SI CAMUFFANO COME NOI

“…non era ancora il momento per conoscerci.
Ma seguiranno altre notti
e noi osserveremo le stelle… finché non tornino.”

(“Destinazione… Terra” di Jack Arnold)

Uno dei metodi più subdoli usati dagli alieni per infiltrarsi in mezzo ai terrestri è quello di assumere il loro aspetto e cercare di comportarsi da terrestri, questo almeno entro certi limiti perché deve sempre esserci il modo per poterli riconoscere, vuoi perché fissano il Sole senza sbattere le palpebre, vuoi perché hanno il dito mignolo che viaggia per conto suo (è noto che gli alieni, anche se umanoidi, hanno quattro dita per cui il mignolo è un optional), vuoi perché indossano un “Edgar-abito” come se fosse un vestito che sta loro un po’ largo, o stretto a seconda delle dimensioni dell’infame extraterrestre che lo indossa.

Non esiste un metodo sicuro per riconoscere gli alieni che si sono infiltrati tra noi ma c’è chi dice, per esempio, che i dottori e gli avvocati che aiutano i loro pazienti o clienti senza chiedere nulla in cambio ma solo per il desiderio di fare del bene, non possono essere che degli alieni e che quindi la serie televisiva di “Perry Mason” o “E.R Medici in prima linea” sono, per la ragione citata prima, dei serial di pura fantascienza ma queste sono illazioni che, se pur valide, non possiamo, e ce ne dispiace, farle rientrare nei generi che stiamo trattando.

Ma non sempre gli alieni che arrivano sul nostro pianeta e assumono le forme terrestri sono qui per invaderci. Possono cadere sul nostro strano e barbarico mondo per errore o per un guasto e il loro primo desiderio è di ripartire al più presto evitando il più possibile ogni contatto con noi.

E’ il caso di una delle più ispirate pellicole del cinema di fantascienza “DESTINAZIONE… TERRA” (It Came from Outer Space) tratto da un racconto di Ray Bradbury e portato sullo schermo da uno dei più grandi registi degli anni ’50, Jack Arnold.

Arnold nacque il 14 Ottobre del 1916 a New Haven, nel Connecticut cominciando la sua lunga carriera dapprima come attore e ballerino. Il suo primo film di fantascienza è proprio questo “DESTINAZIONE TERRA” cui sono seguiti film considerati tra i maggiori del genere in quel periodo e che sono stati fonti d’ispirazione per registi come Steven Spielberg, Joe Dante, John Carpenter, James Cameron e molti altri.

Le sue successive pellicole (“IL MOSTRO DELLA LAGUNA NERA”, “LA VENDETTA DEL MOSTRO”, “TARANTOLA”, “RADIAZIONI BX DISTRUZIONE UOMO”, “RICERCHE DIABOLICHE” e “IL RUGGITO DEL TOPO”) sono state consacrate da tempo nei cult del cinema di fantascienza così come il suo intervento non accreditato in tutto il secondo tempo di “CITTADINO DELLO SPAZIO” e la sceneggiatura de “LA METEORA INFERNALE” realizzata dal suo allievo John Sherwood.

Attraverso un dialogo poderoso, mai inutile, bensì suggestivo e umano, il film ci porta a considerare questi alieni sì come dei diversi e, dato che la loro vera forma è così orribile per le nostre limitate visioni delle forme di vita, essi sono costretti a prendere un aspetto umano per nascondersi e per potersi aggirare tra i terrestri, ma sono dotati comunque di una comprensione e una lungimiranza che li porta a incontrare esseri di altri mondi. Eppure anche questi ambasciatori spaziali dimostrano tra loro un carattere diverso. C’è chi passa subito alle armi come la “Helen aliena” la quale finisce uccisa dal protagonista John Puttman che è costretto a spararle per difendersi.

Inizialmente nel baratro che si apre davanti ai due doveva cadere il “Puttman alieno” il quale, invece, dimostra comprensione davanti al suo alter ego terrestre. Così come il telefonista Frank, alieno anche lui, e che poi muore tra pallottole e l’incendio del camion che sta guidando mentre cerca di forzare un posto di blocco.

