fugge da un’uscita sul retro. Il guardiano, atterrito, scorge il macchinario intriso di sangue e un corpo sporgere dalla pressa. Il telefono suona a casa di Francois Delambre (Vincent Price) e la voce spenta di Hélène (Patricia Owens) avvisa il cognato di aver ucciso il marito Andrè Delambre (Al o David Hedison). Francois dapprima crede a uno scherzo ma la voce della donna è mortalmente seria e gli chiede di chiamare la polizia riattaccando piangendo il ricevitore. Francois riceve anche una telefonata da Gaston il quale lo avvisa che sotto la pressa c’è la testa di un uomo e inoltre egli ha visto una donna allontanarsi in tutta fretta dalla scena del sinistro. Per lui quella donna era Hélène Delambre. A questo punto Francois si rende conto che qualcosa di grave deve essere accaduto e telefona all’Ispettore Charas (Herbert Marshall) e gli racconta delle due telefonate. Il poliziotto gli risponde di prepararsi perché lo passa immediatamente a prendere per andare insieme alla fabbrica. Giunti sul posto Francois riconosce immediatamente il corpo del fratello e, pur sul punto di sentirsi mancare, aziona la pressa per liberare il cadavere. Il medico legale (Franz Rohen) comunica a Charas che la morte è avvenuta solo mezz’ora prima.

Charas: “La potenza è al massimo?”

Francois: “No… no, è quella normale.”

Charas: “Non c’è pericolo che cali di nuovo?”

Francois: “No. E’ regolata… per cinquanta tonnellate, spessore… zero!”

Charas: “Zero?”

Francois: “Sì, vuol dire che le due piastre si toccano. Non è mai stata regolata così, mai!”

Charas: “Ah!”

Francois: “Perché così… ridurrebbe le lamine a niente ed è regolata per il colpo e arresto. Hélène non sapeva manovrare la pressa.”

Charas: “E’ sicuro che è suo fratello?”

Francois: “Beh, lui… lui aveva una cicatrice sulla gamba sinistra, una ferita di guerra… Vi dispiace…”

Charas: “Dottore…”

Il medico solleva il lenzuolo e controlla la gamba del cadavere sulla lettiga. In effetti una cicatrice è visibilmente impressa sulla pelle della gamba sinistra del corpo che viene quindi portato via.

Francois: “No, non posso crederci!”

Charas: “Sa chi avesse un motivo per fare una cosa simile?”

Francois: “Nessuno. Nel modo più assoluto… Erano una coppia talmente felice, con un bellissimo bambino, Filippo, e lo adoravano tutti e due! Hélène era sempre così serena… E’  incredibile, è assurdo! Andrè amava due cose: la sua famiglia e il lavoro… (Il suo sguardo cade sul pannello di comando della pressa) E’ impossibile!”

Charas: “Cosa c’è, Monsieur?”

Francois: “Il contacolpi… quello è il contacolpi!”

Charas: “Come… non capisco…”

Francois: “Ma, allora, chi è stato è stato un mostro. Segna due, l’ha schiacciato due volte!”

Charas: “Due volte?”

Gaston: “Oui, Monsieur. Ho sentito venir giù la pressa due volte.”

Francois e l’Ispettore Charas vanno a casa di Hélène e lì incontrano il medico di famiglia, il Dottor Ejoute (Eugene Borden) il quale è sconcertato come tutti dell’atto compiuto dalla donna e non ritiene possibile che essa fosse in grado di commettere un delitto del genere. Tutti e tre vanno ora nel salotto dove la donna è apparentemente molto più calma e sta bevendo un caffè. Francois presenta Charas ad Hélène.

Charas: “Madame, vuole dirci cos’è accaduto?”

Hélène: “Certo, volentieri. Ho ucciso mio marito, Andrè Delambre, circa un’ora e mezzo fa nella sala della pressa.”

Charas: “Comprende la gravità di ciò che dice? Afferma di aver ucciso suo marito, cioè a dire lo ha assassinato.”

Hélène: “Ho ucciso Andrè, sì.”

Charas: “Perché?

Hélène: “A questa domanda non posso rispondere.”

Charas: “Come lo ha ucciso?”

Hélène: “Con la pressa idraulica.”

Charas: “E come si aziona?”

Hélène: “Prima si accende l’interruttore generale, poi si regola la pressa sul tonnellaggio voluto. Si mette la pressione al massimo, regolando lo spessore di laminazione a zero, poi si preme il pulsante. E’ quello rosso.”

Francois ha ascoltato con espressione stupita.

Charas: “Vuol dire che lei ha messo suo marito sotto la pressa?”

Hélène: “No, Ispettore, ci si è messo da sé.”

Charas: “Ha messo la testa e il braccio sotto la pressa?”

Hélène: “Sì.”

Charas: “Perché?”

Hélène: “A questa domanda non posso rispondere… Del caffè, Ispettore?”

Charas: “Sì, grazie. Signori, vogliono aspettarmi fuori per favore?”

Francois e il Dottor Ejoute escono dalla stanza e Charas si siede nel divano accanto ad Hélène mentre la donna gli versa il caffè. A un tratto un ronzio sembra allarmare la donna che si alza di scatto cercando per tutta la stanza la provenienza di quel rumore: è una mosca che si è posata su un paralume. La donna la osserva attentamente poi la scaccia tornandosi poi tranquillamente a sedere accanto a Charas.

Charas: “Ha premuto un bottone ed è finito tutto?”

Hélène: “Sì.”

Charas: “Perché lo ha premuto due volte?”

Hélène: “No, una volta sola.”

Charas: “Il contacolpi segna due. Una macchina non può mentire.”

Hélène: “Oh… sì… sì… E’ stato due volte… Io… sbagliavo… L’ho fatto due volte.”

Charas: “Perché?”

La donna non risponde. L’Ispettore si alza dal divano.

Charas: “Vuole aspettarmi, Madame?”

Hélène: “Certo Ispettore.”

Charas esce e trova seduti davanti alla porta Francois e il medico.

Charas: “Lei, come medico, cosa consiglierebbe?”

Ejoute: “Beh… riposo. Può darsi che in un giorno o due il suo stato mentale migliori.”

Charas: “Benissimo. Comunque la signora sarà sotto sorveglianza. Provvederò che sia mandata una delle nostre infermiere.”

Ejoute: “D’accordo. Grazie infinite, Ispettore. Sono a sua disposizione.”

Il Dottore esce. Charas e Francois restano soli.

Francois: “Beh, che ne pensa?”

Charas: “Vuol mostrarmi il laboratorio di suo fratello?”

Francois: “Oh, sì… certo… Di qua.”

I due scendono delle scale e si trovano davanti a una robusta porta metallica aperta. Francois entra per primo e osserva stupito lo sfacelo che è stato fatto alle apparecchiature del laboratorio.

Francois: “Ma questa è opera di un pazzo! C’erano oltre duecentomila dollari di strumenti delicatissimi qui dentro. Andrè ne aveva una cura addirittura esagerata.”

Charas: “Che tipo di strumenti? A cosa servivano?”

Francois: “Non lo so. Io non lo seguivo più… Una delle sue mille idee… Lui… Beh, quando avesse scoperto qualcosa me lo avrebbe mostrato. Stava lavorando a un progetto per il Ministero dell’Aria. Forse loro sapranno.”

Charas: “Immagino che l’elettronica sia un campo molto proficuo in questi tempi…”

Francois: “Sì, molto. Eravamo insieme in affari. Se avevamo un pensiero era quello d’investire i guadagni. Non aveva interessi fuori di qui… nessuno, ne sono sicuro, ed è per questo che è  assurdo.”

Charas: “Lei è molto attaccato a tutti e due, vero?”

Francois: “Sì… Ispettore, cosa pensa che sia accaduto?”

Charas: “Non ne ho idea. Non ha voluto dirmi niente, solo che lo ha ucciso. Apparentemente non esistono motivi se non la pazzia ma anche questa ipotesi lascia molti punti interrogativi insoluti.”

Francois: “Probabilmente si è suicidato.”

Charas: “(Sorridendo) E allora perché dice di averlo ucciso lei? E se fosse suicidio perché usare un mezzo così atroce, perché compromettere la moglie? E lei era là! Rischia l’impiccagione…”

Francois: “Povero Filippo… Come glielo dirò? Come si fa a dire a un bambino…”

Charas: “Posso consigliarla di assumere la tutela lei stesso?”

Francois: “E che ne sarà di lei?”

Charas: “La terremo in osservazione per il momento. Abbiamo tempo. Suo fratello aveva mai fatto esperimenti con animali?”

Francois: “Mai.”

Charas: “O con insetti?”

Francois: “Insetti?! Macchè. Sarebbe stato strano. No, tutti e due avevano un sacrosanto rispetto per la vita. Non avrebbero fatto del male a nessuno… neanche a una mosca.”

L’infermiera Andersone (Betty Lou Greson) porta la colazione nella camera da letto di Hélène, la donna vorrebbe alzarsi e, addirittura, finge di non ricordare il nome del figlio, Filippo (Charles Herbert). A un tratto entrambe sentono nitidamente, nel silenzio della stanza, il ronzio di una mosca e l’infermiera cerca di scacciarla con un giornale arrotolato mentre, sempre più scompostamente, Hélène le grida di non farlo. Quando la donna riesce a colpire l’insetto Hélène butta per terra il vassoio con la colazione e si precipita a cercarlo sotto la finestra. Ignorando le proteste dell’infermiera la donna riesce finalmente a vedere la mosca e scoppia in un pianto isterico. L’Anderson la riaccompagna a letto e poi prende la mosca. L’Ispettore Charas è ora a casa di Francois e gli mostra, dentro una busta trasparente, l’insetto che evidentemente l’infermiera gli ha consegnato.

Francois: “Ma è una comunissima mosca.”

Charas: “Sì. Forse avrà qualche significato per il suo subcosciente, come ritiene lo psichiatra. Signor Delambre, lei la crede pazza?”

Francois: “E’ evidente, non le pare?”

Charas: “A dispetto di ciò che pensano i dottori io credo che la mente della signora sia sanissima. Anche quando difende le mosche.”

Francois: “Come può dir questo? Deve essere pazza. E allora con Filippo? Si comporta come se il bambino fosse mio, non suo.”

Charas: “Può essere un modo di proteggerlo. Può darsi che lo tema, o che lo odi.”

Francois: “E’ impossibile! Hélène non riuscirebbe a odiare nessuno, è lei che è fuori di senno!”

Charas: “Ne è innamorato, vero?”

Francois: “Sì.”

Charas: “Perché non l’ha sposata?”

Francois: “Perché era innamorata di mio fratello. Di me non si era neanche accorta.”

Charas: “Ha fatto bene a essere franco con me. Da principio ho sospettato di lei.”

Francois: “Di me? E perché avrei fatto una cosa simile?”

Charas: “Primo per avere lei, secondo per impadronirsi di tutta l’elettronica Delambre.”

