VALERIA BARBERA

Complici gli amici di “Altrisogni”, grazie all’uscita dell’antologia “Ore nere – Otto racconti del terrore”, abbiamo avuto la possibilità di incontrare e conoscere meglio gli autori di questo volume. Tra questi troviamo Valeria Barbera.

COMINCIAMO CON UNA DOMANDA DI RITO. CHI È VALERIA BARBERA?

Sono un adorabile gattone, che purtroppo prima o poi si ritrova calpestato da gente disonesta e allora deve tirare fuori le unghie per affermare i suoi diritti. Come tutti i felini sono perciò incompresa dai più. Amo la bellezza e l’intelligenza in tutte le sue forme, perseguo la saggezza e soprattutto coltivo l’indipendenza del pensiero. Non guardo le persone negli occhi ma dritte nell’anima e le più deboli scappano perché si scoprono nude. Ciò mi rende invisa a chiunque abbisogni di una cerchia di sudditi obbedienti per sentirsi qualcuno; mi ritrovo così una marea di nemici che mi additano come colei da evitare e lo fanno soprattutto con chi non mi conosce, nel vano tentativo di crearmi terra bruciata. Ma quella che gli altri chiamano “solitudine” è per me un oceano dove sguazzare in compagnia di me stessa. È da là che traggo la mia forza, dal presunto vuoto che tutti rifuggono, perché è solo lì che posso riascoltare la mia voce. Molti si domandano come mai non ho un partner. In realtà sono single per scelta, perché quando disperdo lo sguardo su nel cielo mi sento infinitamente amata. L’universo è da sempre il mio compagno: lui mi capisce, mi accetta a scatola chiusa, mi tratta con onestà e quando attraverso un periodo buio accende un tappeto di stelle per me. Può un essere umano offrirmi un dono altrettanto meraviglioso?

COME HAI COMINCIATO A SCRIVERE?

È accaduto da bambina. Farmi nascere per ultima in una famiglia piena di persone innamorate del suono della loro voce non è stata una gran trovata da parte dei miei genitori. A nessuno pareva interessare cosa avessi da dire e se provavo ad aprire bocca mi sovrastavano coi loro discorsi, come se non esistessi. Ero arrivata al punto che quelle rare volte in cui mi concedevano di parlare balbettavo o mitragliavo frasi a raffica per l’ansia da “Oddio, adesso mi spengono”. Avevo capito che solo nei mondi creati dalla scrittura avrei potuto liberarmi del ruolo da ascoltatrice muta che mi avevano appiccicato addosso, così già in età pre-scolare scalpitavo per andare a scuola. Realizzato il mio sogno imparai a leggere e a scrivere in un batter d’occhio. Ero così felice di poter sbobinare tutte le parole che si agitavano nella mia testa che in seconda elementare intrapresi la stesura di un romanzo di fantascienza per bambini. Non l’ho mai completato, tuttavia conservo ancora i fogli scritti a mano. Il confronto col mondo editoriale è arrivato quasi quarant’anni dopo, nell’autunno del 2011, una sera per caso. Mi ero imbattuta nel forum della “Writers Magazine Italia”, mentre erano in corso le selezioni per l’antologia 365 Racconti sulla Fine del Mondo, di Delos Books. Non avevo mai seguito corsi di scrittura né spedito niente a un editore, avevo solo un grande amore per la fantascienza e un’agenda piene di idee annotate negli anni con la promessa di svilupparle, un giorno, chissà quando. Quella sera mi sono detta “Perché no?” Al secondo tentativo ho superato la selezione.

VUOI PARLARCI DELLE TUE PRODUZIONI PASSATE, IN PARTICOLAR MODO DI QUELLE A CUI SEI PIU’ LEGATA?