Un altro “diverso” evidenziato in questo film è lo scienziato giornalista John Puttman (Richard Carlson, all’epoca appassionato lettore di romanzi di science-fiction), in fondo un emarginato per le sue idee controcorrente e che è l’unico a individuare gli alieni e a favorire il compito di riparare la loro nave spaziale, impresa che sarebbe altrimenti passata praticamente inosservata.

Il titolo provvisorio del film, ma subito abbandonato, fu “The Meteor” (per poi diventare “The Strangers from Outer Space”) e il soggetto, il primo delle tre stesure di Ray Bradbury, prevedeva che gli alieni avessero il potere di ipnotizzare gli esseri umani e quindi di penetrare nei loro corpi guidandoli a loro piacimento. La cosa cambiò nelle sceneggiature successive e gli alieni presero quei poteri da “Xenomorfi” capaci cioè di duplicare esseri viventi lasciando libero e intatto l’originale. Questo evitò una scena in realtà abbastanza debole dove uno degli scienziati, l’astronomo Snell, per dimostrare i poteri degli alieni, ipnotizzava lo sceriffo alla moda di Giucas Casella facendogli cioè congiungere le mani in modo che non fosse in grado di liberarsi senza un preciso ordine mentale. Anche la spiegazione di come gli alieni avessero potuto uscire indenni dal catastrofico impatto iniziale è stata tolta nel film. Il perché è in fondo abbastanza ovvio dato che Puttman giustificava la loro sopravvivenza grazie al fatto che essi avevano il potere di “assorbire gli urti”. Alcune scene sono state aggiunte all’ultimo momento da Harry Essex come, per esempio, quella in cui Helen apre la porta di casa e si trova davanti un ragazzino in tuta spaziale e urla o anche quella in cui gli alieni visitano in sua assenza la casa di Puttman portandogli via gli abiti. Mentre una scena che poteva essere interessante è stata tolta: Helen e John passeggiano tra i negozi di Sand Rock, la cittadina dell’Arizona dove si stanno svolgendo i fatti, e l’uomo osserva le loro immagini riflesse dalle vetrine, sono immagini distorte e Puttman pensa all’incontro avuto poco prima con l’altro telefonista, George, o meglio all’alieno che lo ha sostituito. Il modello dell’alieno, una sorta di pupazzo coperto di gel è stato purtroppo distrutto alla fine del film e ancora il gel con  l’aggiunta di filtri, è stato usato per le scene di soggettiva dove veniva mostrato in maniera veramente inquietante come gli alieni vedevano il mondo e soprattutto il deserto intorno a loro, la prima di una delle suggestive ambientazioni di Jack Arnold: questo deserto “vivo e sempre in agguato, pronto ad uccidere se vai troppo oltre, con il suo  Sole infuocato ed il freddo della notte” è come un mondo alieno a sua volta, ostile, suggestivo e misterioso dove ci sono laghi che non esistono e il vento che entra nei fili del telefono cantando e piangendo in una serie di suoni misteriosi e arcani. Un nuovo mondo destinato a ritornare nella cinematografia di Arnold (“TARANTOLA”). Il suo genio si spegnerà per una forma sempre più grave di arteriosclerosi il 17 marzo 1992.

Girando il suo film, “INCONTRI RAVVICINATI DEL TERZO TIPO”, Steven Spielberg avrebbe voluto avere accanto a lui il regista e Richard Carlson, per congiungere così in un unico filo fantastico i due film di cui la pellicola di Spielberg è un ideale seguito perché ora il momento è giunto ed essi sono tornati…

“E’ accaduto qualcosa d’imprevisto:
con questi corpi abbiamo ereditato
molte altre cose sconosciute, emozioni umane, desideri…”

(“Ho sposato un mostro venuto dallo spazio” di Gene Flower Jr.)

Non contenti di minacciare il nostro pianeta, non paghi di inserirsi nella nostra vita per cercare di dominarla (“MATRIX”, “DARK CITY”) non resta loro che entrare nelle nostre famiglie, insediare le nostre donne (“I MISTERIANI”, “MADRA IL TERRORE DI LONDRA”, “THE ASTRONAUT’S WIFE”) e usarle per rigenerare le loro razze morenti in un incrocio forse geneticamente interessante ma ben lontano dalle nostre possibilità permissive.