Francois: “Ma che m’importa dei suoi sospetti! Hélène è in quello stato e Andrè è morto! E’ come un incubo…”

Charas: “Ora so che lei non c’entra affatto ma… capisce che dovevo accertarmene.”

Francois: “Ah, mi scusi Ispettore, sono uno sciocco. E’ stato così paziente. Mi perdoni, è solo…”

Charas: “Capisco, capisco… Forse sono io che dovrei scusarmi, sono costretto a ficcare il naso nelle cose private ma questo, purtroppo, è necessario.”

Francois: “Grazie per essere venuto. Mi consideri sempre a sua disposizione.”

Charas: “Ha scoperto a cosa lavorava a suo fratello?”

Francois: “No. Scienziati del Ministero dell’Aria hanno esaminato tutte le sue carte ma non hanno trovato niente d’indicativo.”

Charas: “Neanche le ceneri trovate da noi ci hanno detto niente. Beh, ho già indugiato anche troppo. Siamo stati pazienti con la signora… ma temo che domani dovrò spiccare il mandato. Poi la corte deciderà.”

Francois: “Domani?”

Charas: “Sarà denunciata per omicidio. Mi dispiace per lei e il bambino ma non posso pensare ad altro verdetto se non a quello di colpevolezza o d’infermità mentale.”

Si cena a casa di Francois Delambre. La cameriera, dopo aver servito Francois va a versare un po’ di acqua e vino nel bicchiere di Filippo. Il bambino chiede allo zio quando tornerà suo padre e se il giorno dopo potrà far visita alla madre.

Francois risponde quasi a monosillabi al bambino ma una domanda di Filippo lo distoglie dai suoi pensieri.

Filippo: “Zio, le mosche vivono molto?”

Francois: “Non lo so, perché?”

Filippo: “Perché ho rivisto quella mosca che la mamma ha cercato tanto.”

Francois: “Ah, non sapevo che mamma cercasse una mosca.”

Filippo: “Sicuro che la cercava. E’ cresciuta parecchio anche, ma io l’ho riconosciuta subito…”

Francois: “E come hai fatto a riconoscerla, Filippo?”

Filippo: “Aveva la testa bianca invece di nera e aveva una zampa molto strana… Era sul tuo tavolo stamani.”

Francois: “Beh… io… io non l’ho notata. Quando l’hai vista per la prima volta?”

Filippo: “Uhm… Il giorno in cui andò via papà. L’avevo acchiappata ma la mamma mi disse di liberarla e poi, dopo, voleva che gliela ritrovassi… Aveva cambiato idea, sai come sono le donne…”

Francois: “(Alzandosi da tavola) Scusa, Filippo… Io… io torno subito…”

Francois entra nel suo studio e si guarda attorno. Poi compone un numero telefonico. Dall’altra parte del filo gli risponde la voce di Charas, ma l’uomo non risponde e riappende il ricevitore. L’infermiera Andersone apre la porta e si trova di fronte Francois Delambre, giunto a casa di Hélène per vederla. La cosa suscita perplessità all’infermiera che comunque lo lascia passare. Hélène sembra assopita ma apre gli occhi appena Francois le si avvicina.

Hélène: “Oh… oh, Francois, non ti avevo sentito… Hai l’aria stanca.”

Francois: “Certo. Ho molto da fare, lo sai.”

Hélène: “Lavori sempre troppo.”

Francois: “Come stai?”

Hélène: “Sto bene, benissimo e sono… contenta che tu sia venuto. Volevo chiederti una cosa…”

Francois: “Ma certo, Hélène. Tutto quello che vuoi.”

L’uomo prende una sedia e si accomoda accanto al letto della donna.

Hélène: “Quanto tempo vivono le mosche?”

Francois: “Non lo so… Io… credo un mese, due mesi. La mosca che stavi cercando era nel mio studio, stamane.”

Hélène: “E l’hai… l’hai uccisa?”

Francois: “No.”

Hélène: “E l’hai qui con te? Dammela, ti prego, dammela subito!”

Francois: “Non l’ho portata qui!”

Hélène: “Tu sai, adesso…”

Francois: “Cos’è tutta questa storia?”

Hélène: “Non l’hai vista, sennò non lo chiederesti.”

Francois: “Sì… io ce l’ho… E’… è chiusa nel mio cassetto… Ora dimmi cos’è successo…”

Hélène: “No… no! Andrè non avrebbe mai voluto!”

Francois: “Io so che tu non sei pazza, voglio la verità! O tu me la dici o io darò quella mosca a Charas.”

Hélène: “Tu mi giuri che hai la mosca?”

Francois: “Sì.”

Hélène: “Se te lo dico prometti di distruggerla?”

Francois: “Non farò niente finché non saprò…”

Hélène: “E allora io non ti dico niente!”

Francois: “E’ per il tuo bene Hélène che devi dirmelo. Tu stai bene o… o starai bene al più presto, cara, e appena ti visiteranno lo capiranno e capiranno che non sei pazza.”

Hélène: “No! Per amore di Filippo, Francois, ti scongiuro… Ma non capisci che io sto fingendo di essere pazza per il bene di Filippo? E’ meglio che io sia riconosciuta pazza piuttosto che lui sia l’orfano di un’assassina impiccata!”

Francois: “Io voglio sapere! O tu ora me lo dici o io darò la mosca a Charas!”

Hélène: “Se io te lo dico poi lo dirai a loro?”

Francois: “Io voglio aiutarti, Hélène, e posso farlo soltanto tramite loro. Sì, glielo dirò!”

Hélène: “Povero Francois… Chiama Charas, non potrei dirlo due volte… Purché tu uccida quella mosca, me lo prometti?”

Francois: “Sì.”

Francois si alza per andare a telefonare all’Ispettore Charas. Poco dopo, entrambi, ascoltano il racconto di Hélène.

Hélène: “Questa non è una confessione. Benché abbia ucciso mio marito non sono un’assassina, ho solo eseguito le sue ultime volontà. Qualche mese fa…”

Dissolvenza. Hélène sta giocando sul tappeto di casa con Filippo. Andrè li raggiunge dopo essersi isolato nel laboratorio per parecchio tempo. Dopo aver promesso al figlio che avrebbe giocato con lui, prende per mano la moglie e la porta nel sotterraneo, apre la porta del laboratorio. Dopo aver fatto entrare Hélène lo scienziato richiude la porta mentre la donna si guarda intorno notando i molti cambiamenti che Andrè ha effettuato. Un nuovo tipo di ricerca ha portato Andrè a dei risultati straordinari ma la cosa deve ancora restare segreta. L’uomo mostra ad Hélène un piatto, regalo di matrimonio di una zia, sul retro del quale è stampigliata la dicitura “Made in Japan”. Mette il piatto dentro a una gabbia di vetro, attiva un contaminuti e avvia il computer mentre ordina alla moglie di mettersi un paio di occhiali scuri. Una luce violenta li investe per un attimo poi tutto torna normale ma, dentro la gabbia, il piatto non c’è più. Andrè conduce Hélène in un’altra stanza, davanti a una gabbia perfettamente uguale alla prima. Dentro di essa c’è il piatto che era precedentemente scomparso.

Hélène: “Ti sei dato alla magia?”

Andrè: “In certo modo. Vedi, in una frazione di secondo, un’infinitesimale parte di secondo, il piattino si era disintegrato, per un attimo non è esistito più, ma i suoi atomi hanno viaggiato nello spazio alla velocità della luce poi qui, un momento dopo, si è reintegrato nella sua forma primitiva.”

Hélène: “Oh, stai scherzando…”

Andrè: “Sembra una cosa impossibile, eh? Però è vero.”

Hélène: “E’ una cosa impossibile, Andrè. Tu mi stai prendendo in giro.”

Andrè: “Ma prendi la televisione. Come funziona? Una corrente di elettroni, d’impulsi sonori e visivi viene trasmessa attraverso i fili o l’aria. La telecamera è il disintegratore, il tuo apparecchio ritrasforma o integra gli elettroni in figure e suoni.”

Hélène: “Sì, ma… questo è diverso.”

Andrè: “Perché?”

Hélène: “Beh, ma… è… è… è impossibile.”

Andrè: “Cinquant’anni fa se a mio padre avessero detto che restando a Montreal poteva vedere la partita a New York nello stesso momento in cui si svolgeva avrebbe detto: è impossibile! Questo è esattamente lo stesso principio.”

Hélène: “Ma non è la stessa cosa, questo è un solido!”

Andrè: “Oh, no, no, no, no, non lo è! Per il tuo tatto forse sì ma, in realtà, sono miliardi di atomi che per noi sono solo una serie d’impulsi elettrici.”

Hélène: “Tu… hai fatto veramente questo? E non era un trucco?”

Andrè: “No. Io posso trasferire la materia, qualunque cosa, alla velocità della luce in modo perfetto. Oh, certo, questo è solo un inizio rudimentale ma sono stato fortunato perché ho fatto la più importante scoperta da quando l’uomo, segando la base di un tronco d’albero, scoprì la ruota. Questa mia scoperta muterà  totalmente la vita dell’umanità. Pensa alle applicazioni: le merci, tutto, anche gli uomini viaggeranno con questo sistema. Non più macchine né ferrovie, né aeroplani, neanche navi spaziali. Basterà installare delle stazioni trasmittenti e riceventi in tutto il mondo e, in seguito, nell’universo. Non ci sarà più pericolo di carestie. I viveri potranno essere spediti istantaneamente quasi senza spesa dovunque. L’umanità non dovrà  più volere o temere nulla. Sono un uomo veramente fortunato…”

Hélène: “Io sono una donna veramente fortunata…”

I due si baciano poi Hélène osserva nuovamente il piatto che ha in mano, lo rigira e, ridendo, gli dice:

Hélène: “Spero che non trasmetterai mai me. Non vorrei uscirne alla rovescia.”

Andrè: “Che vuoi dire?”

La donna gli mostra la scritta sul retro del piatto. Il “Made in Japan” è stampato a rovescio. Andrè è allibito. Senza una parola comincia a guardare i suoi appunti e a fare dei calcoli e il resto del mondo per lui non esiste più.  Hélène esce in silenzio. Instancabilmente Andrè continua il suo lavoro ricontrollando tutto poi prova a trasferire un giornale e il tentativo riesce perfettamente. Il suo sguardo cade sulla piccola micia Isabelle e Andrè tenta di trasferire anche lei assieme a un piattino colmo di latte ma solo quest’ultimo riappare. Incredibilmente (e solo a uso e consumo per la maggior comprensione dello spettatore) risuona lontano nell’aria un flebile miagolio che si disperde nella stanza…

E’ passata una settimana e Andrè è sempre chiuso nel suo laboratorio. Hélène parla al telefono con Francois il quale ha chiamato per parlare con il fratello. Una volta deposto il ricevitore la donna si accorge che il marito è proprio dietro di lei. Andrè la bacia teneramente scusandosi per il suo comportamento poi la porta a teatro a vedere un balletto dove Andrè non perde occasione per scrivere delle formule sul libretto. Poi, dopo un’elegante cena, i due rientrano in casa e Andrè porta la moglie nel laboratorio dove teletrasporta, con perfetti risultati, una bottiglia di champagne e, subito dopo, malgrado le proteste di Hélène, fa lo stesso con una cavia. Anche in questo caso il risultato è perfetto.