Finora ho scritto racconti più o meno lunghi e sono affezionata a tutti loro. Credo sia normale considerarli figli, soprattutto per chi come me non ne ha nessuno. Alcuni mi hanno comunque regalato una soddisfazione particolare. Fra di loro ne cito tre, relativi ai miei generi di elezione, fantascienza, noir e horror: il primo si chiama “Il labirinto delle realtà”, è nato da un’idea avuta nel 1988 ma l’ho steso sulla carta solo nel 2012, dopo avere seguito il corso di scrittura con Franco Forte. Si tratta di un racconto lungo di fantascienza noir, ambientato nella provincia di Napoli. Il protagonista è un carabiniere dei giorni nostri che salta nel passato per salvare un bambino vittima di un agguato della Camorra. Questa storia mi è rimasta nel cuore, da un lato perché ha avuto una lavorazione travagliata, tra cui un tentativo di furto da parte di colleghi scorretti mentre era ancora in bozza; dall’altro, perché mi ha portato in finale al “Premio Robot”; sono stata l’unica donna in una edizione memorabile insieme a scrittori del calibro di Dario Tonani, Alessandro Forlani, Marco Migliori, Valentino Peyrano ed Enrico Lotti. Mi sentivo come se fossi stata la Papuasia seduta al tavolo delle potenze mondiali. Ne ho un bel ricordo anche perché è stato pubblicato sul numero 69 della rivista “Robot”, insieme a racconti di altri mostri sacri quali Giovanni De Matteo e Vittorio Catani, riscuotendo apprezzamenti. Alcuni lettori, a me sconosciuti, mi hanno aggiunta su Facebook perché volevano conoscere l’autore del racconto. Mi sembra un ottimo risultato per una esordiente, per giunta molto timida. E poi sono affezionata perché il protagonista è davvero molto umano.

Un altro racconto che mi ha dato grandi soddisfazioni è “Socialpatico”, un noir nel quale ho sperimentato uno stile secco e teatrale, molto vivido. Oltre ad avere conquistato il terzo posto in un premio letterario nazionale patrocinato da Roma Capitale, è stato protagonista di un colpo di scena: per regolamento i giurati avevano valutato i racconti senza conoscere il nome dell’autore e quando hanno appreso che ero una donna sono rimasti piacevolmente sorpresi.

Adesso le soddisfazioni me le sta dando “Squali”, l’horror selezionato da “Altrisogni” per l’antologia “Ore nere”. Lo avevo spedito al “Premio F. M. Crawford”, dove si è piazzato in finale, e anche in questo caso la valutazione da parte della giuria prescindeva dal nome dell’autore. Credo che nessuno dei giurati immaginasse che fosse stato scritto da una donna. Posso capirli. L’ho già detto che per i più sono un enigma, vero?

RECENTEMENTE, COME CI HAI DETTO, HAI PUBBLICATO ALL’INTERNO DELL’ANTOLOGIA “ALTRISOGNI PRESENTA: ORE NERE” IL TUO RACCONTO INTITOLATO “SQUALI”. CE NE VUOI PARLARE?

“Squali” nasce come un esperimento. Non avevo mai letto horror narrati da un camorrista. Per la verità non avevo mai letto neppure storie horror incentrate sulla Camorra. Sapevo al più di un film di serie B girato negli anni Ottanta, su un camorrista-lupo mannaro.

Io volevo creare qualcosa di tremendamente serio e volevo, almeno con la fantasia, vendicare le vittime della Camorra. E poiché detesto le storie fini a se stesse volevo lanciare un messaggio. Secondo Dante gli ignavi non si schierano né con il Bene né con il Male. Io invece ritengo che l’ignavia, di cui l’omertà è figlia, sposti per sua natura l’osservatore verso il Male. L’omertoso è colpevole quanto e più rispetto a chi commette il torto, perché sceglie di restare a guardare mentre l’erbaccia prospera, si diffonde e invade il giardino. Mia nonna esemplificava questo ragionamento dicendo: “Dove oggi entra il dito domani entra la mano”. Il degrado della società nasce da piccole smagliature che nessuno si prende la briga di ricucire. Il risultato di questa indolenza morale è che la sfilacciatura cresce, diventa buco, squarcio e voragine. Ma se la calza rotta può essere rimpiazzata con una nuova, gli ecosistemi sociali, culturali, famigliari ed economici nei quali viviamo sono unici. Sottovalutare la necessità di un intervento attivo per la loro preservazione porta inesorabilmente alla rovina di tutti. Ecco, volevo dire questo.

