MASSIMO DE FAVERI

Scrittore, giornalista, appassionato del genere fantastico, presidente dell’associazione “Terre di confine”… Massimo De Faveri è questo e molto di più: recentemente ha pubblicato con Plesio Editore il romanzo di fantascienza “Destinazione Balder” e noi abbiamo ora il piacere di ospitarlo sulle pagine della Zona Morta.

COMINCIAMO CON UNA DOMANDA DI RITO. CHI È MASSIMO DE FAVERI?

Ciao, Davide. Innanzi tutto permettimi di ringraziarti per l’interesse e per questa intervista.

Rispondendo alla tua domanda: sono una persona a cui piace ascoltare leggere vedere e ideare storie, e che spesso ha assecondato questa sua inclinazione scrivendo. Mi interessano i generi fantastico e fantascientifico, e ho una passione per l’animazione giapponese, in particolare quella realizzata tra il 1958 e il 1990.

COME HAI COMINCIATO A SCRIVERE?

Una certa attitudine risale all’infanzia. Ho iniziato il mio primo “romanzo” in un quaderno di scuola all’età di 10-11 anni quando in Italia uscì “Daitarn 3”: parliamo quindi di un piacere per la scrittura che risale a più di trent’anni fa. All’idea di scrivere davvero, un po’ più seriamente, ho pensato vari anni più tardi, dopo aver letto un romanzo di Philip José Farmer, non vorrei sbagliare ma credo fosse stato “Il segreto del tempo”. Non mi piacque, ritenni di poter far meglio (!), e quindi ci provai. Inutile dire che da allora ho realizzato cose inenarrabili, avendo però l’accortezza di eliminare le peggiori dal nostro continuum prima che potessero far danni.

VUOI PARLARCI DELLE TUE PRODUZIONI CUI SEI PIU’ LEGATO?

Le prime cose scritte sono quelle che si ricordano sempre con maggiore affetto, anche perché inevitabilmente collegate alla gioventù. Tuttavia, da autore sostanzialmente inedito, mettendomi a parlare delle mie “produzioni” mai pubblicate e non attestate scivolerei nell’autoreferenzialità. Posso aggirare la domanda citando alcuni titoli poco noti letti da giovane, a cui sono legato non necessariamente per la qualità letteraria ma per il puro stimolo a coltivare la passione per la narrativa d’avventura che essi hanno saputo infondermi. Ricordo per esempio la collana “I Dizionari dell’Avventura”, di Giunti Marzocco curata da Bruno Boggero: romanzi come Viaggio senza passaporto, Progetto Sea-Life, Operazione Tambura, Tra i ghiacci con l’Esperance, la trilogia di Missione Uomo… Oppure la serie “Adventure” pubblicata tra il 1949 e il 1980 da Willard Price, un autore poco noto i cui romanzi comparvero negli Oscar Ragazzi Mondadori.

TRA LE TUE OPERE PIU’ RECENTI TROVIAMO IL ROMANZO “DESTINAZIONE BALDER”. CE NE VUOI PARLARE?

In realtà Destinazione Balder non è un romanzo recente, anzi è cronologicamente il primo che abbia ultimato, nel ’93. Fa parte di un trittico di opere autonome scritte a distanza di anni ma riunite in quella che avevo chiamato “Trilogia della Fantascienza”, ossia un progetto che doveva trattare tre diversi “stili” della Fantascienza avventurosa, e che si completava con Le Città Perdute (2000), e Velvet (quest’ultimo, per vari motivi, mai terminato). Ad ogni modo, riguardo Destinazione Balder nello specifico, il romanzo era stato concepito come opera d’introduzione a un ciclo di storie spin-off che doveva poi accompagnare alcuni personaggi comprimari, come Thompson Brooke, Rhia Khori, David Rillian, e naturalmente la misteriosa Ayleen Val, l’enigma sulla cui figura è ciò che di fatto permette al finale del libro di mantenere aperto uno spiraglio per un prosieguo. Dal momento che il romanzo in quel periodo non incontrò il favore degli editori, rinunciai all’idea di pubblicarlo. Infine, qualche anno fa, provai a rimetterlo saltuariamente in circolazione, e così ho trovato Plesio, anche se l’idea del ciclo spin-off era ormai tramontata. Spero tuttavia che il romanzo possa divertire anche come opera singola e autoconclusiva.

QUAL È STATA LA PARTE PIÙ DIFFICILE NELLA CREAZIONE DEI PERSONAGGI E DELL’AMBIENTAZIONE?