Hélène: “E’ fantastico, è vivo!”

Andrè: “L’avevo già fatto stamani. Sta benone.”

Hélène: “E’ una cosa meravigliosa, è il successo completo!”

Andrè: “Eeeeh… aspettiamo. Ne avrò la certezza fra un mesetto.”

Hélène: “Non capisco…”

Andrè: “Potrebbe subire delle alterazioni fisiologiche. Se vivrà… beh, diciamo un mese, allora annuncerò il successo dell’esperimento.”

Hélène: “Posso occuparmi io di lui?”

Andrè: “E’ ancora femmina, ma puoi.”

Hélène: “Allora per un mese è mia.”

Andrè: “Purché non muoia per supernutrizione…”

Hélène: “Questa cosa fa un po’ paura.”

Andrè: “Sì, è vero. La prima esperienza con animali fu disastrosa… Isabelle…”

Hélène: “Cosa? Isabelle?… Andrè, come hai potuto?”

Andrè: “Si disintegrò perfettamente ma non riapparve più, non ne capisco il perché neanche ora. Ho buttato giù e rifatto tutto. E adesso è perfetto.”

Hélène: “E dove è andata?”

Andrè: “(Sospirando) Nello spazio… Una corrente di atomi di gatto. Sarebbe buffo se la vita non fosse sacra.”

Hélène: “Andrè, promettimi una cosa: non farai più esperimenti con animali.”

Andrè: “Te lo prometto. Mai più esperimenti con animali.”

Hélène: “Oh, è spaventoso… è… è come sfidare Iddio.”

Andrè: “Dio ci ha dato l’intelligenza per scoprire le meraviglie del creato e non muove foglia che Dio non voglia.”

Hélène: “Oh, Andrè… Io, qualche volta, ho tanta paura. E’ la corsa di questa civiltà… Elettronica, razzi, satelliti terrestri, aerei supersonici… E ora questo… Oh, non mi spaventa chi scopre queste cose, è il fatto che esistano!”

Andrè: “Ma non ti spaventano affatto la TV o la radio, o i raggi X o l’elettricità, oppure la forza di gravità…”

Hélène: “No, ma il progresso è così rapido e… e io mi sento impreparata ad assimilarlo… mi smarrisce…”

Andrè: “E tu fa come Filippo: accettalo come parte normale della vita. Sono fatti, fatti fantastici… il che mi riporta al nostro champagne…”

Andrè stappa la bottiglia e i due brindano felici.

Hélène: “Io ti amo tanto, Andrè. E’ meraviglioso essere sposata con te.”

Andrè: “E con te, amor mio.”

I giorni passano e la piccola cavia dimostra di possedere una salute di ferro. Hélène raggiunge Andrè, tranquillamente seduto in giardino e gli si siede accanto.

Hélène: “Ti raffredderai.”

Andrè: “Oggi no.”

Hélène: “A cosa pensi?”

Andrè: “Oh, sto guardando il cielo. Guardando Iddio, forse.”

Hélène: “Sei un uomo strano, Andrè. Così razionale e quadrato eppure così… non so come dire…”

Andrè: “Consapevole dell’infinito? Più cose imparo e più mi rendo conto della mia nullità. L’eterno paradosso… Hai detto che il progresso ti spaventava, io m’inebrio delle sue meraviglie.”

Hélène: “Presto sarà primavera…”

Andrè: “La mia stagione del cuore. La natura è in fermento, rinnova sé stessa… E’ fantastico essere vivi!”

Hélène: “In che senso?”

Andrè: “Non lo so. Solo che… io mi sento felicissimo di vivere, tutto qui.”

Hélène: “Anch’io.”

Si china per baciarlo.

Andrè: “Mi risposeresti se potessi tornare indietro?”

Hélène: “Oh… Ho paura di sì… (Si rialza) Beh, io ho tanto da fare… Oh, abbiamo a pranzo Francois.”

Andrè: “Ah! Devi portarmelo in laboratorio, lo sbalordiremo.”

Hélène: “Posso invitare anche il Professor Augier e gli scienziati del Ministero?”

Andrè: “Oh, no, no, no… Non c’è fretta. Io… io non so ancora come e perché certe cose avvengano. E’  troppo importante, troppo incredibile…”

Hélène: “Povero Francois, lui non ci crederà mai… Non restare troppo qua fuori, hai l’aria stanca.”

Andrè: “Sono tutto fuori che stanco.”

Francois arriva puntualmente ed Hélène lo conduce nel laboratorio di Andrè ma, davanti alla porta, trovano un foglietto scritto in pessima calligrafia:

STO LAVORANDO. NON DISTURBATEMI

In quel mentre Filippo chiama sua madre e la donna risale le scale e incontra il figlio davanti alla porta d’ingresso. Il bambino ha in mano una rete per farfalle e le dice, tutto eccitato, di aver catturato una stranissima mosca con la testa e una zampa bianche. Hélène non vuole sentire ragioni e ordina a Filippo di liberarla subito. Il piccolo obbedisce e, uscito di casa, apre la scatolina che contiene l’insetto.

L’inquadratura successiva ci mostra una fin troppo comunissima mosca con in testa una macchia bianca, una pessima resa cinematografica, ma fu una fatica improba, da parte degli addetti al make – up, metterle quel piccolo ma inutile segno in testa. Terminata la cena la governante, Emma (Kathleen Freeman), rivela ad Hélène che il vassoio contenente cibo e lasciato davanti alla porta del laboratorio, non è stato toccato. La donna risponde rassicurandola che andrà lei stessa a vedere se il marito necessita di qualcosa. Davanti alla porta del laboratorio Hélène chiede ad Andrè se ha bisogno di nulla ed ecco che un foglio viene fatto passare sotto lo stipite. La donna lo prende e inizia a leggerlo ad alta voce.

Hélène: “<Mi è capitato un guaio…> Un guaio? Andrè, cosa è successo? Rispondimi… <Conto su di te perché tu non perda la calma, solo tu mi puoi aiutare. Ho avuto un grave incidente ma, per il momento, non sono in pericolo benché sia questione di… vita o di morte!…> ANDRE’?! <… E’ assolutamente inutile chiamarmi o interrogarmi, non posso risponderti, non posso parlare. Dovrai fare esattamente e attentamente ciò che ti dirò. Bussa tre volte per dirmi che capisci e acconsenti poi portami una tazza di latte con dentro del Rhum…> Tazza di latte?!… Andrè!”

Bussa tre volte per dimostrare che ha capito e risale le scale. Quindi va in cucina e prepara del latte in una tazza versandone un po’ sul pavimento e lasciando la porta del frigorifero aperta.

La governante guarda stupita la donna che prende la tazza con aria angosciata e si dirige verso il laboratorio mentre lei riordina il tutto. Hélène trova un altro biglietto sotto la porta, posa la tazza e lo legge.

Hélène: “<Quando bussi aprirò la porta. Va’ allo scrittoio e posaci il latte, poi va nella seconda stanza e cerca di trovare una mosca...> Una mosca?! <La riconoscerai facilmente: ha la testa bianca...> Oh, Filippo… Andrè… <Non ucciderla, dalla subito a me. Prima di entrare promettimi di ubbidirmi incondizionatamente. Non mi guardare, parlare è inutile, non posso rispondere. Bussa tre volte per dirmi che ho la tua promessa. La mia vita è nelle tue mani.>”

Riprende in mano il latte e bussa. Andrè le apre. Tiene la mano sinistra nella tasca del camice e ha in testa uno drappo nero. Hélène è entrata e ha appoggiato la tazza sulla scrivania.

Hélène: “Puoi contare su di me.”

Entra nella seconda stanza e si trova davanti a una gabbia di ampie dimensioni. Intanto Andrè si è seduto alla scrivania, ha alzato il drappo e si è chinato sulla tazza. Uno strano rumore fa rabbrividire Hélène, una specie di soffio acuto, un risucchio. La donna rientra nella stanza.

Hélène: “Di qua non c’è. Se non puoi parlare, batti. Una volta per sì e due per no, va bene caro?”

Lui risponde battendo il pugno sullo scrittoio una volta.

Hélène: “Troveremo la mosca domani, te lo prometto. Appena farà giorno comincerò a cercarla. E ora perché non vieni a letto? Ti aiuto io, non ti vedrà nessuno, te lo prometto.”

Due colpi sono la risposta.

Hélène: “Filippo aveva preso una mosca. Ha detto che aveva la testa bianca, io non l’ho vista. Gliel’ho fatta buttar via…”

Andrè si alza di scatto e allunga il braccio sinistro. Quello che Hélène scorge con orrore è una lunga chela nera e pelosa. Lei urla, lui mette il braccio sotto il camice e le indica bruscamente la porta.

La donna esce di corsa piangendo e si appoggia sulla rampa delle scale che porta al piano superiore, il corpo scosso da violenti singhiozzi. Un foglio scivola sotto la porta che Andrè ha rinchiuso e lei lo raccoglie.

Hélène: “<Ritorna domattina. Scriverò a macchina spiegazioni. Devi essere forte domani, povera cara. Scusami…> Io sto bene adesso, caro, non preoccuparti. Troverò quella mosca. Ti occorre niente, stanotte?”

Due colpi.

Hélène: “Oh, amore, ti prego cerca di dormire un po’… Buonanotte… Buonanotte…”

La donna risale le scale piangendo.

Arriva il mattino ed Hélène si è addormentata vestita sul letto.

Apre gli occhi quasi convinta di aver avuto un incubo ma subito si rende conto dell’amara realtà. Portando il latte Hélène bussa tre volte alla porta del laboratorio. Andrè le apre. Ha sempre sulla testa il drappo nero e la mano sinistra è tenuta nascosta nella tasca. Aspetta che la moglie posi il latte sulla scrivania quindi le passa un biglietto e le indica di andare a leggerlo nella seconda stanza. Hélène obbedisce e questa volta legge il messaggio di suo marito mentalmente.

Hélène: “<Ricordi l’esperimento del piattino? Ho avuto un imprevisto simile. Avevo tentato l’esperimento su di me, ieri ma, in una seconda prova, una mosca che non avevo vista era entrata con me nel disintegratore. Quando ci siamo reintegrati i nostri atomi si sono mischiati. Ora la mia sola speranza è trovare quella mosca. Dovrò entrare in cabina un’altra volta insieme a lei e pregare che i nostri atomi si separino. Se non la troverai dovrò eliminarmi.>”

Bussa e chiede di poter rientrare. La risposta è un colpo affermativo.

Hélène: “Non preoccuparti, Andrè. Troverò quella mosca, non può essere lontana, però tu non devi parlare di eliminarti Andrè, non devi! Io chiamerò il Professor Augier e gli altri scienziati. Ti aiuteranno.”