QUAL È STATA LA PARTE PIÙ DIFFICILE NELLA CREAZIONE DEI PERSONAGGI E DELL’AMBIENTAZIONE?

Considerando che la storia si svolge a Ercolano, un paese di cui conosco luoghi e tradizioni, l’ambientazione è stata la parte che mi ha impegnato di meno. L’ostacolo più alto me l’hanno offerto gli attori della storia. Dare vita a personaggi credibili è l’ingrediente segreto di ogni buon racconto, ma l’impresa è tanto più ardua quanto più sono diversi da te. In questo caso la vicenda è narrata in prima persona dal vero demone della nostra realtà: un camorrista. Immaginate quanti problemi ha implicato, per una gentile fanciulla dalle dimensioni tascabili e seguace dei principi di “Star Trek” (quello di Roddenberry), vestire i panni di un tale soggetto?

Per fortuna ero reduce dalle ricerche condotte per il racconto “Il labirinto delle realtà”. Come ho accennato sopra, in quella storia la Camorra occupava un ruolo fondamentale, di conseguenza per progettare scene realistiche avevo divorato libri, spulciato articoli di cronaca, studiato per mesi il gergo e le tecniche usate per le esecuzioni. Sono sempre stata una acuta osservatrice, una caratteristica esaltata dal fatto che ho lavorato nelle vendite online per anni. Mi riesce facile comprendere gli oscuri meccanismi che spingono le azioni degli esseri umani, anche se qui si trattava di profilare individui capaci di crimini di una efferatezza inaudita. Data la difficoltà del progetto la maggior parte del tempo l’ho spesa ad allenare il cervello a pensare come uno di loro. Tempo che ho recuperato durante la stesura vera e propria; il racconto è infatti venuto giù in maniera fluida, quasi già nella sua forma definitiva. Mentre scrivevo mi sentivo per davvero un camorrista sovrappeso, avvertivo perfino i chili in più; le metafore e le considerazioni del narratore sono uscite in maniera spontanea. Il risultato è stato che quando ho terminato il racconto non riuscivo a guardarmi allo specchio; un po’ per paura, un po’ perché mi facevo letteralmente schifo.

Nonostante sia quel tipo di lettore che ha bisogno di scene forti per spaventarsi, vagare nella mente di un camorrista ha significato fissare il pozzo più nero dell’inferno. Non è un caso se nella scena più terrificante ho infilato proprio una immagine rappresentativa di questo concetto; anzi, vediamo se qualche lettore di buona volontà indovina qual è?

VISTO CHE ULTIMAMENTE CAPITA SEMPRE PIU’ SPESSO, COME IN QUESTO CASO, DI LEGGERE MOLTI GIOVANI AUTORI, E NON SOLO QUELLI, ANCHE IN FORMATO DIGITALE, SECONDO TE QUALE SARA’ IL FUTURO DELL’EDITORIA? VEDREMO PIAN PIANO SCOMPARIRE IL CARTACEO A FAVORE DEGLI E-BOOK O PENSI CHE QUESTE DUE REALTA’ POSSANO CONVIVERE ANCORA PER LUNGO TEMPO?

Posso prevedere con una certa confidenza che la dimensione cartacea non verrà affatto soppressa da quella digitale. Da millenni viviamo nella dualità corpo e mente, fenomeno e noumeno. Abbiamo mai rinunciato a uno di questi elementi?

L’unica cosa che cambieranno in futuro saranno le percentuali di distribuzione della quantità di materia e di non materia. Avverrà per un processo di osmosi naturale. L’onda lunga del mercato degli e-book non può essere più fermata, ormai, solo cavalcata. La crisi sta spingendo l’editoria verso il formato digitale. Col tempo sempre più lettori passeranno agli e-book, per risparmiare spazio nelle librerie e soldi nelle tasche; questo comporterà una contrazione del numero di libri stampati, oltreché delle librerie fisiche, ma nessuno smetterà di stampare libri, né di acquistare volumi cartacei.