“HO SPOSATO UN MOSTRO VENUTO DALLO SPAZIO” (“I Married A Monster From Outer Space” o molto più familiarmente IMAMFOS, come è stato chiamato durante la lavorazione) è nato da un idea di Louis Vittes e Gene Fowler Jr. che ne è anche il regista e si avvale del cast tecnico della Paramount per quanto riguarda gli effetti ottici e il make-up.

Infatti, la supervisione dei primi fu affidata a John P.Fulton (1902 – 1965) passato alla storia del cinema di fantascienza anche per essere il realizzatore degli effetti ottici sulle varie versioni de “L’UOMO INVISIBILE”, mentre la supervisione al make-up fu opera di Wally Westmore, appartenente a una delle più famose famiglie di Hollywood che da generazioni si dedica al make-up dei film.

La storia di questa dinastia è cominciata con George Westmore (1879 – 1931) il quale iniziò il suo lavoro pettinando il famoso Valentino, ed è poi proseguita attraverso Mont Westmore (1902 – 1940), Perc Westmore (1904 – 1970), Ern Westmore (1904 – 1968), Wally Westmore (1906 – 1973), Bud Westmore (1918 – 1973) e continua con Frank e Wally. Nel 1973 Frank Westmore scrisse un interessante libro sulla Dinastia Westmore dove rilevava come, purtroppo, nella sua famiglia ci fossero stati molti casi di malattie mentali ma anche che questo piccolo ramo di pazzia fu anche alla base del loro grande estro.

L’alieno fu una realizzazione di Charles Gemora, lo stesso che creò il marziano della “GUERRA DEI MONDI”. Gene Fowler Jr. era nato il 27  maggio del 1917 e svolse un’intensa attività di regista, produttore e sceneggiatore. Il suo primo film risale al 1957 ed è un inedito nel nostro paese “I WAS A TEENAGE WEREWOLF” ma si era occupato anche della serie televisiva “ROCKY JONES SPACE RANGER” del 1954. E’ morto a Woodland Hills, in California l’11 maggio 1998. Protagonista della pellicola è Tom Tryon divenuto famoso più come scrittore che come attore. Tryon era nato il 14 gennaio 1926 ad Hartford, nel Connecticut. Le sue escursioni nel campo della fantascienza sono state molto limitate, oltre al già citato film di Fowler, lo ricordiamo in “UN TIPO LUNATICO” (“Moon Pilot”) del 1962. Dopo il suo ultimo film datato 1971 si dedica completamente alla letteratura firmando novelle e romanzi di successo. E’ morto di tumore il 4 settembre 1991 a Los Angeles.

Il film IMAMFOS si apre con il rapimento del protagonista Bill Farrell (Tom Tryon) da parte degli alieni. L’uomo deve sposarsi il giorno successivo con Marge (Gloria Talbott) ma colui che si presenta al matrimonio non è Farrell bensì un alieno che ne ha prese le sembianze. Il suo scopo e quello degli altri della sua razza è quello di poter procreare in quanto le loro donne sono state uccise dall’intenso calore solare del loro sistema morente. Hanno viaggiato a lungo nello spazio prima di fermarsi con la loro nomade flotta sulla Terra nella speranza di potersi incrociare con gli umani. Una volta scoperti e dopo che i terrestri hanno recuperato i corpi dei rapiti, i superstiti alieni ripartono per il loro lungo viaggio nello spazio alla ricerca di un altro mondo abitato, unica speranza per la continuazione della loro stirpe. Il film fu incredibilmente girato in otto giorni con un budget di centosettantacinquemila dollari la maggior parte dei quali andò per rendere credibile le figure degli alieni. Il regista era rimasto impressionato dal metodo di ripresa di Fritz Lang per il quale aveva fatto l’operatore ed era rimasto colpito dalle dissolvenze e dalle tecniche che Lang usava per passare da una sequenza all’altra.