Andrè in risposta batte violentemente due colpi.

Hélène: “Non inquietarti, Andrè, io pensavo solo che… Promettimi che per adesso non farai niente.”

Un colpo.

Hélène: “Fammi vedere il tuo viso… io non… non ho paura…”

Due colpi e la mano di Andrè che le indica l’uscita. La donna la prende fra le sue.

Hélène: “Va bene… Va bene, Andrè… va bene…”

Esce. Poco dopo Hélene chiede alla sempre più stupita governante di mettersi a cercare mosche in giro per la casa. Filippo la chiama in giardino per farle vedere il barattolo di vetro dove ha messo tutte le mosche che ha catturato, ma quella bianca non c’è. La donna è sempre più agitata e lo diventa ancora di più rientrando in casa e vedendo che Emma sta dando la caccia agli insetti con l’acchiappamosche. La mosca sembra introvabile ma, a un certo punto, sia Filippo che Hélène la vedono in casa. La catturano grazie a dello zucchero ma nuovamente sfugge per andare a rifugiarsi sulla finestra dalla quale esce grazie a un angolo rotto del vetro. Hélène è disperata e si accascia sulla panchina mentre Filippo cerca di consolarla. E’ sera e la donna porta la cena al marito.

Hélène: “Noi l’avevamo presa oggi ma ci è scappata fuori in giardino. La cercheremo ancora domani.”

Andrè le passa un foglio che aveva già pronto sulla macchina da scrivere.

Hélène: “Tu mangia mentre io leggo.”

Due colpi sono la risposta. Lo scienziato le indica la seconda stanza e poi inizia a mangiare. Chiudendo la porta dietro di sé Hélène sente nuovamente quel fastidioso rumore.

Hélène: “<Se tu avessi preso la mosca non leggeresti questa cosa. Io so che ormai non la prenderai più, non c’è speranza. Ci sono confini che l’uomo non dovrebbe mai superare. Ora debbo distruggere tutto, ogni prova, anche me stesso. Nessuno dovrà mai sapere cosa ho scoperto: è un pericolo per l’umanità. Ho pensato a come distruggermi ma non è facile e ho bisogno del tuo aiuto.>”

Hélène rientra rapidamente nella prima stanza.

Hélène: “Tu puoi ancora ragionare. Non hai nessun diritto di sopprimerti, non ci dovresti neanche pensare. Hai ancora la tua intelligenza, sei ancora un uomo con un’anima, non hai alcun diritto di sopprimerti. Troveremo quella mosca domani, io ne sono sicura.”

Andrè va alla macchina da scrivere e, faticosamente con una mano sola, comincia a battere un messaggio tralasciandone ovviamente l’ortografia:

NON POSSO ASPETTARE

DA QUESTA MATTINA NON RIESCO A PENSARE COERENTEMENTE

MIO CERVELLO ATTRAVERSATO DA STRANI PENSIERI

Hélène: “Se scrivi… Ma tu mi devi dare più tempo!”

Due colpi e poi un altro messaggio battuto faticosamente a macchina mentre la mano deforme comincia ad agitarsi per conto suo.

Hélène: “Perché… perché non vuoi aspettare?”

SENTO MIA MENTE STRAVOLTA MOLTO DIFFICILE CONTINUARE A PENSARE

Hélène: “Allora devi provare con il Professor Augier e gli altri scienziati, ti aiuteranno, faranno di tutto per aiutarti, vedrai.”

Due colpi secchi e André si alza poi di scatto dalla sedia.

Hélène: “Ho un’altra idea. Ricordi l’esperimento col piattino? Va un’altra volta là dentro, chissà che non riesca.”

Ancora due colpi.

Hélène: “Perché? (Intanto Andrè sta pulendo la lavagna) Ti prego, prova, tu devi provare!”

Andrè scrive un breve messaggio sulla lavagna:

HO BISOGNO DELLA MOSCA

Hélène: “Ti prego caro, per amor mio, può darsi che funzioni, ti scongiuro!”

Andrè viene convinto a tentare e l’esperimento viene compiuto regolarmente. Mentre esce dalla cabina Hélène gli va incontro.

Hélène: “Ha funzionato, è vero? Ora sarai come prima, so che ha funzionato!”

Gli leva il drappo scuro e, sotto di esso, una gigantesca testa di mosca la guarda vedendola attraverso i suoi mille occhi sfaccettati. La donna arretra urlando e il mostro avanza verso di lei che continua a urlare fino a che non cade a terra svenuta. Colui che era Andrè si china e la prende fra le braccia deponendola delicatamente sulla branda. Mentre sta per accarezzarla ecco che le convulsioni riprendono. Il mostro comincia a sfasciare il laboratorio. Hélène rinviene e assiste impotente allo sfacelo di tutta la strumentazione. Poi Andrè prende tutte le sue note e i suoi appunti e li brucia dentro a un bidone fuori dalla porta del laboratorio. Si rimette in testa il telo nero e si dirige verso la lavagna per scrivere qualcosa malamente e lottando faticosamente con il suo braccio e la sua mente

INUTILE ORA AIUTAMI MA NON VENIRMI VICINO

UCCIDI MOSCA TI PREGO TI AMO”

In stato quasi catatonico Hélène segue Andrè alla fabbrica. L’uomo prepara la pressa e le indica quale bottone premere poi, lottando sempre con il suo braccio, mette la testa sotto il macchinario. Hélène preme il pulsante, il rumore dello strumento in funzione sembra risvegliare la donna che si precipita sotto la pressa per togliervi Andrè ma questi la respinge. Lo strumento scende e compie la sua opera mortale. Purtroppo il braccio è rimasto fuori ed Hélène deve alzare la pressa e mettervi dentro “la zampa” evitando di guardare il cadavere. Quindi rimette in funzione lo strumento…

Francois e Charas hanno ascoltato la storia in silenzio.

Charas: “Una strana storia, Signora Delambre.”

Hélène: “E’ impossibile crederci.”

Charas: “E i messaggi di suo marito?”

Hélène: “Li ho distrutti.”

Charas: “Ciò che ha scritto sulla lavagna?”

Hélène: “L’ho cancellato.”

Charas: “Capisco. Beh, io devo andare. Grazie, ho preso atto.”

Hélène: “Ispettore, è stato criminoso distruggere quell’essere?”

Charas: “Chi, l’uomo mosca?”

Hélène: “Non era più Andrè. Non avrei potuto uccidere lui ma sono contenta che l’essere sia morto.”

Francois: “L’accompagno, Ispettore…”

I due escono e Charas parla brevemente con l’infermiera e poi raggiunge Francois che l’aspetta al piano di sotto.

Francois: “Ispettore…”

Charas: “Lei crede a quella storia?”

Francois: “Eh… beh, spiega tanti fatti: l’uso di quella pressa, la mosca, ogni cosa…”

Charas: “Vero, ma le ho chiesto se ci crede. Io sono solo un poliziotto, non un entusiasta di fantascienza, perciò io non credo a ciò che ha detto… Non è accettabile!”

Francois: “Ma lei non… Voglio dire, lei non conosceva Andrè, aveva le prerogative del genio…”

Charas: “Sì, può darsi, ma la materia non può essere trasmessa, è una storia inverosimile!”

Charas apre l’uscio di casa.

Charas: “Tornerò alla dieci col mandato di cattura e con l’imputazione di omicidio. L’infermiera ha ordine tassativo di non lasciarla un momento per nessun motivo.”

Francois: “Ma, Ispettore… potrebbe essere la verità.”

Charas: “E’ la verità. Per lei. Purtroppo è veramente pazza. Coraggio, non l’impiccheranno…”

Francois: “Beh, io non ne sono certo…”

Charas: “Vorrei poterla aiutare. La signora ha bisogno della sorveglianza costante di un medico, non si può dire chi colpirà dopo Andrè, forse il bambino…”

Francois: “Ma deve esserci qualcosa da fare per provare che…”

Charas: “Sì che c’è. Mi trovi la mosca.”

Charas se ne va e Francois rientra in casa. Parla brevemente con Emma la quale gli dice che ha sì visto la mosca a suo tempo ma che per lei si trattava di un comunissimo moscone blu. Poi Francois inizia la sua ricerca in giardino, accanto ai bidoni dell’immondizia brulicanti di mosche. Si siede sulla panchina ascoltando i rintocchi del campanile i quali gli indicano che le dieci sono già arrivate e non sente la flebilissima voce che grida: “Aiuto, aiutatemi” proprio a due passi da lui. La mosca è impigliata in una ragnatela e un grosso ragno la sta minacciando. L’auto della polizia e un’ambulanza entrano nella villa di Hélène. L’Ispettore Charras è arrivato con il mandato e con gli infermieri e Francois va direttamente nella camera da letto della moglie di Andrè che è appena stata svegliata dall’infermiera. La donna ascolta attonita l’Ispettore parlarle del tremendo capo d’accusa che pende su di lei.

Hélène: “Ma, Ispettore, se le ho raccontato tutto…”

Charas: “Ora sta alla Corte decidere.”

Hélène: “Ma lei ha detto che non era stato un delitto l’uccisione di quell’essere!”

Charas: “Deve venire con noi, Madame.”

Hélène: “Francois, non gliel’hai fatta vedere? Non l’avrai distrutta! Ispettore, l’ha vista!”

Charas: “Temo proprio di no, Signora Delambre.”

Francois: “Ti ho mentito. Non l’ho mai avuta, non l’ho mai avuta…”

Hélène: “Non l’hai mai avuta…”

Francois tenta disperatamente di non far portar via Hélène e la donna, a sua volta, deve essere tenuta ferma e le deve essere praticata un’iniezione calmante. La sua agitazione raggiunge il culmine quando sente, dal piano di sotto, Filippo che la chiama e implora Francois di andare incontro al bambino affinché non la veda in quello stato. L’uomo esce e incontra il piccolo sul pianerottolo. Dopo avergli spiegato che l’ambulanza e lì per la mamma cerca di tranquillizzarlo promettendogli il cinema. Filippo ne è contento e dice allo zio che ha appena rivisto la mosca con la testa bianca.

Francois: “Hai rivisto la mosca, dove?”

Filippo: “In una ragnatela, il ragno stava per mangiarla. Vicino alla panchina, in giardino.”

Francois: “Ne sei sicuro?”

Filippo: “Oh, sì.”

Francois: “Resta qui un momento.”

Francois risale le scale di corsa e si precipita da Chalas.

Francois: “Ispettore, è in giardino, venga presto!”

Charas: “La prego, Monsieur…”

Francois: “L’ha vista Filippo. Le dico che è giù. La scongiuro, venga con me, presto!”

Charas: “(Rassegnato) Va bene, mi dica dov’è.”

Filippo porta i due davanti alla ragnatela e così Charas e Francois assistono all’epilogo della tragedia: una mosca con la testa umana che grida aiuto mentre un gigantesco, per lei, ragno, sta per ucciderla. L’Ispettore prende un sasso e lo scaraventa sull’assassino e sulla vittima. Poi, con aria affranta e sconvolta si siede sulla panchina.

