PHILIP JOSE’ FARMER

Philip José Farmer è sicuramente uno degli scrittori di fantascienza più acclamati e interessanti degli Stati Uniti dalla seconda metà degli anni Quaranta a oggi. Narratore eclettico, poliedrico, ironico e dissacrante, ha scritto anche di altri generi, ma è noto soprattutto per essere stato il primo a introdurre il tema del sesso in un genere letterario che fino ad allora non lo contemplava, aggiudicandosi alcuni tra i maggiori riconoscimenti nel campo fantascientifico.
Farmer nasce il 26 gennaio 1918 a North Terre Haute da una famiglia benestante e puritana e nelle sue vene scorre il sangue di una mezza dozzina di nazionalità: dalla famiglia paterna ha ereditato antenati inglesi, olandesi e irlandesi, da quella materna scozzesi, tedeschi e Cherokee. Piccola curiosità: il secondo nome José è un omaggio a una nonna materna (di nome Jose), reso però maschile dall’accento.
Oppresso dal padre e dalla sua rigida educazione puritana, Philip cerca uno sfogo da un’infanzia difficile rifugiandosi nei mondi che riesce a immaginare con la lettura di romanzi fantastici e d’avventura. A nove anni comincia a leggere i classici della letteratura greca antica e i libri di Oz, mentre l’anno dopo scopre la fantascienza e inizia a leggere autori e capolavori del calibro di Edgar Rice Burroughs, Jules Verne, lo Sherlock Holmes di Arthur Conan Doyle e il Gulliver di Jonathan Swift.
Alle scuole superiori, oltre a dimostrare di possedere buone doti letterarie, riesce anche a sviluppare notevoli doti fisiche: è già durante questi anni che inizia a concepire le prime idee per il ciclo di romanzi che diventerà in seguito “Fabbricanti di universi”.
Una volta diplomatosi, nel 1937 si iscrive all’università del Missouri per studiare giornalismo, ma deve abbandonarla a causa della bancarotta dell’azienda del padre. Per due anni si ritrova così a lavorare come operaio in una centrale elettrica in modo da permettere a suo padre di pagare i suoi debiti e poter tornare all’università.
Sistemata la famiglia, nel 1939 si iscrive al corso di letteratura inglese, con specializzazione in filosofia, al Bradley Polytechnical Institute di Peoria, dove nel frattempo si è trasferito. Vince anche una borsa di studio premio di scrittura creativa, ma quando scopre che la vittoria è in realtà dovuta alle sue capacità di giocatore di football americano, abbandona la squadra.
Nel 1940 incontra Elizabeth Virginia Andre che sposerà l’anno dopo.
Nel 1941 entra nell’Air Force come cadetto di aviazione, ma alla notizia dell’attacco a Pearl Harbour chiede di essere congedato dall’addestramento di pilota e torna dalla moglie a Peoria.
Nel 1942 nasce il primo figlio Philip Laird e nel 1945 la secondogenita Kristen.
Nel 1946 finalmente  riesce a pubblicare il suo primo racconto (una storia di guerra) intitolata “O’Brien and Obrenov” sulla rivista pulp “Adventure”.
Nel 1951 ritenta la strada della fantascienza e propone il racconto breve “Gli amanti di Siddo” alle riviste “Astounding science fiction” e “Galaxy” che però lo rifiutano, probabilmente per lo scabroso tema, almeno per quei tempi, del rapporto amoroso tra un essere umano e un’aliena. Il racconto viene invece pubblicato sul numero di agosto 1952 di “Startling stories” e, proprio il tema particolare che l’aveva fatto rifiutare dai più quotati magazine del settore, lo rende invece il caso dell’anno, tanto che nel 1953 ottiene il “Premio Hugo”, uno dei più ambiti del genere, per il giovane scrittore più promettente.
Sulla scia del successo de “Gli amanti di Siddo” lascia il lavoro per dedicarsi a tempo pieno alla scrittura. Con “I owe for the flesh” vince un premio letterario indetto dall’editore Shasta, ma questi fallisce senza aver pagato i soldi del premio e così Farmer si ritrova sul lastrico. Per mantenere la moglie e figli deve tornare a svolgere un lavoro fisso.
Negli anni successivi cambia residenza (lo troviamo a Syracuse nello stato di New York nel 1956 e a Scottsdale in Arizona nel 1958) e lavoro più volte (facendo in genere lo scrittore tecnico per ditte di elettronica). Riesce comunque a pubblicare alcuni lavori, tra cui i primi racconti di John Carmody (il primo di questi, “Il frate e il giocatore”, viene pubblicato nel 1953) e il suo primo libro “The green odyssey” (la storia di un’astronauta naufragato con moglie e figli su uno strano pianeta).