Il suo desiderio era quello di usare la stessa tecnica per il suo film ma questo non era possibile per scarsità di tempo e di budget per cui, tra una ripresa e l’altra, Fowler ritagliava pazientemente dei pezzi di cartoncino in forme strane e inusuali e si metteva lui stesso dietro la macchina da presa riprendendo tutto ciò che era possibile: i cavi elettrici, il set vuoto, il pavimento sporco. Una volta acquisiti i giornalieri egli si portava via le scene girate da lui stesso per vedere se poteva usarle per “sfumate”, dissolvenze incrociate o quant’altro. Solo una volta poté utilizzare quello che pazientemente aveva preparato. La foresta nella quale si nascondeva l’astronave era la stessa usata nel film di Norman Taurog “UN MARZIANO SULLA TERRA” con Jerry Lewis.

Del film è stato fatto un banalissimo remake uscito da noi solo in videocassetta intitolato “HO SPOSATO UN ALIENO” (“I Married a Monster”) di Nancy Malone del 1998. La storia è estremamente simile ma non possiede il senso d’angoscia e di suspance del primo film.

Un film curioso, scomparso purtroppo come una meteora nel nostro paese, è una pellicola inglese del 1963 “ASSEDIO ALLA TERRA” di John Krish.

Anche in questo caso si tratta di un tipo d’invasione subdola, nascosta, che prende di mira gli scienziati terrestri che studiano la trasmissione del pensiero. Le loro morti misteriose sono dovute a degli alieni che prendono, come aspetto, quello delle donne terrestri. Anche in questo caso, come in altri, essi, anzi esse, non sono facilmente riconoscibili, però non battono le palpebre e sono capaci di prendere un arrosto dal forno a mani nude. Un’altra caratteristica che accomuna questo film alla pellicola di Fowler è il fatto che sotto l’abito terrestre l’essere alieno impara cosa siano i sentimenti in generale e l’amore in particolare. Purtroppo, per un banale incidente, l’aliena muore e il protagonista si trova circondato minacciosamente da donne aliene. E’ inutile dire che questo tipo d’invasione nel campo della fantascienza è tra i più graditi ai produttori dei film: non ci sono mostri quindi non ci sono in pratica costosissimi effetti speciali perché tutto ciò che non si vede non costa. Nonostante questo basilare principio la pellicola deve comunque avere una storia che, almeno in questi casi, sappia tenere la tensione dello spettatore e il film di Krish la possiede risultando quindi migliore, per fare un esempio, di un altro spettacolo ben più costoso, e per giunta a colori, che ha invaso la nostra televisione. Stiamo parlando di “V-VISITORS” (di cui recentemente è uscito anche un reboot intitolato semplicemente “V”, ndr), un serial indubbiamente spettacolare che unisce il tema dell’invasione a quello degli alieni camuffati da uomini. Una sorta di lucertole rivestite da maschere umane arriva sul nostro pianeta apparentemente con intendimenti pacifici ma con lo scopo reale di usare i terrestri come fonte di cibo. Dopo una prima serie decorosa il serial è scaduto nella seconda riducendosi a una specie di stupida e incongruente telenovela.

A metà tra questi due modi di trattare il tema sta indubbiamente la pellicola di Nicolas Roeg “L’UOMO CHE CADDE SULLA TERRA” (“The Man who fell to Earth”). Anche qui abbiamo un alieno (David Bowie) il quale, giunto sul nostro pianeta con l’unico scopo di trovare risorse di sopravvivenza per il suo mondo morente, viene imprigionato e quasi vivisezionato dai terrestri. Newton, l’alieno, nasconde il suo vero aspetto dietro delle lenti a contatto e delle protesi e quando la protagonista, Candy Clark, lo vede nel suo status naturale, in una scena puntigliosa ma abbastanza inutile, si urina addosso.  La fantascienza ha presentato spesso queste oscure minacce provenienti da altri pianeti e le ragioni del perché questo tema possa essere così caro lo abbiamo commercialmente spiegato prima ma, al di là di questo fatto che comunque condiziona ogni tipo di produzione cinematografica, non ci è possibile non sottolineare che sono generalmente comunque tra le migliori produzioni di tutto il genere fantascientifico.

Il film è stato anche rifatto per il mercato televisivo per quello che doveva essere il pilot di una serie, da noi, uscito solo in videocassetta, che s’intitolava “S.O.S. TERRA” (“The Man who fell to Earth”), del 1986 per la regia di Bobby Roth. La cosa non ha avuto però seguito visto il tiepido risultato conseguito.

Giovanni Mongini