Francois: “Charas… Charas!”

Charas: “Non ci vorrei credere… Ma lei l’ha visto, lei l’ha visto, è vero?”

Francois: “Sì, io… ho visto e ho creduto che lei…”

Charas: “Dio me ne è testimone. Io ho visto quell’essere… E’ incredibile! Non dimenticherò mai quelle grida per quanto vivrò…”

Francois: “Ha commesso un assassinio non meno di quanto l’ha commesso Hélène. Uno ha ucciso una mosca con la testa d’uomo e l’altra un uomo con la testa di mosca. Se Hélène ha ucciso ha ucciso anche lei.”

Charas: “Lo so, ma chi mai ci crederà? Ci crederanno pazzi!”

Francois: “Aspetti. Lui aveva tempo di azionare la pressa e mettersici sotto, potrebbe essere stato un suicidio. La mente di Andrè era sconvolta ed Hélène ha tentato di fermarlo.”

Charas: “E il contacolpi?”

Francois: “Io dimenticai di portarlo a zero l’ultima volta che fu usata la pressa.”

Charas: “Sì… sì… può essere stato un suicidio…”

L’Ispettore si alza di corsa per andare a risolvere la situazione ed evidentemente c’è riuscito se, qualche tempo dopo, troviamo Hélène e Filippo intenti a giocare felicemente a criquet in giardino.

Arriva anche Francois che propone al piccolo di portarlo allo zoo.

Filippo: “Zio?.”

Francois: “Sì?”

Filippo: “Sai, la mamma mi ha detto di papà. Una cosa però mi ha detto di chiederla a te. Perché è morto?”

Francois guarda Hélène e poi si siede davanti al bambino.

Francois: “Vedi, Filippo, è morto per il suo lavoro. Lui era come… come un esploratore in un paese ignoto dove non era mai stato nessuno. Era in cerca della verità e aveva quasi scoperto una grande verità, ma per un solo istante si distrasse…”

Filippo: “Fu quello che l’uccise?”

Francois: “La ricerca della verità è il lavoro più importante che esista al mondo… e il più pericoloso…”

Filippo: “A me piacerebbe… a me piacerebbe essere un esploratore come lui, mi ci farai diventare, zio Francois?”

Francois: “Senz’altro.”

Hélène accompagna i due al cancello…

Cinematograficamente parlando Francois manterrà la sua promessa in La Vendetta del Dottor K (1959) di Edward Bernds parecchi anni dopo e Filippo si addentrerà nei recessi scientifici e ignoti del padre subendone la stessa sorte ma riuscendo poi a ritornare normale. Così non capiterà a suo figlio e nipoti nel seguito del seguito La Maledizione della Mosca, ancora di Bernds (1965). Senza alcun dubbio il peggiore dei tre. Unico film a colori della trilogia The Fly è anche il migliore, eguagliato, se non superato, dallo splendido e angosciante remake girato da David Cronenberg dove finalmente si abbandona questo stupido titolo italiano del “Dottor K” per la semplice traduzione dell’originale La Mosca.

Al Hedison, conosciuto anche come David Hedison, è nato a Providence, nel Rhode Island, il 20 maggio del 1927 e lo ricordiamo soprattutto nel ruolo del Capitano Lee B.Crane nella serie televisiva Avventure in fondo al mare e nel ruolo del giornalista Ed Malone nel film di Irwin Allen Mondo Perduto. Per quanto riguarda Patricia Owens, sappiamo solo che è nata nel 1925. E’ di origine canadese e ha lavorato molto negli Stati Uniti. La ricordiamo nell’avveniristico e documentaristico Il Leggendario X-15 di Richard Donner (1961), accanto a un giovane Charles Bronson. Ben diverso è il discorso degli altri protagonisti maschili. Di Vincent Price parleremo a parte in un prossimo articolo, invece di Herbert Marshall  (1880 – 1966) vogliamo ricordare che è sempre stato un ottimo ed elegante caratterista. Nel campo fantascientifico si è specializzato nel ruolo dello scienziato e così lo troviamo in Attacco alla Base Spaziale U.S (Gog) di Herbert L. Strock (1953) e Gli Esploratori dell’Infinito (Riders to the Stars1954) di Richard Carlson, ma non possiamo dimenticare la sua vigorosa e intensa interpretazione in Il Prigioniero di Amsterdam (Foreign Corrispondent – 1940) di Alfred Hitchcock.

Il film ebbe un budget abbastanza basso per l’epoca: 350.000 dollari ma ha incassato ben tre milioni. E’ tratto da un romanzo di George Langelaan che ha vinto un premio come miglior romanzo breve di fantascienza nel 1957. La scelta del regista (Kurt Neumann 1908-1958) è stata fatta dai produttori perché il regista aveva precedentemente dimostrato di saper restare entro il budget dei film che girava. Originariamente il film doveva essere girato in Francia ma i soliti motivi economici hanno dirottato la pellicola su zone meno costose come il francofono Canada.

L’ormai famosa sequenza di Patricia Owens (1925- 2000) vista dagli occhi della mosca e quindi frammentata in tante piccole immagini, fu un’idea del direttore della fotografia Karl Struss perché Neumann era noto per non brillare di eccessiva fantasia.

Era veramente Al Hedison che indossava la maschera della mosca, realizzata di proporzioni maggiori, rispetto al corpo, in quanto doveva essere ben visibile e indossabile. La proboscide mobile era attaccata su un supporto di legno che l’attore teneva in bocca. Gli occhi cangianti dell’insetto furono un’aggiunta dell’ultimo minuto e sostituirono quelli precedenti che erano solamente neri. La mano non era all’altezza del resto del trucco ma molto più semplicemente un guanto peloso.

La scena tra Herbert Marshall e Vincent Price davanti alla mosca impigliata nella ragnatela fu appositamente realizzata con gli attori l’uno dietro all’altro perché i due non potevano guardarsi e fare la faccia drammatica senza scoppiare a ridere.

Un’ultima nota: il vero nome di Isabelle, il gatto, era “Dandelo”.

LA VENDETTA DEL DR. K (Return of the Fly – 1959)

Il film di Kurt Neumann ebbe un buon successo e generò un sequel intitolato appunto La Vendetta del Dr. K. La storia riparte dopo alcuni anni, in una funesta giornata di pioggia mentre si svolgono le esequie della sfortunata moglie dell’uomo-mosca alla presenza del figlio già grande dello scienziato (Brett Halsey). Egli segue le orme paterne e diviene lui stesso un uomo mosca, questo grazie anche al complotto di alcune spie che vorrebbero carpirgli  l’invenzione, ma il nostro riesce a farle fuori e a ritornare normale, grazie anche all’aiuto dello zio, interpretato sempre da Vincent Price. Halsey non volle vestire la pesante truccatura e toccò quindi a una controfigura girare tutte le scene con il mascherone, se possibile realizzato in modo anche peggiore del precedente. Il regista Edward Bernds (1905 – 2000) è stato il direttore di molti film di fantascienza: 1956 – Mondo senza Fine, 1958 - Space Master X-7 (Mutiny in outer space), 1958 – La Regina di Venere, 1959 – La Vendetta del Dottor K, 1962 – Three Stooges meets Hercules, 1962 – Three Stooges in Orbit. Era nato il 12 luglio 1905 a Chicago, Illinois (USA). Ha iniziato come tecnico del suono nel 1929 e ha esordito nella regia, su una sua storia, nel 1945 (Micro-Phonies). E’ morto il 20 maggio 2000 a Van Nuys (California).

LA MALEDIZIONE DELLA MOSCA (Curse of the Fly – 1965)

Il terzo episodio delle disavventure dell’uomo mosca, girato sempre da Edward Bernds, dovrà attendere ben sei anni prima di essere girato e ancora di più prima di essere presentato in Italia, prima in televisione e poi in DVD, edito, come gli altri, dalla Fox Video in un elegante cofanetto che contiene i vecchi film e quelli nuovi. Diciamo subito che non se ne sentiva la mancanza.

Il tempo del remake de La Mosca e ancora di là da venire e questo è sicuramente il peggiore della serie. Pur essendo interpretato da Bryan (Quatermass) Donlevy, il film narra la storia del figlio del protagonista della seconda pellicola e dei suoi nipoti. Le trasformazioni e il teletrasporto usato dai loro predecessori ha sconvolto le loro cellule e ha causato delle mutazioni genetiche. Per poter distruggere le anomalie è necessario compiere altri esperimenti con il teletrasporto e per far questo vengono rapite delle involontarie cavie e saranno alcune di loro a fare giustizia della perfida famiglia.

Bryan Donlevy (1901-1972) è stato consacrato nella storia del cinema di fantascienza per aver interpretato il personaggio dello scienziato Bernard Quatermass creato da Nigel Kneale (1922-2006) a cui dobbiamo anche la suggestiva storia da cui è stato tratto il film Il Mostruoso Uomo delle Nevi, tutti girati da Val Guest.

LA MOSCA (The Fly – 1986)

Veronica Quaife, più familiarmente chiamata Ronnie (Geena Davis), è una giornalista della rivista scientifica Particle diretta dal suo ex amante Stathis Borans (John Getz) e conosce a un party uno strano tipo, uno scienziato solitario e autonomo, Seth Brundle (Jeff Goldblum) il quale la conduce nel suo laboratorio per mostrarle quello che lui considera una scoperta straordinaria che cambierà il mondo. La ragazza si trova davanti a due curiose cabine (la forma delle stesse è ispirata a un vecchio tipo di motorino Ducati) che, a tutta prima, prende per delle cabine telefoniche di forma avveniristica, ma si ricrede ben presto quando Seth le chiede in prestito un suo oggetto personale, in questo caso una calza, e l’uomo la teletrasporta da una telecapsula all’altra. Ronnie resta allibita.

Ronnie: «Io non credo di arrivarci… Cos’è accaduto?»

Seth: «C’è arrivata sì, ma non lo accetta… ehm… la sua calza è stata teletrasbordata da una capsula all’altra, disintegrata qui e reintegrata là… una specie… E questo cambierà il mondo, vero?»

Mentre i due parlano Ronnie accende il registratore portatile che tiene in borsetta.

Ronnie: «Oh, no… sì… da non credersi… insomma… insomma non è possibile, vero? Ma come ha fatto a tenerlo segreto?»

Seth: «Prego, sieda

Ronnie: «Come ha potuto farlo da solo?»

Seth: «Ah, beh, io non lavoro da solo. Là dentro c’è roba che neanche capisco. Io, in realtà sono… un manager di sistemi, commissiono tutto a pezzi e bocconi a gente più preparata di me. Gli dico: fammi un laser così, un analizzatore molecolare cosà… li fanno e io metto tutto insieme ma nessuno conosce lo scopo finale, così. (Le mostra una teiera)»

Ronnie: «E i soldi? La Bartok Industries finanzia questo?»

Seth: «Ah, ah. Ma mi lasciano in pace perché non sperpero e qualunque cosa faccia sarà comunque loro… eh, sì!»