Ambientazione e personaggi sono stati relativamente semplici da ideare; di solito questi elementi, presi separatamente, non mi creano mai particolari problemi; innestare la trama è invece un po’ più complicato. Il fatto di accorgersi solo in ritardo di alcune incompatibilità è una costante quasi fisiologica; un’ambientazione che in fase progettuale sembra inattaccabile può rivelare contraddizioni impreviste quando poi le si sovrappone la trama, e vice versa. In Destinazione Balder ci sono state delle parti rielaborate in un secondo momento, anche se è passato molto tempo ed è difficile ricordarsi di preciso i dettagli; sono insomma le famose incongruenze rilevate in corso d’opera, quelle che portano a riscrivere o eliminare interi passi magari pure venuti bene. Capita spesso a chi scrive, a tutti i livelli; direi che è la seconda cosa più fastidiosa in assoluto (la prima, ovviamente, sono le incongruenze rilevate post pubblicazione).

COME MAI LA SCELTA DI UN LIBRO PER RAGAZZI?

Destinazione Balder è stato scritto quanto ero ragazzo, ma, a parte questo, mi piace realizzare storie per ragazzi, ancora oggi. O, se non per ragazzi, diciamo per adulti non impegnati. Questa preferenza ricalca le mie letture giovanili. Quello che ho sempre considerato il mio campo, con rarissime eccezioni, sono le storie d’avventura, le tipiche storie di evasione con ambientazione fantascientifica; in parte è un limite (certo i romanzi di puro intrattenimento difficilmente ambiscono a raggiungere olimpi letterari), ma un autore deve scrivere ciò che poi gli fa piacere leggere, e ciò per cui è portato. Ci sono degli stereotipi, delle formule, dei meccanismi narrativi e delle cadenze a cui francamente sono troppo affezionato per potervi rinunciare.

IN QUESTI ANNI DI ATTIVITÀ HAI SEMPRE AVUTO UNA PREDILEZIONE PER IL FANTASTICO. CHE SIGNIFICATO HA PER TE QUESTA TEMATICA?

Premesso che la narrativa “realistica” è una leggenda metropolitana che si concretizza molto più raramente di quanto certi suoi cultori pretendano di dare a credere, e che tutta la narrativa è fondata sulla Fantasia, il genere fantastico è naturalmente quello che più degli altri dichiara l’intento di volersi votare all’immaginazione. Immaginazione, Fantasia… sono la capacità di astrazione, di ragionare al di là del tempo e dello spazio; sono ciò che consente di attribuire significati alle esperienze. In ultima analisi, sono il fondamento della razionalità umana e ciò che ci permette di evolvere come società: senza Fantasia non esiste il progresso. Il genere fantastico credo attragga almeno due categorie di persone: coloro che patiscono certi aspetti del mondo che li circonda, e che pertanto nel momento dello svago pretendono di allontanarsene decisamente; e coloro che al contrario amano in tutto e per tutto la loro realtà, perché hanno la capacità o la buona sorte o l’ingenuità di viverla già come una favola, e anche nello svago non chiedono di meglio che proseguire questo loro fortunato idillio. Piacendomi molto il fantastico,  dovrei dedurne che, probabilmente, io appartengo a una di queste due categorie.

DA ANNI SEI IL PRESIDENTE DI “TERRE DI CONFINE”, UN’ASSOCIAZIONE CULTURALE NON PROFIT LE CUI FINALITÀ STATUTARIE SONO LO STUDIO, LA PROMOZIONE E LA DIFFUSIONE DELLA CULTURA, DELLE SCIENZE E DELL’ARTE CON PARTICOLARE RIFERIMENTO AL FANTASTICO. VUOI PARLARCI DI QUESTA TUA ESPERIENZA?

“Terre di Confine” nasce come un progetto di rivista telematica, ed è presente on-line ormai da 7 anni, anche se la forma associativa è intervenuta più tardi, nel giugno del 2010. Come certamente anche tu avrai sperimentato con “La Zona Morta”, portare avanti in forma gratuita un’iniziativa che richiede un grande impegno sia in termini di tempo che di risorse non è mai facile, e l’esperienza che se ne trae ha sempre un sapore contrastante: da una parte la grande soddisfazione nel realizzare qualcosa di realmente valido, dall’altro il logorio derivante dalle continue pressioni a cui si viene inevitabilmente sottoposti. Colgo l’occasione fornita da questa domanda per invitare tutti gli appassionati a partecipare attivamente al nostro progetto, li accoglieremmo a braccia aperte, perché proprio ora stiamo procedendo a una rilevante riorganizzazione strutturale, e questo è davvero il momento più propizio per inserire menti nuove e idee nuove e, perché no, partner nuovi. A dispetto di ogni difficoltà, “Terre di Confine” continua a crescere, a evolversi e a rinnovarsi.