Nel 1959 Horace Gold, il curatore della rivista “Galaxy”, lo contatta per chiedergli di scrivere un romanzo con contenuti sessuali per una nuova collana di libri e Farmer scrive e pubblica l’anno dopo “Il figlio del sole”, la storia di un capitano d’astronavi e del suo equipaggio che tornano sulla Terra dopo un viaggio in ibernazione durato 800 anni. Questo è l’unico romanzo della nuova collana dal quale Gold dovette rimuovere alcune scene di sesso (e pensare che nei romanzi di altri scrittori di fantascienza dovette invece aggiungerle!).
La fortuna finalmente sorride a Farmer e ricomincia a pubblicare regolarmente e a partire dal 1964 riesce finalmente a mantenersi con il suo lavoro di scrittore.
L’anno dopo si trasferisce a Beverly Hills e pubblica uno dei suoi più grandi capolavori, ovvero “Fabbricanti di universi”, il primo libro del ciclo omonimo: il professore di storia Robert Wolf suona un corno ritrovato in una vecchia casa e si ritrova catapultato in un altro universo, dove ritorna alla forma fisica della giovinezza.
Nel 1968 vince un secondo “Premio Hugo” con il racconto “Il salario purpureo”, pubblicato l’anno prima nell’antologia “Dangerous visions”.
Nel 1970 si trasferisce di nuovo a Peoria.
Nel 1971 riesce finalmente a pubblicare “Il fiume della vita”, una versione riveduta e corretta di “I owe for the flesh”, il romanzo che l’editore fallito Shasta avrebbe dovuto pubblicare anni prima.
Da allora ha scritto numerosi capolavori, dando vita a numerosi cicli e continuando a rimpolpare le fila di quelli già iniziati.
Nel 2001 gli viene attribuito il “Premio Nebula” alla carriera come “Gran Maestro della fantascienza”.
Anche se definito autore fantascientifico, in realtà si potrebbe chiamare il lavoro di Farmer “metaletteratura”, avendo l’autore lungo tutta la sua opera continuamente rielaborato temi derivanti dalla letteratura popolare e avventurosa (ma anche da classici quali “I viaggi di Gulliver” o addirittura l’Odissea) mediante pastiches, che talvolta sono diventate vere e proprie riscritture dei romanzi originali, come nel caso di “Il diario segreto di Phileas Fogg in cui reinterpreta “Il giro del mondo in ottanta giorni” di Jules Verne trasformandolo nello scontro tra due fazioni aliene per il possesso della Terra. Farmer ama in pratica rimescolare, scombinare, scorporare, smontare e poi ricostruire a modo suo le opere di altri autori, mischiando spesso fiction e realtà e facendo credere al lettore che personaggi del tutto inventati e irreali siano realmente esistiti: è il caso ad esempio di “Tarzan alive” (1972) o di “Doc Savage – His apocalyptic life” (1973), in cui lo scrittore si inventa di sana pianta due biografie come fossero reali di personaggi di fantasia. Lo stesso fa con Sherlock Holmes, Fu Manchu, il viaggiatore del tempo inventato da H.G. Wells, The Shadow, Allan Quatermain e addirittura King Kong e James Bond.
Oltre alla letteratura, i temi ricorrenti nelle opere dell’autore sono il sesso e l’avventura pura, ma anche la psicologia e la religione, che di norma fonde in costruzioni molto complesse.
Considerato da più parti uno dei massimi “scenografi” ed etnologi della fantascienza, Farmer si è divertito a costruire universi assolutamente alieni che è riuscito a caratterizzare nella loro perfetta alterità utilizzando un numero ridotto di pennellate, talvolta perfino attraverso brevi racconti, come quelli appartenenti all’antologia “Relazioni aliene” o con il romanzo “Venere sulla conchiglia”. A voler ben guardare, la scrittura di Farmer è spesso arruffata e affrettata, priva di una grande cura letteraria (al punto che riesce spesso a scordare personaggi di contorno qua e là nei romanzi) e per questo raramente lo scrittore è apprezzato dagli amanti della bella pagina. D’altro canto, invece, Philip è apprezzato da un enorme pubblico che bada più all’emozione e all’interesse che le sue pagine sanno suscitare che alla purezza stilistica della scrittura.
Tra le sue opere più famose non si può non citare anche “Il ciclo del mondo del fiume”, che è stato criticato dai fondamentalisti cristiani perché vi compare anche Gesù Cristo, ispirato al quale è stato prodotto pure un film tv intitolato “Riverworld – Il popolo del fiume”, che avrebbe dovuto fare da prologo a una serie televisiva. Ma lo scarso successo conseguito, pare, avrebbe interrotto il progetto, che non venne più continuato anche a causa della morte dello scrittore avvenuta il 25 febbraio 2009 all’età di novantuno anni.
26/01/2009, Davide Longoni