Ronnie: «E non gli ha detto niente?»

Seth: «Quando sarò pronto

La nastrocassetta finisce proprio in quel momento e Ronnie aperto il registratore e girata la cassetta dall’altro lato, rimette tutto in borsetta.

Ronnie: «Ah, scusi…»

Seth: «Cos’è, cosa fa?»

Ronnie: «Beh, vorrà che faccia un resoconto preciso…»

Seth: «Cosa? No, no, no, no… è qui in veste privata, non può scrivere di questo!»

Ronnie: «Ehi, ma che sta dicendo, io sono giornalista!»

Seth: «Oh, no, no, no, no, no….»

Ronnie: «Lo sapeva…»

Seth: «Ehm, mi dispiace, chiedo scusa, ho fatto un errore. Non dovevo mostrarle… mi dispiace tanto davvero…»

Ronnie: «Senta, il Particle Magazine, mi ha mandato a quella festa per fare un pezzo e questa è la cosa più straordinaria che abbia mai visto.»

Seth: «No, no, assolutamente no! Anzi, sono costretto a chiederle quel nastro, la prego…»

Ronnie si alza di scatto.

Ronnie: «Non può farlo!»

Seth: «Non si azzardi a fare il pezzo, non avrei mai fatto anticipazioni a un giornalista!»

Ronnie: «Ma ne ha proprio parlato a una giornalista.»

Seth: «Beh, sì… in un certo senso sì, però io non…»

Ronnie: «Salve!»

La donna si alza e si dirige verso la porta.

Seth: «Un momento, un momento, aspetti… rivorrà la sua calza…»

Ronnie (uscendo): «La tenga per ricordo.»

Quando Ronnie riferisce l’entusiasmante esperienza a Stathis questi non crede che la cosa possa essere vera e sospetta che la ragazza sia stata presa in giro con un trucco da illusionisti. La loro conversazione viene interrotta dall’arrivo di Seth e Stathis lascia loro a disposizione il piccolo ufficio ma lo scienziato invita la giornalista ad andare a prendere un cheeseburger. Seduti al tavolo i due conversano sulla situazione.

Seth: «È troppo tempo che lavoro da solo e ho uno stimolo fortissimo a parlare di quello che faccio… però se la cosa viene fuori ora, Ronnie, sono rovinato. Quelli della Bartok, i miei colleghi, mi rovineranno… ancora non è pronto!»

Ronnie: «Sembra che funzioni.»

Seth: «No, manca qualcosa d’importante.»

Ronnie: «Sì?»

Seth: «Sì.»

Ronnie: «Cioè?»

Seth: «Posso solo teletrasbordare cose inanimate!»

Ronnie: «Oh… E che succede se provi con esseri viventi?»

Seth: «Non mentre si mangia.»

Ronnie (Indicando il cheeseburger): «Può essere peggio di questo? Senti, non è poi che tu sia molto bravo a convincermi. Il mondo dovrebbe saperlo, ormai, e a dirglielo dovrei essere io…»

Seth: «Tu, certo, sì… però… ancora no! Senti, cos’hai raccolto finora?»

Ronnie: «Abbastanza da innervosirti.»

Seth: «Perché non fai di più? Mettimi al centro dei tuoi progetti! Perché non scrivi un libro e non un pezzo per una rivista? Segui me e il mio lavoro giorno per giorno e in ogni minimo particolare. Non ho una vita sociale, niente per cui puoi interferire. Documentati al massimo, registra i progressi, la cronaca completa dell’invenzione che scuoterà il mondo, quella che sovvertirà ogni concetto di trasporto, di confini, di frontiere, di tempo e di spazio. E il libro finirà con me che mi teletrasbordo per quattro metri di spazio da una telecapsula all’altra. Questa è la cosa che manca… mi aspetti fino allora?»

Tornata a casa Ronnie, trova sotto la doccia, Stathis e lo manda via bruscamente, pretendendo la restituzione della chiave di casa che l’ex amante aveva tenuto fino a quel momento. Gli esperimenti continuano e Seth, alla presenza di Ronnie e della sua telecamera, compie un esperimento di teletrasporto con un babbuino: quello che vede nella capsula ricevente è un ammasso informe di carne e di ossa, evidente segno del fallimento dell’esperimento. Ronnie lo invita a fare una relazione sull’accaduto, sicura che possa giovare allo scienziato e al mondo intero.

Ronnie: «Lo devo fare, Seth, parla in macchina, abituati! Il mondo vorrà sapere quello che pensi.»

Seth: «Fanculo! E’ quello che penso!»

Ronnie: «Bene, il mondo vorrà saperlo e poi? Perché non ha funzionato?»

Seth: «È successo che ha rovesciato il babbuino come un guanto!»

Ronnie: «Perché?»

Seth: «Non funziona con la carne, funziona solo con cose inanimate, nulla di vivente, forse è colpa mia.»

Ronnie: «Perché?»

Seth: «I computer sanno solo quello che gli dici. Sarò io abbastanza ignorante sulla carne, dovrò imparare. Basta ora, però…»

Il loro rapporto si fa più intimo e, dopo aver fatto l’amore, Ronnie dice a Seth di aver portato delle bistecche.

Lo scienziato ha un’idea… taglia in due una bistecca e teletrasporta una delle due parti e poi le cuoce entrambe reclutando una perplessa Ronnie come cavia. Il primo pezzo, la carne non teletrasportata, ha un sapore normalissimo, il secondo pezzo, però…

Ronnie: «Mmmt… Mmmt… Strano sapore..»

Seth: «Strano come?»

Ronnie: «Ha un che di… di sintetico…»

Seth: «Ah, ah…»

Ronnie: «Che cosa abbiamo provato?»

Seth: «Beh, il computer ci sta fornendo la sua interpretazione di una bistecca, è come se la traducesse per noi, la ripensasse piuttosto che riprodurla e… e c’è qualcosa che va perduto nella traduzione!»

Ronnie: «Io mi ci perdo.»

Seth: «La carne dovrebbe rendere il computer… pazzo, come le donne che pizzicano le guance ai bambini, ma questo ancora non gli accade. Non ho insegnato al computer né ad impazzire per la… carne né la poesia della bistecca perciò comincerò ad insegnargliela!»

È l’alba quando Ronnie esce dal laboratorio per tornare verso casa ma è stata seguita e sorvegliata da Stathis che la affronta poco dopo in un negozio di abiti facendole una gran scenata. Le prove in laboratorio continuano e il computer impara finalmente a duplicare la carne perfettamente. Sicuro del fatto suo Seth prova ancora una volta a teletrasbordare un animale. Questa volta il babbuino esce dalla capsula spaventato ma vivo. Seth e Ronnie stanno pensando di partire per una vacanza nell’attesa che vengano fatti gli esami sull’animale quando la donna riceve da Stathis la bozza della copertina della rivista che parla di Seth e dei suoi esperimenti. La ragazza si irrita ed esce furiosa per incontrare il suo ex amante, lasciando Seth da solo senza una spiegazione precisa. Mentre Ronnie riesce a raggiungere un accordo con Stathis che attenderà fino a che i risultati non saranno completi, Seth, da solo e leggermente ubriaco, decide di provare su se stesso il teletrasporto ma non si accorge che, dentro la capsula nella quale lui si è messo, è entrato un moscone.

Il computer avvia la procedura ed il risultato è, almeno in apparenza, perfetto. Ronnie ritorna e lui le dice di aver compiuto con successo l’esperimento. Tutto sembra andare bene se non fosse che dei peli, duri e robusti, cominciano a crescere sulla schiena di Seth. Ma non è il solito fenomeno strano, l’uomo si sente in forma perfetta e lo dimostra con una serie di esercizi ginnici di alta levatura, comincia anche a essere agitato e nervoso, prende parecchi cucchiaini di zucchero nel cappuccino e diventa insaziabile nell’amore e quando lei, sfinita, gli chiede di smettere lui si inferocisce ed esce alla ricerca di una donna… donna che trova in un bar malfamato dopo aver spezzato un braccio al suo uomo. Portata la donna a casa sua Seth cerca di convincerla, come aveva fatto prima con Ronnie, ad entrare nella telecapsula ma l’arrivo di Ronnie semplifica ogni cosa: la donna se ne va e la giornalista affronta Seth.

Ronnie: «Stai cambiando, Seth. Tutto di te sta cambiando, hai un brutto aspetto, hai un cattivo odore.»

Seth: «Uhm, mai amato l’acqua calda…»

Ronnie: «Quegli strani peli che ti crescono sulla schiena… li ho portati in laboratorio, li ho fatti analizzare…»

Seth: «I peli? I peli… oh, strana iniziativa!»

Ronnie: «Mai tanto strana come i risultati. Al laboratorio non riuscivano ad identificarli, poi sono arrivati alla conclusione che decisamente non erano umani!»

Seth: «Oh… Eh! Eh! Eh! Ottimo!»

Ronnie: «Non sono umani, Seth. Infatti è quasi certo che siano di insetto.»

Seth: «Che sciocchezza! Che ridicolaggine!»

Ronnie: «Seth, c’è dell’altro. Guardati la faccia. Quando lo hai fatto è successo qualcosa, hai bisogno di aiuto perché, forse, sei malato.»

Seth (urlando): «Sei gelosa! Ora sono libero, al settimo cielo, e tu non lo tolleri. Fai di tutto per riportarmi giù!»

Seth caccia via la ragazza che se ne va piangendo. Si reca in bagno per vedersi allo specchio e, con orrore, vede che le unghie gli vengono via e uno strano liquido gli esce dalle dita. Si siede sulla vasca da bagno mormorando:

Seth: «Oh, no… no… Cosa mi succede?! Sto morendo, comincia così… sto morendo…»

Dopo essersi messo dei guanti Seth si siede al computer.

Seth: «Brundle Sette! Dammi invio! E mi serve il primo teletrasbordo A.S. Brundle!»

Computer: «Analisi elemento primario teletrasbordo. Analisi elemento secondario teletrasbordo.»

Seth: «Se l’elemento primario è Brundle, qual è l’elemento secondario?»

Computer: «L’elemento secondario è Non Brundle.»

Seth: «Passami la sequenza!»

Il computer, partendo dal DNA, evidenzia di quale elemento secondario si tratti: una mosca.

Seth: «Se l’elemento secondario è mosca, che ne è stato della mosca?»

Computer: «Fusione.»

Seth: «Assimilazione? Brundle ha assorbito mosca?»

Computer: «Negativo. Fusione Brundle-mosca a livello molecolare genetico.»

È passato un mese e finalmente Ronnie riceve una telefonata da un disperato Seth che, piangendo, chiede di poterla vedere. La ragazza si reca di corsa nella sua casa laboratorio.

Ronnie: «Seth, sono qui!»

Seth: «Ferma!»

L’uomo gli appare all’improvviso, si regge con dei bastoni e ha il viso deturpato.

Ronnie: «Seth!»