VENIAMO A UNA DOMANDA PIÙ GENERALE. DOVE TRAI ISPIRAZIONE PER TUTTE LE TUE STORIE?

Sicuramente da tutte le storie ideate da chi è venuto prima di me: romanzi, ma anche (con particolare attenzione alla sceneggiatura) film, serial, fumetti, cartoni animati. Rappresentano un terreno di ricerca inesauribile e insostituibile, sono fondamentali sia come fonti d’ispirazione sia come materiale di studio.

QUALI SONO I TUOI SCRITTORI PREFERITI? E PER QUANTO RIGUARDA I FILM, CHE CI DICI?

Mi hanno sempre attratto gli autori d’avventura più popolari, da Verne a Dumas a Stevenson, e Burroughs, Howard, Haggard, Kipling… Di Wells confesso d’aver letto poco ma ho apprezzato le opere soprattutto per averle viste trasposte sul grande schermo. Salgari con i suoi personaggi ha popolato le trasmissioni televisive nei miei anni 70. Amando la Fantascienza, sarebbe poi scontato menzionare Asimov, Dick, Bradbury, Van Vogt… non si finirebbe più.

Per quanto riguarda i film, è automatico che molte rivisitazioni degli autori di cui sopra abbiano originato pellicole di valore o di successo (o entrambe le cose): pensiamo a Fahrenheit 451 di Truffaut, al Blade Runner di Ridley Scott, a L’uomo bicentenario di Chris Columbus. Il mondo del cinema regala però anche autori autoctoni di grande talento e in gran quantità, pure se molti di loro rimangono pressoché sconosciuti, a meno di non unire al writing la regia come nel caso di Andrew Niccol in Gattaca, o Alex Proyas in Dark City; o, per citare nomi ben più noti: James Cameron, i fratelli Wachowski, Quentin Tarantino (autentico mago nell’amalgamare elementi e suggestioni visive di estrazione diversa, dal cinema di varie epoche, al fumetto, all’animazione giapponese), Joss Whedon (il suo Firefly è tanto pregevole quanto clamorosamente sottovalutato), George Lucas, M. Night Shyamalan…

Se poi vogliamo combinare avventura e un pizzico di fantastico, nulla di meglio de I predatori dell’Arca Perduta (limitandoci categoricamente a quel singolo “Indiana Jones”). Regia di Spielberg, storia di Lucas e Kaufman, sceneggiatura di Kasdan e trasposizione letteraria di Campbell Black.

Il film fantastico a cui sono più legato, però, anche in questo caso risale alle mie visioni d’infanzia, si tratta de Il favoloso dottor Dolittle, interpretato nel 1967 da un perfetto Rex Harrison.

ULTIMA DOMANDA, POI TI LASCIAMO AL TUO LAVORO. QUALI PROGETTI HAI PER IL FUTURO E QUAL È IL TUO SOGNO (O I SOGNI) CHE HAI LASCIATO NEL CASSETTO?

Di sogni nel cassetto, molti ormai non più realizzabili, ne ho lasciati parecchi, come del resto capita inevitabilmente a ognuno di noi. Anche se alcuni riguardano le attività di cui abbiamo parlato, finiscono comunque per toccare la sfera personale, che però preferisco mantenere personale.

In merito ai progetti, al momento la priorità riguardante “Terre di Confine” occupa tutto il tempo disponibile: stiamo cercando (se ci si riesce) di porre l’associazione in condizione di autosostentarsi, garantendole in tal modo quella autonomia, dal punto di vista finanziario, che le consenta di proseguire il suo sviluppo in gratuità  senza più doversi preoccupare dei problemi di cassa. A causa di questo e di altri impegni, è difficile trovare il tempo per rimettersi a scrivere o anche solo per revisionare e dare alle stampe le cose già scritte, sebbene la tentazione sia forte e costante! In particolare, mi piacerebbe mettere a frutto la collaborazione con alcuni dei molti disegnatori che ho avuto modo di conoscere grazie alla rivista “TdC”, e realizzare con loro una nuova serie a fumetti fantascientifica, sceneggiata in 26 albi, dal titolo Dreamin’ XXII. Chissà, se a qualche editore di fumetti capitasse di leggere questa intervista e fosse curioso di saperne di più…

OVVIAMENTE TE LO (E CE LO) AUGURURIAMO TUTTI! RESTEREMO SINTONIZZATI!

Davide Longoni