Il vantaggio è che il digitale ha riportato in auge la formula del racconto. Lo svantaggio è che gli e-book vanno venduti a un prezzo molto più basso rispetto al libro stampato, ma la percentuale IVA sproporzionata e il bacino di lettori ancora risicato non consentono grossi guadagni.

Riguardo il futuro dell’editoria: in quella digitale, già adesso stiamo osservando lo stesso andazzo delle serie TV. Fioccano romanzi a puntate, saghe divise in stagioni ed episodi.

Attorno alle case editrici si formano gruppi di autori dalla scrittura veloce, pronti a macinare cartelle. Io la definisco “work force letteraria”. Ottima per aumentare il numero di uscite.

Il rischio però è che ne risenta la qualità della scrittura.

Ogni scrittore sa che per sfornare cartelle a un ritmo sostenuto basta ricorrere a scorciatoie, privilegiare il narrato e abusare di immagini poco creative (“la folla assiepata”, “il cuore in tumulto”, “la fronte imperlata di sudore”). Ma questo produce storie caratterizzate da uno stile sufficiente e sviluppi prevedibili. La narrativa è un lavoro prettamente artigianale. La qualità richiede cura e la cura richiede tempo.

C’è poi la possibilità che sia lavoro sprecato: sempre più potenziali lettori aspetteranno la fine della saga prima di acquistarla in blocco, perché a nessuno piace restare con la curiosità insoddisfatta, quella che definisco “Sindrome di Sherazad”. Di conseguenza temo che il mercato degli e-book si affollerà di saghe promettenti, sospese per mancanza di lettori, mentre quelle che sopravvivranno potrebbero offrire buone idee ma non brilleranno per lo stile né per la profondità dei personaggi. Esattamente come avviene nel mondo delle serie TV. A fronte di questo pericolo, credo che le grandi case editrici continueranno a privilegiare la formula del romanzo cartaceo. Ma loro se lo possono permettere.

CI PARE DI CAPIRE CHE IN QUESTI ANNI DI ATTIVITÀ HAI SEMPRE AVUTO UNA PREDILEZIONE PER IL FANTASTICO. CHE SIGNIFICATO HA PER TE QUESTA TEMATICA?

Lo stesso significato che dovrebbe avere per l’intero genere umano. Le persone hanno sempre sentito il bisogno di levare gli occhi al cielo, per ammirarlo, per cercare risposte, e poi di chiuderli per sognare. Il nostro cervello ci conduce attraverso i meandri della fantasia ogni notte, la differenza è che chi scrive narrativa lo fa anche di giorno. Per questo non capisco chi snobba il genere fantastico. L’evoluzione ci ha donato la capacità di fantasticare perché la fantasia è vita, mantiene il cervello sano e attivo. La prova risiede nel fatto che se il genere umano smettesse di sognare impazzirebbe. Chissà, forse sta succedendo per davvero.

VENIAMO A UNA DOMANDA PIÙ GENERALE. DOVE TRAI ISPIRAZIONE PER TUTTE LE TUE STORIE?

Mi basta una parola. Ho un cervello sempre in funzione, per cui concepisco idee ogni giorno. Se ricevo una cattiveria, immagino un racconto; guardo una pubblicità, ne immagino un altro. Per “Squali” il primo input è stato il nome “Pasquale”, che io storpio da sempre in “Pasqualo”. In quel periodo avevo appena terminato di scrivere “Il labirinto delle realtà” e avevo il cervello zeppo di informazioni sulla Camorra. L’idea finale è esplosa come un flash, una sera in cui riflettevo sui dentini del mio gatto, un micione nero che talvolta appare dal nulla come un piccolo squalo. Dovendo scrivere un horror ho quindi pensato di mettere a confronto l’orrore camorristico e quello magico della tradizione napoletana. Il resto è disceso dalla progettazione della storia.

QUALI SONO I TUOI SCRITTORI PREFERITI?

Tanti, ma vorrei citare solo quelli che hanno contribuito a modellare il mio gusto orrorifico: il primo è Ron Hubbard. Avevo dieci anni quando lessi il primo romanzo horror della mia vita, ed era suo. Si chiamava “Le quattro ore di Satana”. Una storia onirica, delirante, con un finale così sconvolgente e triste da restarmi impresso fin da allora.