Seth: «Avevi ragione, sono malato e… potrei anche essere contagioso. Non vorrei mai contagiarti… È un processo inesorabile e ogni giorno avvengono dei… mutamenti. Ogni volta che mi guardo allo specchio vedo un essere diverso, orrendo, ripugnante…»

Ronnie: «Che è successo?»

Seth: «Tobia una mosca s’inghiottì e ne morì!»

Ronnie: «Seth, ti prego..»

Seth: «Io non ero puro. Il teletrasporto esige la purezza, non ero puro…»

Ronnie: «Io non riesco a capirti!»

Seth: «Una mosca è entrata nella telecapsula con me la prima volta, quando ero solo. Il computer si è confuso, non erano previste due strutture genetiche diverse e ha deciso di… unirci in matrimonio! Ci ha accoppiato, me e La mosca, senza neanche averci prima presentati… Il mio teletrasbordo è diventato una “copula genetica” così perfetta che io non sono più Seth Brundle, io sono il risultato di Brundle e una mosca… Si sta manifestando come una strana forma di cancro…»

Ronnie: «Che cosa?»

Seth: «Un caos cellulare, una rivoluzione! Io mi… mi manderà al disfacimento in un modo nuovo, non c’è dubbio, ma finirà con la morte… auspicabile fine.»

Ronnie: «No, no, io non lo accetto… ma ci deve essere un rimedio, qualcuno da cui andare, analisi da poter fare.»

Seth: «No… io non sarò uno dei soliti cancerosi opprimenti che parlano solo dei loro linfonodi e dei capelli che perdono!»

Ronnie: «Allora che vuoi che faccia io? Perché mi hai voluta qui?»

In un gesto ormai per lui diventato istintivo Seth vomita sul cibo, incurante del fatto che un orecchio sta scivolando via dalla sua testa. Chiede aiuto alla ragazza che lo abbraccia piangendo. Ronnie si reca da Stathis, pretendendo un consiglio in merito; l’uomo le chiede di fare una registrazione sulla condizione di Brundle: per poter trovare una soluzione vuole prima vedere in che stato è ridotto lo scienziato. Quindi la ragazza torna da Seth e lo trova a camminare sulle pareti, sul soffitto, come una mosca in cerca di spazi. Scende e gli si avvicina.

Ronnie: «Non ce la faccio. Questo è troppo!»

Seth: «Cosa, adesso? Adesso che conosciamo lo scopo del male e sappiamo che non è contagioso? Io so cosa vuole il male!»

Ronnie: «E che cosa vuole il male?»

Seth: «Eh, vuole trasformarmi in qualcos’altro, non è tremendo. Quanti darebbero chissà cosa per cambiare tutto o in parte…»

Ronnie: «In cosa trasformarti?»

Seth: «Tu pensi a una mosca? A una mosca di 75 chili? No, io divento qualcosa che non è mai esistito, io sto diventando una Brundlemosca. Pensi che valga un paio di Nobel?»

Seth le chiede di accendere la telecamera e di cominciare con la registrazione.

Seth: «Com’è che Brundlemosca mangia? Beh, ha scoperto che i suoi pasti sono simili a quelli di una mosca e che i suoi denti non gli servono perché, anche se riesce a masticare cibo solido, non può digerirlo. Il cibo solido gli fa male…»

L’inquadratura passa alla registrazione su nastro. Stathis, in casa dell’assente Ronnie, lo sta visionando.

Seth: «…così, come una mosca, Brundlemosca distrugge i solidi mediante un enzima corrosivo chiamato briosamente goccia di vomito. Egli vomita sul suo cibo e lo liquefà e quindi lo risucchia. Pronti per la dimostrazione, bambini?»

La scena suscita il disgusto di Stathis. Nel frattempo Ronnie è tornata a casa piangendo, sconvolta confessa di essere stata in ospedale per fare un test di gravidanza: il risultato è positivo. Un incubo durante la notte la fa svegliare di soprassalto, ha sognato di partorire una gigantesca larva di mosca. Frattanto Seth, sempre più trasformato, sta lavorando al computer.

Computer: «Progetto Brundle-mosca. Problema: raffinare programma fusione. Scopo: diminuire al minimo percentuale di mosca in Brundle. Soluzione: fusione attraverso congiunzione genetica di Brundle-mosca con uno o più soggetti umani puri.»

A Seth, ora, cadono anche i denti e li mette, assieme agli altri pezzi che si sono staccati dal suo corpo decadente, nel suo armadietto in bagno. Arriva Ronnie, il suo scopo è quello di dirgli di essere incinta ma non vi riesce, troppo spaventata all’idea di confessare la verità. Seth è al tempo stesso triste e quasi felice di questo cambiamento che sta avvenendo in lui e in un momento di triste lucidità esclama:

Seth: «Io sto dicendo che sono un insetto che aveva sognato di essere un uomo e gli era piaciuto! Ma adesso il sogno è finito e l’insetto è sveglio…»

Piangendo Ronnie se ne va. Stathis è fuori con la macchina ad aspettarla e le chiede perché non glielo abbia detto. La ragazza non ha proprio avuto il coraggio. Da sopra il tetto Seth ha seguito la conversazione. Stathis porta quindi Ronnie da un amico ginecologo, il dottor Bryan e, mentre questi sta facendo i preparativi per provocarle un aborto, la vetrata dello studio si sfonda: è Seth che carica la donna sulle spalle portandosela via attraversando i tetti della città fino al laboratorio. Seth la implora di non abortire ma la ragazza è troppo spaventata all’idea di partorire un mostro. Stathis, intanto, armato di fucile, penetra nel laboratorio ma viene assalito da Brundle che gli cola sulla mano sinistra e sul piede destro la goccia di vomito corrosiva. Sta per ucciderlo quando Ronnie lo ferma. Il laboratorio è cambiato: una terza capsula è stata collegata alle altre due.

Seth: «Aiutami ad essere umano… Vieni… Io vado là e tu… tu vai là. Noi ci separiamo         poi… poi… poi ci riuniamo là… tu, io e il bambino… La più alta espressione di famiglia… di tre membri uniti insieme in un solo corpo, più umani di me da solo…»

Ronnie, urlando, si aggrappa disperatamente a lui ed è in quel momento che avviene l’ultima, penosa trasformazione: il corpo-larva di Seth si apre rivelando la vera natura di un insetto gigantesco che afferra Ronnie e la scaraventa nella capsula poi, a sua volta, si chiude nell’altra capsula. Il processo inizia ma Stathis, con uno sforzo, spara sul cavo di connessione tra la capsula di Ronnie e le altre; Seth riesce a sfondare la capsula e sta per uscirne ma viene teletrasportato assieme alla capsula stessa. La creatura vermiforme che ne esce è un misto del mostro di prima con frammenti della capsula assimilati lungo il corpo strisciante. Con una delle chele (i produttori non sapevano in che modo dotare la creatura di estremità, si era provato con innesti di capsula a mo’ di braccio artificiale e con escrescenze simili a zampette di mosca, ma la soluzione finale adottata è stata giustificata alla stampa e alla critica come un’aberrazione genetica fisica dovuta all’imbrigliamento delle molecole di cui siamo composti) alza il fucile che la ragazza ha in mano e se lo appoggia sulla testa. Piangendo Ronnie preme il grilletto. È tutto finito… forse.

Meritato Oscar per il make-up a Chris Walas e Stephen Dupuis per questo remake tratto dal racconto di George Langelaan. Parliamo un po’ del trucco: la testa di Jeff Goldblum è stata sottoposta a un lungo processo di gommage, pulitura e purificazione dei pori della pelle, in modo da eliminare qualsiasi imperfezione; in seguito è stato preso il calco della faccia e costellato di frammenti di gomma pane. I frammenti erano applicati singolarmente in modo da rendere bene l’effetto di pelle che si stacca; i peli (di gomma dura) poi, sono stati inseriti uno a uno dentro i frammenti di gomma. I rigonfiamenti della finta pelle servivano, oltre che per l’effetto estetico, anche per contenere le sacche del liquido giallastro: collegate con una pompetta queste entravano in funzione a una semplice pressione, il più delle volte ad opera di Goldblum. Il liquido in sé non era altro che un miscuglio di acqua, colorante atossico e gelatina liquida da pasticcere e, per renderla più corposa, è stata aggiunta una spolverata di borotalco. Durante le ore necessarie a fissare il trucco sulla faccia di Goldblum non sono certo mancati quei piccoli incidenti che caratterizzano il backstage dei film… per togliere i frammenti residui di trucco in genere vengono utilizzati dei solventi atossici, ma comunque fastidiosi, che alla lunga possono dare irritazione; a Goldblum si era arrossato uno zigomo ed evitava di toccarsi per non soffrirne troppo, anche le truccatrici cercavano di stare molto attente, usando un tocco delicato. Al momento di inserire i peli di gomma nell’apposita allocazione qualcuno deve aver calcato troppo la mano nell’inserimento e un peletto in gomma dura è rimasto attaccato al viso dell’attore anche dopo aver tolto il trucco… originalissimo e anticonformista il buon Goldblum ha rifiutato di farselo togliere fino al giorno successivo.

LA MOSCA 2 (The Fly II – 1989)

Lo stesso realizzatore degli effetti speciali del primo film, Chris Walas, fa da regista a questo sequel che si apre con una comparsa, che sostituisce il personaggio di Geena Davis del primo episodio e che partorisce una sorta di larva all’interno della quale si trova un bambino dall’aspetto apparentemente normale. La donna, subito dopo il faticosissimo parto, muore e il piccolo, chiamato Martin, viene adottato dalla Bartok Industries proprietaria delle apparecchiature lasciate dal padre del piccolo. Il direttore e titolare del Centro di Ricerche, Bartok (Lee Richardson), ovviamente affida Martin a una équipe di ricerche.

Bartok: «La prego, dottoressa Janeway, non consideri questo bambino un animale da laboratorio. Io voglio che abbiate cura di lui come se fosse figlio mio. Quindi tutti ne risponderete alla Dottoressa Janeway che, a sua volta, ne risponderà a me. Io, dal mio canto, ne risponderò solamente a Dio, solo a lui. Dal volere di Dio alle vostre cure, quella sarà la via gerarchica, sono stato chiaro?»

Pochi mesi dopo si sono già verificate le prime, sostanziali differenze fra Martin e un bimbo normale.

Janeway (indicando il grafico sul monitor): «Qui abbiamo un bambino normale di undici mesi e qui abbiamo il nostro bambino di undici mesi. Come vedete il suo ciclo vitale è iperaccelerato. Ora, questi sono cromosomi aberranti, ovviamente prodotto di una mutazione genetica e tutti questi sono dormienti. Qualcosa che si aggiunge alla crescita accelerata.»

Bartok: «E che dire delle sue caratteristiche non genetiche, della sua capacità di apprendere, per esempio.»

Janeway: «Possiede una memoria fotografica. Non si limita ad apprendere, divora le informazioni e… non dorme mai.»

Bartok: «Ah, davvero?! Lei gli vuole bene?»

Janeway: «Beh, io, come oggetto di studio, lo trovo stupefacente, ma mette a dura prova la nostra pazienza quando lo sottoponiamo a esami clinici.»

Bartok: «Credo sia ora che io e il nostro giovane ospite ci conosciamo.»

Non avendo il problema di dormire il piccolo Martin riesce a passare, attraversando i condotti di aerazione, dal terzo livello nel quale risiede al segretissimo quarto e lì, assieme ad altri animali, trova un cane chiuso in una delle gabbie, lo prende fuori e si siede accanto a lui mentre lo accarezza.

Martin: «Sai, io soffro di una malattia. È così rara che ci sono due persone sole che l’hanno avuta: mio padre e ora io. Ha persino il nome di mio padre. La chiamano Sindrome di Crescita Accelerata Brundle. I dottori dicono che significa che sto crescendo molto più in fretta di quanto dovrei, il che poi non è poi tanto grave, penso. Ma io penso che significa anche che morirò molto più presto, il che poi non è tanto bello…»

La sera dopo Martin mette da parte del suo cibo per darlo al suo nuovo amico ma, quando va a trovarlo, trova un cartello sulla sua gabbia che indica il nuovo reparto dove l’animale è stato trasferito. Martin raggiunge facilmente il reparto e vede il suo cane messo dentro a una strana capsula, un lampo di luce e l’animale è scomparso. Un tecnico si avvicina alla seconda capsula e una feroce creatura deforme gli azzanna le dita e gliele stacca. Martin urla e Bartok e la Janeway lo vedono. L’uomo abbraccia forte il bambino e gli chiede di calmarsi. Ora Martin ha compiuto cinque anni ma ha l’aspetto di uno di almeno diciotto. Bartok lo conduce fuori dal suo reparto in una casa fatta costruire apposta per lui e per permettergli di vivere la sua vita senza telecamere che lo controllino. Poi l’uomo gli offre un lavoro di responsabilità alla Bartok. Lo conduce dove sono le due capsule. In una di esse pone una mela, poi avvia il sistema, il solito lampo di luce e il frutto scompare. Bartok apre la seconda capsula e, invece della mela, ha in mano una poltiglia.

Bartok: «Cinque anni. Milioni di dollari di spesa e quello che abbiamo… (ride) quello che abbiamo è quanto c’è di più costoso al mondo in campo… spremifrutta. La più grande invenzione della storia dell’umanità e non riusciamo a farla funzionare, maledetta… Noi siamo come un branco di scimpanzé che sta cercando di indovinare come si guida un’auto. Ora, tuo padre era un uomo geniale, geniale ma eccentrico. Quando morì alcuni suoi segreti morirono con lui. Potresti finire il lavoro di tuo padre, tu sei geniale quanto lui, forse anche di più.»

Martin: «Non mi piacciono queste cose.»

Bartok: «E’ a causa di quel cane, vero? Per quanto ancora me ne serberai rancore? Fu un tragico sbaglio, ma ormai appartiene al passato. Tu devi concentrarti sul futuro e il futuro è proprio qui, proprio in questa sala. Immagina una nuova era della chirurgia senza bisturi dove aprire un addome sarà solo un ricordo del passato. Tutto quello diventerà obsoleto nello spazio di un mattino, ecco ciò che rappresenteranno queste macchine. una nuova era! Se ti occorre aiuto il Dottor Trimbull e la sue équipe sono a tua disposizione, se vuoi lavorare da solo, perfetto, sta a te scegliere. Martin, facemmo tutto il possibile per il tuo cane, consolati in questa certezza: fu una breve sofferenza. Ah, e un’altra cosa: tuo padre registrava ogni suo progresso, prima di prendere decisioni, ascolta tuo padre.»

Martin visiona i nastri che Bartok gli ha consegnato e durante i suoi giri per il Centro di Ricerche incontra Beth (Daphne Zuniga), una ragazza che lavora al turno di notte e con la quale egli diventa amico fin dal primo incontro. Infatti Martin utilizza la pianta di cactus della ragazza per tentare il teletrasbordo di un essere vivente, visto che è riuscito già a teletrasbordare oggetti inanimati ma il risultato è una pianta contorta dall’aspetto inquietante. Durante uno dei soliti prelievi la Dottoressa Janeway (Ann Marie Lee) rompe un ago nella vena del braccio di Martin e il giovane, irritato, rifiuta qualsiasi altro esame.

Un giorno Martin accetta l’invito di Beth per un rinfresco nella sua sezione e sente gli addetti del reparto di genetica parlare di una cavia rimasta in vita da ben due anni. Martin si dirige in quel reparto, una zona oscura dove, dentro una sorta di silos, vive ancora il suo amico a quattro zampe, sofferente e deformato. Martin si infuria e dice alla ragazza di non volerla più vedere. Poi il ragazzo va dal suo amico che lo riconosce, lo accarezza e lo addormenta per sempre con dell’etere in modo non debba soffrire più. Intanto gli esperimenti continuano e finalmente Martin può felicemente trasbordare se stesso. Poi, alla presenza di Beth, verso la quale si è scusato per il suo comportamento, gli mostra il funzionamento della macchina teletrasportando felicemente un gattino. I due fanno l’amore nella casa di Martin e Beth nota come nel punto dove l’ago gli ha forato la pelle si stia formando una specie di infezione dalla quale cola un liquido colloso. Va quindi dal collega della dottoressa, Shepard (Frank Turner), il quale gli dice che si tratta di una banale infezione ma Martin non gli crede. Bartok e la Janeway stanno ascoltando la conversazione.

Bartok: «Non c’è dubbio?»

Janeway: «Nessunissimo. Ogni esame ha denunciato i primi stadi della metamorfosi genetica. I suoi cromosomi aberranti non sono più dormienti. Ora che ha raggiunto la maturità hanno cominciato a crescere, a cambiare, a diventare più definiti.»

Bartok: «Con che velocità?»

Janeway: «Un’onda sismica.»

Bartok: «Beh, cosa fare lo sapete. Tutti i preparativi previsti. Andate avanti.»

Beth si vede consegnare un foglio di trasferimento e, inizialmente, i due non riescono più a prendere contatto l’uno con l’altro, poi Martin riesce a bypassare la segreteria e a parlare con Beth e la ragazza gli dice che, da quello che gli ha detto la guardia con stupida ironia, ha capito che le loro mosse sono state sempre sorvegliate. Martin entra in casa furibondo e, dietro a una cassa dell’impianto stereo, trova l’obbiettivo della telecamera e quindi entra in una stanza nascosta dove c’è l’archivio con tutti i nastri nei quali trova registrata tutta la sua vita. All’improvviso, sull’ingresso sfasciato della stanza, appare Bartok.

Bartok: «Bene, ora lo sai. Un risveglio alquanto brusco ma almeno ora possiamo lasciar cadere ogni finzione. Martin, tu diventerai, tra non molto, la creatura vivente più rara sulla faccia della Terra.»

Martin: «No… io no…»

Bartok: «Non c’è niente che tu o io possiamo fare per impedirlo!»

Martin: «Io… ho fatto le mie iniezioni, secondo la terapia.»

Bartok: «E’ acqua distillata, un placebo. Dovevamo darti un qualche senso di sicurezza, altrimenti…»

Martin: «Lei… lei vuole che questo accada?»

Bartok: «Ma certamente che voglio che accada. Tu sei il modello, sei il prototipo per tutta una nuova era della esplorazione biologica. Con te come modello e le capsule come strumento, la Bartok Industries controllerà la forma e la funzione di tutta la vita sulla Terra!»

Martin: «Lei è pazzo!»

Bartok: «Sta calmo, Martin. Accettalo, è programmato fin dal giorno in cui nascesti. Ora noi faremo tutto il possibile per ridurre al minimo le tue sofferenze.»

Martin: «Io… io le volevo bene.»

Grazie alla sua forza e alla sua agilità Martin riesce a fuggire dal Centro e, contemporaneamente, Trimbull e gli altri scoprono che non possono accedere al funzionamento delle capsule perché Martin ha inserito nel computer una password. Se si digita quella sbagliata il sistema cancellerà tutta la procedura che permette il teletrasbordo senza alcun problema. Martin ha raggiunto Beth, i due fuggono e vanno a trovare Stathis Borans (John Getz), il direttore della rivista dove lavorava sua madre e che fu storpiato dal Brundle-mosca. L’uomo non può aiutarli ma capisce che Martin avrebbe trovato un sistema per guarire e, quando i due si allontanano con la macchina che Stathis ha lasciato loro, Beth si fa dire quale sia questo sistema e Martin le risponde che solo fondendosi con un organismo sano egli potrà guarire ma tutto questo a scapito del “donatore”. La trasformazione di Martin progredisce e la ragazza, preoccupata per la sua vita, chiama Bartok che viene a prendere il suo pupillo. Una sorta di bozzolo si sta formando attorno al corpo di Martin e quando questi viene riportato nel Centro, ne è ormai completamente avvolto.

Bartok: «Ti ricordi questa sala, Martin? Qui è dove sei nato la prima volta. E’ assolutamente indubbio che questo sia il luogo indicato per la tua rinascita. Figliolo, stai crescendo così rapidamente… Previsione per quando?»

Janeway: «Io direi… fra una settimana.»

Bartok: «Martin, se tu puoi sentirmi voglio solo dirti il mio grande entusiasmo di riaverti. Sei stato veramente cattivo a fuggire ma ti perdono. Dovrei ringraziarti per la magia che hai operato con le mie telecapsule. Non dimenticartelo mai, Martin, tu sei un mago ma non un virtuoso della fuga. Ben tornato, figliolo!»

Intanto, dopo aver compiuto una umiliante operazione di lavaggio e degli esami, Beth viene portata alla presenza di Bartok nella sala delle capsule per essere interrogata su quale possa essere la misteriosa parola chiave con la quale si può accedere al computer. E’ lì che si dirige la mostruosa creatura che un tempo era Martin dopo essere uscito dal guscio e aver ucciso la Janeway e Shepard e aver eliminato lungo la strada le guardie che cercavano di fermarlo.

Martin penetra nella sala, prende Bartok e lo trascina con sé dentro la capsula, ordina a Beth di avviare il sistema dopo che lui lo ha sbloccato digitando la parola chiave che, ironicamente, è DAD (papà). La ragazza esegue e ciò che esce dalla seconda capsula è un mostro deforme e strisciante e Martin tornato normale.

Tempo dopo, nel grande silos, della sala di genetica, colui che una volta era Bartok striscia faticosamente verso la sua misera ciotola di cibo…

Come abbiamo già detto troverete tutti questi film in DVD ad opera della Fox Video e  per me, il film di Cronenberg è l’unico che abbia superato l’originale…comunque se vi capita di vedere una qualche mosca con la testa bianca cercate di esaminarla da vicino e se scoprite che ha il volto di qualche nostro politico nostrano fatela fuori subito subito prima che compia altri danni a questo povero e malandato paese.

Mi consenta… ovvìa!

Giovanni Mongini