Il secondo è Stephen King. Mi ha battezzato con “Misery” negli anni Ottanta. Potrei mai dimenticare la scena in cui quella pazza uccide il poliziotto sotto le ruote dell’auto? O quando amputa il piede di Paul Sheldon? Probabilmente è merito di Steve se reggo bene le scene forti.

Il terzo è Oscar Wilde. “Il ritratto di Dorian Gray” ha accompagnato il mio esame di maturità. È un horror elegante, dallo stile teatrale, dove il succo del Male è condensato letteralmente in poche, suggestive pennellate. Questo romanzo è il mio preferito in assoluto.

Per concludere… Dio. La Bibbia contiene tutti i generi letterari e l’Apocalisse di San Giovanni è davvero spaventosa. Credo che chi aspira a scrivere horror sul serio dovrebbe fare una capatina da quelle parti e prendere appunti.

E PER QUANTO RIGUARDA I FILM CHE PIU’ TI PIACCIONO, CHE CI DICI?

Sono amante della fantascienza e dell’horror, per cui i miei film preferiti cadono in questi generi, ma privilegio le storie con un significato, non le tipiche pellicole piene di effetti speciali e nessuna sostanza.

Anche in questo caso ce ne sono tanti. “2001: Odissea nello spazio” ha lasciato il segno, tuttavia quando penso a un film da rivedere mi viene in mente “Contact” di Robert Zemeckis. È l’adattamento cinematografico del romanzo best seller di Carl Sagan, uno scienziato che avrei avuto grande piacere a conoscere di persona. Sebbene nel film manchi il finale spiazzante che si legge nel libro, adoro quella pellicola. Mi rivedo molto nel personaggio di Ellie Arroway, non soltanto perché ho studiato Fisica ma perché anch’io sono sempre in cerca di risposte che la ragione non può dare. Inoltre da bambina passavo ore e ore a osservare le stelle, col binocolo o col telescopio, immaginando di esplorare lo spazio. Non mi commuovo facilmente ma quando Jodie Foster ammira il centro della galassia e, travolta dalla visione, balbetta “Avrebbero dovuto mandare un poeta” mi ritrovo sempre con i lucciconi agli occhi, perché la penso allo stesso modo.

Nel campo dell’horror, preferisco quello sussurrato di “Final Destination”, solo il primo film però. La storia aveva un senso, c’era un tentativo di creare un mitologia sulla morte. Nei sequel purtroppo le buone intenzioni sono andate perse, sacrificate sull’altare dello splatter.

ULTIMA DOMANDA, POI TI LASCIAMO AL TUO LAVORO. QUALI PROGETTI HAI PER IL FUTURO E QUAL È IL TUO SOGNO (O I SOGNI) CHE HAI LASCIATO NEL CASSETTO?

Il mio vero sogno nel cassetto riguarda la ricerca della saggezza. Mi piacerebbe un mondo dove tutti si amassero sul serio; purtroppo ci sono tante, troppe persone che in pubblico indossano la maschera della bontà, mentre in privato tramano alle spalle di chiunque. Vanno avanti solo perché fingono di essere vittime, ottengono favori grazie a sottili ricatti morali, ma in realtà fanno amicizia solo per sfruttarti. È uno schifo.

Nel campo letterario, be’, come tutti ho diversi progetti a riguardo, qualcuno incentrato su questi esseri mitologici che fingono di contribuire a migliorare il mondo quando invece si adoperano per farlo girare male a loro esclusivo vantaggio, però non scendo nei dettagli.

Ormai avrete capito che mi piacciono gli squali. Sono animali molto simpatici, onesti, ma soprattutto hanno una caratteristica: nuotano a pelo d’acqua e si svelano solo quando è il momento giusto. Seppure avvisti la pinna ti sovviene il dubbio che sia quella di un delfino.

Di sicuro continuerò a scrivere. Per il resto risolvo con un diplomatico “Stay tuned”.

AND WE WILL STAY…

Davide Longoni